Il caso di Vittorio Gnecchi e della sua Cassandra, che suscitò un certo scalpore nel mondo musicale degli inizi del XX secolo e uno scomodo incidente con Richard Strauss, ritorna periodicamente alla ribalta in occasione delle sporadiche riprese odierne dell’opera o di ancor più rare retrospettive critiche sull’autore. La storia è abbastanza nota. Vittorio Gnecchi era il rampollo di una ricca famiglia di industriali comaschi, che invece di dedicarsi alla redditizia attività paterna, sviluppò il pallino per la musica. La privilegiata posizione economica gli consentì di curare la propria formazione con validi insegnanti privati (tra cui Michele Saladino, Carlo Gatti e Michele Coronaro) evitandogli i corsi ufficiali al Conservatorio e quella vita bohemien che caratterizzava, nel comune immaginario, i giovane compositori alle prime armi e che era stato il pane quotidiano di molti suoi colleghi. Proprio questo privilegio gli costò l’accusa sprezzante di dilettantismo e di aver potuto emergere solo in virtù delle proprie ricchezze. Gnecchi, tuttavia, non era affatto un ricco e viziato dilettante con la pretesa di far musica a prescindere dal talento, ma possedeva innegabili doti e grande cultura (la disponibilità di mezzi gli permise di collezionare una ricchissima e aggiornatissima biblioteca musicale). Dopo il primo lavoro – l’azione pastorale Virtù d’amore, rappresentata nella villa di Verderio alla presenza di ospiti illustri e critici musicali stranieri, e che suscitò l’interesse di Ricordi – il compositore si dedicò a quello che doveva essere il suo vero grande debutto: Cassandra. Il soggetto, tratto dall’Agamennone di Eschilo e costruito come un dramma musicale wagneriano, venne steso direttamente da Gnecchi e poi affidato a Luigi Illica: dopo un drammatico preludio (e il presagio dell’immininente morte del sovrano), Agamennone torna vittorioso da Troia e nella reggia lo attende Clitemnestra che non nasconde il disgusto e l’odio per lo sposo arrivato ad immolare sua figlia Ifigenia per soddisfare la propria ambizione. Egisto, l’amante della regina, le chiede di piegarsi al fato che così ha deciso per loro e il loro sfortunato amore. Nel frattempo il re sbarca, ma dalla nave un grido atterrisce il popolo festante: “Sangue!” grida una tetra e misteriosa donna…è Cassandra, figlia di Priamo. I presagi funesti non interrompono la cerimonia:Agamennone, dopo aver allontanato Egisto dalla sua vista, consegna ai figli Elettra ed Oreste la propria spada (strumento poi di vendetta e giustizia) e si avvia verso la reggia accompagnato da Clitemnestra. Cassandra lo ferma, ha una visione di morte e gli chiede di non allontanarsi, ma Agamennone si ritira con la regina. Ora Cassandra ha chiaro il presagio, ma è divisa tra l’odio verso gli Achei, distruttori della sua Ilio, e la pietà per il re tradito. In un teso monologo comunica al popolo la sua visione, ma viene presa per matta. La tragedia si consuma e dalla reggia esce Clitemnestra trionfante con il cadavere di Agamennone, ucciso per vendicare la figlia. Cassandra si scaglia su di lei chiamandola adultera, ma è colpita a morte: prima di morire pronuncia una sola parola “Oreste” che suona come una profezia. L’opera si chiude con il canto delle Eumenidi. La materia infuocata viene interpretata da Gnecchi con formule post wagneriane in una scrittura ricca di cromatismi (pur nel rispetto di forme classiche) e un uso fortemente drammatico dell’orchestra ricca di suggestioni espressionistiche. L’opera ultimata nel 1903 venne inizialmente rifiutata da Ricordi – che suggerì al compositore di farla rappresentare privatamente nella sua villa – ma suscitò l’interesse di Toscanini che la diresse a Bologna nel dicembre del 1905. Il successo fu buono, ma non mancarono le polemiche favorite dai pregiudizi sull’autore e dagli ambienti più tradizionalisti: Cassandra fu accusata di essere troppo “tedesca” e il suo autore di essere solo un dilettante privo di talento, esibizionista e presuntuoso. Lo stesso Toscanini venne accusato di opportunismo e di essere stato pagato dalla famiglia Gnecchi per favorire il lavoro. A questo punto il buon Arturo – questa volta davvero per vigliaccheria e opportunismo – troncò ogni rapporto con l’incolpevole Gnecchi e da quel momento si rifiutò di dirigere musiche sue. Presto finì isolato e la sua opera sparì dai cartelloni nazionali. Tuttavia iniziò a circolare all’estero…e proprio per questo cominciarono i veri problemi che segnarono il destino del compositore. Il 25 gennaio 1909, infatti, debuttava a Dresda Elektra di Richard Strauss: e chi conosceva Cassandra non poté non notare forti analogie non solo nel libretto, ma anche nella musica. Che era accaduto? Nel 1906 a Torino debuttava in Italia Salome e Gnecchi – ammiratore di Strauss – riuscì ad incontrarlo e gli fece dono dello spartito della sua Cassandra (in realtà già glielo aveva inviato nel 1905, ottenendo pure una cortese risposta). Qualche anno dopo, nel 1908, anche il direttore dell’Opera di Dresda manifestò interesse per Cassandra, ma il debutto di Elektra bloccò il progetto. Pochi mesi dopo la prima di Elektra la fine di Gnecchi e della sua Cassandra fu sancito da un articolo del musicologo Giovanni Tebaldini dal titolo “Telepatia musicale”: il saggio – corredato da tavole sinottiche che individuavano almeno 50 idee musicali ricorrenti in entrambi i lavori- voleva dimostrare che le molte somiglianza tra il lavoro di Strauss e quello del “dilettante” Gnecchi erano dovuti ad una specie di comune visione, di telepatia musicale di fronte allo stesso mito. Non parlò mai di plagio, ma così venne interpretato dai lettori e le polemiche che ne seguirono provocarono l’irritazione di Strauss che dichiarò di non aver neppure idea di chi fosse Gnecchi (anche se in realtà conosceva – o avrebbe dovuto conoscere – la sua partitura già dal 1905). La lotta era impari: Strauss era il grande compositore europeo all’apice del successo e Gnecchi era un nessuno, avversato anche dai suoi colleghi nazionali che mai gli perdonarono la vita agiata e i privilegi. La critica si schierò col tedesco e tra minacce di denuncia e forti prese di posizione fu Gnecchi ad essere accusato di plagio (anche se l’opera era stata scritta 4 anni prima). Soprattutto in Italia Gnecchi venne isolato e una programmata rappresentazione di Cassandra alla Scala fu bloccata proprio per non dispiacere a Strauss. Il compositore fu lasciato solo e nessuno osò difenderlo – nemmeno Toscanini alzò la sua voce autorevole e non fece mai nulla per difendere il suo ex protetto (neppure quando in USA Cassandra venne rappresentata e accusata dalla critica di essere tutta copiata da Elektra) – e così la carriera di Gnecchi finì anzitempo: scrisse ancora musica, ma trovò poco spazio nella sua patria (al contrario conobbe un tardivo successo in Austria e Germania – dove si fece persino un “mea culpa” per le ingiuste accuse di plagio – e presero le sue difese musicisti come Mengelberg, Walter, Prokofev, Gieseking). Lo sconforto per il torto subito e l’ostinato silenzio che lo accompagnò in Italia – interrotto solo da sporadiche proposizioni di alcuni suoi lavori (ma dopo il ’42 il silenzio fu totale) – segnarono gli ultimi anni di vita del compositore che arrivò pure a scrivere ad un giovane Andreotti chiedendo giustizia per la sua Cassandra. L’opera, dopo la morte di Gnecchi nel 1954, verrà ripresa nel ’69 e nel ’75 con grande successo (ancora una volta in teatri tedeschi) e solo nel 2011 rivide la luce in Italia. Questa la storia, ma com’è questa Cassandra? Che rapporti ci sono con l’opera di Strauss? E’ un plagio, una telepatia musicale o qualcosa di diverso? In effetti le suggestioni del testo, la struttura drammatica, l’argomento e l’impianto rimandano al testo di Hofmannsthal (impressionante l’invocazione finale “Oreste” che corre allo stesso momento dell’opera di Strauss, quando Chrysothemis prima che cali il sipario invoca “Orest!”). Ma anche la musica sembra uscire dal medesimo magma tematico – a cominciare dal Prologo in cui compare un tema molto simile al tema di Agamennone straussiano – anche se diversi, innegabilmente, sono gli sviluppi armonici e l’organizzazione della materia musicale. Non si può però parlare di plagio: gli esempi di Tebaldini dicono tutto e niente, inoltre non vi sono vere e proprie citazioni o situazioni sovrapponibili. Certo è che – all’ascolto – il lavoro di Strauss appare collegato a Cassandra, come se l’autore – compositore geniale e al di sopra di ogni sospetto – avesse in qualche modo assorbito certe suggestioni di Gnecchi (in effetti lo spartito poteva essergli noto già da 4 anni) e inconsapevolmente trasfuse nella sua opera. Aldilà dei più o meno reali spunti comuni, tuttavia, i due lavori sono autonomi l’uno dall’altro e non certo confondibili nel linguaggio: se pure Gnecchi si era ispirato alle più moderne evoluzioni europee (e quindi wagneriane), il suo rimaneva sempre un metro che affondava nella stagione del melodramma. Strauss, invece, percorreva già un’altra strada. Non è giusto, dunque, riprendere una polemica che nulla toglie o aggiunge ai due lavori. Resta però la considerazione di un destino amaro per un giovane di talento, venuto a scontrarsi con qualcosa di più grande e che non poteva gestire da solo (e che per questo fu abbandonato dai suoi primi mentori, Ricordi e soprattutto Toscanini in primis, che mai si degnò di spendere una parola per lo sfortunato compositore comasco). Uno scontro che ha compromesso una carriera tutta da immaginare, ma che sarebbe stata verosimilmente diversa rispetto all’ostracismo di cui l’ha gratificato la patria. C’è anche da dire che la storia di questa sfortunata Cassandra smentisce – una volta ancora – tutti i pregiudizi sulla giovane scuola e la riduzione di questa a fenomeno basso e provinciale, buono per gente semplice e votato all’effetto più volgare. Invece Gnecchi (come tanti suoi colleghi, da Alaleona ad Alfano, da Casella a Busoni, Pizzetti, Zandonai, Catalani, Montemezzi e lo stesso Mascagni) cercava nuove vie e nuovi linguaggi per dialogare con la musica europea e donare nuova linfa all’opera italiana che, nella stagione della morte del melodramma, sopravviveva a sé stessa più nella riproposta delle sue passate tradizioni che nella sfida verso il nuovo.
Ps: le uniche testimonianze discografiche dell’opera risalgono agli ultimi dieci anni, si può dunque solo immaginare l’effetto che avrebbe avuto la musica di Gnecchi sotto la bacchetta di Mengelberg e Krips (che pure l’han diretta diverse volte tra il 1910 e il 1928) o quella dei grandi straussiani da Krauss a Reiner, da Walter a Bohm e affidata alle voci che affrontavano Elektra.
Per approfondire: “Telepatia musicale. A proposito dell’Elettra di Richard Strauss” di Giovanni Tebaldini (articolo originale)
Gli ascolti:
Gnecchi: Cassandra – Prologo:
Strauss: Elektra – “Wo bleib Elektra?”
Cassandra – Opera completa
Il Prologo: Nikola Mijailovic
Agamennone: Alberto Cupido
Clitennestra: Denia Mazzola-Gavazzeni
Cassandra: Tea Demurishvili
Egisto: Arnold Kocharyan
Oreste: Pierre Lebon
Una Coèfora: Andzella Kirse
Il Fazioraio del Porto/ Il Navarca: Jean-Marc Ivaldi
Latvian Radio Chorus
Orchestre National de Montpellier Languedoc-Roussillon diretti da Enrique Diemecke
Prologo e Parte Prima:
Parte Seconda:
Bella musica. Nel marzo 1942 l’opera era rappresentata per 2 recite a Roma con una distribuzione non certo di poco conto: Cobelli (Cassandra), Gatti (Clitemnestra), Civil (Agamennone) e Gobbi (Il prologo – Egisto), dir. De Fabritiis, reg. M. Frigerio, cor. Miloss, sc. Cambellotti.
Venne rappresentata a Roma dopo lunghissime trattative, distinguo, precauzioni e restò in scena due sere soltanto. Diciamo che l’opera venne replicata in Italia solo due volte, nel ’13 a Milano (direttore Panizza) e nel ’42 a Roma: per 30 anni essa circolò solo all’estero grazie all’entusiasmo di alcuni direttori come Mengelberg, Krips, Schnéevoigt. E anche le altre sue composizioni non videro luce in Italia: paradossalmente fu l’Austria e Salisburgo (il “regno” di Strauss) ad accogliere la sua musica. Proprio a Salisburgo verrà eseguita la sua opera più ambiziosa, Judith, che ancora attende una riscoperta. L’ostracismo italiano – di cui è responsabile anche Toscanini – si rivelerà anche all’indomani della sua morte quando non una riga venne spese dalla stampa italiana e non una lacrima – se pure di coccodrillo – fu versata da colleghi e satrapi del podio, laddove in Austria la sua scomparsa fu sentita come un lutto nazionale.
Soliti paradossi italici!
Ho potuto assistere a due recite, con i due cast (imponente la Clitennestra della Casolla, ma brava pure Alessandra Rezza) a Catania, quando venne ripresa qualche anno fa.
In effetti alla verifica in teatro, la drammaturgia è un po’ periclitante, poiché la protagonista, Cassandra, in realtà lo è sulla carta più che in scena.
Dove entra solo venti minuti prima della fine e, però, si sfoga con un canto molto impegnativo.
La musica ha indubbiamente un suo grande fascino e trovo che, di fronte a certe proposte di autori stranieri spesso irrilevanti e comunque di scarso interesse, Gnecchi e la sua CASSANDRA meriterebbero un risarcimento postumo.
Rimane un “mistero” tipicamente italiano la mancata ripresa del riuscitissimo spettacolo al Teatro Massimo Bellini di Catania in altri teatri, italiani ed esteri.
Complimenti per il bell’articolo!
Grazie mille! Questo viaggio attraverso il ‘900 italiano è davvero interessante e ci permette di riscoprire titoli ingiustamente dimenticati: a volte si spendono sforzi e impegno per produrre operine di autori del sottobosco rossiniano o donizettiano che durano lo spazio di un paio di sere in festival più o meno estivi che sopravvivono solo grazie al denaro dei contribuenti e si trascurano titoli potenzialmente assai più interessanti. E non solo nel repertorio italiano (di cui Cassandra è un esempio), ma anche di quello straniero: l’Oresteia di Taneyev, ad esempio, è un capolavoro assoluto che giace ignorato nel più completo disinteresse (esiste però una registrazione disponibile solo in digitale dal bellissimo Festival di Bard, diretta da Botstein che consiglio a tutti). Oltre a Cassandra – titolo che merita non solo per la qualità musicale, ma anche per il fascino della querelle musicale con Elektra – mi piacerebbe poter assistere, o ascoltare, almeno una volta nella vita ai famigerati Goti di Gobatti, salutati nell’Italia ottocentesca come musica dell’avvenire (anche da Boito che ne fu entusiasta) e liquidati da Verdi come una porcheria.
Concordo appieno. Cosa siano questi “Goti” di Gobatti credo che molti melomani se lo siano chiesti. Ma ne esiste, per puro caso, qualche brano inciso, magari agli albori del disco?
Quanto ha poi ragione anche il dott. Sonvecchiomarobusto alias Impiccione viaggiatore….
A quando risalre l’ultima “Marta” in suolo italico? Io me ne ricordo di una con Raffanti e la Dessì a Martina Franca negli anni ’80 e non di più recenti. E “Il Guarany” di Gomes? A Torino avevo avuto la possibilità di sentire “L’amore dei tre re” ed “Assassinio nella cattedrale” (che dopo l’esecuzione torinese era ritornata sulle tavole di altri teatri). Io avevo sentito tanti anni fa per radio la “Debora e Giaele” diretta da Gavazzeni, opera interessantissima, che non so da quanti decenni non si dà più. “Ruy Blas” di Marchetti era stato dato non mi ricordo più dove – mi pare con la Theodossiu – alcuni anni fa. Mi pare poi strano (ovviamente solo da un certo punto di vista scenico-registico-pruriginoso, chè dal punto di vista vocale le ragioni della carenza dell’opera sono ovvie) nessun regista à la page abbia mai suggerito di riprendere “Isabeau”, ma forse il look (molto nude-look) dell’eroina eponima, essendo previsto dal libretto, parrebbe loro troppo banale, a fronte delle “ovvie” nudità ficcate a casaccio nei luoghi in cui proprio non ci stanno (quindi, ad esempio, non nel giardino di Klinsor, ma, invece, nel tempio del Graal….).
Continuate con questa meritoria rubrica.
De “I Goti” di Gobatti, purtroppo, non c’è molto: l’opera fu un successo tanto clamoroso quanto passeggero. Suscitò l’entusiasmo di molti intellettuali (tra cui Carducci e Boito) e dell’ambiente musicale più “progressista” che vide nell’opera la via italiana alla musica dell’avvenire. Fu anche al centro di una disputa tra case editrici: Ricordi (legata al tradizionalismo verdiano) e Lucca (che pubblicava Wagner). Verdi ne scrisse malissimo…ma non è certo attendibile. Esiste un cd Bongiovanni (non so più se commercializzato) che riporta alcuni brani – il preludio e alcuni numeri vocali e per coro – ma l’esecuzione è terribile.
Toscanini, sempre lui… ih ih ih
Beh, Toscanini ha condizionato molto – con la propria autorità e prestigio – i destini musicali del ‘900 italiano, insieme a Ricordi naturalmente.
E’ ben altro il mio sogno! Scherzo… ma mi accontenterei, una volta nella vita, di sentire in teatro una “volgarissima” MARTA di Flotow, magari in italiano. Lo so che è un sogno da borghese piccolo piccolo, ma che ci posso fare. 😉
Poi vi sono molti altri autori, pure e in parte stranieri, che vorrei venissero presentati al pubblico italiano almeno una volta. L’ungherese Erkel, il cui capolavoro BAK BAN ho potuto sentire al Teatro dell’Opera di Budapest, il “Rossini inglese” William Balfe, di cui penso di essere se non l’unico uno dei pochi in Italia a conoscere l’esistenza e di cui alla Barcaccia nel 2008 commemorai il bicentenario della nascita con brani della sua SATANELLA. Infine brigai non poco, quando Alfredo Kraus era in vita, affinché Trieste o Palermo lo scritturassero per la DONA FRANCISQUITA Amadeo Vives, mai rappresentata in Italia e capolavoro assoluto tra le zarzuelas. Ci sarebbe anche l’opera MARINA di Arrieta e tante, tante altre.
Sognare, almeno, è bello 😀
Qualche melodia di Balfe, forse, ma molto forse, potrebbe casualmente ed inconsciamente essere nota a qualcuno, solo a causa della “Fanciulla di Boemia” con Stanlio ed Ollio, così come per Auber ed il “Fra’ Diavolo”, altro film di origine melodrammatica della sublime coppia comica (ed un “Fra’ Diavolo” quando lo potremo sentire? Se non erro l’ultimo fu quello scaligero diretto da Campanella con Serra e Sabbatini). Mi ricordo della Satanella in Barcaccia. Spero che il Dott. Sonvecchiomarubusto ci porti altre perle (di qualunque colore….)
Bah, io conosco il Falstaff di Balfe e mi pare un orrore.
un’opera scritta per Giulia Grisi è sempre e solo un capolavoro!
se la canta la Grisi!
Ma cantata dalla Cullagh si rivela per quel che è..
L’ultima MARTA italiana (in tutti i sensi), in effetti, è quella di Martina Franca e io ce l’ho registrata su fortunose cassette.
Altra opera la MIGNON -rimanendo sempre nel mio favorito e melodico orticello di “borghese piccolo piccolo” – mai ripresa dopo le recite al Maggio fiorentino… ho perso il numero degli anni, ma ad occhio erano i primi degli 80.
In occasione della recente BETLY al Sociale di Bergamo, mi sono ricordato che in LP possiedo pure una incisione de LE CHALET di Adam che l’ispirò. Naturalmente, come per la SATANELLA (ma di Balfe ho altre cosucce pescate nei mercatini all’estero), si tratta di esecuzioni il più delle volte modestissime, quasi oratoriali (anzi, togliamo pure il quasi) e di epoca presso ché giurassica. Ma almeno soddisfano la curiosità del melomane.
Una lancia va pure spezzata per le opere greche. Tra tutte REA di Samara con libretto di Illica, per esempio, che pure mi sembra interessante. L’ungherese Erkel, infine, ebbe una produzione copiosa, interessante per l’uso del “verbunkos” il ritmo nazionale che anticipa quello della ciarda: l’aria più famosa di BACK BAN, cantata dal tenore e di facile reperibilità sul Tubo, per gli ungheresi è l’equivalente del coro del NABUCCO per noi italiani.
L’elenco è assai lungo e di certo i direttori artistici, degni di tal titolo e con un po’ di fantasia, avrebbero di ché attingere…
In effetti i lavori di Erkel sono molto interessanti: Bank Ban è sostanzialmente l’opera nazionale ungherese. Ma vi sono pure i lavori teatrali di Smetana e Dvorak che meriterebbero molta attenzione (non solo Rusalka, ma, ad esempio il magnifico Dimitrij, una specie di seguito del Boris Godunov). Ribadisco poi l’assoluta bellezza dell’Oresteia di Taneyev (pare che tra 2015 e 2016 Gergiev la allestirà a San Pietroburgo). E che dire, poi, delle opere di Schubert, Schumann, Mendelsohnn.
Io di Samara vorrei ascoltare La Martire. E approfitto per spezzare una lancia a favore della Fosca di Gomes, a mio avviso molto più interessante del Guarany.
La Cassandra di gnecchi è una opera sempre piacevole da ascoltare.