Un Ballo In Maschera – Ma se m’è forza perderti (1923)
Antonio Cortis veniva definito il Caruso spagnolo. A parte il calore timbrico tipico dei cantanti latini e la voce di qualità bellissima (meno particolare degli altri due grandi tenori spagnoli coevi Fleta e Lazaro) è difficile ravvisare similitudini soprattutto nel metodo di canto, perché il tenore di Valencia non cercò mai ad onta di qualche comunanza di repertorio in epoca in cui tutti cantavano Chenier, Pagliacci e Tosca, la diretta e facile imitazione di Caruso. Si diceva anche la personalità fosse, sempre rispetto ai due più famosi conterranei, piuttosto limitata e che non brillasse per “trovate” interpretative. Sarà anche vero, forse rispetto ad un’epoca in cui il fraseggio era soprattutto maschile e tenorile in particolare, ma l’esecuzione dell’aria del terzo atto del Ballo è esemplare. Esemplare per la misura di un cantante che ricorda l’amore senza indulgere a vezzi, che decide la rinuncia all’amore senza piagnucolare, che lega ogni suono, che scandisce recitativi e parole senza mai declamare, che evita portamenti facendo dimenticare che la pagina insiste in una zona non certo facile e comoda per la voce del tenore.