Se la genesi dell’opera è complessa, altrettanto si può dire delle vicende che riguardano l’overture. Beethoven, com’è noto, ne compose ben quattro – del progetto di una quinta versione rimane l’annotazione di un tema in un quaderno di schizzi risalente al 1805, probabilmente tra Leonore, No. 1 e No. 2 (si tratta di un passaggio terminante in do minore che non può ricondursi a nessuna delle altre quattro overture né ad un tema dell’opera) – a testimonianza dell’importanza attribuita dal compositore all’introduzione di Fidelio. Ciascun brano risale ad una precisa tappa nell’evoluzione dell’opera e segna i momenti dello sviluppo del pensiero musicale beethoveniano (e la trasformazione di Fidelio in qualcosa di diverso e di più complesso di quanto era stato inizialmente progettato). Le quattro overture conosceranno poi un’autonomia concertistica rispetto all’opera integrale (in particolare la Leonore No. 3) e verranno abitualmente inserite nei programmi sinfonici di tutto il mondo. Dopo aver parlato, dunque, delle vicende compositive dell’opera e delle sue revisioni, cercando di fare un po’ di chiarezza su quel che si sente normalmente e provando a smentire certa vulgata (soprattutto alla vigilia della prima scaligera che già si annuncia piuttosto disinvolta circa le scelte testuali: Barenboim dovrebbe scegliere, come di consueto, la Leonore No. 2 e far precedere l’aria – non so in quale versione, ma immagino quella in do maggiore per coordinarsi con la chiusura dell’overture – al duetto), pare opportuno rivolgere un po’ di attenzione alle quattro importanti overture cercando, ancora, di aiutare il lettore e l’ascoltatore ad accostarsi con maggior consapevolezza a questi brani e a non fidarsi troppo della vulgata che, con Beethoven, è quasi sempre portatrice di fraintendimenti o banalizzazioni. In calce all’articolo vengono offerte alcune interpretazioni storiche delle quattro overture: la scelta è del tutto personale e non vuole (né può) essere esaustiva. Le tante esclusioni eccellenti, dunque, dipendono solo da ragioni di spazio e dal criterio che mi son dato, ossia non offrire più di un brano per ogni direttore d’orchestra nel limite di tre ascolti per overture (con l’eccezione della Leonore No. 3 per cui ho scelto sei testimonianze).
Overture “Leonore, No. 1”, Op. 138: la prima versione dell’overture – pubblicata solo dopo la morte dell’autore – per lungo tempo è stata considerata successiva alla Leonore No. 3 e composta per un’ipotetica ripresa della seconda versione dell’opera a Praga tra il 1807 e il 1808. In realtà gli studi più recenti confermano che si tratta, invece, della primissima redazione del brano, risalente ai primi mesi del 1805. Secondo il primo biografo di Beethoven, Anton Schindler (che pure curò un’edizione dei Quaderni di conversazione), il compositore, dopo aver scritto il brano venne colto da dubbi circa la reale bontà del pezzo e dopo averlo sottoposto ad un ristretto numero di amici e conoscenti – che ne sentenziarono lo scarso effetto e inconsistenza – decise di cassarlo e di predisporre una nuova overture poche settimane prima del debutto dell’opera. Come siano andate realmente le cose e quali furono le ragioni che indussero Beethoven a sostituire il brano, restano sconosciute, tuttavia la Leonore No. 1 non appare certo un brano poco efficace o scarso. Tutt’altro. E’ un brano di carattere brillante che si ricollega alla classica overture del singspiel (il modello strutturale di quella del Ratto mozartiano è evidente): dopo l’unisono sulla dominante emergono in sequenza due melodie che si riconducono al mondo musicale di Leonore – senza però riportarne alcun tema – sui quali si sviluppa la forma sonata, ma prima della ripresa dell’allegro si inserisce il tema di Florestan (tratto dalla grande scena che apre il terzo atto), per concludersi poi dopo un drammatico crescendo, in una coda che ritorna a forme più distese e serene.
Overture “Leonore, No. 2”, Op. 72: la nuova versione dell’overture, composta, pochi giorni prima della rappresentazione di Fidelio (1805), sembra rispondere alle critiche del selezionato gruppo d’ascolto che nel palazzo del principe Lichnowski lamentò l’inconsistenza della prima redazione e la sua sostanziale estraneità all’opera. La Leonore No. 2, infatti, accentua il legame tematico con il mondo musicale di Fidelio e offre una maggior coesione con l’intero lavoro, attraverso l’abbandono della forma di overture teatrale a favore di un complesso “poema sinfonico” che si presenta come riassunto tematico dell’opera: in particolare il tema di Florestano viene maggiormente sviluppato sino a diventare un pilastro della struttura musicale dell’overture. Il tema che si identifica con Leonore – anche se non si ricollega a nessuna melodia dell’opera – svolge la medesima funzione di quello della prima overture, alludendo al carattere della protagonista e a quell’anelito alla felicità che è uno dei pilastri ideali del Fidelio (insieme all’amore e alla libertà dell’individuo): il tema troverà poi la sua più compiuta realizzazione nella Leonore No. 3. Su questi due nuclei tematici (Leonore e Florestan) si sviluppa l’architettura del brano in un dialogo che diviene sempre più serrato sino alla cesura degli squilli di tromba che annunciano l’arrivo del ministro (e si nota ancora la funzione dell’overture come riassunto del dramma o meglio come rappresentazione sinfonica della vicenda narrata): segue un episodio di cupa e misteriosa atmosfera (la prigionia, il destino, la sofferenza) da cui però riemerge il tema di Leonore nella trionfale apoteosi finale.
Overture “Leonore, No. 3”, Op. 72: per la ripresa di Fidelio nel 1806 Beethoven oltre a rivedere e ridurre la prima versione dell’opera, scrive una nuova overture. Ancora una volta il compositore vuole accentuare il legame tra introduzione e opera e così lavora sui temi, allargando i confini della precedente versione (e infatti il brano risulta più lungo, essenzialmente per l’inserimento della ripresa tipica della forma sonata). L’adagio introduttivo, pur se ridotto, vede accentuato il carattere misterioso, solenne e carico di aspettative, mentre il tema di Florestan viene reso più immediato e arioso nello svilupparsi nel registro più chiaro dei violini. L’atmosfera generale è però meno cupa e muta la gerarchia tra i temi: al contrario della Leonore No. 2, qui il motivo prevalente – su cui si costruisce lo sviluppo e che costituisce l’ossatura del brano – è quello della prigionia, il canto dolente di Florestan, Solo prima degli squilli di tromba (rivisti nella struttura e nell’impianto tonale) le due overture tornano a coincidere, per poi differenziarsi di nuovo. Dopo il provvidenziale arrivo del ministro, infatti, si apre un nuovo tema su di una lunga melodia ascendente che riporta ad un sogno o una visione di libertà e felicità (tema che non lasciò indifferente Bernstein, tanto da ritrovarsi in West Side Story), sino alla coda finale ancora più impetuosa nel rincorrersi degli archi. La Leonore No. 3 diventò presto uno dei brani più amati nel repertorio sinfonico, trascendendo i destini dell’opera e conquistando una propria autonomia musicale. Proprio la diffusione e la bellezza dell’overture fecero sì che venne in qualche modo recuperata anche nell’esecuzione del Fidelio nella sua forma definitiva, ma poiché la versione del 1814 ha una nuova overture, la Leonore No. 3 venne collocata altrove: Otto Nicolai la utilizzava come interludio tra primo e secondo atto, Hans von Bülow come epilogo dopo il finale; Felix Mottl e Gustav Mahler la inserivano prima del finale, dopo il duetto tra Leonore e Florestan. La tradizione più diffusa – e quella rimasta per maggior tempo anche tra gli esecutori del ‘900 – è la soluzione che si fa risalire a Mahler. Aldilà delle questioni filologiche per cui tale inserimento è del tutto insensato, non si può negare che la bellezza del brano dona al finale una compiutezza maggiore, trasformandolo in un epilogo separato dal dramma in una tensione etica che trascende la correttezza musicologica. Sarà pure edonismo musicale, ma la Leonore No. 3 è di sicuro effetto e non ci sono ragioni per criticare una scelta dell’interprete di regalare al pubblico un’emozione in più. Il suo inserimento, pertanto, non deve scandalizzare soprattutto quando viene fatto con ragione e gusto e non per ossequiare la solita tradizione (nel nome della quale sono state commesse e si continuano a commettere le peggiori nefandezze musicali). Un esempio particolarmente felice è quello di Leonard Bernstein che, libero dalle fisime e dai condizionamenti della cosiddetta tradizione europea, non si limita ad inserire la Leonore No. 3 prima del finale, ma si permette un ritocco di grandissima efficacia: elimina il colpo di timpano dall’accordo di do maggiore che apre l’overture e la lega al finale del duetto “O namenlose Freude” allungando la corona conclusiva.
Overture “Fidelio”, Op. 72: nel 1814, per la redazione finale dell’opera che prende così la forma che oggi conosciamo, scrive una nuova overture. La nuova versione di Fidelio è frutto di un lavoro complesso e di un ripensamento generale e così si impone una nuova introduzione che si ponesse come una terza via tra l’eccessiva brillantezza della Leonore No. 1 e la drammaticita della No. 2 e della No. 3 (scrive Della Croce: “nel primo caso si aveva un contrasto tra la profondità dei temi musicali e filosofici trattati nell’opera e la sua limpida introduzione orchestrale, nel secondo lo spostamento prematuro del peso del dramma sul suo antefatto sinfonico ad onta delle buone regole teatrali”). Beethoven – dopo aver considerato l’ipotesi di recuperare la Leonore No. 1 trascritta in mi maggiore per coordinarsi col nuovo inizio dell’opera (ossia il duetto Marzelline/Jaquino) – optò per un’overture più tradizionale, alla Gluck, eliminando ogni riferimento tematico all’opera ed abbandonando il carattere di anticipazione drammatica, per costruire un brano meno ricco di complessità sinfonica, ma più efficace, conciso e scintillante: come in Egmont e Coriolano non si sente più il peso dei protagonisti, i caratteri dei personaggi e la sintesi della vicenda, ma solo musica che invade chi ascolta e lo predispone ad aprire mente e cuore alla riconquista della felicità e della libertà di Leonore e Florestan come sposi, amanti e soprattutto uomini.
Gli ascolti:
Overture “Leonore, No. 1”, Op. 138 (Szell – Klemperer – Mengelberg):
Overture “Leonore, No. 2”, Op.72 (Abbado – Haitink – Busch):
Overture “Leonore, No. 3”, Op. 72 (Bernstein – Furtwangler – Boehm – Fricsay – Celibidache – Wand):
Overture “Fidelio”, Op. 72 (Harnoncourt – Karajan – Walter):
Bohm rivela nuovi lati della Leonore n.3 nella interpretazione qui sopra, stupendi gli archi. Bellissimo post, ascolti meravigliosi!
Buon Thanksgiving a tutti!
Buongiorno!sono un nuovo adepto alla loggia o meglio loggione massonico,pur preferendo in buona misura la sinfonica alla lirica,nn possi nn seguirvi per la grande competenza che esprimete e per quella forza critica(sostenuta dalla competenza) che esprimete e che potrebbe essere letta come reazionaria ma che,penso,esprima solo l’estrema passione per un’artecosi facile da amare e tanto difficile da comunicare!ottimo post per una delle piu belle opere du tutti i tempi!!!
una delle più belle opere di tutti i tempi mi sembra eccessivo……..
E perché mai? Io sono d’accordo con Albino…poi uno può pure preferire Pacini o Mercadante, son problemi suoi…:)
Il giudizio che esprimo e’ovviamente soggettivo ed influenzato dalla premessa( preferenza x la musica sinfonica rispetto a quella lirica e dalla conoscenza piuttosto limitata del repertorio).Cmq x me il fidelio andrebbe collocato subito dopo il vertice rappresentato dalle opere mozartiane( quasi tutte,escludendo forse la clemenza di tito x via degli interminabili recitativi secchi)
Non devi affatto giustificarti, Albino, anche io preferisco la musica sinfonica in senso assoluto, nonostante un’ampia conoscenza del repertorio operistico. La preferisco per mille ragioni che non sto ad esplicitare. Poi ovviamente i gusti sono gusti ed è inutile sindacarli…certo è che Fidelio anche per me è uno dei massimi capolavori musicali di ogni tempo: lo colloco al vertice, insieme a pochi altri. Poi, ripeto, non contesto i gusti altrui (tranne quando pretendono di “insegnare” che Beethoven non era capace a scrivere per la voce, che le opere di Mozart sono robetta da dilettanti e altre STRONZATE del genere…)
Condivido pienamente.Poi un giorno,con piu calma mi piacerebbe dire qualcosa anche sul giulio cesare di haendel( a ragione,pare,glorificato da beethoven)e sul caro sassone in generale che,contestualizzandolo nel suo periodo storico e senza voler a tutti i costi trasformare i suoi lavori in musical-cn accompagnamento di orchestra a pieno regime,id est 3 violini cn corde di coda di topo,per giunta stonati e basso continuo formato da strumenti riesumati da tombe etrusche-
merierebbe anche Lui,Haendel,di essere collocato ai vertici dell’opera.