Aureliano Pertile fu tenore verdiano per definizione. Radames, Manrico, don Alvaro furono caposaldi della carriera del tenore padovano e sono oggi paradigmi dell’interpretazione verdiana. A fine carriera, forse tardi per il metus che il personaggio incuteva Pertile affrontò anche Otello. Non cantò mai don Carlo, ritenendo forse l’infante personaggio di scarso rilievo e neppure il protagonista di Ernani, l’unica opera del primo Verdi regolarmente rappresentata. Sui rifiuti o timori di Pertile, lo dico per informazione, si fondarono tre dei ruoli più praticati e meglio definiti da Francesco Merli, che abbiamo già proposto e celebrato come interprete verdiano.
Nel proporre Aureliano Pertile ci parevano scontati e ci auguriamo molto conosciuti ed apprezzati i suoi “cavalli di battaglia” ovvero Radames, Manrico e don Alvaro, che sono -passate la ripetizione- Storia del canto e dell’interpretazione e allora siamo approdati alla scena della borsa. Noto come il tenore di Toscanini, Pertile quando venne proposta in Scala la Traviata venne chiamato a cantare il ruolo, che i tenori non amano molto, del giovane innamorato. Il timbro di Pertile, ingrato in natura, forse non è nel nostro immaginario quello del giovane che fa conoscere l’amore a chi l’amore vende, ma Pertile è Pertile e riesce ad essere estatico ed affettuoso nell’aria e svetta, tenore lirico spinto nella scena cosiddetta della borsa, dove con un tempo lentissimo (quello di Toscanini?, voglio crederlo) scandisce il doloroso furore del deluso amante con suoni tutti avanti, tutti nitidi, tutti risonanti e squillanti, rendendo il senso della grande apostrofe e del furore.
Anni fa un impreparato ed improvvisato tenore verdiano ha dichiarato che il Duca, Alfredo e Manrico sono scritti per lo stesso tenore. La verità è ben differente e perché i primi interpreti furono nell’ordine Raffaele Mirate, Lodovico Graziani, Carlo Baucardè e perché l’assunto del tenore serviva solo a giustificare un Manrico fiacco e bolso. Però quando penso ad Aureliano Pertile o a Giacomo Lauri Volpi, e potrei anche metterci Tucker e Bergonzi, ovvero il gotha del tenore verdiano l’assunto ha anche senso.