I nostri sette anni: il pensiero dei padri (e madri) costituenti

GalliCurciLucia

Oggi questo sito compie 7 anni.
Un tempo passato rapidamente e che ci ha visti crescere costantemente. Non credo che alcun sito d’opera abbia mai subito la messe di attacchi spesso anche calunniosi che “Il Corriere della Grisi” ha subito in questi anni a vario titolo ed in vario modo. Eppure….eppure abbiamo retto, anzi, il successo del sito continua perchè ancora continuiamo a crescere, mentre gli altri, i siti “amici”, scemano pian piano. Questo perché la verità ( del canto ) alla fine emerge anche in un mondo che ha perduto la sua antica ratio del fare. Le nostre ragioni di critica sono ormai evidenti nello stato dell’arte lirica e dei teatri e risiedono tutte nella storia del canto lirico, conservate e tramandate dalla memoria di quello che è stato il passato. Siamo ancora qui perché non ci siamo allineati, non abbiamo servito nessun potente, non ci è interessato sedere ad alcun tavolo per “essere” o “partecipare” del commercio finale che si fa dell’opera lirica come di ogni genere artistico, divorato dal modo moderno e tutto commerciale con si pretende di gestire e praticare l’arte del canto.
Siamo ancora qui per voi dopo 7 anni, senza divorzi o separazioni, intenzionati ad andare ancora avanti e magari ad allargarci ancora.
A voi che ci seguite, amici o ostili, và il nostro grazie perché ci continuate a leggere, a criticare, contribuendo comunque, in modi diversi, a far conoscere ed amare questo mondo meraviglioso che è l’arte del canto lirico.
Agli amici e coautori il mio ringraziamento per il lavoro che continuano a donare generosamente al “Corriere” e, soprattutto, per l’esperienza meravigliosa di vita, di conoscenza e di amicizia profonda che ci lega.
Ancora insieme!
Giulia Grisi

Il nostro blog, divenuto un vero e proprio sito nel 2011, entra oggi nel suo ottavo anno di età. Se il Corriere fosse un essere umano, il 30 settembre del 2007, data dell’articolo di Donzelli sulle Lucie storiche del Met, sarebbe stato il giorno del suo concepimento e oggi quel bambino o quella bambina si troverebbe a muovere i primi passi nel mondo della scuola dell’obbligo. Facile a questo punto proporre un parallelo fra il disastroso stato dell’istruzione del nostro Paese e quello, non meno disastroso, dei suoi teatri. Facile, ma non del tutto errato, perché nell’una come negli altri, salvo sporadici casi (che in quanto tali non costituiscono la norma), domina, imperversa e spadroneggia un’idea di cultura, che sta contribuendo alla definitiva desertificazione della cultura medesima. In entrambi i casi si afferma l’assioma, anzi il dogma, che occorre fare “qualcosa di nuovo”, buttare in soffitta (o peggio ancora, tra i rifiuti) tutto quello che si è fatto fino all’altroieri, fare qualcosa, qualsiasi cosa, purché dia risultati rapidi, non importa se felici o duraturi: basta che siano rapidi e, ovviamente, nuovi. Il teatro d’opera, in particolare, scimmiotta quello di prosa, assegnando ai registi, anzi ai metteur en scène il ruolo che un tempo era dei grandi virtuosi di canto e, dalla fine del diciannovesimo secolo, delle grandi bacchette. Si sostiene il teatro di regia, che quasi invariabilmente è una trita ripetizione di stilemi vecchi di quarant’anni (alla faccia del nuovo) e si insegue l’immaginario televisivo più becero e sensazionalistico, alla ricerca dello scandalo, o meglio del pruriginoso, allo scopo, in apparenza giusto e nobile, di suscitare nuovo interesse nei confronti di quelle che vengono considerate opere polverose, inutili orpelli, espressione di un mondo inesorabilmente tramontato. Peccato che ad attirare i giovani, e i meno giovani, sia sempre e solo la musica, il fascino di testi e armonie remote, non certo i deliri del cialtrone di turno e men che meno l’imitazione, da parte di certi cantanti, degli aspetti più banali della musica pop. Il Corriere non pretende certo di avere l’esclusiva o il monopolio di questo modo di sentire: tanti messaggi, testimonianze, cronache ci indicano che il pubblico (quello vero, che non si fa condizionare dai proclami delle centrali del consenso) sa con chiarezza quali siano le ragioni per cui continua, nonostante tutto, ad andare a teatro, ad affollare le sale da concerto, ad acquistare dischi (magari riversamenti di polverosi cimeli a 78 giri, mentre i cofanetti dei divi di plastica riposano, giustamente, nei cestoni del supermercato in offerta 3×2, prendi 2 paghi 1) e a scambiarsi registrazioni amatoriali. A tutti questi autentici innamorati della musica, che siano o no tra i nostri lettori, voglio dedicare un ascolto, che indirettamente omaggia la natura multiculturale e plurilinguistica del nostro piccolo gioco telematico: il brano di un oratorio inglese, scritto da un compositore tedesco, eseguito in italiano da una cantante austro-croata, italiana per matrimonio e gusto musicale.

Antonio Tamburini

Haendel – Joshua

Atto III

Oh had I Jubal’s lyre – Sena Jurinac (dir. Vittorio Gui – 1952)

Bel problema celebrare i sette anni dopo Tamburini, che ha detto tutto o quasi del pensiero e della -consentite la parola grossa- filosofia della Grisi e del suo giornale virtuale. Giornale virtuale che sembra attentare ogni giorno all’ordine precostituito, che i teatri del gran giro, la stampa loro ciecamente prona, gli agenti che gli forniscono materiale umano da palcoscenico (che se sapesse cantare su quelle tavole ci starebbe almeno vent’anni e non un biennio). A tutte queste storielle e contumelie annesse, proprio perché strumentali ad una situazione fallimentare non credo e vorrei soprattutto non credesse il pubblico o smettesse di credere. E per smettere di credere deve ascoltare, ascoltare ascoltare. Temo cose se non polverose almeno sedimentate da un trentennio. Ma la felicità per questi sette anni, alla faccia di quelli che dando di gomito indicano “quello è Donzelli” ai quali voglio rispondere “come fai, dato l’ingombro del Donzelli a non vederlo, pirla!” e con un fraterno pensiero a quelli che stanno e staranno in quarantena nel cestino dei commenti  non riguarda questa pretesa lotta mai voluta,  che, nostro malgrado,  ci ha “fruttato”  articolo giornali, servizi televisivi (sia pure sui canali locali), email da parte di direttori di teatro non ancora incarica e già pronti ad un finto dialogo, prontamente respinto al mittente. La felicità ed il piacere di questa avventura sono la possibilità quotidiana di ascoltare, con orecchie nuove, con prospettive e confronti  ulteriori rispetto al passato l’opera alla possibilità di “ampliare il repertorio” di ascoltatore con la conoscenza o di nuovi titoli o di esecutori, che magari erano, sino a poco fa, un nome od un’unica registrazione. Operazioni, forse, che partono dal cervello e dallo studio e non dalla semplice emozione, ma che alla fine raffinano l’emozione medesima. Tralascio che tutto questo sul piano pratico del sito garantisce idee di pezzi per almeno un altro settennato, ben lontano  da qualunque  colle.

L’ascolto è grisesco al massimo grado il duetto del Belisario, ma in tedesco e non quale duetto del Belisario, ma quale numero alternativo della sfida di Lucia.

Domenico Donzelli

Donizetti – Belisario

Atto I

Quando di sangue tinto – Fritz Krauss e Carl Renner (1922)

Era il 30 novembre 2007. Arrivai a Bergamo a metà pomeriggio per godermi un po’ di quella fredda sera autunnale, tra le antiche ed eleganti strade della città di Donizetti. Da lì a poche ore avrei assistito alla prima di Lucrezia Borgia nell’ambito del festival dedicato al genius loci. Ma più che alle “prodezze” della Theodossiu ero interessato all’incontro con quelle che sino ad allora erano solo “voci”: non le voci dei grandi cantanti del passato che già impersonavamo nei due mesi di vita del vecchio blog, ma le voci di uomini in carne ed ossa che sino a quella sera bergamasca avevo conosciuto solo attraverso il telefono. E così, davanti ad una bevanda calda o ad un bicchiere di vino – non ricordo esattamente il genere di conforto – quello che all’inizio sembrava un gioco o uno scherzo si è trasformato in una splendida avventura. Un’avventura fatta di musica, di arte, di curiosità, di scoperta, ma anche di amicizia e comune sentire (che non significa “uniformità di pensiero” – come molti ancora si ostinano a non capire – ma rispetto per le diversità d’opinione e libertà completa di esprimerle…e naturalmente altrettanta libertà nel contestarle: perché si può discutere solo scambiandosi conoscenze e diversi giudizi, non interpretando linee di condotta o impostazioni ideologiche). In sette anni sono accadute tante cose e credo di interpretare il pensiero comune se dico che tutti noi siamo cresciuti e tutti abbiamo imparato qualcosa. In questa avventura che è il Corriere della Grisi hanno trovato spazio anime differenti in qualche modo allontanate da altre piattaforme virtuali o provenienti da diverse storie personali e d’ascolto (io stesso ho avuto una formazione più che altro sinfonica), ma che insieme hanno costruito una risorsa preziosa aldilà dello stereotipo di chi giudica senza conoscerci. Credo che questo sia il vero punto di forza: non smettere mai di discutere e discutersi, senza prenderci troppo sul serio e senza pretendere di essere filosofi o esegeti. Da quel 30 novembre in fondo non è cambiato molto: siamo ancora quelli di allora…e rimarremo così per molto tempo.

Gilbert-Louis Duprez

Gaetano Donizetti – Lucrezia Borgia: “Tranquillo ei posa…com’è bello” (Maria Callas)

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21 pensieri su “I nostri sette anni: il pensiero dei padri (e madri) costituenti

  1. Continuate così. E’ così bello leggere ogni tanto qualcosa di “politicamente scorretto”, per uno come me che il “politically correct” lo odia come la peste bubbonica o le coliche renali!
    Ed ecco un piccolo (noto) assaggio di un grandissimo cantante che era davvero il meno politicamente corretto di tutti e non le mandava certo a dire, anche perchè lui, poteva permettersi di farlo e di dar lezione a tutti gli altri:
    http://www.youtube.com/watch?v=O0lgOXVc9k0
    Intanto, desidero offrire qualche piccolo elemento di discussione, traendolo dalla presentazione della nuova stagione scaligera che mi è giunta via email.
    a) “Lucio Silla, l’opera milanese di Mozart, segna il debutto scaligero di Marc Minkowski e il primo tentativo di “filologia registica” alla Scala, firmato da Marshall Pynkoski”
    Cosa si intende per “filologia registica” per il “Lucio Silla”? Mah? Sicuramente per l’opera giovanile mozartiana non so che tipo di filologia vocale si potrebbe tirar fuori dato che il protagonista annunciato è il Villazon, che non mi pare proprio il tipo del tenore da opera seria settecentesca. A meno che alla Scala non abbiano idee di filologia veramente spinte e desiderino veramente dare l’idea dello spettacolo del 1772, il cui protagonista Bassano Morgnoni, cantore da chiesa di Lodi riciclato nelle vesti di Silla al posto del più valido Arcangelo Cortoni, ammalato – come è noto – era risultato un protagonista debole e fischiato.
    b) “La prossima stagione è anche l’occasione per riavvicinarsi con nuovo interesse alla musica d’oggi: un classico del ‘900 come Die Soldaten di Bernd Alois Zimmermann prelude a due prime assolute: CO2 di Giorgio Battistelli, opera sui temi ecologici di per Expo 2015 già attesissima anche per lo spettacolo di Robert Carsen, e Fin de partie, approdo operistico di György Kurtág”
    Come possa un’opera essere “già attesissima anche per lo spettacolo di Robert Carsen” quando manco si sa che opera sia (trattandosi di una prima assoluta) e manco si sa che tipo di spettacolo ci sarà, lo sanno solo le grandi menti scaligere. Ma “vide supra” quanto ha scritto Tamburini….
    c) “Tornano le grandi voci: tra gli altri Jonas Kaufmann e Elīna Garanča in Cavalleria Rusticana, Klaus Florian Vogt e Anja Kampe in Fidelio, Francesco Meli e ancora la Garanča nella Carmen di Emma Dante”. Grandi voci? Mah? In ogni caso, ma Vogt non aveva una voce che era – come volume – un quinto non dico di Del Monaco o Corelli, ma di Alva, che, però cantava Paolino e non Florestano o Lohengrin… Al confronto di Vogt Florez è un Filippeschi. E l’accento di Vogt in Wagner, che roba! E falsettacci e tutto il resto, da far dire: perchè, a suo tempo, criticavamo Hofmann, Goldberg e Koenig in Wagner? E di questo che dovremmo dire? E poi Carmen non era DI Bizet, mica DI Emma Dante? peraltro, poco prima leggiamo
    “dell’applauditissimo Falstaff di Robert Carsen”…. mica DI Giuseppe Verdi….. anche qui “vide supra”….
    d) E ricordiamolo: “Il mondo della grande musica quest’anno si ritrova alla Scala, il teatro dei milanesi. Ti aspettiamo!”
    AUGURI!

  2. Cari ed illustri amici,
    vi seguo praticamente fin dall’ inizio. Non sempre mi sono trovato pienamente concorde con i vostri giudizi e le vostre considerazioni; ma ne ho sempre tratto materia di riflessione e molto spesso arricchimento culturale ed estetico, per non parlare degli impagabili approfondimenti storici e tecnici con i quali arricchite i vostri interventi. Siete a volte molto recisi, quasi crudeli : ma se il sale non brucia e non disinfetta, a cosa serve ? Mi piace anche riconoscere che siete veramente “ vergin di servo encomio – e di codardo oltraggio”. Grazie di cuore, e ad multos annos.
    Ernani

  3. Grazie di cuore per il vostro impagabile lavoro, da cui si percepisce davvero tutta la vostra passione. Ho conosciuto questo sito poco più di un anno fa e adesso non passa giorno che non ci dia un’occhiata, tanto qualcosa di interessante si trova sempre. Ancora grazie!

  4. Un pensiero grato a Voi tutti che siete di volta in volta il mio Virgilio nell’avventurosa esplorazione del mondo del belcanto. Un viaggio che mi auguro ancora lungo, ricco di sorprese e sempre in vostra compagnia!

  5. Grazie per la vostra competenza, la vostra passione, il vostro lavoro e tutti gli stimoli e informazioni che ci regalate ogni volta. Continuate così, in barba a tutti i Giudici…. Auguri per tanti e tanti anni ancora di ricerche e confronti

  6. Diamine, facendo i conti, sono 4 anni che vi leggo! Eravate ancora un blog. Grazie per il lavoro che fate, credo impegnativo (a meno di non essere grafomani), e certamente utile. Anche se a volte i frutti non si vedono, le parole non cadono mai del tutto invano. Siete un punto di riferimento per chi, come me, pur amando l’Opera, si è stancato di andare a teatro per soffrire. Un “bravo!” a Tamburini, che ha detto tutto alla perfezione: un pezzo da incorniciare.
    Infine, una critica: qualche refuso in meno e sarebbe tutto perfetto.

    • Yes, what happened to the Glossario di Mancini…? I am looking forward to new posts (specially the one I kindly requested about “voce piccola, alta, raccolta”, a subject that has been touched upon in the past in this site.

  7. Tanti auguri! Ricordo che lessi la prima volta il “Corriere” nel dicembre 2008, al tempo di magnifici articoli sul “Don Carlo(s)”. Ero alle superiori e da allora questo è diventato uno dei rarissimi appuntamenti internettiani fissi, per me: in virtù naturalmente di una specificità che non è banalmente l’assenza di “politically correct”, bensì la rara virtù di parlare di musica con competenza, senza ridurre la critica a una sfilza di aggettivi vani e risaputi (come è in ogni sede, cartacea e virtuale, di critica musicale).
    L’attenzione meticolosa alle ragioni del canto, per parziale possa risultare, si è comunque imposta attraverso questi anni di articoli e recensioni come qualcosa, se non da far proprio, quantomeno di cui tener conto: sì che anche senza essere dei Grisini duri e puri si può sempre avvicinarsi al “Corriere” certi di trovare indicazioni preziose. Fahret fort!

  8. Fortuna che ci siete voi! Anche se non ho sempre molto tempo ogni giorno mi collego per vedere se c’è qualche novità e finisco sempre per imparare qualcosa :) Continuate così e non trascurate le vostre bellissime rubriche. Ricordo, ad esempio, che tempo addietro avevate scritto un articolo su Mozart consigli per li ascolti e, secondo me sarebbe interessante la riprendeste anche per altri autori. Aggiungo inopportunamente che spero che riprendiate a scrivere estensivamente su Rossini, Semiramide e sulle altre sue composizioni perché da rossiniano sfegatato trovo non sia mai abbastanza XD

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