All’epoca della carriera si discuteva se Gigli, come il rivale Lauri Volpi, fosse un autentico tenore verdiani perché il modello indiscusso di tenore da Verdi fra il 1920 ed il 1935 venne incarnato da Aureliano Pertile e fors’anche da Giovanni Martinelli e Francesco Merli. Allora si richiedeva uno squillo di cui Gigli ( tendenzialmente non estesissimo in alto e dopo il si bem un poco fisso) non era dotato od un centro che in Lauri Volpi non era così poderoso ad onta di squillo e sonorità adamantine in zona acuta.
Pacifico, quindi, che al tenore di Recanati fossero ben più propizie le scritture di Don Alvaro che non quelle di Manrico ed anche di Radames, pure eseguiti più volte e con successo non certo di stima. Quando poi alla scrittura vocale, che non richieda saette in alto (quand’anche insista sulla zona tutt’altro che agevole del passaggio e richieda un legato esemplare, che solo il controllo del fiato assicura) si aggiunge la memoria e la ricordanza, per utilizzare il termine del recanatese più famoso al mondo, Gigli monta in cattedra, piange, soffre, ricorda e sospira come nessuno sa fare nelle registrazioni dell’aria del terzo atto. Poi e con fondati motivi si può anche ritenere che don Alvaro sia un poco più eroico e meno languido, ma l’attacco di Gigli dell’aria fa parte del doveroso bagaglio di ogni melomane ed amante dell’opera e della voce.
manca certo nella chiusa dell’aria il metallo e lo squillo che si richiede a Don Alvaro ma è pur vero che il commendator Gigli sfoggia una pronuncia cosi chiara e una propietà di accenti tale che la prima parte e ancor più il recitativo non temono rivali.
che CANTANTE. sapeva esattamente dove mettere OGNI nota. sempre preparato e sicuro per la prossima frase. Possiamo parlare di gusto come interprete, dei singhiozzi, ma il suo “saper cantare” per me è indiscusso.