Riflessioni di mezza stagione: les adieux de STEPHEON

allascalaLunedì sera è terminata la prima parte della stagione 2013-’14 del massimo teatro milanese. A settembre si riprenderà e dovrebbe essere una serie ininterrotta di rappresentazioni per un anno in ossequio al desiderio di mostrare una città capitale non solo di trippe, insaccati, farro, granturco, cibi sani ed a kilometro zero, come auspica l’expo, ma anche latrice di grandi messaggi culturali a partire dalla Scala ed a seguire con il restauro di statue e colonne votive (ormai marmoree supposte) disseminate per la città.

Ma per il momento siamo a metà di una stagione dove le ombre hanno prevalso sulle luci e  l’hanno fatto non già per una serie di infelici congiunture come potrebbe essere stata la malattia del non più fresco Florez, ma per le ragioni ideologiche, che animano questo cartellone e che sono, ancor più commercializzate, quelle del prossimo ritenuto indegno di un commento.

Il teatro non deve, secondo questa deviata e perversa idea, che da anni funesta e distrugge, proporre titoli di repertorio, proporre riprese di titoli desuete, essere la vetrina dei miglior vocalisti e direttori, idee portanti del cartelloni della Scala  sia nel 1909 che nel 1969 (poi arrivarono ideologie e fu  il diluvio, le piaghe d’Egitto, la povertà e la miseria in cui ci dibattiamo sempre più impantanati), ma realizzare eventi, rileggere, svecchiare culturalizzare ed ammodernare. E allora abbiamo avuti una Traviata ispirata agli intrattenimenti della Clerici a base di zucchine e melanzane, con scene brutte e sgradevoli a vedersi, cantanti messi in difficoltà da esigenze di regia inutili pacchiane. Corollario ci è stato negato persino di chiudere gli occhi ed ascoltare perché se la protagonista è arrivata fra mossette e pasticcini (quelli da mangiare!) ad una stentata sufficienza la direzione e la compagine maschile sono state da spedizione punitiva,  riprovati, fischiati e  commentati maldestramente dal pubblico. La critica, che si alimenta agli uffici stampa,  ha reagito insultando il pubblico. Intanto per gli spettacoli successivi, complice la crisi economica che adempie la medesima funzione della peste manzoniana di “scopa” di cattivi ed anche buoni, hanno visto aumentare i cosidetti forni. Solo i posti di galleria, lungi dall’essere econonomici, vanno venduti perchè sono ancora abbordabili ed il costo giudicato congruo alla qualità dello spettacolo.

Poi, per peggiorare, uno spettacolo che aveva rivelato nella direzione di Harding novità ed indipendenza di scelte si è proposto solo Cavalleria. Ci avremmo guadagnato l’adagetto della quinta di Mahler, ma quei Pagliacci davvero veristi nel senso  letterale e positivo del termine meritavano la riproposizione. Esattamente come la meritava il direttore che, invece, per il futuro è relegato alla sinfonica. Non sarà del giro zurigo-salisburghese, quello in auge, quello che credulone persone a partire dai membri del cda credono salvezza e buona sorte per la Scala.

Poi è arrivato il Trovatore ed abbiano gustato di che siano capaci le giovani bacchette italiane (alla prossima stagione gusteremo quelle sudamericane, che sono per la verità un paltorello rivoltato) o soprani, che spaziano, in un biennio, nel repertorio quanto fece in quarant’anni la Scotto. Ed anche qui implacabili sono volati i fischi, ci sono stati i soliti insulti, le solite difese d’ufficio. Lo stesso repertorio di doglianze, accuse, insulti sono stati riproposti alle reazioni del pubblico contro il signor Tcherniakov che ha massacrato la Fidanzata dello zar, titolo raro di Rimsky Korsakov. Siamo sinceri è andata anche troppo bene perché il massacro ed i fischi non li meritavano soltanto gli autori di un allestimento, che richiamava lo squallore e la bruttezza degli interni comunisti degli anni della guerra fredda, ma anche una compagnia di canto scalcinata ed una direzione che, definire approssimativa ed abborracciata, è sincerità e onestà. Tralascio una Lucia dove abbiamo visto incongruenze registiche (per altro quisquillie e pinzillacchere rispetto a quanto aveva preceduto l’opera donizettiana).

Poi il pubblico ha capitolato stanco  ed i forni sono aumentati in maniera esponenziale perché un titolo come i Troiani è tale da stendere anche i più volenterosi ed i più preparati sicchè, a teatro sempre tutt’altro che pieno, si sono perse le velleità di criticare e riprovare quando pure la senescente e malferma compagnia di canto applicata a ruoli ardui avrebbe meritato trattamento pari a quella del Trovatore o della Traviata. Erano identiche. Come identica era per qualità infima quella servita su Elektra perché cantare Strauss (come andremo a declinare e dimostrare sul finire dell’estate) non significa emettere suoni fra il forte ed il fortissimo rauchi e ghermiti, ma ben altro. Poi siccome si tratta di Strauss e non di Rossini  oggi -a torto- si ritiene che si possa anche accettare patteggiamenti e che una buona bacchetta possa bastare. Basta leggere che cosa scrisse Strauss ad Hofmannsthal all’indomani della prima scaligera di Elektra con Kruscenisky, de Cismeros, Canetti sotto la guida di Edoardo Vitale per concludere che l’esecuzione scaligera, degna compagna di quelle di tutti i tempi delle multinazionali del disco,  dove brillava la sola bacchetta di Esa Pekka Salonen proprio non rispondeva ai desiderata dell’autore, ma almeno l’orchestra suonava e la parte visiva (ad onta del buonismo dettato dalla morte del regista, che ripeteva la medesima struttura dopo trent’anni dal Silla) poteva in parte cogliere nel segno. Poi la cupa reggia degli Atridi, l’incombente mito della vendetta richiederebbero altre voci, sarebbero ben evocati da altre immagini e colori orchestrali. Ma il tutto teneva e, finalmente, sono stati applausi, sentiti e spontanei. Si possono non condividere sino in fondo, ma si devono capire e si può anche associarsi. Con i distinguo che, brevemente, ho proposto.

La fase a cavallo fra il finire di primavera e l’estate è stata un vero disastro. Non ripeto quanto a commento tecnico di Così fan tutte ed Ory, ma l’estrinsecazione dell’inutile e del brutto sulla scena  rispetto allo spirito del dramma e due direzioni d’orchestra stanche e bolse sono cose che FANNO MALE! Taluni cantanti sono anche stati riprovati, sul telegiornale regionale di uno di questi (Villazon) si è posta in essere una pietosa difesa, salvo poi tacere di progressive riduzioni dei numeri solistici e della finale cancellazione nessuno ha parlato. Eppure una cronaca imparziale e rispettosa dell’informazione avrebbe dovuto farlo.

In parte a pareggiare il conto ci ha pensato il pubblico che, come ci riferisce un nostro lettore persino la sera dell’ultima rappresentazione ha riprovato la protagonista femminile (indegna di cantare la contadinella Alice e non già Adele nella stessa partitura) ed il direttore. Ma è davvero troppo poco  non per velleità di protagonismo del pubblico, ma per l’offesa che questi allestimenti recano ad un capolavoro unico ed irripetibile quale il Conte Ory.

Nostro malgrado di questi valori e delle considerazioni e scelte, che questi sommi lavori ci impongono, organizzatori, critica, sovrintendenti e direttori artistici (di fatto spariti per l’ovvia ragione che arte e produzione artistica non si fanno più da tempo qui come altrove) se ne fottono allegramente e quanto si fa il servizio sul loro commiato si parla solo del pareggio di bilancio. Monetario perché quello artistico è da sezione fallimentare del tribunale e non solo……nel futuro.

 

 

Rossini – Le Comte Ory

Atto I

Veiller sans cesse – Samuel Ramey (1979)

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4 pensieri su “Riflessioni di mezza stagione: les adieux de STEPHEON

  1. Bravo, Donzelli.
    Tutto condivisibile al 100%!
    Va bene (anzi, male) che oggi non si trovano, purtroppo, in giro le voci che anche solo 20-30 anni fa si potevano reperire (per tacere di tempi più lontani in cui mettere in scena La forza del destino o I vespri siciliani era cosa tutt’altro che difficile), e questo è un problema che affligge un po’ tutti i teatri (taciamo delle agenzie, è bello), ma la Scala negli ultimi anni ha raggiunti livelli mai toccati prima! A ben cercare, anche senza farsi troppe illusioni di rinvenire una voca tipo Callas o Tebaldi, non era difficile trovare in giro un soprano migliore della Kurzak (il cui ascolto in video era da far rabbrividire) per cantare la Contessa Adele.
    La Damrau nel video nuovayorkese o la Massis in quello di Glyndebourne, senza essere per niente eccelse (la Devia è altra cosa), sono almeno migliori di lei.
    Un amico che è stato a sentire l’Ory mi ha detto che dal vivo la signora era persino peggio che nel video postato sul Corriere! Dio ce ne scampi e liberi!!!

  2. infatti mi è venuta l’idea di dedicare molti ascolti alla provincia italiana. Sai quella che a Fidenza per l’epifania metteva su la Forza con Labò, la Orlandi Malaspina e magari Protti! oppure i capuleti del 1981 Cuberli /Dupuy o serate con mostri sacri tipo Kraus, l’Olivero, la Chiara che cantavano a Piacenza a Udine etc….. Ma te lo vedi Jonas a fare la forza del destino al castello di san Giusto come Pertile o Gigli!

  3. A me, negli anni passati, è ancora capitata la ventura di sentire a Vercelli Turandot una volta con Cecchele l’altra con Martinucci, che l’aveva cantata non troppo prima in Scala ed a Roma (Civico strapieno) ed a Piacenza la Freni e Larin in Fedora (successo a dir poco incredibile, con coda di ascoltatori a salutare la “Mirellina” in camerino nel dopo spettacolo). Jonas preferisco lasciarlo in Germania e Francia, dove è tanto apprezzato da critica e pubblico sta bene dove sta.

  4. Sono sostanzialmente d’addordo (come quasi sempre del resto) con il post di Donzelli. Un’unica cosa però mi lascia perlesso: che cosa c’entra “l’ideologia” dopo il 69? Perchè, secondo lei, Donzelli, per essendo Abbado (e Grassi) di “sinistra” quelle stagioni sono state disastrose come le attuali che stiamo vivendo?. Io non credo. Penso che in quegli anni, accanto forse a un po’ di demagogia, siano stati realizzati spettacoli veramente importanti (alcuni dicono addirittura memorabili). Non credo si possa negarlo. Poi quella stagione è finita, è intervenuto Muti, “l’ideologia” è finita ( o forse ne era cominciata un’altra) e non mi pare che i risultati siano stati altrettanto importanti (a parte, secondo me, alcuni Mozart) soprattutto nella scelta delle voci, volendo, “il MAESTRO” , essere il “divo” assoluto. Sul piano poi delle regie non ne parliamo, si sono cominciate a vedere cose molto discutibili…Certo ora poi siamo arrivati all’orrore più completo (Muti se non altro era generalmente, secondo me, un ottimo direttore d’opera).
    Saluti da Vivaverdi

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