Un enorme talento sprecato! Questa è la prima cosa che viene in mente ripensando a Lorin Maazel e ripercorrendone la lunga carriera. Iniziò giovanissimo a studiare musica: un vero enfant prodige che a 9 anni già suonava il violino e dirigeva l’orchestra, a 12 veniva invitato da Toscanini sul podio della NBC e della New York Philarmonic e a 15 aveva già diretto le più importanti orchestre statunitensi. Debuttò in Europa nel ’51 (in Italia) e alla Scala nel ’55. Da qui in poi si avvicendò sui podi più prestigiosi del vecchio e del nuovo mondo, accompagnando i più grandi solisti e cantanti (da Arturo Benedetti Michelangeli alla Nilsson, da Ciccolini a Milstein, alla Sutherland etc…). Fu il primo americano a dirigere nel tempio di Bayreuth. Dotato di innata musicalità e di preparazione tecnica non comune era in grado di ottenere la massima precisione e il “bel suono” anche con pochissime prove. Un enorme talento, dicevo, che però spesso non trovava la via dell’originalità interpretativa. Poteva dirigere di tutto e anche la partitura più complessa sembrava un gioco elementare nella chiarezza del suo gesto: mai una sbavatura, un attacco sporco, un’incertezza. Padroneggiava l’ABC della direzione con una disinvoltura persino irritante. Tuttavia il confine tra precisione tecnica e manierismo è molto sottile. E così accanto all’indubbia musicalità si coglie, in diverse interpretazioni di Maazel, una evidente superficialità d’approccio e una certa svogliatezza, lasciando nell’ascoltatore una sensazione di inutilità. Il giorno dopo la sua scomparsa verrebbe voglia di ricordare solo le cose migliori (tra cui certamente il Fidelio del 1964, Porgy & Bess del 1976 e soprattutto la Lulu nel 1983), ma non sarebbe onesto: troppo spesso ha patteggiato con la propria arte sino a svendere il suo enorme talento in un turn over continuo sul podio di qualsiasi orchestra si potesse permettere la sua presenza. Negli ultimi tempi la disinvoltura con tale mercato divenne imbarazzante. Il suo rapporto con la Scala fu alterno: dai primi concerti memorabili – dopo una splendida Turandot – alla dorata mediocrità dell’Aida dell’85 (tanto preziosa nel virtuosismo orchestrale quanto inerte e anonima) e al noioso Fidelio del 1990, da una impressionante Fanciulla del West nel 1991 (lontanissima dal Far West da cartolina) a una funerea Manon Lescaut (1992) e alle brutte Luisa Miller, Tosca e, soprattutto, Traviata (2007), triste suggello di questa discesa. Maazel lascia un’agenda ancora ricca di impegni, tra cui “spicca” l’Aida scaligera del 2015 (nell’ambito del progetto riesumativo di Pereira) che dovrà essere riassegnata (e fossi in Pereira inizierei a pensare ad alternative praticabili a Pretre e Santi che non sono certo ragazzini). Lascio dunque il ricordo di Maazel ad una delle interpretazioni che fanno rimpiangere il musicista che sarebbe potuto essere.
Gli ascolti
Giuseppe Verdi
Martina Arroyo
Shirley Verrett
Nicolai Gedda
Cesare Siepi
Cleveland Orchestra & Chorus
Lorin Maazel
New York, Carnegie Hall, 27 Novembre 1972.
Ultimamente leggo solo cose incomprensibili che posso giustificare solo in una condizione di cronica frustrazione; credo che il variegato mondo degli ascoltatori sia molto ampio e caleidoscopico, e chiedo un maggiore rispetto per tutti, anche per quelli che hanno amato ascoltare musica diretta da Lorin Maazel.
Cè spazio per tutti e invece ogni occasione, ultimamente, è per volgere il dito di neroniana memoria sempre a senso unico.
Ho recuperato due cose tra le diverse registrate da Maazel, Enfants et les sortileges del 1960 e Suor Angelica del 1976;mi riprometto di fare una scelta abbondante con piu’ tempo, ma queste due pagine sono legate a momenti di ascolto molto importanti tra i miei ricordi e ancora una volta riascoltandole mi ” sono sentito bene”: ecco cosa chiedo alla MUSICA. Il resto sono cerebrali riti di onanismo che cominciano ad annoiarmi.
Se dopo questo si penserà di depennarmi, non me ne dorro’ piu’ di tanto.
E nenna infausta prospettiva che cio’ avvenga per avere offeso la suscettibilità di qualcuno, prendo commiato.
“If we shadows have offended,think but this, and all is mended,that you have but slumber’d here while these visions did appear”
Al maestro Maazel mi piacerebbe poter dire che al termine dell’ascolto della sua regiitrazione del Gianni Schicchi di Puccini con la CBS, censurata dal maestro dei maestri, prof. Rodolfo Celletti ( “Carneade, chi era costui”) è stata tanto forte la ” sensazione di noia e di inutilità che ho provato” che da allora ne ho fatto la mia opera preferita , cercando in giro per il mondo ogni registrazione possibile.
Mi sarebbe piaciuto dire di persona grazie al maestro Maazel perchè le sue noiose e inutili interpretazioni musicali mi hanno fatto compagnia anche in momenti delicati della mia vita e rimarranno tra i ricordi piu’ belli da custodire.
mi firmo, senza problemi
giosuè ceriani
Ancora una volta, le note del “Corriere della Grisi” sono le uniche che mi trovano d’accordo. Anzi, nel profluvio di omaggi al “genio” della bacchetta, mi azzarderei a sostenere che nella fase tarda della carriera anche la proverbiale abilità tecnica venne meno.
Da New York Times, 22/01/1998: “The Vienna Philharmonic’s rendition of Ravel’s ”Bolero” brought the audience to a boil on Tuesday night in Madrid, but probably not in the way the orchestra or the composer intended. The 156-year-old orchestra, revered for its precision, was showered with a round of boos when ”Bolero,” the last piece of the evening, went off-key. First an oboe played out of tune. Then a horn and the slide trombone hit wrong notes. Witnesses said members of the audience began shouting: ”Get out! Get out!” A spokesman for the Madrid Auditorium said the audience was displeased with the interpretation. Lorin Maazel, who conducted, appeared unfazed, and some of the more sympathetic concertgoers applauded politely.”
http://www.youtube.com/watch?v=qBrR7La5Lew&list=RDqBrR7La5Lew
Caro Reverendo Hilyer, nessun fastidio – e ci mancherebbe – per un’opinione differente dalla mia (e nessuna espulsione, per carità..). I bei ricordi non sono certo discutibili (e nessun giudizio potrà intaccarli). Io ho espresso un parere personale sul Maestro Maazel, dovuto all’ascolto in disco e dal vivo (anagraficamente collocabile tra il 1990 e il 2008). Queste le mie considerazioni: forse non mi sono espresso con la sufficiente chiarezza – dovuta anche al fastidio per i coccodrilli postumi, al solito conditi della retorica di chi ha sempre criticato e poi, di fronte alla scomparsa, si riscopre ammiratore – ma di Maazel ciò che più mi fa infuriare è proprio l’ascolto delle cose eccellenti (per me il Fidelio discografico e la Lulu e ancnhe i Trittico, è vero, mi era sfuggito), dell’estrema musicalità, delle capacità oggettive… Ecco, se la mancanza di talento è una spiacevole condizione di cui, però, non si può attribuire a nessuno la colpa, lo spreco del talento è un crimine tra i più gravi. Mi spiace, umanamente, per la scomparsa del Maestro Maazel, ma mi spiace ancor di più che non abbia coltivato con la dovuta cura il suo dono. Quindi custodisci i bei ricordi che ti hanno accompagnato, non sono in discussione. Ognuno ha i suoi. E nessuno è migliore degli altri…
Quel brano del “Bolero” è sorprendente, considerato poi che si tratta dei Wiener Philharmonker. Ma sarà stato un incidente, può capitare. Se Maazel avesse realizzato compiutamente le sue potenzialità, sarebbe stato un Karajan, un Kleiber, un Böhm. Non lo è stato. Ma era un direttore di grande interesse, capace di dar vita a serate indimenticabili.
Vero.
Non che mi interessi difendere Maazel, ma mi pare improbabile che la colpa di un incidente capitato ad un trombonista (che so, della saliva andata di traverso) debba essere necessariamente del direttore.
Questo è logico, ma – come si evince dalla pagina del New York Times – in quella stessa esecuzione ebbero problemi anche oboe e corni, il che indica mancanze più profonde, secondo me. Un po’ di saliva non avrebbe indotto ad urlare “Fuera! Fuera!” contro la Filarmonica di Vienna.
Dettò questo, vorrei precisare che non volevo dare a Maazel del cialtrone, ma intendevo solo evidenziare come, a mio avviso, una certa superficialità interpretativa rischiò negli anni di intaccare anche la qualità della concertazione. Va da sé che siamo anni luce lontani da ciò che ci avrebbe propinato Dudamel…
Credo però che il problema sia proprio dei Wiener, che avrà pure fama di essere orchestra perfetta, ma che – oggi più che mai – non è all’altezza della sua celebrità. L’eccessiva arroganza di “suonare da sola” a volte può essere un rifugio (contro concertatori incapaci), ma spesso è segno di superficialità. Che poi un conto quando fa la sua dorata routine, altro quando la dirige una grande personalità (con cui mettersi in gioco): insomma Jansons, Boulez, Harnoncourt, Kleiber la fanno suonare in modo decisamente diverso dai vari De Billy, Walser-Most e, purtroppo, pure Thielemann che con quell’orchestra non mi sembra abbia alcun feeling (ne è un esempio la discontinua incisione del ciclo beethoveniano, tra cui una Nona pasticciata, brutta e pure con frequenti errori).
la turandot con la dimitrova mi vide quasi appeso fuori da un palco ad applaudire tanto mi piacque… persino la “zeffirellosa” regia non ci stava male. Sono d’accordo sul talento sprecato. a proposito della brutta serata coi wiener, anche le altre parti del concerto mi pare non piacquero. L’accusa al maestro era di fare poche, pochissime prove, e ancora meno con orchestre solitamente molto affidabili.
se mi passate la poesia, tra andare a troie e fare prove preferiva la prima attività. Altri grandi direttori non hanno disdegnato l’approccio di maazel sul primo punto, ma sono riusciti anche nel secondo con ottimi risultati (i nomi, se permettete, me li tengo per me)
poi c’erano i grandi direttori come Toscanini che gestivano entreambe le attività con ottimo profitto. Così ho spiegato il motivo della mia “simpatia” per Toscanini!!!!!
Opinabile….
Riporto il giudizio di Celibidache su Maazel. Non è mia intenzione né condividerlo né prenderne le distanze, perché di Maazel nn ne so nulla. Lo riporto tanto per curiosità. Egli lo descriveva come “un bambino di due anni che parla di Kant”.
meraviglioso
Celibidache era un grande, grandissimo musicista. Ma aveva anche un’acidità spaventosa. E questo non era bello. Comunque si tratta di un particolare biografico, che non dice nulla sulla sfera della sua arte. Arte che è ben più viva, credo, delle sue parole. Almeno di quelle sue parole che esprimono giudizi su colleghi.
Sì, l’Aida del 1985 è ancora tra i miei incubi, con quella macilenta regia e quei cantanti sull’orlo di una crisi di nervi (e ne fecero anche una registrazione, tsk). Comunque sono pienamente d’accordo con voi, l’oneroso Maazel lasciava (ahimé) il tempo che trovava. Quanto al giudizio di Celibidache (che a me sa molto di sarcasmo) e alla precoce stima toscaniniana… beh si commentano da soli.
Mentre il giudizio musicale è negativo principalmente per colpa di Maazel che resta troppo distaccato e algido (e i cantanti – a parte Pavarotti, che disegna un Radames vocalmente splendido, solare, luminoso – a cominciare dalla protagonista, mi paiono poco convincenti), quello sull’aspetto visivo è invece diverso: i costumi (alcuni almeno) sono bruttini, ma l’apparato scenico, questo Egitto “ottocentesco” che pare uscito dalle illustrazioni degli archeologi che seguivano Napoleone e dei viaggiatori romantici, con colonne e capitelli e sfingi che emergono dalla sabbia, con le statue colossali dei faraoni, mi pare un’ottima alternativa sia al grottesco trovarobato e ai ballerini con calzamaglia scura e pennacchi di piume, sia agli esperimenti più bizzarri.