Le Comte (Horr)Ory alla Scala

operalecomteory04-e1393458321275La Scala ha importato l’ennesima produzione di basso livello, il Comte Ory firmato Laurent Pelly e perso, si spera solo per il momento, il suo blasonato protagonista, J.D. Florez ( indisposto alla prima), per la seconda e la terza recita. Senza Florez, unica ragione per andare in scena così acconciati, scemano interesse e qualità artistica di una produzione dal sapore veramente….parrocchiale.
Andarsi a procacciare siffatto disgustoso allestimento, dimenticandone altri, di qualità assai superiore e ben più adeguati ed eleganti, è stata l’ennesima mossa commerciale, di chi, privo di una bussola artistica, capacità di discernimento e perizia professionale, sa muoversi solo in forza della logica del “nome” ( è famoso dunque è bravo ). Ci sono spettacoli di qualità ( relativa ) di questo regista, ma anche ciambelle senza buco, che devono essere gettate nel cestino. E questa più che una ciambella è veramente una porcheria di prim’ordine, segnata dal fraintendimento totale di Pelly dell’eleganza e della leggerezza contenute nel testo di Rossini, che, re indiscusso dell’autoimpresto, aveva selezionato il meglio di sè dal Viaggio a Reims, per confezionare una strepitosa piéce comica, tutta incentrata sul travestimento, l’ambiguità, la tentazione sottile e raffinata. Il greve allestimento di Pelly trasforma l’aristocratica ironia rossiniana in volgarità, il gioco in grevità ordinaria degne di un film di Alvaro Vitali o da brutto Bagaglino, inquinando il Comte Ory con un umorismo scadente da taverna. Scenografie di uno squallore degne di Tcherniakov, gags così gratuite da risultare disgustose ( inclusi rumori corporali e la Contessa di Fourmoutiere che orina sulla tazza nel ben mezzo del duetto con Ory ), una rivisitazione che trasforma il divertimento generato dall’assurdità dei travestimenti e la sottigliezza delle allusioni in trivialità e …squallore appunto. Chi è andato a noleggiare questo disastro di Pelly ( che, immaginiamo, qualche fanatica collaborazionista della stampa si appresterà ad incensare inopinatamente nei prossimi ) dovrebbe essere chiamato a rendere conto dei criteri in base ai quali si è indirizzato su Pelly, piuttosto che su Pizzi o Pasqual etc.., anche perché la serata, investita da una simile alluvione di volgarità e gratuità, non avrebbe potuto essere sottratta da questo compromettente marchio nemmeno dalla resurrezione di Nourrit e della Cinti Damoreau in persona. Men che meno lo avrebbe potuto fare da solo il buon Florez, cui la Scala aveva in partenza affibbiato dei colleghi di viaggio al di sotto del minimo sindacale. Complice l’indisposizione del tenore peruviano sopraggiunta alla prima, il miracolo si è compiuto ancora una volta per il teatro milanese: una recita, quella vista ieri sera, da uscire al primo atto e a cui sono rimasta sino alla fine solo per dovere di cronaca verso voi che ci leggete. L’Aslico ha mostrato dignità e qualità esecutiva superiore in parecchi casi !

Dirigeva il maestro Donato Renzetti, senza infamia ma, certo, pure senza lode. Limitarsi a tenere insieme le cose è poco per un direttore della sua esperienza. Nessuna verve, nessuna ironia, nessun segnale di vita dalla buca, anzi, persino alcuni momenti pesanti e meccanici sparsi qua e là, in presenza del coro soprattutto. Una direzione sostanzialmente fiacca e svogliata, non all’altezza delle sue capacità e del suo curriculum, che nulla ha messo in evidenza di questa geniale partitura.
Colin Lee ha sostituito Florez, come detto, fornendo una prova modesta, accettabile forse da cantanti di secondo piano antecedenti la Rossini renaissance, ma oggi difficile da digerire. Nel piano della Decadénce generale, il suo Ory possiede una voce morchiosa, molto “british” nell’emissione, di volume modesto, che stenta sempre a trovare il “focus”, sempre ingolfata nel momento di salire agli acuti, regolarmente indietro e nasali. Agilità tutte farfugliate e spappolate, sillabati primordiali, ed un generale accento loffio ed eunucoide, inadeguato alla storia dello scaltro e simpatico seduttore, hanno completato il suo personaggio poco credibile su ogni piano. E pur tuttavia mi è parso il migliore del cast.
La Contessa di Fourmoutiere è stata Alexandra Kurzak, la cui impertinente restituzione del personaggio elegante, ora ingenuo ora piccante, della primadonna rossiniana ha provato la siderale distanza che intercorre tra queste signorine che calano da paesi lontani sul nostro belcanto e ciò che esso presuppone in fatto di tecnica e di eleganza. Mentre starnazzava malamente l’entrata, regalando a pieni polmoni tutta la sua generosa ed indaffarata prestazione scenico vocale, mi domandavo quale idea avesse del canto rossiniano e se fosse conscia di esibirsi nello spazio in cui avevano avuto luogo i trionfi degli augusti della Rossini renaissance, di quel Viaggio a Reims scaligero ( il primo, sia ben chiaro quello del 1985 !) che fece tremare il lampadario per gli applausi, come lo stesso Ory dell’olimpica Devia. Sanno cosa stanno facendo e come si fa? Quale sia lo stile richiesto? Voce vetrosa, crescente, a volte piena d’aria a volte fissa, incapace di girare gli acuti ( anche i primi ), agilità raffazzonate, strilli a piena voce e chi più ne ha più ne metta, sono stati il suo show che, ripeto all’Aslico non credo avrebbe avuto posto. O scampo. Taccio dell’esecuzione vocale del duo con Ory, culminato nella scena del water. Siccome mal tempora currunt, e tutti esibiscono crudamente la loro miseria vocale su You tube anziché occultarla a tutela della propria fama, vi posto i video della sua, per me, inaudita prova: sentite per credere!
Isolier è stata Josè Maria Lo Monaco, voce modesta, tecnica abborracciata, acuti spinti e sguaiatissimi. Da dimenticare. Con lei il Gouverneur del signor Roberto Tagliavini, che ha sfangato in forza della freschezza dell’ala voce la prima parte della sua scena, poi si è impantanato nelle agilità e negli acuti della cabaletta, quella che un tempo causava l’esplosione della sala, per il trionfo di un altro degli augusti. Un filo meno di voce da parte del signor Stefane Degout quale Raimbaud, con qualche peccato di ineleganza, ma una prova dagli esiti sostanzialmente analoghi a quello del suo collega italiano, anche lui colpito dalla memoria storica di quelli che quando dovevano essere istrioni, lo facevano con altra presenza vocale e scenica.
Molti hanno ritenuto che la colpa dell’orribile serata sia stata tutta del regista, incolpando lo stesso Rossini di non aver scritto un capolavoro, quale invece è Le Comte Ory. Pochi momenti della storia dell’opera sono sublimi come il terzetto del secondo atto, complice la situazione, il buio ( infatti eravamo con le luci en plein air!), il gioco degli equivoci e dei personaggi che si rincorrono rincorrendo le altrui voci, il canto aereo del protagonista, cui è giustapposta la coloratura astratta del soprano e del travestì. Un genio della bacchetta quale fu Vittorio Gui riteneva che quel momento valesse da solo l’opera intera, che amava moltissimo. Certo, se avesse assistito a quella congerie di sgangheratezze vocali e sceniche di ieri sera, alla volgarità con cui Pelly ha risolto il finale del trio…un bel trivial sandwich, beh, chissà cosa avrebbe detto. O fatto, contro siffatto regista e siffatti cantanti.
Noi, invece, restiamo come quei protagonisti di un vecchio racconto, i quali, potendo mangiare solo a giorni alterni, in quelli di digiuno si sfamavano ricordando quello che avevano mangiato la sera prima!

PS
Una cosa và detta. Il pubblico, che a sentirlo parlare, in maggioranza nemmeno sapeva di che si trattasse e di quale storpiatura e distruzione fosse testimone, si è assolutamente divertito, dimostrando di apprezzare le gags più del canto in quanto tale. Il momento topico è stato quando un corista, al secondo atto, dopo la gigantesca bevuta dei compagni di Ory, clamorosamente ha…ruttato. Dalle reazioni, il momento maggiormente gradito della serata, da cui possiamo trarre parecchie considerazioni in fatto di…”cultura” teatrale corrente.

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24 pensieri su “Le Comte (Horr)Ory alla Scala

  1. Giulia, Giulia già ti avevo anticipato dopo la generale a quale orrore avresti assistito. Io sono ancor più costernato dopo aver letto la recensione più che positiva a firma di Paolo Isotta. Non lo credo così incompetente , né così carente di buon gusto , da non saper riconoscere la volgarità davvero triviale alla quale ha assistito. E dunque, come mai tanto entusiasmo, cosa si nasconde dietro ad alcune (sue e altrui) recensioni? La Contessa che ” piscia nel cesso ” durante il duetto!!!! Ma Isotta ha visto o era in preda a un sonno da psicofarmaci?

    • Isotta c’entra poco o nulla con tutta la musica che recensisce, visti gli strafalcioni che rimedia (in tutti i generi: da Monteverdi a Strauss). Ricordo quando – parlando della Semiramide del San Carlo di qualche anno fa – scrisse (e ribadì diverse volte nell’articolo) che si trattava dell’ultima opera scritta da Rossini per Napoli. Ricordo anche i panegirici a Santi (definito il più grande direttore d’orchestra italiano) e Santini (definito “un gigante della musica”). E indimenticabili “le corde che si bagnano di piacere” sotto il tocco delle dita di tale pianista Libetta (da lui ritenuto superiore a Richter evidentemente).

  2. Che il Teatro alla Scala di Milano abbia scritturato la signora Aleksandra Kurzak come Comtesse Adele (e non, piuttosto, come Quinta Serva dell’Elektra) dopo il miserabile recital proposto nel medesimo teatro nel 2011, è già di per sé uno scandalo e un orrore.

    Ricordo quella triste serata (esiste una bella recensione di Donzelli a tal proposito) con imbarazzo più che con disgusto. Non solo un programma misero, al di sopra delle proprie possibilità per innumerevoli motivi, eseguito in modo ignobile, ma anche l’esibizione di due bis da parodia di soprano, il primo, Una voce poco fa, nello specifico la parodia del soprano leggero, il secondo, il peggiore di sempre forse, un Regnava nel silenzio iniziato con voce falsamente scurita per rendere una tragicità da fiction Rai e finito fra urla che indussero il pubblico, già parco e in maggioranza composto di aficionados del teatro, a fuggire dalla sala alla chetichella, lasciando la misera ancora in scena a prendere applausi a teatro vuoto. Imbarazzo in cui non sarebbe mai incappata, per dire, una Gruberova, in genere implorata dal proprio pubblico di tornare in sala per farsi applaudire. Una direzione artistica sana di mente dopo siffatta prova le avrebbe detto tutto al più “Grazie, le faremo sapere” oppure un più sincero “Grazie, arrivederci” di congedo.

    Non fatico ad immaginare l’orrore di tale spettacolo, dove, oltre a sentirla cantare come già è capace la signora, si è costretti, da quanto leggo, a vederla seduta su un water (!). Scala Horror Story, parafrasando la celebre serie americana, che troverebbe ormai nella Scala una degna futura ambientazione.

    E mi chiedo anche se non ci sia proprio un’estetica e un gusto per il brutto ormai. La Scala o Scalà che dir si voglia, che tanto ammira i fratelli d’oltralpe e d’oltreoceano, non poteva importare l’allestimento messo in scena al Met qualche anno fa (con Florez, Damrau, Di Donato) dove, cast vocale a parte, lo spettacolo era perlomeno ironico, generalmente elegante, colorato senza esser pacchiano invece che affidarsi al cattivo gusto di Pelly? Lo stesso pensiero mi è nato vedendo le foto della Maria Stuarda allestita al Met da David McVicar, allestimento che sembrerebbe interessante e bello, per scoprire che in giro per l’Europa la signora Di Donato si esibisce in un allestimento di Caurier decisamente brutto da quanto si vede su internet.

    • Serata decisamente deludente alla Scala per una serie di motivi:
      1. la regia: il primo atto è davvero una cozzaglia di trovate discutibili e alquanto volgari e se il secondo migliora almeno nella scena precipita poi nelle trovate spacciate per chicche divertenti ma nei fatti di una tristezza sconfinata: su tutti la contessa a fare pipi e il rutto della suora…
      2. il canto: male la blasonata sig.ra Kurzak che onestamente non avevo mai sentito e che ha sfoderato una serie di imperfezioni davvero notevoli. E tutt’intorno alla diva il resto della compagnia nel quale a cavarsela è sembrato (forse) il sig. Lee che pur sempre era il sostituto dell’annunciata star (indisposto o forse a ragione indiganto per cotanta produzione);
      3. la direzione pesante e di assoluta routine del maestro REnzetti;
      4. la reazione di un pubblico assolutamente divertito oltre modo, quasi fosse il cine panettone dei Vanzina.
      Su tutto quanto precede riconosco però di aver fatto la piacevole conoscenza dell’Illustre sig.ra Grisi con la quale ho condiviso le mie impressioni di melomane deluso.

  3. Io ero a NYC per lavoro mille anni fa e vidi un allestimento di ‘Ory’ alla City Opera. Forse una delle più belle serate rossiniane ( e non sono proprio un fan delle opere del compositore) passate in teatro. La regia era di uno di quei registi che oggi ha cambiato rotta per regie moderne e schifose. Peccato.
    Ma… mi ricorderò sempre quella serata.
    Che peccato la fine di quella compagnia…

  4. Dicono che il vino invecchiando migliora.. Credo di aver potuto assistere a diverse edizioni del Comte Ory sia a Pesaro, che a Milano, e in altri teatri. In queste occasioni ho potuto ascoltare sopratutto un’orchestra leggiadra quasi trasparente onde far emergere un canto tra il buffo e l’elegante, frutto del grande insegnamento di Claudio Abbado. Non ho visto ne andrò a vedere questo spettacolo conscio
    che mi risparmierò arrabbiature e noia. Se la Rinascita del Rossini degli anni trascorsi deve far posto alle volgarità, basta guardare la TV sopratutto della Rai odierna, già assai costosa anche per le scelte cosiddette culturali, per aggiungerne altre e più costose.
    Dopo che la Scala e chi la dirige hanno avuto l’impudenza di di proporre quale direttore musicale una autentica nullità musicale quale quella di Baremboim cosa volete che mi aspetti ancora.
    Per quel poco che viene postato su l’Ory di oggidì, si avverte che la prima pecca (mi duole ) è la pesantezza del suono orchestrale.
    Ricordo bene per aver assistito a tutte le recite di Abbado in Scala del Viaggio a Rheims per ascoltare un ritorno alla preistoria.
    Condivido appieno il parere che cantare la Comtesse dopo le meravigliose (per pulizia sia di dizione che canto) di Mariella Devia
    sia pressochè impossibile. Non vorrei che Sapendolo in Scala abbiano tentato di surclassarle con la porcheria del pitale, per far cadere su questo le carenze interpretative.
    Mi piacerebbe domandare alla direzione del teatro se sarebbero felici se gli spettatori si dotassero di tale elemento coreografico per i prossimi spettacoli e si accoppiassero a professionisti del rutto (al posto della clak) E’ questo che vogliono?

  5. Anch’io ricordo perfettamente le recite di Ory e del Viaggio a Reims in Scala. Lo scadimento sia vocale che registico e orchestrale è palese. Per fortuna esistono documentazioni discograficahe e visive assolutamente “leggibili” (e non di difficile ascolto come certe incisioni del lontano passato) a sostegno della nostra tesi. Chi sostiene il contrario o è in malafede o ha degli interessi personali (e squallidi) per farlo.

  6. rossini come verdi, come gounod e come Wagner !! solo che l’ultima grande stagione di grande canto è stato rossiniano ed allora il difetto (complice anche la scrittura vocale rossiniana) ci sembra più grande e grave degli altri. Ma anche questa indecenza è figlia di critica prona, ridotta ad ufficio stampa dei teatri, a maestri di canto cialtroni e fanfaroni, a carriere costruite a tavolino (la signora Rossini per antonomasia ossia la Horne è diventata LA HORNE passati i quarant’anni e dopo tanto studio e tanta gavetta) a fole tipo “i cantanti della terza generazione rossiniana (questa fabbricata e venduta in Pesaro) a ripassatori di spartito che non conoscono il repertorio etc……

      • ti faccio della cronologia dettata dalla mia esperienza di ascoltatore nel 1983 era agevole mettere insieme un cast almeno doppio per non dire triplo di semiramide o di donna del lago. Un’Aida che potesse competere con il Price Corelli Cossotto o il Ligabue Tucker Bumbry possibili nel 1970 era già impossibile. Tutto qua, non ho affatto scritto che il canto in quanto tale finisca con rossini, sono due concetti ben differenti. Non volevo nel post che hai commentato ripetere i soliti nomi Horne, Sutherland, Sills, Ramey, Dupuy etc anche se l’esempio ed il richiamo alla carriera di Marilyn Horne, mi illudevo, non dovesse e potesse destare equivoci sul significato dell’intervento!

        • Avevo inteso altro (ossia che l’ultima stagione del canto finisse con Rossini e che dopo di lui nessuno sapesse più scrivere per la voce). Tornando al tuo discorso, qualcosa c’è stato anche dopo, ma riconducibile – in effetti – al Rossini degli anni ’80.

  7. Ho letto la recensione ieri sera e avevo deciso di credervi sulla parola senza guardare i due video postati. Stamattina non so perché ho voluto sentire e vedere provocandomi un forte senso di avvilimento.

    La regia non ha proprio alcun senso e più che un parto è un infame aborto. Mi chiedo come si possa apprezzare una qualsiasi opera se le regie sono queste, mi ha fatto pure dubitare di che cosa stessi guardando eppure la trama la conosco.

    Florez era proprio preso male se non riusciva a dire neppure quelle due frasi che ci sono nell’aria della Contessa… sì certo stava male, ma mi sa che iniziamo a vedere i prevedibilissimi effetti di ruoli ben al di sopra delle sue possibilità e del tanto ricercato cambio di repertorio.

    La Kurzak è davvero un offesa a Rossini, canta in un modo così volgare da appaiarsi perfettamente alla regia. La voce è in bocca, sotto non esiste perché non proietta, in mezzo si arrangia, sopra grida in modo fastidiosissimo e il sopracuto prima della cabaletta era attaccato con lo sputo, quello finale (che sarebbe dovuto esserci) chissà che fine ha fatto. L’interpretazione è parimenti censurabile e non sembra neppure che sappia cosa canti… io mi chiedo perché i soprani di coloratura di questa generazione (Dessay, Damrau, Kurzak…) sanno interpretare ogni personaggio come colpito da forme gravissime di isteria… io credo sia legato al fatto che non sanno cantare come si deve (o si rovinano presto) ed è l’unico modo che hanno per affrontare certi ruoli. Senza scomodare i santi (la Devia in questo caso) persino la Damrau al Met dopo la maternità era di gran lunga migliore della presente showgirl canora, pur essendo altrettanto isterica. Poi la regia era simpatica, gradevole e colorata almeno.

    Una vergogna comunque che una cosa del genere sia andata in scena con applausi… il pubblico in generale non ne capisce nulla, gli appassionati difendono i loro beniamini indifendibili, la critica apprezza per convenienza.

    Nota a margine: mi pare che certi registi moderni (ma anche direttori artistici e pure certi cantanti) cerchino in ogni modo di snaturare l’opera per renderla simile a concerti rock o serie tv americane o che altro. Secondo me così non si salva l’opera, gli appassionati veri si allontanano, il pubblico di non addetti se ne frega o semplicemente non capisce (vorrei proprio intervistare le persone che escono da teatro dopo regie di questo tipo per verificare cosa hanno capito della trama!). Rendere l’opera uguale ad altro è una condanna giacché bisognerebbe valorizzarne quanto più possibile le peculiarità e le differenze da fenomeni distanti quanto il canto della Devia e il non canto della Kurzak.

  8. Le Comte Ory è, secondo me, uno dei capolavori assoluti di Rossini: un gioco raffinato, leggero, ricco di atmosfera ambigua e notturna., in cui le parti migliori del Viaggio a Reims vengono rielaborate con maggior finezza e costrutto e affiancate a nuove splendide pagine di musica (il terzetto del secondo atto, come scrive Giulia, ne è l’esempio migliore: Berlioz scriverà che quello è il capolavoro assoluto di Rossini). Opera di perfezione mozartiana, necessita soprattutto di musicisti veri. Vederla ridotta a farsa volgare, a sagra del mal canto, a una “tiritera” lagnosa di svogliati accompagnamenti ed effetti da banda è davvero mortificante.

  9. Se quei cazzoni dell’orchestra scaligera non avessero silurato Riccardo Muti certe cose ci sarebbero state risparmiate. Forse lui non avrebbe mai diretto Ory, ma certo non avrebbe fatto andare in scena una simile regia. Che soddsfazione mai proveranno ora a strimpellare sotto l’aulico e geniale gesto di un Dudamel o di un Renzetti svogliato e distratto…….

  10. Povero Rossini! Ho provato a sentire la Kurzak nell’ascolto proposto ed ho iniziato subito ad avere dolori di stomaco ed all’orecchio. Inqualificabile. Inascoltabile. Se crediamo, alla maniera di Andreotti, che a pensar male forse si fa peccato ma spesso si azzecca, verrebbe da pensare che, se è vero che – stando a quanto si legge su wikipedia – la suddetta signora è l’attuale amichetta di Alagna, la sua scrittura possa dipendere poco dalle sue qualità vocali, ma sia solo un pedaggio da pagare per poter riavere il Roberto in Scala.
    In ogni caso un pedaggio troppo, troppo gravoso.
    Provate ad ascoltare qui:
    http://www.youtube.com/watch?v=9q7LGWYQ458
    a me pare una prestazione canore migliore di quella della Kurzak!
    Della regia taccio.
    Povero Rossini!

    • Sono un’ottimista ad oltranza e credo e spero che un giorno rinascerà un’altra Callas, un’altra Pasta, un’altra Grisi che porranno fine a tutto questo! Lo so e mi sento sicuro in ciò. Chiamatemi pazzo, ma credo nella giustizia divina (e dei compositori).

  11. Mi è capitato di vedere oggi sul tubo la Rancatore nello stesso allestimento della Scala e stessa annata.

    https://www.youtube.com/watch?v=4qSu_xfS_3M&list=UU3i54aHfEGOWGBIzWhyqVbg

    Io sinceramente la trovo migliore della Kurzak anche se gonfia centri e grave e fa cose strane per prendere i sovracuti che ballano un poco. Ha una voce leggera (più ancora della Devia), ma sembra capire almeno di cosa parli il pezzo, nonostante la regia demente. Mi domandavo: non è che le cantanti straniere sono preferite e in un certo senso più di moda anche quando si hanno dei corrispettivi locali uguali o superiori per valore?

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