Manon Lescaut all’Opera di Muscat

1Ho accettato l’invito di un gruppo di amici piuttosto avventurosi a trascorrere una vacanza, non ancora terminata, tra immersioni nel Golfo dell’Oman ed escursioni nel deserto ( viaggio che vi consiglio caldamente per le meraviglie di questi fondali e di questo paesaggio incredibile ), quindi tra una tappa e l’altra, passando per la capitale, Muscat, sono stata all’opera..naturalmente! Qui un sultano melomane ha costruito, all’interno di una generale trasformazione del suo paese, una struttura monumentale, in uno stile eclettico che mescola liberamente e lussuosamente stilemi architettonici locali ed europei. Una struttura imponente ed elegantissima, efficiente, ricca di personale garbato, che si pone come un’oasi musicale nel deserto della penisola araba, l’atto (non il solo) di un sovrano particolarmente illuminato ( per l’istruzione spende circa il 20% del bilancio del paese…) di cui non sentiamo parlare abbastanza qui in occidente. In questi anni recenti il teatro di Muscat ha ospitato non solo opera ma anche concerti di musica classica, balletto etc, aprendo una finestra sulla cultura musicale occidentale, che non ha ancora altri corrispettivi nel mondo islamico. Non vi intrattengo su tutta una serie di aspetti singolari di quello che ho potuto osservare qui nelle mie due serate all’opera Muscat ( ho assistito anche ad un concerto di Gidon Kremer ), anche se si tratterebbe di aspetti che vi darebbero da pensare, e passo rapidamente al quid di questa Manon, ma vi invito a documentarvi sulla storia politica e sociale recente di questo paese, perchè la troverete sorprendente sotto molti punti di vista. 2Ma torniamo alla recita.
Lo spettacolo proveniva interamente, inclusi coro e orchestra, dalla Deutsche Oper di Berlino e l’allestimento era quello relativamente convincente di qualche anno fa di Gilbert Deflo. La produzione di Deflo è segnata da una sorta di minimalismo settecentesco di derivazione strehleriana, costumi d’epoca su fondali stilizzati, prevalenza di colori chiarissimi e poco contrastati, luci bianche en plein air che pareva quasi dei servizi, regia abbastanza banale. Non sono certo le censure,  cui è stata sottosposta in alcuni momenti la regia a rendere il lavoro di Deflo poco convincente ( mi risulta siano state epurati l’inutile schetch omosessuale del secondo atto, dove un ballerino leccava i capezzoli di un altro, e che il lato a delle prostitute del porto sia stato un poco coperto. Personalmente trovo assolutamente meraviglioso che da qualche parte del pianeta si censurino le gratuite scemenze pornografiche viste e straviste dei registi….) , ma l’incapacita’ di creare atmosfere adeguate alla musica, dal salotto di Geronte, al terzo atto. con quella ridicola la stilizzazione della barchetta modello gozzo su cui si imbarcano gli amanti, per non parlare poi dell’icona di deserto del finale, che agli omaniti immagino abbia destato qualche perplessità, visto che loro di deserto se ne intendono e che la scenografia non evocava nulla. L’allestimento portato da Berlino è parso davvero poco coinvolgente, forse può funzionare da noi, ma devo dirvi che a Muscat una certa parte di pubblico ha lasciato la sala all’intervallo, segno che da quelle parti il teatro di regia non riesce ad avvicinare il pubblico all’opera. Assai più interessante la parte musicale.
La direzione d’orchestra era affidata a Roberto Rizzi Brignoli. Il maestro italiano ha diretto con mestiere, ma senza andare oltre. Il suono dell’orchestra era molto bello, adeguato a Puccini, gli attacchi puliti, le varie sezioni equilibrate tra loro, data anche la qualità l’orchestra di cui disponeva. Al maestro sono, però, mancate due componenti, un vero affiatamento con i cantanti, in qualche occasione fuori tempo ( qua e là anche con il coro al primo atto ), costantemente impegnati a guardarlo, e, inoltre, una lettura della partitura veramente convincente. Rizzi Brignoli non ha saputo rendere, infatti, le vere cifre del dramma pucciniano, dallo slancio passionale del duetto del secondo atto, allo stravolgimento dell’ensemble alla scena del porto del terzo atto, o il terribile dramma del finale, limitandosi troppo spesso a battere il tempo, in assenza di coinvolgimento. Meglio il primo atto, in particolare la scena della locanda con gli studenti e l’intermezzo, staccato ad un tempo molto lento. Una lettura, ripeto, più di routine, spesso monotona negli accompagnamenti e con alcune pesantezze, che si è anche riflessa poi sui cantanti, che avrebbero dovuto essere maggiormente sorretti con gli accompagnamenti e stimolati sul piano del fraseggio.
Hui He era al debutto nel ruolo di Manon, parte che vocalmente le si addice moltissimo, ben più di tutti gli annunciati debutti verdiani futuri. Ha cantato questo ruolo con una facilità, che non ha riscontro in altre sue colleghe di oggi, ma a cui deve dedicare un ulteriore lavoro di doverosa messa a punto sul piano espressivo e scenico. Doverosa, perché in un mondo di signore che praticano il ruolo a 4 zampe non possedendo i mezzi vocali per cantarlo, Hui He potrebbe trasformare questa ruolo in un’altra Aida, cioè una tappa importante per la sua carriera, a patto di immedesimarsi un po’ di più nella seduttrice passionale dei primi due atti e di arricchire maggiormente il fraseggio del canto di conversazione, sia quelle con De Grieux al primo atto che in quelle del secondo con Lescaut e del ballo. Rimarchevole la forma vocale di cui ha dato prova alla recita a cui ho assistito ( la seconda ), la voce piena, il timbro adatto al ruolo, il volume che le consente di stare con l’orchestrale di Puccini, gli acuti facili e sicuri, persino il do de “L’ora o Tirsi” nitido, per non parlare della scena di assieme del terzo atto. Si sono udite, al contrario, anche alcune frasi iniziate con molta voce, dal suono pieno ed importante, poi troncate troppo presto, come se il fiato non venisse perfettamente gestito rispetto alla frase nella foga di dare corpo ad una voce che, peraltro, c’è e non è mai in difetto di natura per Puccini. E’ stato bello ascoltare il suo canto di slancio al duetto d’amore ( peccato la poca sintonia con Rizzi Brignoli ), o le note tenute del terzo atto o la facilità con cui si è destreggiata nelle frasi pesanti del quarto atto, cantando sempre. C’erano anche tante cose di buon gusto, come l’aria del secondo atto, eseguita con una linea vocale elegante, dei piani molto buoni, come pure altri passaggi molto solidi e sicuri, come nella scena finale del 4 atto. Anche il canto in zona centro grave era migliore del solito e certamente Puccini, rispetto a Verdi, la mette meno alla corda in quella zona della voce dove il canto le viene meno facile. Latitava però il personaggio dei primi due atti, il passaggio dalla ragazza ingenua alla seduttrice trascinante del secondo, passando per la donna prima malinconica quindi la ragazza leziosa della scena del ballo, ossia la varietà delle sfaccettature del personaggio prima del passaggio al canto drammatico degli ultimi due atti. L’impressione è stata quella di una cantante cui non manca il phisque du ròle quanto, piuttosto, la convinzione di poter essere Manon. Insomma, a mio avviso, un ruolo in cui il soprano cinese esprime della qualità vera di canto ( cosa che manca alle Manon più accreditate di oggi ) a patto di sviluppare ulteriormente il personaggio….e a patto che i direttori dei grandi teatri smettano di andare a cercare lap dancers come protagoniste!
Kamen Chanev ha sostituito Massimo Giordano originariamente previsto quale De Grieux. Chanev ha una voce importante, che tende ad ispessire per sembrare più “drammatico” di quanto non sia in realtà. Di lui non mi sono piaciuto i primi due atti, perché ha esibito un canto rozzo, privo di fraseggio, senza legato ed intenzioni nel porgere le frasi. Poi ha azzeccato la difficile scena del porto, gli acuti improvvisamente sicuri e saldi, quasi fosse entrato in scena un altro cantante, concludendo bene la sua serata con un buon quarto atto. In generale manca a questo cantante la presenza scenica, un po’ di aplomb scenico per essere credibile, insomma molto di ciò con cui si costruisce anche visivamente un personaggio, fatto che finisce per penalizzare molto il suo risultato finale.
Lescaut era Domenico Balzani che ha cantato senza speciali intenzioni ma correttamente, con voce piacevole e a fuoco. Caricaturale il Geronte di Stephen Bronk, veramente inudibile il recitante Mettehew Pena quale Edmondo.

Una nota tecnica. I biglietti sono stati acquistati sul sito del teatro, prontamente recapitati via mail dopo il pagamento, corredati di tutte le informazioni utili e necessarie per chi non era mai stato a Muscat. Le stampe erano già biglietti, da esibire direttamente alla maschera all’ingresso, controllati tramite lettore laser di codici a barre. Nessun passaggio alla biglietteria del teatro, nessuna cricca web intermediaria, nessun mezzano da saldare, nè problema di prenotazione, nè alcun diritto di prenotazione o sovraprezzo. Tutto è funzionato alla perfezione, senza problema. Inutile dire del decoro e del lusso dell’interno, della quantità di personale cortesissimo etc etc. I grandi costi sostenuti sinora per avviare questa struttura, però, pare che verranno decurtati in un futuro assai prossimo, essendo che l’opera lirica come genere non è riuscita a mettere vere radici tra il pubblico omanita, troppo distante da questo universo musicale e nonostante l’amore per la musica vocale del suo illuminato sultano.

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