Maria Callas e i 3 tenori

Callas MacbethNon me ne voglia Duprez perché mi prendo quindici giorni di libertà dalla Musica proibita, rinviando, subito dopo l’Epifania, l’opera di Zandonai per sfidare nel nome di Maria Callas i miei tenori contemporanei o quasi, che animano e popolano questo blog. L’occasione è ghiotta e per due motivi perché la Emi ha pubblicato una sorta di Famedio di Maria Callas contenente tutte le registrazioni in studio alcune live di titoli non editati dalla casa discografica della Maria e tutti i recital e, soprattutto, perché in sette anni di Corriere della Grisi lo spazio dedicato alla divina è stato, in raffronto ad altre cantanti, esiguo. La Callas non ha bisogno di mentori e, comunque, provo a riparare, grisiano modo, ovvero stimolando alla risposta pubblica e dettagliata gli altri due tenori del blog, che hanno ricevuto, dono natalizio, il sopracitato Famedio.
Inutile dire che sono un estimatore della Callas e lo fui soprattutto agli inizi della melomania perché quando ti si para davanti quel monumento di tecnica vocale, di studio spasmodico, di scelte d’accento e di fraseggio sempre pertinenti, testimoniate in ogni registrazione anche quando la cantante era all’ammazzacaffè vocale, devi ammirarla. E da questo partiamo precisando che sono molto poche le cantanti della sua levatura, che la storia del disco documenti a partire dagli incunaboli di Adelina Patti. Poi l’esperienza di ascoltatore, lo scandaglio delle registrazioni a 78 giri abbondantemente ristampate e riproposte, la schifezza che negli ultimi venti anni, salvo poche rarità alcune delle quali in età da casa Verdi, ti viene indorata ti portano a riflessioni non diverse, ma più articolate e dettagliate e che sono certo Duprez e Nourrit non condividano e che quindi sfido ad una replica.
Una prima osservazione Duprez mi scrive nei nostri dialoghi di ritenere la Norma del 1960 la migliore della Callas. Sono di diverso avviso, credo che avrebbe fatto meglio a non inciderla e lo stesso valga per la Lucia del 1960, che è una caricatura di quella, che non sopporto per quel che resta in disco, di Toti dal Monte. Nonostante questi due incidenti e il non aver fatto centro né come Amina né come Lucia, la Callas era per formazione e gusto una belcantista. Allieva di belcantista della scuola di Garcia trovava nelle astrazioni del melodramma sino a Bellini il suo massimo luogo di esecuzione ed interpretazione. Quando mise le mani su Armida fu perfetta al primo colpo perché alla strega non serve la bella voce, serve la voce della seduttrice, della furia, dell’amante tradita e soprattutto la perfezione nell’ esecuzione dei passi acrobatici e il legato. E lo stesso era il miracolo di Norma o di tre personaggi che non sono da Belcanto, ma che nei modi del belcanto si esprimono e che la Callas –paradosso o prova che anche allora non si dava sempre il giusto titolo al cantante giusto?- cantò in tutto neppure quindici sere ossia la Lady, Abigaille, la duchessa Elena dei Vespri. Possiamo eccepire che per il gusto del tempo la voce non fosse bella e potesse non piacere e se il confronto si chiama Maria Caniglia, Adriana Guerrini, Maria Pedrini, Elisabetta Barbato, Caterina Mancini sotto il profilo della qualità vocale la divina è sempre in perdita, ma c’è il resto fatto di precisione del canto acrobatico, slancio mordente, varietà di fraseggio, estensione vocale, capacità di dare senso ad ogni frase o frasetta cambiando colore della voce o in maniera impercettibile sonorità.
Questo, ben prima di Visconti, delle pagine dei rotocalchi, delle damazze milanesi ed annessi cavalieri di dubbia qualificazione sessuale fa della Traviata della Callas un punto di riferimento, ma lo fa sempre e solo a condizione che la cantante sia integra nelle sue qualità vocali, perché anche in Traviata la Callas prima di tutta canta e nel canto trova la sua forza e grandezza espressiva.
Prevengo una facile eccezione: anche l’Addio del passato della Muzio è inciso alle porte del Verano, ma il colore di voce, la qualità timbrica più integra, la misura nelle scelte dinamiche fanno della pagina della Muzio il capolavoro, dell’esecuzione portoghese della Callas il ricordo di una grandissima Violetta.
Se poi prendiamo Leonora del Trovatore siamo al capolavoro, e la più antica esecuzione è la migliore perché a Mexico City la “grassona” greca poco elegante, poco femminile, ritenuta a torto cantante di provincia, ma al top del miracoloso combinato di voce e tecnica è esemplare nel cogliere e nel rendere l’amore gratuito e tragico di Leonora, il senso di incombente tragedia in ogni nota. Aggiungo non è la voce di Leonora perché chi ascoltasse in lingua tedesca Barbara Kemp e Frida Leider ascolterebbe del pari un canto di altissima scuola di grandissima partecipazione interpretative e, soprattutto nel caso della Kemp, una voce di qualità esemplare.
Siccome era una belcantista e da belcantista ragionava l’ho detto agli altri tenori del sito con il Verismo le cose andavano assai meno bene. Cantò agli inizi di carriera Tosca, la evitò divina e la riprese alla frutta della parabola artistica, le altre eroine pucciniane Mimì e Manon furono esperienze discografiche e Butterfly un’esperienza a Chicago, dettata dal desiderio di replicare alla giapponesina, altrettanto poco felice della Tebaldi, ma le mancava qualcosa della diva verista a partire dall’ abitudine al canto nella prima ottava, al timbro singolare di una Muzio, al gusto, persino maniacale, per il fraseggio dell’Olivero. Cito queste due cantanti perché la Callas con queste e non con altre si deve confrontare. Diva e divina la Callas lo era, ma con capo coronato, peplo, clamide scettro e spada alla bisogna, l’abito etnico, il canapè, la tenda sono armamentari estranei alla psicologia, prima che alla voce della Callas.
Come, ed anche qui so di non trovare condivisione negli altri tenori, sono estranee all’espressione della Callas le creature remissive. Sia che siamo le eroine del tardo Verdi, sia le fanciulle angelicate, che venivano affidate ai soprani leggeri, ossia Amina e Lucia. Che in Italia Toti e seguaci le avessero trasformate in “sceme di guerra” non possiamo non condividerlo, ma era l’estrema deformazione del gusto. Basta navigare un po’ fra i 78 giri ed udremo ora Amine e Lucie che hanno timbro chiaro, dolce, ma sono esenti da qualsivoglia svenevolezza (e penso alla Galli Curci ed alla Hempel) oppure che si capisce benissimo perché cantassero, oltre che Lucia ed Amina, Marescialla, Elvira di Ernani, Butterfly, Tosca, Leonora di Trovatore e magari pure Aida ed Isotta e qui penso a Margarete Siems, Melitta Heim, Selma Kurz.
Devo averlo già scritto nel Corriere forse in risposta a qualche intervento: la grande Callas, quella che fa la storia dell’opera, l’hanno sentita fiorentini, veneziani, romani, napoletani, messicani e bonaurensi, e solo gli scaligeri della prima stagione, che però come nessun altro pubblico veste i panni del pubblico affranto e vedovo. Te la raccontano come vista e sentita persino quelli nati nel 1956. Poi fu una grandissima cantante, un esempio assoluto di abnegazione alla professione e di rispetto per musica e pubblico, ma la macchina perfetta cominciava ad avere qualche problema in qualche ingranaggio. Solo che era la Callas e qualunque registrazione mostrava la volontà ferrea della cantante il non venire mai a patti con lo spartito anche quando il risultato era poco felice ed un patteggiamento conveniente. Ma lei era la Callas che parlando di una delle più acclamante dive del dopo Callas, senza mezzi termini disse “la x’è una rufiana”. Posso dirlo una grande grazia le è stata fatta quella di una breve vita, perché davanti al nostro oggi, altro che “rufiana”.
E adesso passo il testimone.

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23 pensieri su “Maria Callas e i 3 tenori

  1. Non ho purtroppo fatto in tempo a sentire e vedere la Callas dal vivo. Sono però convinto che il semplice ascolto delle incisioni – per quanto di fenomenale interesse – non sia sufficiente a dare ragione della sua arte ( contrariamente ad altre grandi – anche per questo non grandi come lei – che era senz’altro meglio sentire piuttosto che vedere … ). Non avendo assistito a sue recite compulso testimonianze al riguardo. A mio parere preziosa quella di Rudolf Bing, che mi pare significativa anche a livello per così dire metodologico: ” La Callas tornò al Metropolitan nel 1964-65 per due rappresentazioni della Tosca. Non cantò bene, ma non aveva importanza – non si era mai vista una Tosca simile. Mi distrusse il piacere di quell’opera, perché non mi riuscì più di apprezzare nessun’altra artista dopo aver visto lei. E così anche nelle altre opere: sarebbe bastata la linea del suo braccio quando nella Norma suonava il gong. Con pochi movimenti della mano sapeva rendere un personaggio e un’emozione ( … ) “.

    • Non c’è ruolo o aria da concerto in cui non abbia dato qualche soluzione felice.Non era Mimì non era Manon,ma è apparso un accattivante filmato londinese di Sì mi chiamano..e in Sola perduta…era imbattibile nel no,non voglio.morir. La sposa bambina,con concessioni liberty nella Butterfly può non piacere,ma come Lucia restituita al tragico-non alla macelleria della Dessay- non è ovvia e meno che mai arbitraria(Vedi Karajan).Non l’ho mai idolatrata come Santuzza,ma l’incursione nella Maddalena del 54 è una fiammata memorabile.

  2. Scusami Donzelli, ma il tuo articolo mi ha un po’ contrariato. Se è vero che le creature remissive fossero estranee alla psicologia della Callas, nella prima parte del tuo scritto pare che la Maria fosse sì una grandissima, ma che ci fosse sempre una cantante più “adatta” di lei a ciascun ruolo fuorché Armida e la Leonora del Trovatore.
    Per mio conto sono sempre più convinto che i miracoli vocali – ed è fuor di dubbio che la Callas lo fosse – sfuggano ai raffronti.
    Non regge, a mio modo di vedere, mio un confronto, p.es., tra la Callas e la Olivero e questo perché forse l’unica cosa che le accomunava erano le doti attoriali fuori dal comune eppure in questo diverse. L’una era Norma e Medea; l’altra Adriana e Fedora, parlando per archetipi. L’una era drammatica, l’altra tragica. La prima tutelò l’arte antica del canto, per citarvi, colorandola di neorealismo; con l’Olivero abbiamo avuto una Bernhardt del canto, una vera e propria propaggine dell’800 nel nostro secolo. Non so se riesco a spiegarmi.

    Sulla qualità della voce. Io insisto nel ribadire che per me una voce è bella quando impostata a regola d’arte e quando l’interprete mi infiamma. È una mia personalissima opinione, sia chiaro, però sono stanco di sentire, leggere e pure di dire io stesso della Callas: “la voce non era bella però…” come a porre delle eccezioni su una assoluta protagonista della storia lirica, che non ne ha e non ne merita.

    Concludo ringraziandoti di averne parlato. Ci pensavo giusto ieri per l’ennesima volta: la Callas è forse divenuta così popolare che la si da’ ormai troppo per scontata.

  3. Con la Callas viene tutto attraverso la musica ed il canto. È per questo che io l´amo. (Non in tutto però. Manon, Mimì, anche Gilda molto meno per esempio. Non canta male, ma non coglie l´essenza di questi caratteri.) D´accordo anche sulle tardi Norma e Lucia.
    „Siccome era una belcantista e da belcantista ragionava l’ho detto agli altri tenori del sito con il Verismo le cose andavano assai meno bene.“ La Tosca secondo me non era un ruolo che amava particolarmente, ma che nella fase finale della carriera era un ruolo che le permetteva di mettere in luce i suoi punti di forza (frasseggio, interpretazione, azione in scena) ed un pò meno le qualità vocali….
    “un esempio assoluto di abnegazione alla professione e di rispetto per musica e pubblico, ma la macchina perfetta cominciava ad avere qualche problema in qualche ingranaggio. Solo che era la Callas e qualunque registrazione mostrava la volontà ferrea della cantante il non venire mai a patti con lo spartito anche quando il risultato era poco felice ed un patteggiamento conveniente.”
    Una professionista seria dalla testa ai piedi, chi esigeva tutta la disciplina e l´impegno che ci metteva lei nella sua professione anche dagli altri colleghi (spesso invano). Mai un effetto „cheap“ in palcoscenico per servire a se stessa quando poteva danneggiare la musica. Mai un falso compromesso o una misera scusa con lo spartito. – Mai le sarebbe venuto in mente di „piegare“ o addattare una parte alle proprie possibilità come quasi TUTTI lo fanno oggi. Si domandano in molti i suoi fans perche Serafin all´epoca non l´aveva inclusa nei suoi „tre miracoli vocali“. E trovo invece che abbia avuto ragione a non includerla. I fenomeno della Callas non sta nella voce, ma nella cantante e sopratutto nell´interprete e nell´artista che sapeva a modo esemplare e affascinante immergersi nei suoi personaggi con il massimo rispetto per la partitura. E non smetteva mai di crescere o di imparare, mai contenta con se stessa o credersi „arrivata“. È anche questo che fa anche la differenza tra una cantante – ed un´artista.

        • A me pare che il concetto di bella voce o brutta voce sia abusato e fuorviante: non vuol dir nulla e dipende solo da giudizi soggettivi. Quel che conta è il musicista e la Callas era prima di tutto musicista, cosa rara tra i cantanti. E questo la mette sopra tutte le altre (Sutherland, Sills, Steber, Olivero, Stignani o Cerquetti comprese…). Ma ne parlerò nella risposta a Donzelli che sto ultimando

          • A questo punto sono davvero curioso di leggere la tua risposta, perché non mi è chiaro in che senso la Callas sia “più musicista” della Sutherland e delle altre.

  4. Donzelli ho un attimo di smarrimento! Amina non è stata scritta forse per Giuditta Pasta? che ci azzecca dunque una Galli Curci con una simile opera??? per quanto mi riguarda poi , ma è un parere molto personale, trovo questo personaggio belliniano al limite del sopportabile tanto mi pare scioccamente ingenuo…, la Callas ha il grande merito di farmelo amare (soprattutto diretta da Bernstein)

    • E’ proprio questo il punto. La Callas riesce a conferire a personaggi appartenenti a un repertorio guardato con diffidenza dai cultori dell’ ” opera as drama ” uno spessore drammaturgico fino ad allora insospettato, contribuendo al recupero e riabilitazione di un repertorio il cui valore era stato fortemente ridimensionato con l’affermarsi dell’estetica del dramma musicale . Un’operazione di spessore non unicamente legato alla pura vocalità ma di natura anche drammaturgica e – alla fine – musicologica. Per questo la Callas è stata grande e unica e definirla “belcantista” è a mio parere riduttivo . Tra l’altro, benché incompatibile nella dimensione psicologica ( e direi esistenziale ) con molti ruoli veristi, le eccelse doti di fraseggiatrice e di attrice vocale ne fanno in disco a mio parere una incomparabile Mimì e Manon. E per Tosca basti ad esempio il secondo atto in video.

    • La Callas è stata una GRANDE, questo ormai, tranne pochi strani amanti delle così dette “belle voci”, è un dato assodato. Contesto però alcune affermazione dell’articolo, peraltro sempre interessante, cioè il fatto che non sapesse interpretare ruoli “dolci”. E’ vero che i suoi ruoli straordinari la catalogano soprattutto come grande tragica “coturnata”, ma, secondo me, la sua Amina della Sonnambula (anche nell’incisione diretta da Votto dove la sua voce ormai cominciava a declinare) è qualcosa di straordinario. Basterebbero alcune frasi per classificarla immortale.: “Care compagne…”, “Tenera madre”. Tutto l’inizio del secondo atto (il dialogo con la madre); per non parlare di tutto il lungo recitativo che precede “A non credea mirarti”. Lì c’è la malinconia misteriosa e notturna, direi leopardiana, del primo romanticismo. Ma anche la sua Lucia: tragica e notturna. I suoi Puritani…E lo strazio di Gilda dove lo mettiamo? La Callas fa dell’eroina verdiana non una pupattola ma una donna consapevole: quando rimane sola col padre provate ad ascoltare il dolore di “Tutte le feste al tempio” Poi certo, proprio in Rigoletto ci sono dei suonacci (i due sovracuti di tradizione che sono riprovevoli) su questo non ci piove. Se ci fermiamo su questo sicuramente l’interpretazione della Callas è da censurare. E vogliamo parlare dell’assoluta delizia di Fiorilla ne “Il turco in Italia”? Per cambiare genere, dato che era “una grande tragica”
      Anche secondo me era meno adatta al verismo,e anche la sua celebrata Tosca di De sabata a me non ha mai fatto impazzire, però c’è il suo disco dedicato alle arie pucciniane che contiene autentiche gemme.
      L’aria della Turandot poi contiene tutto il senso del persenaggio che nessun’altra cantante dopo di lei (tranne Sutherland) ha più saputo conferirle: ma avete presente il senso di sconfinata malinconia che esce da quella voce? Provate a sentire come canta “O principi che a lunche carovane da ogni parte qui venite”. Lì c’è l’anima vera di Turandot, li salta fuori tutta la profonda ferita che la lacera.
      La Callas non si è limitata, a mio parere, a cantare i sentimenti dei suoi personaggi ma ne ha suggerito anche l’inconscio, e anche l’inconscio degli autori che li hanno immaginati. Ecco, secondo me,uno dei grandi misteri che hanno fatto unica quest’artista. Se non si capisce che la Callas è stata grande Norma e grande Amina non si comprende a fondo il fenomeno che è stata, C’è poi la qualità della voce che sicuramente aveva degli elementi striduli che a molti non piacevano (e non piacciono), ma devo dire a questo punto che mi dispiace per loro. Chiudo citando la frase che una mia grande amica francese (musicologa) ora in pensione che tempo fa, scrivendomi e lamentando gli acciacchi dell’età, mi ricordava i bei giorni che ogni anno trascorrevamo a Pesaro ai tempi degli ultimi “grandi” (Ramey, Blake ecc..). Concludeva la mail dicendo “Alla fine ho avuto una bella vita, soprattutto ho visto e sentito la Callas cosa posso volere di più?”…Bello no? Ecco anch’io la penso così.
      Saluti a tutti e un buon anno.
      Vivaverdi

      • Concordo con te quasi in tutto (ma la Tosca con De Sabata per me è una meraviglia). Devo dire però a tutti quelli che si ostinano a ritenere quella della Callas una “brutta voce”, di ascoltare la nuova masterizzazione: la voce è priva di quegli artefatti digitali che i filtri applicati in passato falsificavano in parte (in particolare timbro ed espansione). Nel cofanetto Warner invece – che parte dai nastri originali – la voce è naturale, libera, definita.

      • Concordo perfettamente con Vivaverdi. Quando la Callas interpretava certi ruoli io parlerei quasi di “possessione dionisiaca”.
        Anche su Tosca sono d’accordo: ho sempre trovato la sua incisione con De Sabata troppo da virago, poco femminile. Meglio l’intrepretazione con Pretre (ma la voce però non c’era più….)

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