Requiem n° 2: Riccardo Chailly alla Scala

chailly1E con quello eseguito in Scala il 3 e 4 ottobre siamo al secondo Requiem verdiano di questo autunno 2014. Per farla breve il cast di Milano su cui ci intratterremo  per dovere è pessimo tanto  quello di Torino e quindi il ragionamento e le osservazioni valgono per la direzione di Riccardo Chailly come a Torino il motivo di interesse era la bacchetta di Gianandrea Noseda. A fine mese avremo a Milano un terzo Requiem diretto da Jader Bignamini direttore molto più giovane degli altri due e  potremo fare il punto sul rapporto che tre dei maggiori direttori italiani hanno con il capolavoro verdiano. Per un momento possiamo dire di essere ritornati indietro nel tempo quando  le maggiori bacchette (non solo italiane aggiungo) proponevano al pubblico il capolavoro sacro verdiano. Solo che i solisti di cui disponevano erano ben altri.

Il Requiem di Chailly è davvero vario e per nulla  monotono nel senso che il direttore milanese sceglie per i singoli numeri tempi e  sonorità proprie forse non preoccupandosi di collegare le une alle altre. Intendiamoci un Dies Irae procelloso e dalle intense sonorità, staccato però con un tempo non velocissimo dovrebbe essere preceduto dal requiem iniziale nervoso e  veloce ed invece no. L’introitus, il Sanctus  sono  staccati con sonorità attutite suoni raccolti. Lo è pure il Recordare, ma qui i solisti sono davvero impari al compito (fissa la Harteros e sorda in basso la Garanca) e il brano non esce al meglio Lo stesso accade all’Ingemisco, staccato con un tempo indugiante e bella dinamica, dove i falsettini del tenore, recuperato all’ultimo, ma sempre mediocre come lo era il titolare sono fastidiosi e poco o nulla può l’accompagnamento davvero ragguardevole. Il Lagrimosa è solenne il giusto, limitatamente operistico (lo dico perché tutti sappiamo che il brano è una parodia del finale del quarto atto del don Carlo che Verdi a malincuore dovette sopprimere proponendolo in altra e, forse, più idonea sede). Meno felice il Sanctus dove tempi  “comodi” e sonorità attutite poco si addicono all’alla celebrazione del dogma. Alla fine il tempo veloce di Noseda, che non è certo rifinito, forse hanno la meglio può avere la meglio quello di Chailly. Offro, però per equilibrio fra tempi, sonorità l’esecuzione del Sanctus di Fritz Reiner, che resta per me inarrivabile.

A questo devo aggiungere che da tempo l’orchestra della Scala non esibiva un suono di qualità come quello che la registrazione testimonia e una capacità di lasciarsi plasmare dal direttore nel senso che in un secondo un forte diventava un piano senza che si sentissero  sbavature, ritardi anticipi. Se penso al Requiem di pochi anni or sono diretto dal direttore scaligero sembrano passati secoli e questa volta davvero in meglio.

Dove il tempo ormai ristagna da tempo e ristagna in acque putrescenti è con i solisti. Pochi giorni or sono pensavo alla qualità, che poteva rappresentare la coppia femminile Guerrini/Stignani a Firenze sotto la guida di Mitropoulos. Chimere. Qui abbiamo un mezzo soprano che è il solito soprano corto e che potrebbe con decoro eseguire il Requiem mozartiano con orchestre di sapore “baroccaro”, non solo corta, ma sorda in tutta la prima ottava non può fare il pedale in episodi come il Kyrie e svettare nel Liber scriptus. Proporrei a chi non vuole essere d’accordo con questa opinione di ascoltare l’esecuzione di una cantante per nulla verdiana come la Horne (Roma 1970 chiesa di Santa Maria sopra Minerva). Le cose non vanno meglio con il sedicente basso Ildebrando d’Arcangelo da anni è modello di suoni tubati, ingolati ed indietro e da il peggio di sé non tanto al Confutatis quanto al  Requiem aeternam dove  manca, per il combinato disposto di limiti vocali e tecnici, di ampiezza, rotondità e morbidezza non che di estensione sia in basso (e potrebbe anche starci trattandosi di un basso baritono) che in alto e qui è il risultato del metodo di canto. Sorvolo su Polenzani che da Ernesto è passato a tenore spinto da tardo Verdi e che rimane un Ernesto di serie B. Vi immaginate se mai un Ernesto di serie A zona Champions come Valletti avrebbe pensato di cantare la parte di tenore del Requiem di Verdi.

Del forfait di Kaufmann e della cagione dello stesso (malattia, risparmio, disaccordo sul cachet, che si mormora astronomico) non me ne importa nulla se non per aggiungerlo all’elenco delle promesse non mantenute del sig. Pereira, qui a Milano chiamato e trattenuto alla faccia di comportamenti contra legem per la sola asserita capacità di trovare sponsor, soldi e scritturare i grandi.

Da ultimo perché sarebbe la diva di turno Anja Harteros, che da tempo ha abbandonato il ruolo di Amelia Boccanegra e che nella parte del soprano del Requiem, cui in analogia con lo Stabat rossiniano tocca la pagina conclusiva ha progressivamente esibito di numero in numero suoni sempre più fissi e duri incapacità di legare e di smorzare. L’inizio era stato anche decente e con una certa facilità nella salita agli acuti, intendiamoci nulla che la possa mettere accanto a specialiste verdiane come la nostra Ilva Ligabue.

Chiudo con il coro che si è ricordato di essere il coro della Scala.

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Immagine anteprima YouTube Gabriella Tucci / George Szell

Immagine anteprima YouTube Recordare – Antonietta Stella/Oralia Dominguez/ Herbert von Karajan

2 pensieri su “Requiem n° 2: Riccardo Chailly alla Scala

  1. L’ultimo Requiem diretto da Chailly era All’Auditorium di Milano con Ines Slazar,Daniela Barcellona,Marcello Giordani,e Ildar Abdrazakov, con una ultima prestazione di Romano Gandolfi per il coro 9.7.2001
    conservo la registrazione tra le migliori da me ascoltate. Mentre una delle più ridicole fu all’Arena di Verona il 17.8.2000 con Maazel e la Cedolins,la D’Intino, il fenomeno Bocelli e Scandiuzzi, nella quale il pubblico arrabbiato non riusciva a sentire il tenore.
    Chailly ha diretto il Requiem con stringatezza eda ha fatto un po’ di fatica a dominare il tenore giordani assai freddo e con pochi armonici ad onta del notevole squillo. La Salazar si era imposta subito come la migliore del quartetto, e il coro con Gandolfi trionfò su tutti.

  2. Ero presente al Requiem citato del 1970 e ne conservo un ottimo ricordo! Ormai i quartetti solistici da un bel po’ di tempo fanno schifo (scusate la franchezza) come pure chi tenta di dirigere questo lavoro.
    Non sono andato a questo della Scala ma, chi c’era mi ha confermato il ritrovamento di un Coro splendido e un’orchestra ritornata ad un affiatamento d’altri tempi. Me ne compiaccio.
    I fratelli ‘grim’ e agenzie simili da un bel po’ di tempo hanno rovinato il senso del ‘buon’ e ‘bel’ canto con le loro proposte sforzate e ben controllate dall’alto di una gerarchia silenziosa. Non so se c’è qualche speranza che nel prossimo futuro potremo avere un bel quartetto di cantanti veri che farà rivivere quelle
    emozioni ‘di una volta’!

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