Ben lontana dalla perfeziona formale di molte altre esecuzioni rossiniane proposte in questo mese, che volge al termine, questa del Turco sotto la guida di Peter Maag. Non perfetta per la qualità dell’orchestra, quella del Margherita di Genova (chi ha almeno la mia età ricorda quella sala cinematografica dove, però, capitava di sentire Kraus, l’Olivero, la Dimitrova) famosa per gli archi che strappavano e fiati e ottoni molto spernacchianti. Per la cronaca la sinfonia di Semiramide nel 1981 fu un supplizio (adesso si direbbe per colpa di Rossini). I risaputi difetti dell’orchestra genovese di allora sono tutti presenti all’appello anche per la registrazione amatoriale e allora il senso della proposizione è nell’omaggio doveroso ad un direttore mozartiano grandissimo e che in un Rossini comico, che può avere sapori mozartiani (personalmente lo credo poco) si trova a suo agio con stacchi di tempi gagliardi e vivaci, sonorità nel contempo spumeggianti, ma non pesanti. Certo con un’altra compagine orchestrale la realizzazione delle idee sarebbe stata completa.
6 pensieri su “Un direttore al giorno… / 29. “Il turco in Italia”, Peter Maag.”
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Incredibile: oggi a pranzo con mio fratello ci chiedevamo: “Chissà se la Grisi metterà qualcosa di Peter Maag…”. Uno dei due direttori di questa rassegna che sono riuscito a sentire dal vivo. E, a mio avviso, un grandissimo musicista.
Sono da sempre un ‘fan’ del m.o Maag. Un musicista formidabile. Non perfetto, ma avercene oggi…!
Ho conosciuto molto bene Peter Maag negli anni in cui aveva messo in piedi la Bottega, un workshop per giovani cantanti organizzato al Comunale di Treviso. Da noi diresse anche il Turco, con la regia di Ferruccio Soleri. Lo ricordo come un grandissimo musicista e un grande uomo.
Amo moltissimo Peter Maag: uno dei miei direttori preferiti. Definirlo “mozartiano” è molto riduttivo però, dato quel che ci ha lasciato anche in altro repertorio. In particolare ricordo la sua integrale delle sinfonie di Beethoven (la prima incisa da un’orchestra italiana) e l’integrale del corpus sinfonico maggiore di Mendelssohn che trovo – ancora – un vertice insuperato. Accanto alle grandissime prove mozartiane, poi, non si può dimenticare il suo Gluck (l’Orfeo ed Euridice nella revisione di Berlioz) e il Verdi (la sua Miller ancora imbattuta). Maag, inoltre, è la dimostrazione di quel che può fare un grande direttore che è grande musicista quando non si trova impantanato nelle cosiddette “grandi orchestre”: proprio l’integrale beethoveniana dimostra come una compagine non blasonata, ma affiatata e guidata da un vero musicista, riesce a far musica meglio dei colossi con contratto DGG. Certo come dice Donzelli l’orchestra genovese non è il massimo, ma Maag riesce a trarre il meglio possibile (esattamente come fece Furtwaengler con l’orchestra scaligera nel Ring, o Reiner e Walter con quella scalcagnata del Met). Come Donzelli anche io non ritengo sia troppo da calcare la mano sul Rossini mozartiano: sono due compositori diversissimi per cultura musicale, interessi, stile e contesto. Appartengono anche a due epoche diverse e, soprattutto, a due mondi incompatibili. Altrimenti si finisce come Marriner che, pur nell’eleganza e impeccabilità formale, trasforma il pesarese in un freddo epigono di Mozart. A mio giudizio Maag evita il manierismo di Marriner (che pure ha molti meriti), è interpreta Rossini con tempi vividi e tocco leggero, certo, ma non dimentico di un certo presagio romantico, di un calore soffuso, di un languore malinconico, senza perdere di vista l’approccio intellettuale (indispensabile per cogliere il Rossini buffo). Se mi permesso fare della fantamusica credo che se Maag avesse affrontato più Rossini nella sua carriera (e sicuramente avrebbe avuto la curiosità intellettuale e la profondità per affrontare non solo quello comico, ma anche quello tragico), la storia della renaissance sarebbe stata differente e l’apporto di Abbado ridimensionato.
Ringrazio di cuore Duprez per lo splendido ricordo di Maag, un uomo ed un musicista che tutti gli appassionati Padovani ricordano con sconfinata ammirazione ed immenso affetto. Ero presente all’esecuzione dell’integrale Beethoveniana, che assieme all’integrale Mahleriana diretta da Inbal con l’orchestra del Teatro La Fenice nei primi anni ottanta (ma lì ero troppo piccolo per ricordarmela, purtroppo), penso sia il maggior evento (brutta parola se ce n’è una, ma non me ne vengono in mente altre) musicale ospitato nella storia città di Padova. Ricordo benissimo l’atmosfera di elettricità che si viveva durante i concerti, quasi percependo di essere di fronte a qualcosa di davvero “importante”. Aggiungerei agli autori citati da Duprez anche Schubert e Schumann, di cui ricordo esecuzioni trascinanti. Verissimo il discorso riguardante l’abilità di Maag di far rendere orchestre non di primissimo piano (per non dire altro) al meglio: spero di non bestemmiare, ma ho il sospetto che, all’epoca della direzione di Maag, non vi fossero tantissime orchestre Italiane che suonassero meglio dell’orchestra di Padova e del Veneto. La riprova “a contrario” l’abbiamo avuta allorquando la direzione è passata ad altri: il crollo è stato, ahimé, nettamente percepibile.
Ecco, un solo rimpianto: penso che nonostante da quelle parti fosse molto apprezzato (mi pare che negli anni ’60 abbia diretto la Volksoper per qualche anno), il fatto di essere rimasto fuori dal “grande giro” gli abbia precluso la direzione del Concerto di Capodanno. Ricordando alcuni concerti di brani Viennesi dati nei primi giorni dell’anno (ed anche una bellissima “Vedova Allegra” radiofonica), penso che lui avrebbe saputo cogliere al meglio lo spirito dei quei brani: ed ancora una volta spero di non bestemmiare dicendo che ritengo saremmo stati quasi ai livelli di Kleiber e Karajan ed a livelli infinitamente superiori (sia per quanto riguarda il cogliere “lo spirito” di quella musica, sia a livello esecutivo) di quelle cose asettiche ed insapori tipo i vari Maazel, Welser-Moest o Baremboim propinateci da trent’anni a questa parte. Chiedo scusa per la lunghezza.
Avendo ascoltato il Pipistrello diretto da Maag nel 1984 alla Fenice, confermo quanto dice Franz. Vorrei anche aggiungere a questo elenco il suo Tristano del 1980, sempre a Venezia e con le scene di Alberto Burri. Una delle migliori interpretazioni wagneriane da me ascoltate in teatro. Volendo poi andare ai miei ricordi di adolescente, non posso fare a meno di menzionare la Carmen del 1970, con la Cossotto e Del Monaco, sempre alla Fenice. Per quanto riguarda Mozart, credo che la migliore esecuzione di Maag a cui abbia assistito sia la Clemenza di Tito bolognese del 1988, con Raffanti protagonista e la Dupuy che faceva Sesto.