Dopo Pavarotti, non potevamo mancare di commemorare Alfredo Kraus nel giorno del quindicesimo anniversario della morte. Cantante per diversi aspetti antitetico rispetto al collega modenese, per tecnica, voce (entrambi contraltini quanto ad estensione, ma di diversissima grana vocale), ma soprattutto per il modo di gestire la propria carriera, professione ed arte, che nello spagnolo non scese mai ad abominevoli compromessi pop o a carnevalate che della lirica sono state la tomba quali i concerti dei tre tenori. Non fu un cantante per le masse, ma solo per l’arte. La rivincita sui più famosi e popolari colleghi se la prendeva cantando ancora in tono, sfoggiando do e do# adamantini all’età di sessant’anni suonati e oltre, oltre ad un legato di gran classe, arie che gli altri dovevano abbassare già all’età di quaranta. Un modello di longevità, serietà e rispetto per la propria arte, cui ogni degno melomane oggi deve solo ammirazione e gratitudine.
4 pensieri su “Alfredo Kraus, un ricordo a tre lustri dalla scomparsa”
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“Io voglio essere capito da chi capisce. Una popolarità a livello di massa non mi interessa neanche. Preferisco un valore reale che un valore alla portata di tutti ma che non significa niente”. (da un’ intervista concessa a Stephen Hastings, Alfredo Kraus, in Musica, a. X, n. 40)
No se debería permitir que algunos cantantes engañaran al público mostrando en un disco lo que no son capaces de hacer en directo… un cantante debe mostrar sus cualidades sobre el escenario… frente al público… sin trucos… en mi caso, además, la frialdad que tiene el micrófono no me atrae… mi timbre es difícil para el micrófono… preciso el espacio natural entorno a mí… ¿tienes dominio del “fiato”, de los “agudos”, o de la “messa di voce”?… muéstraselo al público siempre, pero sobretodo a quien está frente a ti esperando recibirlo… aunque vaya contra nuestros intereses, prefiero incluso las grabaciones particulares realizadas durante una representación… ahí no existen trucos, sólo el artista frente a su público.» (Alfredo Kraus, da un’ intervista pubblicata sul Parador de Nerja, 1996)
In questi due estratti da interviste credo sia racchiuso il vero significato dell’ arte di Alfredo Kraus
Concordo al mille per cento !
Grandissimo artista e musicista e molto opportuno il parallelismo con Luciano Pavarotti (per la triste concomitanza delle rispettive dipartite). Cantanti diversissimi – pur nel medesimo registro di tenore contraltino – che rivelano due approcci differenti al repertorio interpretato. Tralascio naturalmente le carnevalate dell’ultimo Pavarotti (ma gli concedo l’attenuante del fine benefico e la considerazione per cui trovo – alla fine – assai più dignitoso capire di non poter più affrontare il palco d’un teatro e togliersi, dunque, sfizi e passioni senza pretese diverse dal puro divertimento, piuttosto che rendersi ridicoli in una immaginaria seconda vita baritonale per celebrare un tramonto squallido e artisticamente disdicevole con la pretesa di far musica e la connivenza di critici ignoranti, furbi maneggioni e pubblici lobotomizzati) per ripensare a quel miracolo che era la sua voce. Ascoltavo proprio oggi le rispettive esecuzioni di “Ah! Fuyez douce image” dalla Manon di Massenet: Pavarotti nel live milanese del 1969, in italiano e diretto dal grandissimo Maag; Kraus nel 1967. Nel primo caso l’argento della voce si scalda di passione mediterranea (avvicinando come nessun altro Massenet a Puccini) e nel finale ascoltiamo un vero miracolo (con una messa di voce esemplare dopo un attacco in pianissimo, nel secondo il fraseggio impeccabile ed elegantissimo raffreddano sì la passione, ma tingono di malinconia il brano levando ogni puccinismo.
Non sembra nemmeno vero che siano trascorsi già 15 anni dalla scomparsa di Kraus. Io ho ancora vivo nella memoria, come se fosse cosa recente, il suo concerto a Torino nel 1994 (la prima ed unica volta che ebbi la fortuna di sentirlo dal vivo). Teatro Regio pieno all’inverosimile, pubblico in delirio, un verto “tifo” da curva del pubblico, con scene da stadio (in senso positivo, ovvio!), successo inverosimile. Il “giovanotto” sessantasettenne aveva iniziato (a voce più o meno fredda!!!!) con “Tombe degli avi miei” (assolutamente da manuale), per poi passare a Bohème, Romeo e Giulietta, Werther ed altro, per concludere, come bis, con una splendida “La donna è mobile”. Il pubblico era in estasi, non so per quanto fossero durati gli applausi, con incessanti grida di “ritorna presto”.
Desidero poi notare come io concordi in pieno con quanto scritto da Duprez, sia in relazione al paragone Pavarotti- Kraus, si ain relazione alla differenza sostanziale fra il cantare canzonette quando non si è più in grado di cantare bene l’opera (evitando di farsi ridere dietro nei teatri lirici e, soprattutto, evitando di far del male ai poveri verdi, Puccini e Donizetti) o l’ostinarsi a cantare parti onerossissime di Verdi, previo pseudo modifica nominale del registro vocale. Nel caso di Domingo non mi pare si possa fare un paragone con i cantanti che hanno fatto un vero cambio di registro nel corso della loro carriera (Melchior, Bergonzi, Bastianini, Vinay, Zanelli-Morales etc.), perchè lui è sempre lo stesso, senza più acuti (mai stati, peraltro, il suo punto forte), senza che abbia un vero timbro baritonale; del vecchio Domingo tenore non ci sono più i pregi, ma sono rimasti solo i difetti.