Con la scomparsa di Christopher Hogwood – che si è spento ieri nella sua casa di Cambridge – questo 2014 si conferma un annus horribilis per i direttori d’orchestra: segno del passaggio inesorabile del tempo, del ricambio generazionale e dell’amara constatazione che si invecchia. Difficile ricordare in poche righe Hogwood, direttore che ha segnato una generazione e pioniere di quella riscoperta della musica barocca che ha inaugurato un nuovo modo di intendere ed eseguire certo repertorio. Christopher Hogwood, infatti, fu tra i primi a interessarsi a problematiche musicologiche e di prassi esecutiva applicate alla musica barocca. Lo fece, però, con spirito e approccio molto diverso da quello dei più o meno coevi Harnoncourt e Gardiner, in termini di una maggiore libertà e senza esaurire il momento musicale nella mera ricerca filologica. Allievo di Raymond Leppard (a cui si devono i primi approcci alla musica antica, pur con risultati controversi e atteggiamento eterodosso) si perfezionò successivamente – in direzione d’orchestra e clavicembalo – con Gustav Leonhardt e nel 1967 fondò l’Early Music Consort of London, complesso dedicato alla riscoperta delle antiche tradizioni musicali anglosassoni tra medioevo e rinascimento. E’ del 1973, però, il vero punto di svolta con la fondazione – o meglio rifondazione, poiché riportò in vita un’antica associazione musicale che già nel ‘700, sotto la guida di Bononcini, Haym, Senesino, Tosi, Geminiani, si proponeva la riscoperta di repertori antichi – della Academy of Ancient Music. L’orchestra (poi affiancata da una controparte corale) fu tra le prime compagini ad utilizzare strumenti antichi ed a studiare la prassi esecutiva, proponendo una nuova visione di un repertorio piuttosto vasto, ma concentrato principalmente tra XVIII e XIX secolo. Carattere distintivo dell’approccio di Hogwood e della sua orchestra è la sobrietà, la compostezza e la serietà nel far musica, unendo mirabilmente filologia, spettacolarità e piacere d’ascolto (quel “bel suono” che taluni suoi colleghi hanno programmaticamente rifiutato come portato di degenerazioni romantiche e quell’equilibrio agogico e strumentale che spesso si è tralasciato nel mare magnum di epigoni e successori a favore di quella strana forma di strappi e ritmiche martellanti del cosiddetto “ba-rock”). La ricerca della compostezza e dell’asciuttezza formale (che non diviene mai aridità) accompagnati da un certo edonismo timbrico e da un’elegante morbidezza e delicatezza, fanno del complesso di Hogwood una macchina musicale precisa e ricca che non lascia indifferente l’ascoltatore. Tante sono le grandi realizzazioni che occupano e continueranno a occupare posti di grande rilievo nella storia del disco a partire dalla grande incompiuta, ossia l’incisione dell’intero corpus sinfonico di Haydn secondo inediti criteri filologici e tenendo conto di versioni alternative, revisioni, riscritture: il progetto iniziato nell’83 e fermatosi 12 anni dopo (probabilmente per il disinteresse di casa DECCA), si è arenato alle prime 75 sinfonie ad alcune londinesi (94, 96 e 100) e alle concertanti 107 e 108, mancando il completamento del ciclo con tutto l’apparato di versioni differenti e varianti. Portò invece a termine una fondamentale edizione delle sinfonie mozartiane (tra il ’79 e l’85) che fu la prima a proporre accanto al novero di quelle ufficiali, tutte le varianti, i frammenti, le successive revisioni arricchito delle ultime scoperte filologiche. L’interesse di Hogwood spaziò da Vivaldi a Händel (di cui mi piace ricordare l’oratorio Athalia con una Sutherland non più freschissima, ma capace di rimettersi in gioco nell’avventura di unire il suo alto magistero ad un approccio esecutivo totalmente nuovo), da Bach a Purcell, dei quali incise tutte le opere principali in edizioni che ancora costituiscono un importante riferimento. Fu attivo anche come clavicembalista (Arne, Byrd, Bach, Couperin). Anche se Hogwood si è principalmente rivolto all’esecuzione del repertorio barocco è da ricordare il notevole ciclo sinfonico beethoveniano, tra i primi, negli anni ’80, a proporre una visione differente dell’opera del compositore, attraverso l’esperienza sinfonica haydniana (si aggiunse, nell’87, anche l’integrale dei concerti per pianoforte, tra i primi ad impiegare il fortepiano d’epoca). A differenza di molti suoi colleghi Hogwood affrontò con assiduità, nella sua carriera, anche il repertorio operistico (Mozart, Purcell e Händel) di cui vanno almeno ricordati La clemenza di Tito e Die Entführung aus dem Serail nella prima esecuzione completa di “Marten aller Arten” nonché del ritrovato n. 5a. Accanto all’attività musicale Hogwood ha coltivato la carriera accademica, che l’ha portato a prestigiosi incarichi di docenza alla Royal Academy of Music, all’Università di Cambridge e al King’s College di Londra. Fondamentale, poi, il suo lavoro filologico come curatore dell’edizione critica delle sinfonie e ouvertures di Mendelssohn, della musica da camera di Brahms e di molti lavori di Haydn, Händel, Corelli e Vivaldi (tutti pubblicati da Bärenreiter). Un grande musicista la cui scomparsa lascia un vuoto. E il ricordo del suo unico rapporto con la Scala: Dido and Aeneas nel 2006.
Haydn: Sinfonia degli addii
Una grave perdita. Ricordo di aver sentito una sua bella direzione del Don Giovanni al Regio di Torino nel 2013 (mi era stato detto che anche l’orchestra aveva molto apprezzato tale direzione). Ricordo, poi, un memorabile concerto tenuto, anni fa, con la sua Academy a ranghi ridotti (Hogwood aveva l’intelligenza di sapere che un orchestra barocca poteva avere, se del caso, 10 o 60 o 100 musicisti e, quindi, non proponeva – come altri – sempre e solo compagini orchestrali stentarelle dal suono stridulo, sminuzzato e flebile) nella chiesa parrochiale del piccolo paese biellese di Magnano (poco più di 200 abitanti), sulla cima della colline morenica della Serra, fra Biella ed Ivrea. Qui, da molti anni si tiene, in estate, un festival di musica antica (forse noto più all’estero che in Italia), con corsi per giovani strumentisti, e quell’anno il grande avvenimento era stato la presenza di Hogwood e dei suoi musicisti. Inoltre Hogwood tornava spesso a Magnano perchè era stato il cofondatore del centro internazionale di studi sul clavicordo, che qui teneva le sue sessioni a scadenza biennale, con tanto di pubblicazione degli atti.
In quell’occasione la chiesa e l’antistante sagrato erano pieni a dismisura, il paese aveva almeno quadruplicato o quintuplicato i dimoranti. Si vedeva in Hogwood e nei musicisti dell’Academy un vero piacere nel fare musica ed il suono non era affatto secco e gracchiante.
Concordo quindi, per tale esperienza diretta, con quanto scrive Duprez. Recentemente il maestro aveva diretto anche l’Orchestra RAI di Torino e mi pare avesse ancora in progetto dei concerti in futuro, Purtroppo il fato ha voluto altrimenti.
Purtroppo, la notizia non mi ha colto di sorpresa. Hogwood infatti aveva disdetto il concerto che avrebbe dovuto tenere qui a Stuttgart con la Junge Deutsche Philharmonie, tre settimane fa. È stato sostituito, pensate un po’, da Sir Neville Marriner, ancora incredibilmente pieno di energia a 90 anni suonati! Perdiamo un altro grande musicista, davvero un annus horribilis questo…