Nel 1930, prossimo ai cinquantacinque anni di età e ben oltre i trenta di carriera, il tenore veronese, che di lì a poco avrebbe abbandonato le scene, incise alcuni passi del Ballo verdiano. Ascoltando la canzone del mentito pescatore non sentiamo un esecutore “cotto” che pensa solo a portare, faticosamente, a termine un compito ingrato, bensì un cantante in grado di dominare, senza esserne sopraffatto, la scrittura niente affatto comoda della pagina, riuscendo in frasi come “tradì l’amor mio” e “l’averno ed il cielo irati sfidar” a sfoggiare, assieme a un timbro ancora ammaliante, una saldezza di suono che ha, non solo in rapporto all’età dell’esecutore, del miracoloso. Meglio non prendere neppure in considerazione, per un eventuale confronto, quella che oggi passa per la più plausibile incarnazione di Riccardo, parte evidentemente ritenuta, ormai, da prepensionamento.