Ieri avevo promesso, presentando questo mese di ascolti verdiani l’omaggio a Carlo Bergonzi, recentemente scomparso. L’ omaggio è offerto non con le parti che Bergonzi ha “macinato” per trent’anni in tutti i più grandi teatri del mondo con una costanza di rendimento d’altri tempi perché d’altri tempi era la preparazione musicale ed il supporto tecnico, ma con il primo ruolo che Bergonzi offrì dopo il passaggio alla corda tenorile: Jacopo Foscari. Il tenore parmigiano cantò in un concerto Rai il ruolo nel 1951 e lo debuttò in scena trent’anni dopo all’Opera di Roma. L’esecuzione è interessante perché nel momento in cui venne eseguito questo Jacopo di primo Verdi, escluso Ernani che era opera di repertorio e l’aria di Oronte, non se ne sentiva punto. Bergonzi, nei pregi e nei difetti è già Bergonzi, scansione del recitativo, rispetto di quello stile e gusto “grandioso ed oratorio” che è la sigla del primo Verdi , timbro un poco baritonale più che altro per l’assenza dell’autentico squillo che è una delle caratteristiche del tenore verdiano, insieme al flusso del fiato ed alle grandi arcate di fraseggio, queste esemplari – sempre- in Bergonzi.
Un pensiero su “Il mese del tenore verdiano I: Carlo Bergonzi (1924-2014)”
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Non molti mesi fa ho ascoltato l’integrale di questi “Due Foscari”, trovando apprezzabili, detto per inciso, la Vitale e Guelfi.
La maestria vocale di Bergonzi non si discute, ci mancherebbe, e qui a me pare superiore al Simon Boccanegra radiofonico di qualche mese dopo (qui siamo a Maggio, il Simone e’ di Novembre). Tuttavia, a me sembra che, di li’ a qualche anno, Bergonzi abbia acquisito ancora maggiore rifinitezza e pienezza di suono, testimoniati dal recital DECCA del ’57 e piu’ ancora dall’Aida di Karajan del ’59 (che, guarda caso, proprio in questi giorni sto riascoltando) e ovviamente da molte altre cose.
Secondo qui c’e’ pero’, purtroppo, qualcosa che, per fortuna, di solito in Bergonzi non c’era: un eccesso di enfasi che un pochino mi rovina il piacere dell’ascolto: i singhiozzi inseriti a partire da “sangue” e disseminati lungo tutta l’esecuzione, il grido su “Carmagnola” e, la cosa peggiore, il pianto finale. Ecco, quello mi sembra proprio troppo, troppo vicino a un truculento capo-comico di paese che abbia appena scoperto l’infedelta’ della giovane e adorata moglie: e persino li’ farebbe un brutto effetto. Ma Jacopo Foscari che piange come un bambino non riesco ad immaginarmelo.
Ovvio che poi metterei la firma per avercelo sempre, un Bergonzi-Jacopo.
Non disdignerei comunque, rimanendo a Jacopo ma non in quest’aria bensi’ in quella iniziale, il giovane Pavarotti nel suo primo recital.