E’ consolidata tradizione pesarese che la sera della prima dello spettacolo inaugurale del Festival il sovrintendente annunci via etere i titoli dell’edizione successiva. Questo consente che nell’immediato ed in ogni luogo frequentato dai frequentatori del festival (ne evito il dettaglio che va dalle feste, trionfo della pesaresità, ai luoghi del gaio struscio) inizi la ridda delle supposizioni circa i cast, implementate da smorfie, sospiri o sorrisi dei cantanti su piazza alla rituale domanda “ torni o tornerà a Pesaro?“ oppure “cosa fai a Pesaro l’anno prossimo?”.
Orbene la sera della prima di Armida circolava un pieghevole, che prometteva per l’edizione 2015 Donna del lago, nuova produzione, ripresa dell’Adelaide 2011 e Gazzetta della quale sarebbero state reperite parti mancanti. Insomma un consolidato mix con titolo napoletano, titolo serio diverso dal napoletano nella tradizionale e comoda composizione soprano assoluto, musico, tenore baritonale e titolo comico di non pesante impegno e per cantanti e per allestimento, nel quale vengono serviti normalmente i prodotti formati e sfornati dall’accademia l’anno precedente. Niente di nuovo niente di entusiasmante in un Festival, che per tare coeve alla nascita e vieppiù incancrenite negli anni non ha fantasia forza e coraggio di proporre alcunché di nuovo da tempo. E non perché le possibilità non vi siano!
Con la promessa di questi titoli rincorsa ai cast con il dubbio amletico sull’Elena, vista l’infelice prova dello pseudo soprano Colbran ingaggiato quale Armida, i voti agli Dei circa la sognata presenza del divino Diego quale Giacomo V, la domanda se la Danielona nazionale, ormai votata a Verdi, sulle orme di una Cossotto fosse intenzionata a rivestire i panni di Ottone, costatole qualche disapprovazione nel 2011, e se, contrariamente all’uso pesarese di non richiamare sul medesimo ruolo il medesimo cantante Jessica Pratt non fosse prevista di nuovo quale Adelaide.
Non era finito il Festival che dal sito dell’agenzia di Florez arrivava la prima ovvia secchiata di ghiaccio “Diego è impegnato in Otello alla Scala sino al 23 luglio e quindi……” e quindi scordatevi Diego, che per mantenere rapporti col Festival (che sia detto aveva già annunciato per il 2016 la quarta Matilde di Shabran, in luogo del già previsto e rapidamente cassato Ricciardo e Zoraide) si sarebbe esibito nella Messa di Gloria e poi cominciavano i cambi a partire da Adelaide, trasformata in Ciro in Babilonia. Sicchè tutti gli appassionati di stanza a Pesaro, dal trionfale concerto di Ewa Podles desumevano che il contralto polacco si fosse dichiarata disponibile a riprendere il suo ultimo debutto rossiniano, non potendo certo adattare ai propri compromessi mezzi la parte di Ottone, in assoluto il più acuto dei travesti rossiniani. Permaneva in cartellone la Donna con la domanda non da poco circa la distribuzione dei ruoli, per l’esecuzione davvero infelice in forma di concerto del 2013, pur esente da guai e riprovazioni per omaggio al maestro Zedda colpito da improvviso malore durante la recita.
Insomma nulla di buono all’orizzonte perché trovare due contralti rossiniani (Malcom ed Ottone), due tenori contraltini (Giacomo V ed Adelberto di Adelaide), un tenore baritonale (Rodrigo di Donna) oltre che ad un soprano centrale per Elena ed uno sfogato per Adelaide richiedeva fortuna coi mala tempora currentes e con il fatto che “girala, voltale e pirlala” gli unici due elementi su cui Pesaro poteva fare affidamento erano Podles e Pratt. Vero che nella patria dell’autore del Mosè da anni siamo abituati a sentirci proporre miracoli e mirabilie, ma l’esito di Armida consigliava prudenza e ancora prudenza.
Allora sarà prudenza, sarà indisponibilità, saranno richieste non accoglibili di cachet, verso la fine di ottobre giorno più giorno meno arriva sul sito del Festival l’edizione 2015, che offre Gazza Ladra, Gazzetta ed Inganno felice. Come dire con un paragone gastronomico servire un salmì od un brasato al barolo con insalata di pomodori per contorno, perché l’idea è qualche cosa di raffazzonato, raccogliticcio ed improvvisato. E basta leggere la presentazione allorquando il sovrintendente parla di cartellone brillante come se Gazza Ladra, opera di cosiddetto mezzo carattere (in realtà la summa per sunto dei topoi del dramma tragico fatta e rimaneggiata da Rossini, amatissima da tutte le prime donne tragiche come Colbran Pasta e Sontag) potesse essere liquidata come genere brillante al pari di un Bruschino od anche degli altri titoli stagionali.
La verità è che il cartellone dove viene sventolato come un prodigio il ritrovamento di un quintetto della Gazzetta (peraltro già eseguito altrove come implacabile il “tubo” ci testimonia, testimoniando anche la parodia rossiniana, che potrebbe essere una delle ragioni della sparizione del numero) offre la possibilità agli organizzatori di risolvere o far finta di risolvere il tragico problema delle compagnie di canto perché è chiaro che i titoli offerti non presentano le difficoltà di una Donna del lago o di un Ciro in Babilonia o Adelaide. O meglio non sembrano presentarle perché in fondo Ninetta è più semplice di Elena e di Amira anche se è uno dei modelli di vocalità larmoyant, Pippo non è certo Malcom o Ciro e se il prescelto contralto in quei ruoli naufragherebbe nell’altro si può far finta che non sia insufficiente, dimenticando che la parte venne ampliata e ritoccata per la Pisaroni, e poi la sortita di Giannetto passerà in quella di Ricciardo, ma passata la sortita si può anche far finta che l’innamorato sia un personaggio da opera comica, le cui difficoltà non sono quelle di Giacomo V o di altra parte scritta per David e taccio del problema del direttore in un’opera, che regge pochissimo il teatro e non ammette palliativi e pagliacciate in sede di allestimento, se se ne conoscesse al poetica e rispettasse l’estetica. E tanto per mettere la ciliegina sulla torta la parte di Lisetta non scherza affatto quanto a difficoltà e una buona Amira sarebbe anche una buona Lisetta, ma in fondo quello che aleggia nelle scelte pesaresi da tempo (non sono più i tempi di Lella Cuberli Fiorilla) è che nei titoli brillanti ci si può anche accontentare. E non rispondetemi, per favore, che Armida sia un titolo brillante, anche se quello che ci è stato proposto l’anno scorso potrebbe indurre a questa conclusione di buon senso.
Il problema di fondo è che oggi un festival come Pesaro deve pensare che la fase della riproposizione della prima esecuzione, la spasmodica ricerca giusta, ma non unica ed ultima del segno di dinamica, omesso dal copista di turno (erano poi una decina in tutto in Italia) è stata una fase, probabilmente passata a meno di non impostare su differenti canoni e più approfonditi studi le revisioni, ma l’opera va eseguita e oggi come un tempo coevo o prossimo alla prima (quando la compagnia di canto determinava le scelte di numeri, loro soppressioni, etero sostituzioni ed accomodi) questo resta l’aspetto essenziale. La storia dell’esecuzione di un titolo questo ci insegna prima di tutto che il pubblico va rispettato ed onorato e gli deve essere offerto il meglio, a fatti non a parole. Le comparate scelte musicali vogliono dimostrare la triste involuzione del Festival.
Leggo sul sito pesarese:
“Le recenti disposizioni governative, che invitano ad elaborare progetti artistici triennali, ci hanno spinto a distribuire in modo diverso le opere in programma per i prossimi anni. L’edizione 2015 avrà un cartellone particolarmente brillante, che si aprirà con La gazza ladra di Damiano Michieletto, premio Abbiati 2007 per la regia. Un altro grande ritorno sarà quello di Graham Vick, reduce dai recenti successi internazionali, che rileggerà la farsa semiseria L’inganno felice, mancante a Pesaro da 21 anni. Terza opera in programma La gazzetta, con la regia di Marco Carniti, in una nuova produzione che restituirà l’opera alla sua integrità originale, con il quintetto perduto e recentemente ritrovato. Tra i molteplici spettacoli che come sempre faranno corona alle opere, segnaliamo due grandi oratori sacri: la rara Messa di gloria e, nella serata conclusiva del Festival, gli Stabat accostati di Rossini e Pergolesi. Vi aspettiamo a Pesaro! Gianfranco Mariotti”
Ma al ROF non sanno che La gazza ladra è di Rossini e non di MIcheletto e che L’inganno felice è di Rossini e non di Vick?
E cos’è il terzo regista, cui non attribuiscono la titolarità dell’opera, chi è, non lo considerano abbastanza famoso, per dire che è solo un regista e non l’autore dell’opera?
Almeno il festival è dedicato a Rossini, oppure è una rassegna di registi più o meno noti ?
Uno scritto del tutto condivisibile. Ma perché quello spaventevole “mala tempora currentes”? Perché?
Marco Ninci
per due motivi il primo perché così puoi far vedere che sai il latino mentre io sono un asino e questo il brandello di piacere che la vita ti concede.
il secondo per dimostrare che sei una insopportabile ed inutile maestrina perché l’errore “da blu” me lo ha già rimarcato uno degli autori del blog, grecista, solo che siccome LUI è un signore ben educato ed un amico lo ha fatto in privato. Tu hai dovuto regalare al tuo ego la piazzata. Se vuoi per ricordati un po’ di verità lui è finito all’estero a studiare, lavorare ed insegnare e il resto non telo scrivo perché te lo ripeto perché mi sono già sgolato.
Che tu condivida il mio pensiero mi fa sorgere fondato dubbio di avere torto marcio!
Questa si chiama crisi isterica. Da zitellaccia irrancidita.
prima risposta: da che pulpito viene la predica visto solo di queste sgradevoli punzecchiature sei capace e aduso. ;a pazienza sopportare pazientemente le persone moleste.
seconda considerazione se invece di iniziare le sceneggiate l’aduso alle medesime avesse detto: “Donzelli nei casi diretti plurali gli aggettivi ad una sola uscita si declinano diversamente se di genere neutro” avrei risposto “grazie e ci avevo pure pensato facendo un lungo ragionamento”.
Ma anche per te vale il principio di molti, che, pure vengono accolti e pubblicati ovvero fare della polemica sterile ed inutile.
Contestami quello che hi scritto su Pesaro dimmi della assoluta aderenza al dettato rossiniano della nostrana Danielona e della scorrettezza vocale e tecnica di Mrs Horne e Mad.lle Dupuy, della perfezione filologica della Zelmira versione parigina o dell’Aureliano di quest’estate…
Caro Donzelli, ti faccio presente che la piazzata, prolissa e lamentosa, l’hai fatta solo tu. Ciao
Concordo con Donzelli. Purtroppo sono finiti i bei giorni del ROF. Tuttavia, apprezzo ancora l’atmosfera del festival dedicato a Rossini. Seppur con cantanti e mezzi spesso inadeguati, si ha sempre l’impressione che si lavori molto, si respira un’atmosfera da melomani in un teatro di provincia… Insomma, a mio parere sicuramente meglio l’atmosfera del ROF, rispetto a quella dei grandi teatri con borghesucci alla ricerca del divo interessati a sfoggiare il nuovo abito. Soprattutto considerando l’assenza di qualità vocale in entrambe le situazioni.
Il problema del ROF – come di molti altri festival – è che non riesce a sopravvivere a sé stesso. Nato con una missione ben precisa, ossia offrire l’intero catalogo di Rossini in nuove edizioni attendibili criticamente, non ha saputo reinventarsi quando quel catalogo – vasto, ma non infinito – si è esaurito! Cosa resta del ROF terminata la fase di riscoperta? Non ha mai pensato al dopo. Eppure ci sarebbe ancora da dire: ci sono molte versioni alternative e si potrebbe aprire al mondo musicale sviluppatosi intorno a Rossini (quel sottobosco di compositori minori del tutto inesplorato).
Who REALLY cares anymore?