Fidelio alla Scala: news dalla “primina” per giovani

10_dia183Con l’anteprima giovani del Fidelio di giovedì 4 dicembre si inaugura ufficialmente l’era Pereira, presentatosi al pubblico ad inizio recita a scusarsi per il ritardo del primo oboe e inneggiante ai giovani, e si dà conclusione all’era dell’accoppiata Barenboim-Lissner, che si chiude con un titolo che l’ormai ex sovrintendente ha dichiarato ai giornali aver agognato e per anni richiesto al Maestro Barenboim. Da tanta attesa ci si poteva e doveva aspettare dunque una diversa resa musicale di orchestra e solisti e, magari, uno spettacolo finalmente bello, se non tradizionale perlomeno di diversa natura rispetto al solito “già visto” proposto l’altra sera.
Il Maestro Barenboim stenta a tenere insieme l’orchestra già dalla iniziale Leonore n.2, eseguita in luogo della tradizionale ouverture, eseguita con tempi slentati all’inverosimile, imprecisione di suono e soprattutto nessuna idea interpretativa di sorta. Elementi che saranno una costante per tutta la serata, dall’interminabile atto I, al pesante e chiassoso finale. Proporre tempi lenti, più che larghi, senza una vera concezione del momento drammatico e senza un’orchestra che sappia suonare, guidata dal direttore, con precisione adamantina porta non già ad una grande direzione “di tradizione” ma alla svogliata parodia dei difetti appuntati da certa critica a siffatta tradizione. Basterebbe un breve confronto con la terribile e magniloquente orchestra di Furtwängler o con la solennità di Klemperer per rendersi conto di come Barenboim si sia presentato al Fidelio scaligero più svogliato e impreparato del solito. Da un direttore di carriera cinquantennale come lui ci si poteva e doveva aspettare decisamente di più, invece della mortifera è soporifera lentezza ammannita durante tutta l’opera, condita di pesantezza e di un suono orchestrale che non è mai pieno né bello. Una summa, insomma, della parabola milanese di Barenboim e Lissner per chiudere nel migliore (si fa per dire) dei modi.
Per quanto riguarda il cast vocale, il migliore in campo sembra essere Kwanchoul Youn, dal canto professionale quanto basta a delineare un sicuro e paterno Rocco, che perlomeno ci risparmia suoni cavernosi e stomacali.
La protagonista Anja Kampe, accolta con grande successo dal pubblico di giovani, avrebbe voce e timbro per essere una discreta Marzelline, invece la ascoltiamo come pessima Leonore, priva del peso specifico di una parte che gravita sostanzialmente in zona centro grave, quasi sempre sorda e vuota nella Kampe, incapace di salire ad acuti sicuri, che di fatti si traducono sempre in urla o ululati di dubbia intonazione, complice probabilmente anche la stanchezza in cui va incontro da metà dell’aria in poi per via della pesantezza della parte, per arrivare difatti stremata alla fine. In una simile organizzazione vocale pensare ad idee interpretative che vadano al di là di un generico ed esteriore temperamento sarebbe impensabile.
Klaus Florian Vogt è sicuramente il peggiore del cast, un vero mistero dell’opera attuale, voce modesta per timbro e modestissima per volume, si presenta con suoni eunucoidi all’attacco della grande aria di Florestan e produce tutta la sera suoni bianchi e insicuri, quando non del tutto stonati come accade sistematicamente in zona acuta. La parte è celebre per la scrittura ostica, ma una prestazione simile è al di sotto della soglia minima di decenza. Nè scenicamente si può dire abbia dato alcun rilievo alla parte di Florestano, tanto da essere passato quasi inosservato agli applausi finali persino ad un pubblico giovane e inesperto.
Falk Struckmann mostra tutti i difetti degli Alberich a fine carriera, emissione sostanzialmente parlata, chioccia nel timbro, instabile quando cerca di dare volume, alle volte ballante e insicuro nell’intonazione. Impresentabile la Marzelline di Mojca Erdmann, vocina da soubrette spesso stonata, mai supportata dal fiato, di volume limitatissimo e stucchevole nell’interpretazione, se non fosse per la figura gradevole sarebbe passata del tutto inosservata. Una creatura del management per chi è interessato solo al visual e non certo alle voci. Passabile il Jaquino di Florian Hoffmann, mentre Peter Mattei nel cammeo di Don Fernando non ci risparmia suoni malfermi nelle grandi frasi del suo breve personaggio.
Lo spettacolo di Deborah Warner, celebrata regista di prosa, non ci fa vedere niente che non si sia già visto in spettacoli di Regie Theater anni 70 ossia ambienti spogli e degradati, abiti moderni e così via. L’attualizzazione in sé e per sé non è una scelta interpretativa bastante a produrre uno spettacolo, pur strizzando l’occhio a Chéreau, ma si dovrebbe proporre qualcosa nell’azione scenica, nella gestualità dei cantanti, insomma una minima idea interpretativa, la cura assenza in questa produzione stupisce vista la fama e la bravura della signora Warner a cui resta l’unico merito di non aver proposto gli inutili siparietti tanto cari alle regie della gestione Lissner, eccezion fatta per gli spacciatori presenti in scena alle battute finali della Leonore 2, mentre la nevicata nel finale mi è parsa una trovata un po’ ruffiana e posticcia, perché in scena e in buca non c’era nessuna magia da coronare in siffatto modo. Insomma da una parte uno spettacolo fortunatamente privo di provocazioni, dall’altra completa assenza di idee, trovate registiche un po’ banali e qualche nonsense (Leonore e Florestano che cantano del ricongiungersi dopo tanto tempo nel duetto O namenlose Freude ai due lati opposti del palcoscenico, in barba a quanto stanno cantando).

Adolphe Nourrit

 

On December 4 La Scala hosted the usual “Preview for the Young” of the first opera production of the season, Beethoven’s Fidelio. I went to the performance with the “under-30 Grisi Team” and would like to share a few impressions of this ceremony.
This event intends to open the theatre to a younger public at a very cheap price (11€).
Every year we see how eagerly the artistic directors praise this supposedly generous benefaction to the opera culture, by giving the youth an opportunity to approach opera and educating them to listening to great music. But here comes a big question:
do they really want to teach new generations of listeners what good opera sounds (and looks…) like or are they just imprinting their low standards on a future public? Are they just trying to set their young public straight right from the beginning in order to get them used to terrible shows like this Fidelio, in other words, to make the next generation of spectators their accomplices?
I am lucky enough to have some really good teachers: the more experienced authors of this website. They truly try to give me the value of good music and singing. Therefore, I cannot but angrily react every time I see these pseudo-educational shows and the enthusiastic reaction of my peers who do not have the same opportunity that I have and who are convinced that what they are listening to is actually the best opera performance in the world.
But actually, rather than a „real“ performance, this was more of a „rehearsal“: I really suspect that some singers were preserving their voice for the opening night. Nevertheless I, as the rest of the public, paid the ticket and went to La Scala expecting to see a “regular” performance. Therefore I will not benefit the singers of a similar extenuating circumstance, that being more of an aggravating one.
The worst thing in this Fidelio, the most fundamental weak point, was definitely Daniel Barenboim’s conducting. In his musical concept there was not one homogeneous idea about this opera and this led to terrible results.
From the overture on we listened to a terribly heavy orchestra, where the adagios became lengthy and inexpressive and the variations of intensity, color and speed excessively stressed (especially in the finale). With very few exceptions, the horns were too loud compared with the rest of the orchestra and this also produced some evident false notes. Barenboim also lost the accord with both the choir and the singers on stage several times, showing his inability to conduct with clear and understandable gestures and/or the lack of careful preparation with the artists.
It seems to me that none singer of the main roles in this performance matched up with the quality required by a premiere at La Scala. Klaus Florian Vogt (Florestan) has a very weak voice, almost inexpressive. He was unable to show the impulse and enthusiasm required by the heroic character he had to play. A little better, but still far from a decent performance, did Anja Kampe (Leonore) in terms of expression and vocal technique; her voice was nevertheless too faint to be clearly heard in the ensemble scenes. The remaining singers – though with no particular merits – were more fitting with their characters.
A word about the stage direction. We were offered a nowadays typical „modern“ direction, with the setting in a contemporary jail and with contemporary clothing. As an under 30 spectator, I have to say, that I never appreciated these story-transfers to present days: I strongly believe in the immortality of music and in the fact that stories and music can give us a message even if it comes from centuries ago. Therefore I can’t find any reasons to justify a modern stage direction; for sure it’s not new or groundbreaking anymore since directors have been putting on “modern” shows for at least thirty years. Nevertheless I must acknowledge the beautiful visual effects created by the light design.
The most saddening thing of this night, however, was the enthusiasm of the young public. For many, it was probably their first time at the opera and they are being sold a number one performance in a number one opera house. And they probably believed it because they do not know better… They are the future of the opera public.

Napoleone Moriani

 

La verdad es que para hablar del “Fidelio” que abrió la nueva temporada del Teatro alla Scala podría ser suficiente declinar el adjetivo “feo” en todas las variantes que el diccionario de la lengua española de la RAE nos ofrece. Cada uno de ellos podría funcionar para reflexionar sobre el espectáculo que Daniel Barenboim, acompañado por un cast vocal de incapaces (con algunas ecepciones), presentó frente a un emocionado joven público milanés. El maestro argentino, la directora de escenas Deborah Warner y un prudente Alexander Pereira hablaron de esta nueva producción como un “Fidelio” diferente, lejano a esa visión del “ópera-oratorio” que había dominado en las interpretaciones pasadas. Y la verdad, sí, fue un “Fidelio” tan diferente… que ni parecía “Fidelio”. Empezando por la dirección de orquesta.

Barenboim se despide del teatro milanés con una dirección lenta, pesada, débil, insipida pero sobre todo vulgar y sucia, incapaz de crear un sonido homogéneo y claro, como casi todas las que caracterizaron su actividad musical en la Scala: cada sección, cada instrumento iba por su lado tratando de seguir el gesto del maestro cada vez más cansado e impreciso. El resultado fue terrible: un “Fidelio” de casi 3 horas y media!!! De lo peor que he escuchado en mi vida, sin lugar a duda.

Los adjetivos, tristemente, no cambian hablando de las voces, a partir de la protagonista, Anja Kampe, a la cual le hubiera suficiente escuchar, sin tocar a Gertude Grob-Prandl o Sena Jurinac, a la pobre Leonore de Gundula Janowitz para aprender los elementos fundamentales de un personaje tan bello. Klaus Vogt tomó al pie de la letra el deseo de Barenboim de un “Fidelio” diferente: nunca había escuchado a un Florestan sopranista! Voz nasal, eunucoide y además desafinada. Interesante el Rocco de Kwangchul Youn. Ni hablar de la Marzelline de Mojca Erdmann.

Y por último, las escenas: Marzelline planchando, Leonore trapeando, obreros con chalecos fosforescentes, lavadoras y otros materiales que seguramente hallaron en algún astillero abandonado… síntesis perfecta de la moderna y vacía retórica “del nuevo” en donde “nuevo”, “extremo” se transforman magicamente en un sinónimo de “bello”. Todo frente a un tierno y simpático público de jovenes emocionados pero incapaces percibir la inexorable y definitiva muerte que la ópera está enfrentando.

Manuel Garcia

5 pensieri su “Fidelio alla Scala: news dalla “primina” per giovani

  1. “Klaus Florian Vogt è sicuramente il peggiore del cast, un vero mistero dell’opera attuale, voce modesta per timbro e modestissima per volume, si presenta con suoni eunucoidi all’attacco della grande aria di Florestan e produce tutta la sera suoni bianchi e insicuri, quando non del tutto stonati come accade sistematicamente in zona acuta.”.
    Mi sarei decisamente stupito del contrario!

  2. anche io totalmente d’accordo, soprattutto su Voigt. Non sono tanto competente da giudicare la direzione, anche se, nonostante la mia inesperienza, non ho potuto non notare i tempi estremamente lenti che hanno appesantito parecchio tutta l’opera

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