Allestire il capolavoro di Zandonai è problematico e non solo per le quattro prime parte ossia Francesca ed i fratelli Malatesta, ma per la pletora di comprimari ed un direttore, che tenga le fila dello strumentale ricercato, prezioso ed anche pletorico, previsto per incorniciare la vicenda dei due amanti immortalati da Dante, resi verbosi da D’Annunzio. Per l’Olivero Francesca arrivò, dopo il debutto nel 1940, nel 1959 alla Scala. Il titolo era stato pensato nella stagione 1958-’59, dopo vent’anni di assenza, per la Callas, che, poi, non prese parte a quella stagione (a seguito del diverbio Callas -Ghiringhelli il 7 dicembre la Nilsson debuttò Turandot) il critico del Corriere censurò, sull’altare della Maria, l’Olivero, che non se la prese, almeno ufficialmente, allungò la sua lista di personaggi del ‘900 con un’esecuzione memorabile per la solita, consumata, esemplare varietà di accento, per la facilità con cui controllava la voce sotto il peso dell’ordito orchestrale. Sino alla soglia del secolo di vita la cantante amava proporre il passo “Paolo datemi pace”, compiacendosi della saldezza dell’emissione che le consentiva suoni senza peso e pur penetranti. Ma dall’integrale vanno ammirate la facilità di canto nella massacrante scena della torre e nell’incontro-scontro con Malatestino dall’Occhio e poi la nevrosi, lo slancio del desiderio erotico, che precede l’arrivo di Paolo e la seduzione – voluta e cercata – dove tutto si concreta nel grido soffocato “Smaragdi no”. Le parole non bastano per celebrare il personaggio e la sua realizzazione. Ma un episodio da gossip va raccontato come esempio della personalità della cantante e della capacità di essere Madga Olivero in scena e la signora Busch fuori. La sera della prima i fans, finalmente ricompensati di un titolo in primo cast per la Madga, attesero ansiosi e preoccupati l’arrivo della diva, che arrivò poco prima dell’inizio delle spettacolo a piedi da casa ( da Corso Matteotti n° 8 alla Scala sono cinque minuti scarsi) trafelata perché, prima di uscire, aveva dovuto fare la piega ai pantaloni dello smoking del Busch, che la esigeva fatta dalla moglie. Poi in scena abbigliata come un quadro preraffaellita entrò l’OLIVERO, mentre il marito in platea consumava il lavoro di stiro della moglie.
Il confronto non è con la sontuosa Francesca della Caniglia, forse non più fresca, ma sostenuta da Antonio Guarnieri ed in compagnia di un fresco e baldanzoso Giacinto Prandelli, né con quelle ricercate troppo di due emule della Madga (Kabaiwanska e Scotto), ma con la presunzione di una cosiddetta diseuse: Anna Caterina Antonacci, in concerto come la Madga il giorno dei suoi 99 anni.