Quanto Giacomo Lauri Volpi scriveva in “Voci parallele” che talune cantanti in Italia fra il 1935 ed il 1950 si erano dovute accontentare delle briciole della voce sovrana, pur essendole di gran lunga superiori, alludeva quanto a voce sovrana a Maria Caniglia e quanto alle sfortunate a Maria Pedrini e Gabriella Gatti. Non credo mettesse nel novero delle costrette agli avanzi Adriana Guerrini. Eppure il soprano fiorentino, nata nel 1907, cominciò la propria carriera negli anni ’30 in teatri di provincia e divenne cantante di riferimento e presente in tutti i maggiori teatri italiani alla fine del secondo conflitto mondiale. Cantò sino alla fine degli anni ’50 e forse famosa e celebre non lo divenne mai ad onta di una carriera, che -ripeto-. toccò i maggior teatri italiani e stranieri (Spagna, Portogallo Sud America), presentò collaborazioni con direttori illustri direttori e famosi colleghi. La voce era, per usare un’espressione gergale “di quelle dei soprani di una volta” ossia grande ed opulenta anche dolce e morbida, spaziava dai titoli del soprano lirico puro come Manon di Massenet alle opere del soprano spinto Tosca, Manon Lescaut sino a quelle che erano allora ritenute da soprano drammatico ossia il tardo Verdi. Nonostante la complessione fisica fosse pari alla voce fu ritenuta una specialista di Traviata. D’altra parte la stessa Callas, prima di diventare la versione scaligera di Alida Valli per opera di Visconti, era una Violetta votata a morte non già per etisia, ma, più realisticamente, per iperglicemia.
La voce di Adriana Guerrini aveva un punto di superiorità su tutte le coeve ossia acuti facili, squillanti timbrati e penetranti. In questo superava sia la voce sovrana, che cantanti di poco successive come la Mancini o la Barbato o anche la stessa Fineschi.
Spesso, ad onta del fisico (un melomane d’origine pisana diceva, che nei panni di Violetta al Verdi di Pisa, occupava da sola il palcoscenico) cantò Tosca. Nel “vissi d’arte” la Guerrini mostra i propri pregi ovvero una strabiliante facilità negli acuti ed una ragguardevole duttilità nella voce. Mi riferisco all’esecuzione della chiusa della prima sezione con leggero rallentando su “fiori agli altar” e soprattutto la chiusa dove la tradizionale smorzatura sul la bem (dopo un si bem amplissimo e penetrante) è eseguita in maniera egregia. Egregia la discesa alla zona grave dove, complice anche la natura di preghiera della pagina (in realtà le querimonie di Tosca al Padre Eterno) la cantante è composta e contenuta e poi abbiamo la dizione elegante, scolpita, sempre attenta al senso delle singole parole, con tanto di “e” fiorentine, quindi attente alla quantità, che trasportano la vicenda dal Tevere all’Arno. Se dobbiamo trovare un difetto, derivato credo dal desiderio -legittimo e piuttosto scontato in voci di quel genere- di esibire lo splendore della voce in zona centrali e dell’abitudine del tempo di non “coprire” perfettamente le note che precedevano il passaggio superiore lo rileviamo in certi “i” come gioIelli, astrI e bellI, che cadono appunto in quella zona della voce.
Kristine Opolais propone, invece, un modello ben differente di cantante e di canto. Non già perché copra a meraviglia il do4 o il re4, ma perchè è, secondo i canoni attuali (che non sono quelli del 1800 e neppure quelli di Puccini, cui forse era assai più prossima la Guerrini) “gnocca” ed attrice. Poi al pubblico che si lasci spalpazzare la parte alta della cosce in zona culo per rendere realistica la seduzione di Scarpia importa relativamente poco per molteplici e validi motivi. E quindi resta il canto. Ossia non resta nulla. Kristine Opolais canta con la cosiddetta “patata in bocca” che è il metodo con cui chi non sa respirare, sostenere e quindi articolare crede di immascherare ed oscurare il suono. Risultato uno spappolato ed inarticolato suono, nessuna dinamica, nessuna attenzione alla parola, scarso senso del legato, perché senza sostegno non si articola, non si lega e non si riesce a dare senso ai vari concetti che nella propria lamentela Tosca enuncia. Ovvio che nei tre punti topici ovvero il “quante miserie conobbi aiutai” la cantante urli e la voice sembri una lamiera in spregio dell’indicazione di Puccini “poco allargando con anima”, che i “fiori agli altar” non si capiscono le parole e più ancora la bigotta fede di Tosca e arrivati alla chiusa la voce comincia ad esibire tensione al primo “perché” che è un re come se la gola fosse chiusa poi arriva un acuto urlato e per cercare di eseguire la smorzatura di tradizione la cantante emette un suono ingolato ed è costretta ad una presa di fiato abusiva perché la bella signora ignora il principio che più si canta piano più si deve sostenere.
Morale: Adriana Guerrini era una buona cantante, una professionista solida in un’epoca in cui per poter reggere pubblico e concorrenza non si poteva essere differenti, non era una interprete travolgente, pur attenendosi, in Tosca come in tutte le registrazioni che ne testimoniano l’esperienza artistica, ad idee interpretative consolidate e condivise, non avrebbe mai potuto e per il fisico e per la morale dell’epoca in cui calcò il palcoscenico permettersi le pagliacciate della Opolais ( e quelle di questa Tosca ateniese nulla sono al confronto di quelle della recente e ben più scalcagnata sotto il profilo vocale Manon londinese) eppure la cantante fiorentina è Tosca, un po’ bigotta, un po’ (molto) sprovveduta e, secondo la mentalità pucciniana, molto più donna della scosciata Kristine. Il tutto perché non dobbiamo dimenticare che: l’opera si canta!
Quanto scritto da Donzelli mi pare del tutto condivisibile. La Guerrini non è troppo fantasiosa o particolarmente personale, ma canta come si deve: avercene oggi di Tosche così!
Quanto alla Opolais…. si potrebbe parafrasare l’aneddoto di quel docente universitario che di fronte al disastroso esame di una studentessa dotata più di doti fisiche che intellettuali commetanva: abbiamo visto tanto ma sentito poco….
(incidentalmente, in ogni caso in altre Tosche si è anche visto ben di più, cfr. http://www.youtube.com/watch?v=rnaCkpDjPCY,)
Tremenda. Ma il baritono che è con lei è persino peggiore; non ho mai sentito un simile orribile osceno ridicolo spaventoso “là si dirzza un patibolo” fatto in parte con un falsettino da cantante sfiatato da opera buffa in parte con un urlaccio, quasi come se fosse l’effetto del fatto che Tosca, per evitare i suoi toccamenti, gli avesse stretto con forza “certe ghiandole”… Orribile. Per non parlare dei “Mia, mia”. E c’era chi diceva che accusava Gobbi di essere truculento! Al confronto il grande Tito era più algido e composto di un vocalista inglese da oratorio…. La messa in scena mi pare poi una ricopiatura in peggio di quella fiorentina di Miller degli anni ’80… anche qui sai che novità!
Noto con piacere che su you tube un ascoltatore ha commentato siffatto video con un bel “Simply horrendous! Vocally and scenically”.
Per la serie “Come non si dovrebbe cantare Tosca” desidero proporre questa Tosca monacense con Mattila, Kaufmann e Uusitalo: http://www.youtube.com/watch?v=lde9CvSRYnM
Io non sono riuscito a sentirla, essendomi limitato a piccolissimi pezzi, a tutela dell’integrità del mio apparato uditivo e del mio sistema nervoso.
Invito i frequantatori di questo sito a cercare di dare una risposta alla domanda: chi di tutti i cantanti (protagonisti e compriamri) canta peggio? E’ difficile, dato lo scempio perpetrato ai danni di Puccini. Io non amo affatto Kaufmann (anzi…), ma qui mi pareva il meno peggio di tutti (e ciò è tutto dire!!!). La Mattila, scenicamente e vocalmente imbarazzante, è indescrivibile, sembra la caricatura di Michael Aspinall quando faceva la caricatura di Tosca. Per il baritono non si può nemmeno parlare di scuola del muggito, sarebbe fargli un complimento. Taciamo dell’orrido allestimento di Bondy…
Sono curioso di conoscere il pensiero di chi – coraggioso – osi affrontare siffatto ascolto.
Sembra anche a me, da quel poco che si sente, che il baritono (chi e’ costui ?) sia peggiore, e la frase “la’, si drizza un patibolo”, come dice Don Carlo, balza tristemente all’evidenza.
Detto questo, simili comportamenti vocali non sono purtroppo per niente un caso isolato: rimanendo allo stesso ruolo e senza andare troppo lontano nel tempo, alcuni mesi fa, Scarpia, interpretato da Marco Vratogna, faceva irruzione in chiesa completamente ubriaco (abbondante vin di Spagna anche a colazione, evidentemente): non si spiega altrimenti il modo di eseguire “un tal baccano in chiesa ?” in quell’occasione.
Ma piu’ indietro nel tempo, anche fra i cantanti celebri, sentite un po, nell’integrale DECCA ’78 di Rescigno, cosa ci regala Milnes alla frase “la Regina farebbe grazia ad un cadavere”, segnatamente alla parola “cadavere”: al confronto il baritono di questo filmato e’ un fine dicitore.
In ogni caso questa Tosca volutamente comica è migliore:
https://www.youtube.com/watch?v=n2G3OZR3O-c
Almeno qui si ride e non si piange!
Caro Dottore in utroque, piacevole il video della Beller Carbone che, per usare un francesismo, è davvero una gran bella patata (in reggiseno e reggicalze è davvero spettacolare). Sullla parte cantata (e sulle direzioni…mio Dio…e dire che Ossonce mi sembrava un eccellente direttore del repertorio francese) è meglio tacere, anche se, onestamente, i baritoni mi sembrano addirittura peggiori. Sugli allestimenti…va beh…ammetto che il senso della Tosca nazionalsocialista mi sfugge completamente. Ma sarò io che non riesco ad arrivarci.