La Scala inaugurerà la nuova stagione 2014/15 con Fidelio, unico lavoro teatrale di Beethoven e uno dei massimi capolavori del teatro musicale d’ogni tempo. Cogliamo, quindi, l’occasione per occuparci dell’opera, della sua genesi e delle sue differenti versioni, cercando di liberare il campo dai tanti fraintendimenti, incomprensioni e falsità che immancabilmente ricorrono ad ogni sua riproposta. Questa è la prima parte di un viaggio nel Fidelio che dopo aver affrontato, in questo capitolo, le complesse vicende della composizione dell’opera passerà alle quattro diverse ouvertures e, infine, alla spinosa questione delle differenti scuole interpretative, con una breve, ma esauriente, appendice discografica.
Quello di Beethoven con l’opera non fu né un appuntamento al buio né un incidente di percorso: fin dagli anni trascorsi alla corte del principe elettore di Bonn entrò in contatto con l’opera italiana in qualità di semplice orchestrale. Successivamente, a Vienna, approfondì il genere sotto la guida di Antonio Salieri che lo “istruì” all’opera: frutto dell’apprendistato con Salieri sono le tre grandi arie da concerto – “Ah perfido!”, “Primo amore” e “No, non turbarti” – scritte tra il 1796 e il 1802 come esercitazioni di stile vocale italiano (ma già in esse traspare l’insofferenza per un modello lontano ed insufficiente ad esprimere l’ideale estetico del compositore). Tuttavia le radici dell’approdo beethoveniano al teatro musicale vanno ricercate in altri modelli e linguaggi: nel lied, nella cantata, nel singspiel e nell’oratorio. Solo così si può comprendere l’evoluzione di Fidelio e la ricerca di un determinato modulo espressivo alternativo alle bellurie della vocalità italiana. Nel 1790 compone il suo primo grande lavoro per voci e orchestra: la Cantata per la morte dell’imperatore Giuseppe II, opera di vaste dimensioni (a cui seguì, nel medesimo anno, la Cantata per l’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II) in cui compaiono presagi concreti di quello che sarà il mondo musicale di Fidelio. Nel 1796, su invito di Schikaneder compone due arie per il singspiel “Die schöne Schusterin” di Ignaz Umlauf (la seconda delle quali, per soprano, si accosta – nello spirito e nella vivacità – alla prima aria di Marzelline). Nel 1803 si conclude l’apprendistato con Salieri con lo splendido duetto “Nei giorni tuoi felici”, ancora su modello italiano, ma declinato in modo del tutto originale. Non si devono dimenticare, poi, due importanti lavori scritti per il teatro: il Ritterballett del 1791 e Die Geschöpfe des Prometheus del 1801, vasta azione mitologica per un balletto di Salvatore Viganò che se pure non rientra nella musica vocale, costituisce la prima esperienza di Beethoven con il mondo del teatro attraverso il mito illuminista dell’eroe umanistico. Due però sono i lavori fondamentali per la genesi di Fidelio: Christus am Ölberg e il frammento del Vesta’s Feuer entrambi risalenti al 1803. Il primo è un oratorio su modello handeliano ispirato in modo piuttosto evidente alla Creazione di Haydn e al finale del Flauto Magico (opera ritenuta da Beethoven il capolavoro di Mozart) e dedicato al dolore e alla solitudine di Cristo (raffigurato nella sua umanità) sul monte degli ulivi: l’oratorio è interessante per diverse ragioni. Innanzitutto fu un grande successo che aprì al compositore la strada dell’opera, in secondo luogo si ascolta, nella scrittura vocale del protagonista, una nuova tipologia di tenore che pur affondando le radici nel Tamino mozartiano già si proietta oltre il classicismo anticipando quello che diverrà l’heldentenor (proprio come Florestan). Il secondo lavoro, invece, merita maggior approfondimento, perché proprio il fallimento del progetto consentirà la composizione di Fidelio. La vita musicale viennese ruotava intorno a due teatri: l’Hofburg diretto dal barone von Braun (espressione dell’aristocrazia di palazzo) e l’An der Wien di Emanuel Schikaneder, espressione della nuova borghesia illuminista e della massoneria progressista. Schikaneder – amico di Mozart, autore del libretto e primo interprete del Flauto Magico – all’indomani del grande successo del Christus, cercò di accaparrarsi il talento emergente di Beethoven e gli offrì subito il libretto di un’opera, il Vesta’s Feuer (Il fuoco di Vesta): azione storico mitica di ambientazione romana e – come per il Flauto – con ampi riferimenti massonici. Il compositore lusingato dall’offerta iniziò subito la composizione, ma dopo aver ultimato la prima scena (sino al terzetto tra Volivia, Sartagone e Poro, che diverrà “O namenlose Freude” nel Fidelio), fu costretto ad interrompere il lavoro: a causa di persistenti difficoltà finanziarie l’An der Wien viene venduto a von Braun che non esitò un istante a rimuovere Schikaneder dalla direzione del teatro. A Beethoven fu sottoposto un altro libretto – considerato di argomento più elevato e attuale – scritto dal letterato Sonnleithner e ispirato a Léonore ou l’amor conjugal di Jean Nicolas Bouilly (risalente al 1798 e ispirato, a sua volta, a fatti reali di soprusi e ingiustizie commesse dai giacobini in Vandea). Nel 1804, tuttavia, von Braun fu costretto a richiamare Schikaneder, ma ormai il libretto era stato musicato da Joseph Weigl. Beethoven, a questo punto, accettò il nuovo libretto, anche su insistenza dello stesso Schikaneder tornato a dirigere il teatro. Il testo di Bouilly aveva ispirato già altri lavori: Leonora di Paer (1804) e L’amor coniugale di Mayr (1805). Proprio l’opera di Paer fu la causa del mutamento del titolo di quella di Beethoven. Questi voleva intitolarla Leonore per attenersi al dramma di Bouilly, ma per evitare confusioni fu scelto Fidelio. E qui occorre smentire la vulgata: non è mai esistita – se non nelle intenzioni dell’autore – una Leonore: l’opera di Beethoven è sempre andata in scena con il titolo di Fidelio (anche nel 1805 e nel 1806), solo quando si diffuse l’interesse per la prima stesura si ricorse a Leonore, per distinguerla dalla radicale revisione del 1814.
Il rapporto di Beethoven con l’opera fu certamente conflittuale: egli – com’è noto – disprezzava il “melodramma”, ritenuto (a torto o a ragione, non importa) superficiale, vuoto e causa della decadenza della musica italiana. Tale avversione coinvolse pure l’amato Mozart di cui criticava aspramente le opere dapontiane perché, appunto, inquinate dallo stile italiano e da argomenti di scarsa moralità. Lo stesso apprezzamento per Rossini fu limitato al solo repertorio buffo. Tra le poche eccezioni Cherubini, che riuscì, nell’ottica di Beethoven, a prendere le distanze dai “vizi” del melodramma e dalle bellurie vocali del belcanto (e, soprattutto, dai capricci dei cantanti), divenendo rinnovatore del genere e portavoce di una visione più drammatica e realistica dell’opera, liberata dalle catene del virtuosismo e dalle convenzioni del genere. Modelli di Beethoven sono l’opera tedesca, i grandi singspiel mozartiani, il Cherubini del Portatore d’acqua e della Medeé: è inutile e sciocco aspettarsi da Beethoven modalità espressive scientemente rifiutate (e concessioni alle regole del melodramma o dell’opera seria). Così come stupida è la considerazione sulla pretesa “incapacità” di Beethoven di scrivere per la voce (o di scrivere un’opera tout court): l’opera non è l’opera italiana e Beethoven volontariamente si ispira ad altri modelli.
Chiariti i presupposti si può guardare Fidelio più da vicino: com’è noto Beethoven revisionò più volte la partitura sino a trovare la perfetta corrispondenza dell’opera con la propria visione estetica e ideale. La prima versione di Fidelio risale al 1805. Divisa in tre atti, ebbe la prima rappresentazione il 20 novembre in una Vienna occupata: i francesi avevano invaso la città la settimana precedente e il generale Hulin, plenipotenziario di Napoleone, aveva installato il quartier generale proprio nel palazzo del principe Lobkowitz (uno dei finanziatori di Beethoven e della vita musicale viennese). Lo scarso pubblico dell’An der Wien era composto quasi esclusivamente da ufficiali francesi che mal tolleravano i dialoghi tedeschi e la complessità musicale dell’opera. Inoltre la compagnia di canto si rivelò inadeguata (in particolare la ancora acerba protagonista Anna Milder). Fidelio fu un insuccesso e i giornali criticarono una musica troppo elaborata, così dopo appena due repliche l’opera fu tolta dal cartellone su istanza dello stesso autore. Il primo Fidelio era molto diverso dalla versione eseguita correntemente: innanzitutto – dicevo – la suddivisione è in tre atti (dei quali i primi due corrispondono più o meno al primo della versione finale) e le differenze più evidenti sono le seguenti: 1) l’opera si apre con la Leonore II (Beethoven scrisse una prima versione dell’ouverture, la Leonore I – pubblicata solo dopo la sua morte e ritenuta, erroneamente, successiva alla prima dell’opera e relativa ad un’ipotetica rappresentazione di Fidelio a Praga tra il 1806 e il 1808 – ma poche settimane prima della rappresentazione decise di riscriverla dopo che un ristretto gruppo di ascoltatori la ritenne poco efficace e troppo slegata dal resto dell’opera); 2) l’aria di Marzelline precede il duetto con Jaquino; 3) segue un terzetto tra Rocco, Jaquino e Marzelline (spostato prima del coro dei prigionieri nella versione del 1806 e poi tagliato in quella definitiva); 4) il quartetto, l’aria dell’oro e il terzetto Rocco/Leonore/Marzelline che chiude il primo atto; 5) l’atto secondo, dopo una breve introduzione, si apre con l’aria di Pizzarro e prosegue col duetto tra Rocco e il governatore; 6) segue un duetto tra Marzelline e Leonore giocato sull’equivoco (accorciato nella versione del 1806 e posposto al monologo di Leonore e, infine, tagliato nella versione definitiva); 7) recitativo e aria di Leonore in forma differente da quella definitiva (in particolare il recitativo); 8) finale II composto dal coro dei prigionieri, recitativo di Rocco e scena tra Rocco e Leonore a cui segue un duetto, un quartetto e un’aria con coro per Pizzarro; 9) l’atto III si apre con la scena di Florestan (molto diversa dalla definitiva): introduzione, recitativo e un complesso episodio suddiviso in tre parti (la revisione del 1806 portò ad una riduzione e nel 1814 venne radicalmente rivista l’ultima parte, riscritta anche nel testo: non più una romanza d’amore, ma un delirio drammatico); 10) segue un melologo andato perduto (tagliato nel 1806 e riscritto nel 1814), poi il duetto Leonore/Florestan, il terzetto con Rocco e il quartetto con Pizzarro; 11) un recitativo (poi accorciato e infine soppresso) porta al duetto Florestan/Leonore tratta dal Vesta’s Feuer sino al finale ultimo.
Nel 1806, su insistenza dell’amico Stephan von Breuning (dedicatario del concerto per violino), Beethoven riprese Fidelio e lo sottopose ad una prima revisione: il libretto venne ridotto e la materia riorganizzata in due atti, quasi tutti gli episodi vennero sfrondati e alcuni espunti, e venne composta una nuova ouverture. L’opera andò in scena il 29 marzo del 1806 e fu un buon successo, ma dopo la prima replica un litigio tra Beethoven e von Braun (direttore del teatro) portò alla rottura: l’impresario rimproverò il permaloso compositore perché componeva musica troppo elitaria e poco redditizia e questi, in risposta, si riprese la partitura e ritirò l’opera. La seconda versione si presenta come una riduzione della prima (molto più radicale sarà il lavoro di riscrittura svolto nel 1814) che coinvolge tutti i numeri. Le differenze strutturali principali sono le seguenti: 1) Beethoven scrive una nuova ouverture: la Leonore III che entrerà autonomamente nel repertorio sinfonico e di cui tratterò, insieme alle altre tre, nel prossimo capitolo; 2) il trio Rocco/Jaquino/Marzelline dopo l’aria e il duetto, viene spostato prima del coro dei prigionieri; 3) l’aria dell’oro, dopo il quartetto, viene tagliata e il terzetto che segue è accorciato; 4) una marcia introduce l’aria di Pizzarro (che ora non apre più il secondo atto essendo l’opera suddivisa in due) e dopo il duetto Rocco/Pizzarro, il successivo Marzelline/Leonore viene posto dopo la grande scena di Leonore (accorciata); 5) il finale è ridotto; 6) la scena di Florestan apre adesso l’atto II e poi l’opera prosegue come nella versione precedente sino al finale che viene notevolmente ridotto.
Ma la storia di Fidelio continua, inaspettatamente. Nel 1814 il terzo teatro di Vienna, il Kärtnertortheater (sempre diretto dal von Braun) decise di omaggiare tre vecchie glorie, concedendo loro una serata d’addio in cui avrebbero scelto l’opera: scelsero Beethoven (ormai divenuto una celebrità) e il suo dimenticato Fidelio. Il compositore basò la sua revisione sulla versione ridotta del 1806 (che nel frattempo era stata pubblicata in riduzione per canto e piano, senza ouverture e finale), avendo smarrito gli autografi. Il lavoro di revisione fu drastico e l’opera praticamente riscritta (anche il testo venne rimaneggiato). I cambiamenti, entrati nella versione corrente di Fidelio sono i seguenti (ma bisogna tener conto che praticamente tutti i numeri sono stati rivisti, riscritti e riconcepiti): 1) Beethoven scrive una nuova ouverture – la quarta – molto più breve e non più riferita ai temi dell’opera (anche se alla prima rappresentazione fu sostituita da quella del Prometeo o delle Rovine di Atene, non avendola finita in tempo); 2) il duetto precede l’aria di Marzelline; 3) il terzetto Rocco/Jaquino/Marzelline è soppresso e l’aria dell’oro ripristinata; 4) una nuova marcia introduce Pizzarro; 4) il monologo di Leonore è riscritto (divenendo il celebre “Abscheulicher!”); 5) tutto il resto è tagliato sino al coro dei prigionieri (compresa l’altra aria di Pizzarro); 6) la nuova scena di Florestan include una strofa finale con la febbricitante visione di Leonore (brano dove naufragano quasi tutti i tenori che interpretano Florestan come fosse Siegfried); 7) il resto viene ridotto e ripensato sino al grandioso finale, praticamente riscritto (uno dei vertici della produzione beethoveniana). Così il nuovo Fidelio va in scena il 23 maggio 1814, alla vigilia del Congresso che ridisegnerà l’Europa, con Beethoven – ormai completamente sordo – alla direzione (coadiuvato da un collaboratore) e in un teatro stracolmo che tributò un successo incondizionato all’opera (solo in quell’anno venne replicato 19 volte). Fidelio risorto due volte dalle proprie ceneri alla fine trionfo e trionfa tuttora sui suoi detrattori, sulle tragedie della storia e sulla solitudine di un uomo che la sordità condannò ad isolarsi dal mondo, ma non dalla propria musica.
Gli ascolti:
Cantata per la morte dell’imperatore Giuseppe II:
Cantata per l’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II:
“Ah perfido!”:
“Primo amore”:
“No, non turbarti”:
“Nei giorni tuoi felici”:
“Oh welch ein Leben!” (Die schone Schusterin):
“Soll ein Schuh nicht drucken” (Die schone Schusterin):
Ritterballett:
Die Geschopfe des Prometheus:
Christus am Olberg:
Vesta’s Feuer:
Un pezzo estremamente interessante (anche per quanto riguarda gli ascolti), grazie!
Non mi ero mai dedicato alle tre arie da concerto di Beethoven. Devo dire che trovo l’interpretazione della Callas stupefacente – solo questo. Oltre a lei ho ascoltato Steber e Ludwig, secondo voi c’è qualche altra cantante che devo *assolutamente*ascoltare?
Anche a me particolarmente gradita l’iniziativa di dedicare ampio spazio al Fidelio, uno dei tre titoli operistici che porterei con me se fossi esiliato e se mi concedessero di portarne solo tre, ovviamente. Estremamente interessante questo primo articolo, come immagino saranno anche i successivi.