Giulio Cesare a Torino… in Egitto o nel pollaio?

GiulioCesare_622dLa produzione di Giulio Cesare in Egitto di Haendel andata in scena giovedì scorso al Regio di Torino è firmata Laurent Pelly, pro Natalie Dessay cotta e Lawrence Zazzo a Palais Garnier, 2011 A.D. se non vado errata.
E il nome di “Monsieur PELLY”, col sottotitolo “pro madama Dessay”, va scritto grande, a ricordo e memoria futura del minestrone improprio ed illecito servitoci al Teatro Regio, grazie all’allegro commercio che si fa oggi di produzioni inappropriate e devianti, appunto, costruite con lo scopo commerciale di servire fini diversi dall’autore, la sua musica e la sua poetica.
La maggior parte del pubblico che si è ben goduto ridacchiando beato delle gag ordinarie con cui Pelly ha condito questo suo risotto “à la française”, non si è certo accorto del modo in cui l’opera è stata manipolata sino a trasformarla in qualcosa che non è, né è mai stata all’origine come in seguito in quella che è la sua gloriosa storia esecutiva, ossia in una vicenda dal carattere prevalentemente comico, venata anche di grottesco, fintamente oleografico-moderna, “svecchiata” secondo la sua “arte” di ignorare del tutto la differenza tra opera seria ed opera comica, generi all’epoca di Haendel distinti ed immiscibili. Ignoranza del senso generale del capolavoro cui ha messo mano, che Pelly ha iniettato pure nel testo stesso, dimostrando di non comprendere nemmeno il senso dei versi. Una storia di carattere aulico, regale ed aristocratico arbitrariamente trasformata in una Beggar’s Opera, ossia nella parodia popolare del genere più alto, che costituiva altro e diverso specifico teatro, assolutamente distinto dal primo.
Operazione costruita a tavolino al fine di consentire l’esibizione di una diva in disarmo, inadeguata alla grandiosa e sensuale parte di Cleopatra, che , non potendo competere con la magnificenza delle grandi prove delle grandi Cleopatre del Novecento, dalla Sutherland alla Caballé, alla Sills sino alla meno famosa Rolandi per magnificenza timbrica, qualità del legato e capacità acrobatiche, decise lucidamente di corrodere il ruolo della monumentale regina d’Egitto deviando il carattere sino ad alterarlo in personaggio leggero, sciocco e vezzoso, persino…comico. L’opera dello star system tende oggi ad altro, si contamina col cinema, col jazz, etc. Con Natalie Dessay finita la lirica si è data al circo, o avanspettacolo, come questo Giulio Cesare da Bagaglino allestito dal suo regista di fiducia. Lo stesso personaggio di Cesare, affidato in origine al solito falsettista (impropriamente secondo i modi della moderna voga baroccara che equipara questi “cantanti” alla magnificenza del canto del castrati senza che le due vocalità abbiano nulla in comune ) diventa qui un personaggio relativamente eroico ed aulico, piuttosto si vena di stupidità, di ridicolo spacciato per umorismo, senza consentire alla protagonista, a Torino una voce femminile di mezzo, di restituirne almeno scenicamente l’aulica dignità che spetta a Giulio Cesare. Tanto valeva rivolgersi ai fumetti di Goscinny ed Uderzo, sarebbe stato assai più nobile ! Il museo di Pelly ( già visto sino alla noia e assai meglio realizzato in mille altre occasioni ) ove i servi di scena spostano statue, rocchi, quadri ( la sfilata del 2° atto di quadri tardo ottocenteschi per la più parte è il simbolo perfetto della ciarlataneria di Pelly ) ed ogni tanto si muovono o danzano come nel cabaret, è l’insulso teatro ove si muovono i protagonisti, le cui parti vengono scorciate illecitamente dimenticando di mantenere tra i primi, i secondi, i terzi personaggi il rapporto “di forza” tra i numeri solisti che rappresenta e definisce l’importanza dei ruoli e scandisce lo scorrere della vicenda. Così personaggi terziari si ritrovano ad essere rilevanti come altri assai più importanti, tanto della drammaturgia originaria Pelly se ne dimentica perché….è la sua libertà d’artista. E così scene di pura e barocca seduzione, serissima e musicata con tutti i crismi dal genio infinito di Haendel, si trasformano in ridicole scenette da operetta, come “V’adoro pupille” di Cleopatra, che è uscito tutto snaturato anche sul piano musicale perché il direttore a Pelly non si è opposto mai (!!), scene come “Aure deh per pietà” di Cesare, momento di assoluta magia inventiva, trasformato in una sagra della coglionata, con la sfilata di quadri di genere, fino al ritratto del compositore, e pareva un via vai di cartelloni pubblicitari; “Piangerò la sporte mia” di Cleopatra, momento assoluto di canto patetico anche questo fatto di una ispirazione quasi divina, con Cleopatra legata su un seggiolino da ufficio; “Va tacito e nascosto” con Cesare dentro una scatola di vetro, “Se pietà di me non senti” con lo sfondo dei servi di scena che puliscono i vetri di una teca etc etc.. e potrei continuare all’infinito la sfilata delle vergogne di Pelly sottotitolato Dessay. Credo che mai sino a quel momento si fossero composte scene tanto tragiche e monumentali per un soprano, come monumentale è la parte di Cesare, solenne, acrobatico, “meraviglioso”, per non parlare delle parti secondarie, si fa per dire, di Sesto e Cornelia. Tutto fatto a pezzi e soprattutto comprato acriticamente, senza vedere i limiti di questa operazione meramente commerciale e disonesta, verso Haendel e il suo capolavoro. La regia, poi, trasforma scene di seduzione in siparietti ridicoli oppure latita, vive di controscene che si svolgono alle spalle dei cantanti, che vanno al centro della scena, salvo Cleopatra, che deve continuamente inerpicarsi, salire e scendere, mentre canta montagne di note di una difficoltà spaventosa come nel “Da tempeste”. Non c’è regia, solo polvere negli occhi, un falso muoversi insensato che finge di allestire il dramma haendeliano mentre lo massacra ad usum personale. Persino il costume, strumento fondamentale del mondo barocco e non solo, che non trasforma la Pratt in Cleopatra, né la Prina dalle gambe sottili in Cesare, né Tolomeo in guerriero. C’era tanto lavoro da fare per aiutare una ragazza minuta ad essere en travestì al cospetto di una ragazzona alta il doppio a sembrare plausibili amanti o meglio ancora per essere fedeli al pensiero di Handel nel paradigma del condottiero eroico, astuto, sagace ed innamorato e della regina politica, assetata di potere, che sa usare bellezza e seduzione. Abbiamo liquidato i Pizzi per avere poi queste porcherie senza né arte né gusto, fare finire gli atti, come il secondo, con numeri con cui non sono mai finiti se non da quando ci sono questi registi a dettar legge nei teatri?….
In buca poi non c’è nessuno che si opponga, in nome di rispetto della poetica dell’autore, della differenza fra i generi, anzi. Il maestro De Marchi ha ben parlato per radio circa i falsettisti. Poi è andato in scena affidando coerentemente ad una donna la parte del protagonista, ma Tolomeo e Nireno a due falsettisti. Perché ? Perché non tutte donne ( la parte posticcia di Nireno mi pare sia anche diventata Nerina con Handel dunque..)?
Tralasciamo il non governo dell’equilibrio nei tagli delle arie di cui abbiamo già detto. Però per quanto l’orchestra avesse strumenti intonati e non suonasse come certi complessi baroccari oggi tanto di moda, si sarebbe preteso una maggiore varietà nel creare le atmosfere, distinguere i generi di aria (furore, paragone, con strumento obbligato ovvero l’intero repertorio barocco che qui Handel declina al massimo della sua arte), articolando maggiormente la narrazione. Anche nei recitativi il basso continuo mi è parso sempre molto uguale, gli strumenti mai variati a seconda della situazione scenica, con una generale mancanza di vigore. La velocità è una bella cosa, ma il metronomo sulle alte velocità annoia e stressa i cantanti, che di prese di fiato non mi pare ne abbiano mai avute.
Poi intendiamoci bene i cantanti sono con una eccezione quello che oggi ci viene spacciato per la summa del canto barocco e che nel belcantismo di Georg Friedrich Haendel trovò una delle sue più alte declinazioni. Peccato che nessuno degli specialisti scritturati sia in grado di eseguire le agilità di forza con voce sonora e timbrata (anzi l’aria più acrobatica di Cesare “Qual torrente” è stata omessa) ed anzi sia la sfilata dei suoni ingolati ed indietro e qui se la palma se la disputano Sonia Prina e la appannata Sara Mingardo (Cornelia), dei suoni sgangherati e di petto e qui la spunta la Prina alle prese con la parte di autentico contralto scritta per Senesino, di recitativi mai scanditi e qui è un pari fra Sonia Prina , cui spetta il grande recitativo accompagnato “Alma del gran Pompeo” e la Mingardo, che deve sospirare anche lei sull’urna delle ancora calde ceneri del consorte, dei suoni fissi e qui vince a mani basse Maite Beaumont quale Sesto. Se poi dovessimo parlare dei personaggi più travisati la battaglia se la giocano il Tolomeo di Jud Perry, che somiglia ad un personaggio da Victor Victoria e Riccardo Angelo Strano nel ruolo di Nireno, che forse vorrebbe essere più la Nerina della seconda versione per la quale vennero scritte le arie per il personaggio della confidente, di cui qui eseguita all’inizio del secondo atto “Chi perde un momento”. Qui al trionfo del gratuito il personaggio è ridiventato Nireno, ha assunto voce da surrogato di castrato e le movenze del cameriere del Vizietto. A prescindere dalla difficoltà di raccapezzarsi nel sesso del personaggio un capolavoro che ci dice onestà intellettuale e preparazione culturale di chi dovrebbe cercare di avvicinare il pubblico alla non facile poetica barocca.
Taccio del signor Loconsolo che esibiva robuste e palestrate gambe, che sarebbero state sufficienti per compiacere ed ammiccare anche senza il canto davvero pessimo.
A parte Jessica Pratt, debuttava Cleopatra, debuttava Haendel. Alla prima la cantante australiana annegando la parte in variazioni e sovracuti si era persa e nella grande aria “Da tempeste” si era interrotta, esibendo anche problemi di intonazione che non le sono propri. La parte anche senza il proluvio di sovracuti ha una tale gamma di espressioni e situazioni drammatiche da essere una delle prime più complete rappresentazioni della gamma dei sentimenti umani. Basta scorrere la arie e come sono scritte per verificare che mai prima di allora un personaggio femminile aveva conosciuto la drammatica scrittura di “Se pietà di me non senti”, di “Piangerò la sorte mia”, il raffinato erotismo di “V’adoro pupille” o lo slancio acrobatico di “Da tempeste”. Una simile caratterizzazione del personaggio impone che il canto e l’espressione che si dà con il canto siano al primo posto e che a questo, perché questo è il personaggio, tutto si adatti ed adegui. Invece abbiano visto la politica maliarda ridotta spesso alla caricatura perché questo era stato il distorto pensiero di regista e signora Dessay e questa tara se la porta dietro l’allestimento. Cleopatra non fa teatrino a “V’adore pupille”, seduce un uomo, non fa la desaparecida cilena abbigliata da Papagena al “Piangerò la sorte mia”, canta e celebra il terrore della imminente fine politica e fisica, non si diverte a salire le scale come una soubrettina (di stazza matronale) alla terribile “Da tempeste” perché deve strabiliare il pubblico con il virtuosismo e non condire tutto il personaggio di inutili gag. Il cantante costretto a pensare alle gag non può essere concentrato nel canto e se poi non ha l’aiuto dalla buca nel differenziare le arie, nel cogliere l’espressione dei rispettivi sentimenti con adeguati tempi, dinamica ed agogica è costretto ad una lotta tanto impari quanto inutile. Poi la Pratt ha offerto una prova in crescendo soprattutto a partire da “Se pietà di me non senti” sino a “Da tempeste” dove è scattato il primo vero ed autentico applauso della serata perché nonostante il forzato saliscendi abbiamo sentito trilli e staccati facili e penetranti anche in zona sovracuta. Ma spiace vedere l’unica cantante oggi in carriera che avrebbe i mezzi per quel repertorio lottare con elementi che non siano le difficoltà previste dall’autore e barcamenarsi non già nel pollaio dei colleghi, ma nel pollaio di regia e direzione.

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50 pensieri su “Giulio Cesare a Torino… in Egitto o nel pollaio?

  1. Papagena cilena non è male! Ma cilena per le vesti colorate di simillama o perché ammanettata?
    Condivido complessivamente il tuo giudizio.
    Non sono d’accordo però sulla commovente Mingardo (mi è solo venuto il dubbio che con quella voce poco voluminosa quel suo tono flebile e sconsolato sia una scelta quasi obbligata) né, su Maité Beaumont: per me il loro duetto “Son nata a lagrimar” al termine del primo atto è stato il momento più bello dello spettacolo.
    Terrificante la scena in cui Tolomeo fa il gesto di palpare le natiche di Cornelia. Ma per lo meno non lo abbiamo visto masturbarsi mentre canta il proprio amore, come in un allestimento che ho visto in questi giorni sul tubo.
    Per la Pratt, che ha offerto soprattutto nelle parti serie un’ottima prova, non deve essere stato facile districarsi tra pseudospiritosaggini schizoidi del regista e l’efficiente monotonia del direttore. Forse le manca ancora un po’ quella sicurezza in se stessa che le consentirebbe di imporre comunque sulla scena, anche vocalmente, il proprio personaggio, posto che sia capace di delinearne veramente uno. Quello che voglio dire è che il regista non avrebbe fatto così tantio danni col personaggio di Cleopatra se avesse dovuto maneggiare una materia più solida.

    U

    • mi permetto una sola osservazione, che comprova l’opinione della Grisi ed anche mia dell’autentico scempio fatto da Pelly: la parte di Cleopatra è tutta SERIA non ha intermezzi comici. Se Haendel ed i Hymn avessero proposto alla signora Cuzzoni una parte comica avrebbero lucrato solo pedate nel culo! Quelle che avrebbe dovuto distribuire a regista ed in parte al direttore Miss Pratt. Purtroppo e questo è il limite dei cantanti da cinquant’anni a questa parte di vere primedonne stile Horne o Scotto non ne abbiamo più!

  2. Pasquale, lo spettacolo è più che godibile, c’è tanta, tantissima musica magnifica. Purtroppo consiste in una discontinua sequenza di cose ben fatte ed emozioni più che in una grande spettacolo artisticamente coerente e unitario.

    U

    • un minestrone tale da non sapere mai cosa si abbia di fronte, opera seria? comica? cabaret?…..io ero spiazzata di continuo. ed irritata…molto. lo trovo troppo cretino anche nelle gags…..BASTA BASTA BASTA con questa cul-tura fondata solo sul fatto che un addetto stampa dice che è cultura. questo è pattume e basta, la prova che non sappiamo nemmeno piu il senso di ciò che rappresentiamo ed eseguiamo.

        • Guarda, il problema non è il museo, che nemmeno i dispiece anche se gia vista come idea. Il punto è aver trasformato in cabaret, opera comica…pure stpida, un opera aulica, seria, del genere piu alto, manipolando i personaggi, il carattere loro e del dramma. Questo è illecito, oltre che irritante e disonesto. Lasciamo il museo ma diamo ai personaggi la loro esatta cifra, in accordo con la musica. Solo cornelia e sextus erano quelli che sono. Gli altri no. Il carattere delle scene …no. trovo ache inaccettabile che un direttore di orchestra accetti lo snaturamento dei personaggi. Ti arriva una simile porcheria e dici a chi fa la ripresa che lo spettacolo si adegua all opera…..non che l opera si adegua alle cazzate del regista, che la adegua ai commercianti.

  3. ..visto la recita di domenica 23…
    dissento completamente riguardo la regia…
    che ho trovato originale e visivamente piacevole
    è vero che il libretto è ‘falsato’ da questa messa in scena
    la lettura che ne viene data è di un ”sogno” vissuto in un magazzino
    di un grande museo dove prendono forma i personaggi e dove
    tutta la vicenda perde ogni aulicità e si trasforma …
    ma più che di pollaio si poteva parlare di un gran serraglio
    discutibile certamente la scelta registica ma sensata tutta l’operazione ….
    purtoppo la Pratt non ha dato una gran prova, certamente non
    aiutata da movimenti registici imposti (?)-non si impone più niente a nessuno che non lo voglia fare – ma ahimè mancava la sostanza;
    si sono sentiti acuti stirati e strappati ed anche certe incertezze
    nelle …variazioni e una totale assenza di phatos ! e del suo ce l’ha messo anche il direttore De Marchi con tempi velocissimi….frecciarossa per dirla oggi… tanto correva per andare dove ?
    Non voglio entrare nei tecnicismi belcantistici ma penso che la
    Signora Prina abbia avuto dei momenti ‘esilaranti ‘ nel 1^ atto
    e una continua discontinuità nella resa del canto…
    La Mingardo che credo non vi sia piacuta, ha invece a mio
    parere mantenuto una linea di canto
    quanto al resto della compagnia sarebbe il caso di : ‘guardare no tuscos’ insomma di necessità virtù.
    Purtroppo accostandosi all’ascolto di questo reportorio , o meglio del repertorio operistico , bisogna dimenticare certi ascolti che ‘maldestramente’ continuiamo a prendere come pietra del paragone.
    Gli attuali cantanti disponibili sono in gran parte inadeguati se paraganati ad un vicinissimo passato, Horne, Caballè, Sutherland
    ed è evidente che le aspettative si infrangono alla prova dei fatti

    sostituite la Horne al posto della signora Prina ed una a caso tipo Sutherland ? Sills ? Cleopatra …
    beh questo sarebbe sicuramente diventato uno spettacolo storico
    una meravigliosa metamorfosi…e non ci sarebbe certo stato il fuggi generale nè un teatro vuoto come lo era ieri ..
    qualcuno ha citato Pizzi .:.. nel Rinaldo con la Horne la goffaggine della stessa sul cavallo era totalmente ininfluente
    ma impareggiabile nella tecnica del canto…e mille altri esempi si potrebbero citare …
    consiglio a chi fosse nel dubbio di andare a Torino lo spettacolo nel suo complesso merita il viaggio

    d

    • falsato un po’?….
      andare in scena vuol dire farsi i cazzi propri o restituire qualcosa nella sua essenza, nel significato che ha un ‘opera?
      facciamo manzoni stile fabio volo?
      facciamo bernini stile o’gehry?
      ma di che parlate?? quello è haendel, con dei significati precisi che non c’erano, tutto frainteso e manomesso, tutto non capito..
      il cabaret si fa nei luoghi del cabaret, l’opera in quelli deputati all’opera.
      cosa è il giulio cesare di Handel?
      cosa è il suo teatro? cosa c’è intorno ad lui? come si canta? andare in scena è riproporre quella essenza artistica, anche per il filtro di un medium che interpreta, ma l’interpretazione non è snaturare tutto, alterare e mutare
      forse ieri ti sei rapportato al passato pensando che sia giusto e colto ridisegnare la pittura antica, rimaneggiare i siti archeologici, riscrivere i testi, cambiare le trame al teatro tragico, trasformare quello comico in tragedia etc etc…. se questa è cultura…….Non capisco allora perchè non ti è andato bene il tell di vick ma questo si, perchè la critica negativa ai due spettacoli ha lo stesso fondamento, tradimento dei contenuti posti in essere dall’autore. a te il primo non è piaciuto, ma questo si…..dounque non ti capisco

  4. quello di Vick era uno spettacolo assurdo
    brutto anche da vedere … una banale modernizzazione anni 20
    pensa che avevo trovato meravigliosoil suo Macbeth alla Pergola

    Potresti dire sinceramente che questo era visivamente brutto ?
    questo è uno spettacolo nell’eccezione del termine ‘assurdo’ ma
    onirico … e poi TI racconta una storia … le tue critiche sono anche condivisibili ma..
    ti faccio notare che la Scala è stata costruita demolendo un’antica chiesa probabilmente medioevale…
    e il campidoglio (Roma) fu edificato sopra un antico tempio ellenico !
    e anche vero che i villini Liberty a Palermo
    furono demoliti per far posto ai palazzoni anni 50/60
    Come vedi tutto dipende da come si interviene e da cosa si
    demolisce per ‘edificare’ cosa !

    • se vogliamo parlare di demolizioni e riedificazioni il paradigma resta san Pietro e, magari su scala un poco ridotta, il duomo di Milano con le precedenti Santa Maria Maggior e Santa Tecla, ma questo non può essere addotto come esempio perché architetture e allestimento scenico non sono fra loro congruenti. Giulio Cesare è e resta con buona pace di tutti quelli che sono ignoranti e presuntuosi e vogliono svecchiare un dramma serio, un dramma che si erge ad esempio nell’opera seria belcantista del periodo. Non ammette concessioni a forme d’arte differenti come l’opera comica o di mezzo carattere. A questo genere Handel non è estraneo se consideri uno dei suoi primi titoli Agrippina (1709 Venezia) o uno degli ultimi Serse (1738) alla commistione fra genere comico e genere tragico, ma Giulio Cesare a questo genere di dramma non risponde e quindi non si deve aggiungere elementi che non appartengono alla poetica del dramma. E’ come dire, utilizzando il tuo esempio edifico una cattedrale e ci piazzo anziché la torre campanaria un minareto. E per cortesia non citarmi quale esempio la Giralda o Agia Sofia.

  5. ..gli integralisti/ismi non portano mai bene…
    l’operazione teatrale in sè ha una sua logica..discutibile opinabile e quant’altro
    io l’ho trovata ‘sensata’ ed ho spiegato la ragione…
    gli isterismi che ho scatenato mi sembrano eccessivi
    per inciso io tendenzialmente amo gli ‘spettacoloni’ tradizionali
    quindi…
    certo non mi sono spellato le mani ieri comunque ribadisco che secondo me lo spettacolo merita di essere visto ..un po’ meno ascoltato .

  6. Non ho visto lo spettacolo torinese, ma ho ascoltato la diretta radiofonica e conosco lo spettacolo avendolo visto su dvd: mi permetto dunque di fare alcune considerazioni sia sull’aspetto visivo che sull’esecuzione musicale:
    1) come (quasi) sempre il problema non è la tecnica registica, la complessità della scenografia, la perfezione dei movimenti, la gradevolezza dell’insieme e tutto quanto attiene alla mera funzionalità drammatica: è scontato che un regista sappia fare il suo mestiere, sappia far muovere cose e persone e renda credibile una storia…il problema è il senso di quel che fa e i limiti che la libertà di interpretare deve porsi. Non infastidisce l’ambientazione in un museo, né il ricorso a costumi moderni o le controscene…a nessuno piace stare 4 ore immobilizzati a guardare i concerti in costume di Pizzi (coi cavalli finti come le giostre di un circo di marmo) o quelle messinscene che non capiscono la vitalità teatrale di Handel…il problema è l’irrispettosa trasformazione di un testo in qualcosa di diverso: Giulio Cesare non è un’opera comica e non ha bisogno di strizzate di natiche, situazioni imbarazzanti, busti antichi che muovono la bocca (al suono di “viva il nostro alcide”), tette finte etc… Trovo che Pelly abbia due sole visioni del teatro: la farsaccia volgare e la comicità da cabaret. Mi pare totalmente estraneo all’opera seria e non capendola la ridicolizza;
    2) non sono molto d’accordo, però, con l’affermazione per cui l’opera barocca ed handeliana è rigidamente suddivisa in generi: proprio l’estetica della meraviglia – che il fine del barocco – impedisce una eccessiva categorizzazione (e infatti i titoli di Handel sono quasi tutti capolavori di ambiguità in cui si mescolano registri alti e bassi: Agrippina, Deidamia, Serse, Alcina e pure Giulio Cesare con i macchinosi inganni di Achillia e Tolomeo, la sottile ironia di Cesare in “Va tacito e nascosto”, la stessa scena di seduzione di Cleopatra così ruffiana e falsa). Quella barocca è una drammaturgia complessa, complicata, sfaccettata e multiforme (molto più elementare sarà, invece, il mondo rossiniano e quello stereotipato del melodramma) che non può essere imbrigliata nei lacci dei coturni o nella seriosità del mito asettico e imbalsamato, ma neppure può essere risolta in una volgare commeddiaccia scollacciata. Il teatro barocco ha potenzialità drammaturgiche infinite e un linguaggio ancora attualissimo (certo più di Norma o di Semiramide) e occorre un grande regista che lo sappia valorizzare: non riducendolo a farsa né ammazzandolo in una noiosa sfilata di belle statuine in costume su sfondo prospettico. Pelly fallisce miseramente perché cade nello stesso semplicismo degli arredatori di scena (ma con l’aggravante della gratuita volgarità);
    3) l’esecuzione musicale è stata davvero deludente – parlo della prima – a cominciare dalla coppia protagonista, senza giustificazioni e senza scuse (mi dicono che domenica la Pratt abbia cantata meglio, ma per quel che ho ascoltato ci sono ancora molti problemi da risolvere soprattutto con l’inutile invasività dei sovracuti e dei picchettati e cadenze più adatte a Bellini o Donizetti che ad Handel: quella di “Da tempeste” è quanto di più brutto mi sia capitato d’ascoltare…così come le variazioni liberty). Del resto meglio tacere a parte la Beaumont che resta l’interprete migliore del cast;
    4) De Marchi mi è piaciuto: buona scelta di tempi e suono molto curato (senza esagerare con l’elaborazione del basso continuo che certi suoi colleghi caricano con strumenti d’ogni sorta a creare un chiassoso rimbalzello che sporca la linea melodica e gli equilibri sonori), anche se alla fine l’ho trovato un po’ monotono e poco fantasioso (una prova comunque superiore a quella del soporifero Richter, del pessimo Rudel; di Bonynge, di Malgoire o di Panni);
    5) infine non mi scandalizzano i tagli di arie e recitativi: resta un mal vezzo certamente, ma si è fatto, soprattutto in passato, con ben maggiore disinvoltura. Infastidisce solo il fatto che tali tagli sono stati decisi dal regista perché funzionali alla sua storia (che non è più il Giulio Cesare di Handel)…anche se devo dire che il video dello spettacolo parigino mi sembrava più completo.

  7. Ha ragione la Grisi: lo spettacolo è solo un pretesto che è valso alla logora Dessay un ultimo guizzo .
    Irritante e pure stupido, anche come cabaret: l’operetta, se fatta bene, è un’altra cosa ed ha una sua specificità, sia pure IL PAESE DEI CAMPANELLI (nel genere suo, capolavoro assoluto).
    Qui siamo all’ennesima banalizzazione. Una produzione “del montòn”, come direbbero in Spagna, eguale cioè a decine di altre tutte simili, tutte “moderne” tutte che mandano in vacca l’opera tanto per divertire ed intrattenere (?!?) con trovate e trovatine, coccodrilli che ballano e bombe che cadono.
    Del resto, visto che hanno avuto il coraggio di dichiarare che, in fin dei conti, si tratta “del Festival di Sanremo del Settecento, 33 arie via una sotto un’altra” cosa ci si può aspettare?
    Se uno non ci crede, ed ha ancora un briciolo di dignità ed una posizione che glielo permette, non lo fa. Punto… e BASTA!

    • Festival di Sanremo del ‘700??? Ecco il risultato della semplificazione, della massificazione e dell’avvicinare i gggiovani! Del resto dopo l’intervista alla Prina che sentenzia che Handel “è rock” e Vivaldi punk ci sta pure Sanremo…

      • Händel è rock? In effetti, pensando a come la RAI ha demenzialmente microfonato l’ orchestra del Regio, nella quale il cembalo era talmente in primo piano e metallico al punto da sembrare la Fender Stratocaster di Jimi Hendrix, il paragone non è azzardato… 😀

  8. Ho visto la recita di domenica. La regia non è quell’orrore che raccontate, stupidina forse, ma tutto sommatto decente (rispetto a certe schifezze che si vedono in giro, negli ultimi anni si è visto ben di peggio alla Scala come altrove) Non credo poi che la Pratt fosse stata messa in difficoltà dal continuo arrampicaarsi su è giù. Fossse stato così avrebbe potuto semplicemente rifiutarsi di farlo, oppure dire di sì al regista (o a chi riprendava la regia) e poi durante l’esecuzione starsene ai piedi dellla statuona e limitarsi a cantare al prosecnio (la Caballè, tanto per citarne una, se ne è sempre strafegata delle regie più o meno impositive…) La vera delusione, se ripenso a quando andare all’opera significava entusiasmarsi per questo o quel cantante, sta nel fatto che , Pratt o non Pratt, l’unico momento musicalmente veramente esaltante è stata l’esecuzione dell’aria “Se pietà di me non senti” dove Jessica Pratt ha saputo elevarsi alle altezze di una Sutherland, di una Sills….in tutto il resto era a loro nettamente inferiore (e non credo per colpa della discutibile regia) .

    • la XYZ (nella fattispecie Lella Cuberli, June Anderson e magari Mariella Devia) è nettamente inferiore alla Sutherland ed alla Sills questa è una litania che avendo più di quarant’anni di frequentazione del teatro ho sentito e risentito. Spiacente non la condivisi allora per la Lella o per la Anderson e non la condivido oggi per la Pratt. COn questo non sto dicendo che è la Sutherland, la Sills o la Horne, ma vorrei che una volta questa ragazza meriterebbe di poter lavorare e prepararsi come si preparavano quelle signore il che significa di suo studiando con una guida vera preparata (poi mi domando chi sapendo l’arte dei più quotati preparatori di spartito alla luce dei risultati che conseguono!) che le dica che un mi nat o due si possono fare ma non sette o otto per giunta nel mezzo di una frase con una mazzaferrata che non da un rallentando o uno stentando neanche ad ammazzarlo (a Venezia nel famoso orlando McKerras non era un gran chè ma sosteneva Horne e Cuberli alla perfezione) è bene evitarlo. Poi che ci fosse una regia che tenga conto delle peculiarità del mestiere del canto -metà sport metà arte, per ripetere il buon senso di Celletti- e una direzione artistica che sostenga il cantante quando manda il regista o il suo “sottocoda” messo a rimontare lo spettacolo a dar via il culo…… per parlare senza metafora.
      Allora a parità di condizioni valutiamo l’inferiorità di Jessica Pratt rispetto a Joan Sutherland.
      ciao a tutti

      • Probabile che tu abbia ragione. Nell’aria che ho citato Jessica Pratt è stata comunque memorabile, purtroppo nè V’adoro pupille, né Da tempeste erano sullo stesso livello. E io sono il primo a dispiacermene.

  9. Nell’allestimento del Giulio Cesare di Pelly mancano alcune presenze cui le contemporanee regie ci hanno serialmente resi avvezzi: nazisti, gangster, mafiosi, battone, etc. Le care ricorrenti abitudini cui ogni bennato regista d’oggi difficilmente riesce a rinunciare. Nessuno è poi entrato in scena a bordo di autovetture, scooter, apecar. Esclusi anche i monopattini. Stranamente il protagonista non vestiva un doppiopetto gessato, né portava calzoni corti o alla zuava o tute mimetiche. Per l’intera durata dell’opera ( tra l’altro piuttosto lunga ) Giulio si è virtuosamente astenuto dal fumare sigari, sigarette o pipe. Stranamente pareva non essere afflitto da turbe mentali né mi è parso vittima di tic nervosi più o meno vistosi. Infine nessuno è deceduto per overdose e non ci è scappato nemmeno uno spinello. Il tema delle primavere arabe non è stato affrontato né quello degli scontri in Palestina. Queste virtuose omissioni sono l’aspetto positivo della regia di Pelly. Per il resto, confortati dall’autorevole parere della Grisi, possiamo tranquillamente sostenere che faceva francamente schifo ( o “sincera pena”, come avrebbe detto – a proposito di altri soggetti – Giann Brera ). Come è stato opportunamente osservato una sorta di remake del “Vizietto” mescolato con l’opera al museo, vista più volte e sempre con la stessa noia. Il guaio è che tale regia non è stata nemmeno la peggiore tra quelle recenti di “Giulio Cesare”. Basta sfogliare le orripilanti foto riprodotte nel programma di sala ( allestimenti Dresda 2009, Francoforte 2012, Salisburgo 2012 ) per convincersi sull’opportunità di intentare un class action nei confronti di quei registi e di chi li ha chiamati. Per quanto riguarda l’aspetto musicale la direzione di De Marchi, peraltro piuttosto apprezzabile, ha imposto tempi parecchio serrati, così da mettere tutti quanti in difficoltà nelle agilità ancora più di quanto già non lo fossero per (scarse) virtù proprie. Dissento dalla Grisi a proposito del Sesto della Beaumont, che ho trovato buono. Il siparietto di Nireno, di gusto senz’altro discutibile, mi ha però divertito. E veniamo alla Pratt. Non c’è dubbio che sia stata, nella recita di domenica cui ho assistito, alcune spanne sopra gli altri interpreti. Tuttavia mi sembra che ci sia qualcosa, in quella organizzazione vocale, che meriterebbe di essere messo a punto. Innanzitutto alcuni problemi nella respirazione che hanno talvolta compromesso il legato e – in pochi casi – addirittura spezzato le frasi. Poi alcune forzature negli acuti, talvolta fissi e sfocianti nel grido. Infine, ma su questo temo si possa lavorare poco, alla Pratt – ragazzona sana, simpatica e abbondante – manca totalmente l’abbandono erotico, sensuale, languoroso. In questi casi o si è o non si è, la tecnica non può supplire. E’ vero che il “V’adoro pupille” è stato perfidamente tradito da Pelly – imperdonabile massacrare a quel modo una tra le pagine eccelse dell’intera storia del teatro in musica – ma la Pratt ci ha omesso del suo. Infine: sbaglia chi sta a casa. Anche quando allestimento ed esecuzione non sono di prima classe ( cioè di questi tempi sempre ) la magia dell’opera, per misteriose vie, arriva comunque. Se avessi tempo assisterei a tutte le recite di questo Giulio Cesare, perché Handel riesce ad averla vinta anche sui Pelly.

  10. Sono abbastanza d’accordo con Gianmario. Il paragone con Sanremo (” i recitativi sono Pippo Baudo e le arie le canzoni in concorso”) e’ stato fatto dal direttore nel corso di una trasmissione radiofonica mattutina,precedente alla prima, con dichiarato scopo divulgativo.
    Conforta invece che domenica oltre alla maggioranza del pubblico sabaudo ridacchiante per le cabarettistiche trovate, qualcuno, durante gli intervalli, facesse le stesse critiche qui riportate.
    Deprime ,invece, un rapido giro su siti di melomani , quasitutti innegianti alla “splendida ” produzione.
    Per Gianmario : non e’ che ti sei rifatto al Giulio Cesare del 1990 con regia di Sellars ?

  11. Non mi esprimo su cantanti, direzione ed allestimento, dato che devo ancora andare a sentire il Giulio Cesare (ho la recita sabtao prossimo). Noto solo, sull’allestimento (meravigliose, divertentissime, azzeccate, le definizioni di donna Giulia Grisi!), che è chiaro come da qualche tempo, soprattutto all’estero, si tenda a vedere il “Giulio Cesare” come un’opera non tanto seria quanto semicomica o comicheggiante del tutto, infarcendolo di trovate, trovatine e trovatucce di vario gusto. Lasciamo perdere l’orrido eurotrash da Regietheater di marca teutonica od assimilabile (si veda l’orrida – in tutti i sensi, soprattutto vocale – edizione salisburghese ad majorem gloriam Caeciliae Bartorolum, in cui la suddetta e sullodata cantava a cavallo di un missile….), ma anche altre regie più normali avevano connotati comici. Mi rammento di una precedente (mi pare di oltre 20 anni or sono) edizione parigina dell’opera (forse a Parigi piace così…) in cui, stando alle recensioni che avevo letto, c’erano coccodrilli ammaestrati (finti) in scena, carezzati tipo cagnolini, mummie giganti a mo’ di decorazioni, sdraio, Giulio in abito primo ottocento che vezzeggiava Cleo ed altre amenità simili e non era Sellers. Almeno Pelly ci evita i cappotti, ma mi si dice da amici residenti in Francia che in sostanza tutte le sue regie sono più o meno così, sia quelle tutto sommato un po’ riuscite, sia quelle proprio del tutto sbagliate. Certo che una cosa è mettere le scenne nella Granduchessa di Gerolstein, un’altra nel Giulio Cesare o in un’opera seria settecentesca od ottocentesca che dir si voglia! Ma forse è un vezzo francese, che quando si esagera in idiozia lo si fa senza mezzi termini? Chi ha visto dei film idioti francesi può notare che sono mediamente più idioti dei film idioti italiani (e prendo come termini di paragone certi film anni ’70 ed ’80 ed i vari cinepanettoni, di cui in terra gallica ci sono degni concorrenti, per fortuna da noi solitamente non distribuiti, ben peggiori dal punto di vista artistico….).
    A questo punto, edizione non filologica per non filologica, preferisco sentire il Giulio Cesare con Corelli, Christoff o Rossi Lemeni, almeno quelle erano voci!

  12. post per ulisse scaligero e commentatori “modernisti” ( e non è una questione di modernità quella con cui abbiamo a che fare, lo sottolineo, bensì di pertinenza dell’allestimento con l’opera….a me sarebbe bastato, lo ripeto, una regia rispettosa dei personaggi e della drammaturgia, quanto alle scenografie etc…mi sarei ben adattata senza problema) della recensione.
    vi interrogo con l’aneddoto, vero, di una dialogo avuto in teatro con un giovane loggionista che conosco.
    Mi ha chiesto cosa ne pensassi dell’allestimento, ho risposto sinteticamente che non c’entrava niente e massacrava haendel, e lui mi ha risposto, dopo il solito “non sei mai contenta”, …”beh, è un repertorio che non conosco e forse mi piace per questo”.
    ho ripensato molto a queste parole e al modo di pensare e giudicare ciò che vede e sente di questa persona. ama Verdi e il repertorio, e si lamenta molto quando toccano ciò che ben conosce e ama cantando male o con allestimenti inadeguati. ma in haendel questo non gli dava fastidio.
    e ne ho concluso che se avessimo visto un rigoletto in versione comica, o una forza che faceva la parodia della forza stessa, o un otello con le gags il teatro sarebbe crollato dai fischi e dalle urla ( cosa che in germania peraltro si fa….tanto la fanno tutto)
    vi chiedo, siete sicuri di avere lo stesso metro per tutto? perchè l’umorismo e la dissacrazione della traviata di tcherny li avete contestati e questa schifezza , pure con un sottofondo “mascalzone”, ossia distrarre il canto dall’agonia della protagonista originaria, no?
    ditemi perchè su verdi o puccini non accettate produzioni indecenti che invece siete disposti a digerire in rossini o nel barocco….please.

    • Giulia Grisi ti stimo! Credo tu abbia centrato il problema: capisco anche meglio la ragione per la quale ero l’unico (piú o meno) a non sganasciarmi dal ridere all’Ory, l’unico a uscire disgustato dopo il primo atto dell’ultimo Barbiere del Rof, infastidito non tanto (o non solo) da ció che avevo udito ma dall’atteggiamento del pubblico che se la ghignava per dei lazzi da Bagaglino, da questa stupida indegna malsana cretina idea che Rossini debba sempre far ridere, o sganasciare… Credevo di essere diventato improvvisamente vecchio e spaccamaroni, forse non era solo colpa mia!
      Grazie 😉

      • talvolta sentirsi isolati nelle proprie opinioni dinanzi a tanta cretineria e pochezza è un sollievo ed un piacere, consentimi l’esagerazione.
        Accettare un minestrone come quel Giulio Cesare o quell’Ory da Bagaglino o da Teatro Smeraldo dove prima di minestre di magro del venerdì stile Gianburrasca by eatitaly si faceva l’avant spettacolo, ci da il segno che il pubblico pure scolarizzato (che non significa acculturato) ha perso quel minimo senso di orientamento che un tempo grazie alla scuola ed allo studio era la bussola per evitare che improvvisati e dilettanti dell’allestimento scenico potessero, supportati da altri improvvisati della conduzione artistica dei teatri, assemblare inutili porcherie. Mi domando la reazione del pubblico se la seduzione del Duca di Mantova venisse trasformata nella pagliacciata della scena di “v’adoro pupille”. In questo clima le critiche da parte un altro degli autori del blog, che non ha assistito all’educativa rappresentazione, rivolte all’unica cantante degna di questo nome presente nel cast non fosse altro perché estranea al barocchismo imperante suonano non condivisili perchè direttori d’orchestra (autori di quelle variazioni, passate naturalmente all’ultimo) ed i responsabili artistici sono imbibiti della medesima “cultura” degli improvvisati allestitori e, quindi, avrebbero senza un istante di dubbio sostenuto e corroborato le opinioni dei propri sodali, mica di una cantante i cui esempi stanno ormai nell’altra sfera e che è comodo bollare con il termine passato. Si dimentica che il compito primo del cantante d’opera oggi è proprio quello quasi taumaturgico di evocare il passato.

        • Non è proprio così, nel senso che le mie critiche alla Pratt non dipendono certo dall’essere estranea al barocchismo imperante (che poi anche su questo argomento si devono fare molti distinguo), ma per un’esecuzione – parlo della diretta radiofonica – decisamente sconcertante. Peraltro i brani risalenti alla domenicale (quella recensita) evitano certo le cadute della prima, ma mostrano ancora problemi non risolti. In primis problemi di gusto e di stile: non è cosa secondaria poiché – oggi più che mai – è necessario porre maggior attenzione a questi aspetti: non è più l’epoca della “riscoperta”, quando la necessità di avvicinare titoli desueti ad un pubblico abituato al melodramma o al verismo, imponeva molti compromessi affinché un repertorio ritenuto lontano “parlasse” all’ascoltatore contemporaneo (senza contare una fisiologica minor conoscenza delle fonti). Non chi sia il colpevole di quelle variazioni o di quelle cadenze, resta il fatto che la Pratt così le ha cantate (e quelle degli altri personaggi, se pure non magnifiche, mi parevano più educate): evitare un inutile profluvio di picchettati liberty o sovracuti NON è barocchismo, così come NON è barocchismo evitare cadenze che strutturalmente paiono più vicine al mondo del melodramma o addirittura successivo (insomma, nella cadenza di “Da tempeste il legno in franto”, mancava giusto il flauto e poi era pronta per una recita di Lucia di Lammermoor di fine ‘800). Ogni repertorio va compreso e storicizzato, non si può trattare Handel come fosse Donizetti o Delibes o, addirittura, Tosti! Anche il mito dell’eccessiva velocità andrebbe sfatato: De Marchi avrà tanti difetti (sicuramente manca di una certa fantasia e autorevolezza), ma non si può dire che esasperasse le dinamiche o che imbruttisse il suono. Diamo a Cesare quel che è di Cesare…per restare in tema. Poi ci sono altri problemi, tra cui la mancanza – a mio parere – di sicurezza nei propri mezzi e la costante sensazione di “correre col freno a mano tirato”. Però la soluzione va trovata nella propria preparazione, senza incolpare elementi esterni: il Giulio Cesare di Torino non è stato programmato all’improvviso, c’era tutto il tempo per studiarlo e prepararlo meglio, tutto qui. DETTO CIO’ concordo, per il resto, con le critiche mosse a Pelly e al pubblico che si diverte con questa roba…e si diverte perché ignora cosa sia il teatro handeliano. E questo è davvero triste.

      • la cosa bella è che poi facciamo i….filologi !!!! lo stile degli abbellimenti, i da capo integrali, i falsettisti ( che stanno bene nei bagaglini di questi cosiddetti registi)….mente sulla scena c’è la baraonda.
        ma quale mondo musicale incorente e profondamente ignorante hanno costruito!!!

        • La tristezza è proprio questa: averci costretto a considerare uno spettacolo dividendo aspetto visivo e aspetto musicale, laddove l’opera sarebbe teatro in musica! Questi “geniali” registi sono responsabili di questo inutile sdoppiamento relegando la musica a mera colonna sonora di una vicenda reinventata…e a volte (spesso) caricata di inutile volgarità, trasformata in farsa triviale e realizzata secondo un’estetica bislacca del brutto. Si mette tutto in burletta e si riempie la scena di gags sceme perché – probabilmente – non si è in grado di recepire la grande vitalità del teatro handeliano: basta leggere il libretto per cogliere mille sfumature. E’ un problema culturale.

          • Ma che cultura possiamo aspettarci dalla massima parte dei “geniali registi” odierni? Cultura ne aveva a josa Visconti, questi qui, al massimo, possono fare (vedendo le loro regie) del… cul..turismo!

  13. A mio parere la riflessione della Grisi è da meditare ed è molto condivisibile. Mi trova del tutto d’accordo ed io unirei all’aspetto scenico anche quello esecutivo in senso stretto. Non mi vergogno di confessare di conoscere le opere di Haendel molto meno bene di come conosco Verdi, Rossini, Puccini, Bellini o Wagner, quindi – prescindendo dai problemi di versioni, mai da trascurare per le opere barocche, che spesso subivano delle modifiche da parte dell’autore per le riprese (ma ciò avveniva anche nel primo ottocento italiano) – non mi sento in grado di giudicare cantanti e direttore con la stessa sicurezza che avrei di fronte ad un Trovatore, un Faust, una Tosca od una Cenerentola, opere che praticamente so quasi a memoria e di cui ho precisi punti di riferimento interpretativi. Per Haendel ho bene in mente la Sutherland in Alcina, con il resto del cast della sua celebre incisione (che peraltro non ho più ascoltato da anni), Berganza in primis, oltre che un po’ di Horne e Ramey. Proprio ciò può portare ad apprezzamenti dove, in altri repertori, non lo faremmo. Per questo concordo con la Grisi: la mancata conoscenza approfondita del repertorio può portare ad un apprezzamento o, almeno, ad un non rigetto, di ciò che, in altro repertorio sarebbe respinto.
    In ogni caso, restando a Pelly, mi è stato riferito da un amico che lo aveva visto che il “suo” Conte Ory non è affatto piaciuto a molti spettatori, a parte certi francesi entusiasti nel vedere anche sul palcoscenico scaligero, un modo di intendere la comicità che deve essere quello più prossimo al loro (dis)gusto.
    Se poi qualcuno voglia vedere come è stato possibile fare scoprire l’Haendel operistico al pubblico italiano che poco lo conosceva guardi quai:
    http://www.archiviostoricolafenice.org/ArcFenice/ShowFile.ashx?fileType=Show&id=41904
    Mi sa che, coem gusto, di scene e costumni, qui ci siamo e si dimostra quanto la Grisi aveva scritto nel suo articolo circa il costume come elemento caratterizzante il cantante barocco.
    O, per quanto attiene al Giulio Cesare, si guardi qui:
    http://www.archiviolascala.org/ricerca/interpreti.aspx?id_allest=848&id_event=7325&id_allest_conc=&uid=21d67732-83ed-47a0-a895-adec0491c76f&objecttype=base
    e si senta qui
    https://www.youtube.com/watch?v=AnQk8z4BXDI
    Niente filologia, ma l’idea di cosa potesse essere un’opera seria settecentesca (almeno per quanto attiene al fatto che essa era scritta per grandi voci e per un allestimento che sottintedeva il concetto di maraviglia) era fornita.

  14. Fermo restando il fatto che l’allestimento di Pelly è deplorevole sotto ogni punto di vista (salvo la generica e scontata abilità tecnica nel gestire la scena) e che la trasformazione di Giulio Cesare in una farsa sboccata e greve tra busti che paiono i pupazzi del Muppet’s Show (senza Beverly purtroppo), palpate di natiche, tette finte, capezzoli in vista (su un donnone che meritava ben altro costume), un Cesare/Gianburrasca, sia offensivo soprattutto per la presunta intelligenza di chi allestisce ‘sta roba (e mi chiedo come nella patria di Moliere possa divertire una scemata simile), voglio esprimere un po’ di dissenso da alcune posizioni – tra cui quelle dell’amico Domenico – cosi da arricchire un poco la discussione:
    1) la drammaturgia handeliana è molto più complessa e ambigua non solo delle elementari trame del melodramma e del belcanto rossiniano, ma anche dell’opera seria italiana,
    2) l’opera seria che nasce dalla eliminazione delle scene comiche tipiche del teatro barocco per opera di Metastasio e Apostolo Zeno, si declina diversamente in Europa: in Inghilterra diversamente dall’Italia o dall’Austria,
    3) il teatro handeliano più di altri è ricco di sottotesti e parodie che affondano nella società britannica dell’epoca. Del resto ci sono tanti esempi nel suo catalogo di tale ambiguità e di una commistione non esplicita di livelli,
    4) l’intermezzo buffo non appartiene assolutamente all’opera handeliana, ma è tipico di quella veneziana e napoletana, quindi circoscritto ad una realtà musicale differente, ossia quella italiana, di impianto più aulico e serioso,
    5) leggere che Mackerras “non è un granché” è molto ingiusto nei confronti di un musicista completo e interessantissimo (nell’opera e nella sinfonica di cui ha lasciato importanti integrali mozartiane e beethoveniane, nonché una fondamentale ricerca su Janacek) che questo repertorio conosceva perfettamente (piu dei vari Bonynge, Rudel, Panni e compagnia briscola),
    6) davvero non capisco dove i tempi di De Marchi sarebbero esageratamente spediti: l’opera non è una marcia funebre e il teatro non deve essere un surrogato dell’anestesia. Considerata la lunghezza dell’opera seria e la permanenza in teatro testimoniata all’epoca ne deriva che i tempi letargici “di tradizione” sono un falso clamoroso (e un’immane rottura di palle), tanto che si usava massacrare di tagli le partiture per renderne accettabile la durata. Non mi scandalizza, ma resta una scelta arbitraria: le arie di furore DEVONO essere spedite e incalzanti, se il cantante non regge la coloratura veloce (e preferisce sgranature letargiche) allora ha sbagliato repertorio o mestiere,
    7) mi spiace dirlo, ma la Pratt non necessita e non merita trattamenti di favore: ogni volta pare che la colpa sia del regista, del direttore, dei partner, del maestro, del teatro…a volte pure di Mozart o di Verdi! È evidente che qualcosa non va, che non sfrutta occasioni e non si prepara adeguatamente oltre a non avere un buon gusto: non tanto la mancanza di sensualità o spirito comico (mi pare che declini le sue interpretazioni nel bamboleggiamento d’antan ultimamente), ma proprio nella scelta esecutiva: le variazioni e le cadenze che si ostina a interpolare sono musicalmente abominevoli e dato che erano le sole ad essere orrende significa che a lei garbano così. “Da tempeste” era orribile la sera della prima cosi come nella replica (semplicemente non era stonata – la seconda volta – e non si è impapinata in mezzo). Basta? No..ed è ingiusto arrampicarsi sugli specchi o dare ad altri la colpa, o dire che tanto c’è di peggio,
    8) non sono un nostalgico e non credo che l’opera debba corrispondere a gusti personali o tradizioni elevate a dogmi..ma quello di Torino resta un brutto spettacolo a prescindere dal rimpianto o della mancata elaborazione del lutto per la scomparsa della Sutherland o della Sills, che comunque restano modelli..con pregi e difetti (tipo la dizione oscena della Joan che faceva poltiglia di ogni repertorio, peccato mortale in Handel). Brutto visivamente e musicalmente. Come Domenico spero anch’io si possa apprezzare un’interprete senza far paragoni coi mostri sacri.

      • Al contrario, sarebbe vocalmente perfetta a patto di arrivare preparata (e non come all’imbarazzante prima) e con una revisione stilistica seria: quelle variazioni e quelle cadenze facevano schifo, così come grotteschi erano gli eccessivi sovracuti. Poi le manca la sensualità d’accordo, e non ci si può far nulla, ma almeno sarebbe un’interprete plausibile ancorché incompleta

        • anche a me nella diretta radiofonica mi ha lasciato un pò perplesso,comunque mi chiedo questo,questa recita,e scenografie sono state fatte praticamente -se non erro- per la Dessay ,ormai svociata, e peso piuma ,la Pratt dopo aver preso visione delle scene,e cosa volevano da lei doveva rinunciare,farsi mettere quei costumi ridicoli – vedendo le foto,in attesa di andare a vedere la recita – arrampicarsi, salire e scendere ,quindi oltre a fare attenzione a quello che cantava,doveva anche a stare attenta a non rompersi la testa-visto che a differenza della Dessay non è una piuma -certo che non c’è bisogno di tutto quello sfoggio di sovracuti ecc se glie le ha chiesto il direttore doveva dire di no,la volgarità,beh fateci caso,una volta quando i comici erano più “seri” e preparati facevano ridere senza nemmeno una parolaccia,adesso invece devono dire parolacce pensando di fare ridere,questo per dire quando si è abbassato il livello, il direttore di questa recita è De Marchi ,ma la responsabilità generale è del direttore musicale ,qualche mese orsono quando Noseda voleva andarsene e poi ci ha ripensato,io avevo scritto che era meglio che seguiva le sue ambizioni,e se ne andava,adesso vive di rendita,anche con questo nuovo direttore artistico Florence Plouchart-Cohn che mi sembra che lui abbia caldeggiato,il Regio tornerà alla mediocrita,dopo questi ultimi anni, dove la qualità era molto migliorata,e sono convinto che anche l’orchestra andrà incontro al degrado,Noseda doveva andarsene il suo ciclo è finito ….

  15. Ammetto di aver ascoltato solo due stralci su Radio 3 e poi sul tubo quindi non ho un’idea globale, però da quel poco che ho sentito sono rimasto molto dubbioso. Devo essere stato sfortunato perché mi sono beccato l’aria di Nireno, che mi ha evocato nella mente una gallinaccia pronta per il brodo, poi una delle arie della pessima Prina assai in affanno. Sul tubo ho ascoltato le arie della Pratt che purtroppo in questo caso mi ha deluso parecchio, in particolare Da tempeste nella quale la nave non giunge proprio in porto e naufraga miseramente. Per carità meglio degli altri sicuramente, ma forse non si è preparata a sufficienza: un paragone con la Sills, la Sutherland, la Rolandi non si può porre. Concordo sulla bruttezza delle cadenze, che comunque non raggiungono la vetta negativa di quella nell’aria di Ines nell’Africaine che non riesco proprio a dimenticare… Confido che a gennaio sia pronta per una splendida Giulietta!

  16. Non posso trovarmi d’accordo con chi si lamenta di sentirsi continuamente spiazzato da uno spettacolo o parla di restituzione di ‘essenze’. Dissento radicalmente da questa visione.

    Lo spettacolo di Pelly non è piaciuto neanche a me, perché mi è parso una noiosa successione di trovate senza un filo logico. Pelly voleva forse dirci che solo vinti e sudditi (Cornelia, Sesto, Cleopatra quando è prigioniera) sono personaggi seri , mentre i potenti finiscono inevitabilmente per apparire una manica di pagliacci (magari tragici pagliacci)? Sarebbe stata una bella idea, piuttosto barocca, ma non lo ha fatto o non ci è riuscito.
    Al direttore e al regista riviolgo la stessa critica: non hanno saputo restituire la complessa varietà di atmosfere suggerite dalla straordinaria musica di Haendel. Per esempio, mi pare che Pelly non abbia saputo fare alcuno uso delle luci. Se pensiamo a quello che Wilson aveva fatto alla Scala nell’Orfeo!
    Comunque, se fossi di Torino, probabilmemnte tornerei ad assistere allo spettacolo, perché complessivamente si è trattato di un’esecuzione di livello più che buono (Prina a parte).

    Poi ti posso dire che non ho affatto fischiato Cerniakov, perché la sua messa in scena mi è piuttosto piaciuta, come mi è piaciuta quella della Sposa dello zar. Come mi sono piaciute moltissimo quelle di Guth (Frau e Lohengrin).

    U

  17. Avevo da tempo l’intenzione di andarlo a vedere (e sentire) questo Giulio Cesare a Torino (dovendo però farmi 250 km circa solo per l’andata) ma, immaginando le voci che circolano (Pratt un po’ a parte che stimo e ammiro) e avendo visto l’Ory del Pelly alla Scala di Milano (brrrrr………da brividi!) ho preferito rinunciare.
    Almeno mi sono evitato spiacevoli mal di pancia e mal di testa con tanto di disgusto psico-fisico associato…. Per il resto, mi unisco alla Grisi e ai suoi autorevoli commenti che condivido pienamente. Buon ascolto a tutti!

    • Il mio tedesco dopo vent’anni di non pratica è molto, molto, molto scarso, ma, con l’aiuto del dizionario, ho ben inteso il concetto. Cosa simili le diceva già molti anni fa Celletti in “Memorie di un ascoltatore”, quando parlava dei registi folli e divideva gli idioti in idioti “a gratis” ed idioti a pagamento.
      Circa gli eccessi del teatro di regia ed il disgusto che può provocare consiglio di leggere ciò che ha recentemetne affermato a tal proposito, letteralemente schifata, dame Gwyneth Jones.
      Per gli anglofoni (intervista integrale): http://www.the-wagnerian.com/2014/11/dame-gwyneth-jones-discusses-wagner.html
      “I have become weary of many of today’s opera productions. If I buy a ticket to see Der fliegende Holländer I want to see the sea, ships, sailors and spinning wheels, not an office full of secretaries sitting at their typewriters and I do not want to see Elisabeth going to the gas chambers in Tannhaüser or any of the other annoyances which simply ignore the directions in the score, changing the subject of the piece entirely and suggesting that the producer is superior to the composer.

      The public is insulted and treated like idiots who are incapable of forming their own interpretation of the composer and librettist’s work and its effects on their daily lives and morals. It is not because I am old fashioned. To the contrary. I am simply sick of the disgraceful way that precious works of art are being abused by many of today’s producers who often admit that they have no knowledge of the art of opera and are unable to read music. It would seem that their main aim is to create something which is going to arouse protests and scandal and has nothing whatsoever to do with the contents of the score, which makes them “the talk of the town” and enhances their careers. – See more at: http://www.the-wagnerian.com/2014/11/dame-gwyneth-jones-discusses-wagner.html#sthash.U2vfXfpo.cs1xgaNV.dpuf
      Per i francofoni (sunto): http://www.forumopera.com/breve/gwyneth-jones-contre-les-metteurs-en-scene
      « Je suis lasse de la plupart des productions d’opéra qu’on voit aujourd’hui. Si j’achète un billet pour Le Vaisseau fantôme, j’ai envie de voir la mer, des bateaux, des marins et des rouets, par un bureau rempli de dactylos. Dans Tannhäuser je ne veux pas voir Elisabeth finir dans une chambre à gaz, ni aucune de ces choses agaçantes qui laissent entendre que le metteur en scène est supérieur au compositeur. Et ce n’est pas parce que je ne suis pas dans le coup, bien au contraire. Après plusieurs décennies durant lesquelles les opéras ont été actualisés à coup de blue-jeans, de laideur et de sexe, tout cela est maintenant démodé et je pense qu’il est nécessaire de revenir à la vérité des partitions … J’en ai tout simplement assez de ces metteurs en scène qui ne connaissent rien à la musique et ne recherchent que le scandale. Beaucoup de grands amateurs d’opéra ont renoncé à exprimer leur insatisfaction en huant et ne se déplacent tout simplement plus, comme le montrent bien les nombreuses places inoccupées dans les salles d’opéra. A Bayreuth, on peut désormais se procurer très facilement des billets, même parfois le soir de la première. C’est très préoccupant car, une fois le public perdu, il ne sera pas facile de le reconquérir »
      Parole sante! Se poi ci aggiungiamo il livello di certe voci….

  18. dopo aver visto e ascoltato questo Giulio Cesare,devo dire che l’orchestra ( integrata con L’accademia Montis Regalis ) mi è piaciuta rispetto all’ascolto radiofonico,( colpa anche della
    mediocre ripresa audio ) ben equilibrata,ben udibile ( grazie anche alla buca rialzata ) nella sala,cast deludente,a parte la Pratt,prima volta che l’ascolto dal vivo,al’inizio mi è sembrata con
    non molto volume,e un debole,sui centri,ma con l’andare avanti nella recita,è molto migliorata,sul palco era veramente quella che sapeva come si canta,rispetto alla diretta radiofonica ha cantato
    molto meglio,più asciutta.La Mingardo non mi è dispiaciuta,certo che la sua voce e di una che si avvia al tramonto,ma è molto musicale,e una vera professionista,mi ha convinto moderatamente Maite Beaumont nel ruolo di Sesto ( mezzosoprano di nome,soprano corto di fatto) il controtenore Jud
    Perry ,avrei preferito un contralto al suo posto,è inutile fare cantare a controtenori parti

    scritte per i castrati,meglio una voce femminile,discorso analogo su ruolo di Nireno ,perche non metterci un soprano ( che è anche previsto ) invece del controtenore Riccardo Angelo Strano,che con
    ancheggiamenti ,mossettine,e movenze femminili,a me è parso ridicolo,Luigi Consolo non pervenuto,insignificante.Ritornando a Sonia Prima ,leggo sulla locandina sul personaggio Giulio
    Cesare che è un contralto,ma come si fa a dire che questa cantante è contralto ? A me non è parsa nemmeno un mezzo,leggo nella sua biografia che è specializzata nel repertorio barocco,a me mi è
    parsa inadeguata,e molto ingolata,con acuti ghermiti,a un mio vicino di poltrona facevo notare la differenza di cantare sul fiato e in maschera della Pratt ,e la gola della Prina,nel foyer tra i due atti ho parlato con un po di gente,e mi rendo conto che a questi l’opera piace,e vengono con piacere,ma di voci ne capiscono assai poco,scommetto che tanti non sanno nemmeno la differenza tra un soprano,e un mezzosoprano.
    le scenografia e regia,all’inizio sono rimasto freddo su questa messa in scena,poi durante la recita,ho provato a immaginare una persona che entra in un museo,guardando quadri,statue,vetrine in
    allestimento,tra addetti che mettono ordine,o nei magazzino che arrivi materiale,questo visitatore su uno scaffale in un punto poco frequentato,e poco illuminato del museo,coperto di polvere,trova
    una cartella polverosa dimenticata sarà da quanti anni,aprendo la cartella si trova a leggere uno spartito dimenticato in quel posto da tanto tempo,legge il titolo “Giulio Cesare di Handel”
    e mentre lo legge ( sa leggere la musica ) piano piano si immerge in quella trama,in quella storia,in quella bella musica,e lentamente inizia come in sogno che questa storia,questa musica,venga piano piano a materializzarsi nel museo,con i personaggi che si aggirano nel museo,e interagiscono con i visitatori e gli addetti,con i vari cambi scene,i lavoranti del museo che spostano i quadri,spostano le statue,e i manufatti,puliscono le teche,cioè si viene a creare una simbiosi tra la vera trama dell’opera e l’ambiente del museo,questo nell’Immaginazione,e nella testa del “nostro ” visitatore che si è immerso nella lettura dello spartito,potrei trovare questa regia plausibile con questo criterio.Per i costumi pensavo peggio,no il costume della Pratt,non era affatto ridicolo,come mi è sembrato dalle foto visto in precedenza,anche i movimenti che il regista le ha fatto fare non erano affatto onerosi,e che potevano incidere sul suo modo di cantare,riguardo alla volgarità ,non lo so se c’è stato qualche correzione rispetto alle recite precedenti,non ne ho viste a parte il cenno sui seni,e qualche gesto,ma io non ho visto volgarità o gag lascive per me è solo di brutto gusto , fare recitare in quel modo Riccardo Angelo Strano mi sembrava un cabarettista…meglio metterci una cantante.

  19. Ieri sono stato a sentire il Giulio Cesare a Torino ed ora posso dire la mia. Mi pare che paragonare la regia di Pelly agli spettacolo del Bagaglino sia errato ed offensivo… per il Bagaglino! Una messa in scena non tanto scandalosa quanto risibile e soprattutto del tutto inutile, che non dice nulla di nuovo ed è costruita sull’accumulazione dei soliti giochetti e trucchetti dal Pelly stesso tirati fuori in molte regie in terra di Francia e che ormai vengono a noia, come a noia veniva la scena sostanzialmente unica ed il muovere quasi continuo di elementi forse al fine di vivacizzarla. Peggio ancora le controscena dei mimi durante le arie, che distraevano e – peggio ancora e peccato imperdonabile – facevano rumore, impedendo di sentire la musica. Ridicolo il far trapostare la Pratt su un carrello, ridicolo far atteggiare Nireno da egiziano visto solo di profilo con le manine una davanti e l’altra di dietro, con idee malriciclate evidentemente rubate da “Asterix e Cleopatra”, dove erano sviluppate con maggior gusto e risultavano divertenti.
    La direzione di De Marchi non m’è affatto parsa troppo veloce. Forse si poteva chiedere un po’ più di fantasia nel differenziare le varie arie (un’opera barocca che porta a 4 ore e 10 di spettacolo, con il suo continuo seguito di recitativi ed arie, pur con delle arie tagliate, può generare un po’ di noia in cui non sia un appassionato del genere), ma mi pareva apprezzabile che si sia cercato un certo equilibrio con il palcoscenico e che l’orchestra non abbia mai coperto i cantati, benché non ci fossero grandi voci. Altra cosa positiva è il fatto che si sia cercata la massima chiarezza e comprensibilità di pronuncia nei recitativi (eccetto il pessimo Tolomeo) a parte alcuni eccessi evidentemente dovuti a “geniali intuizioni registiche” che ci si porta dietro da Parigi. Molto brava l’orchestra, precisa, senza sbavature, con un suono omogeneo. Una menzione in particolare per il primo violino Stefano Vagnarelli, bravissimo nell’imitare con il suo strumento, il verso dell’ ”augellin [che] tra fiori e fronde si nasconde” nell’aria con strumento obbligato del secondo atto “Se in fiorito ameno pratico”
    Dei cantanti meglio le donne che gli uomini. La migliore mi è sembrata, come Sesto, Maite Beaumont, mai fuori ruolo, mai sopra le righe, che ha cantato con un certo stilo aulico, con voce omogenea e buona interpretazione. Non mi è dispiaciuta nemmeno Sara Mingardo, anche lei stilisticamente in parte, nonostante gli anni di carriera alle spalle. Jessica Pratt (il cui ascolto era la cosa che mi interessava di più) mi ha un poco deluso, rispetto ad un precedente ascolto ne “I Puritani” di alcuni anni fa. La voce è certo importante e ben impostata, lei sa cantare e sa cantare di agilità, ma alcune puntate all’acuto sono risultate non troppo a fuoco e un poco strillate. Buona la coloratura in “Da tempeste” (il momento in cui è stata più applaudita), anche se – come è già stato rilevato in precedenti interventi – non tutte le variazioni utilizzate nel corso dell’opera apparivano in stile. Non era certo aiutata dalla ridicola regia, (mal) pensata per una cantante dall’apsetto fisico del tutto diverso. In ogni caso, con quel che passa ora il convento, avercene! Mi associo, in ogni caso, al consiglio di chi mi ha preceduto nel recensire l’opera, circa una maggior cura nella scelta e nello studio delle parti.
    Sonia Prina ha buone intenzioni interpretative ma non riesce a metterle in pratica, con una voce troppo piccola e non di vero contralto, in un ruolo più grande di lei, che la mette in evidente difficoltà. Al positivo la cura della dizione.
    I due bassi, Loconsolo ed Abete (quest’ultimo limitato nel suo ruolo ad un po’ di recitativi) non erano tali da entusiasmare. Pessimo il controtenore Perry come Tolomeo. Il suo collega Strano come Nireno almeno curava la dizione nei recitativi, ma risultava ridicolo nella sua (mal cantata) aria, storpiata, con falsettini risibili in aggiunta al falsetto “normale”, come se fosse un brano comico di varietà; ma qui ho il sospetto che tutto ciò provenga dalle idee del Pelly, passivamente e colpevolmente accettate dal direttore.
    Durante l’opera le arie hanno avuto brevi applausi. Gli applausi sono aumentati con il procedere dell’opera. Giustamente applaudita le Beaumont. Applaudita giustamente anche la Pratt dopo l’ultima aria.
    Poco selettivi gli applausi a fine opera. Se gli uomini hanno avuto solo applausini di cortesia, un po’ di più il Loconsolo degli altri, le donne sono state ben più applaudite, anche se la Prina (forse perché interpretante il ruolo eponimo dell’opera) ha avuto quasi più applausi delle Beaumont, decisamente di lei migliore.
    Nota sul pubblico: Regio abbastanza pieno, più di quanto si poteva immaginare a priori per un titolo diverso dal solito (ma sarà anche per le promozioni dei biglietti a 18 euro per over 65 ed under 18 per tale recita?); fra il pubblico, una notevole rappresentanza di tedeschi, forse attirati dall’opera del loro conterraneo.

    • La scrittura del signor Jud Perry direi che rappresenta bene la situazione ‘difficile’ in cui evidentemente può trovarsi la direzione di un teatro d’opera. Mi piacerebbe sapere chi l’ha ascoltato prima della scrittura e, se nessuno l’ha ascoltato, il perché. Nel libretto di sala non ho trovato informazioni sul cast, sul web le informazioni relative a Perry sembrano quelle di un dilettante.
      Di sicuro ascoltarlo nel ruolo di Tolomeo ha un effetto comico che penso non corrisponda alle intenzioni del cantante. I desolanti applausi di circostanza di parte del pubblico portano però a valutare i gravi danni che queste scelte artistiche fanno sul piano culturale: quanti tra quelli che non conoscono l’opera barocca possono aver pensato che si possa eseguire la parte nel modo di Perry ?

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