Postiamo qui di seguito il breve ma incisivo discorso tenuto da Riccardo Muti in coda all’ultimo concerto con l’Orchestra Cherubini e l’Orchestra Giovanile Italiana in memoria di Claudio Abbado. Incisivo e diretto, volutamente e giustamente polemico nei confronti di chi, nel nostro paese, con il placet della politica, scrittura orchestre straniere per esibirsi da noi a suonare la musica italiana, ignorando complessi nazionali giovanili di qualità superiore cui simili occasioni vengono negate per mero snobismo. Ogni riferimento al Teatro alla Scala ed alla programmata Bohéme estiva della prossima stagione è puramente.. voluta. Abbacinati da una generica esterofilia, nella musica come, più in generale, in ogni settore scientifico, intellettuale, industriale etc.., ci riveliamo incapaci di tutelare il futuro del nostro paese offrendo ai giovani possibilità concrete di crescita professionale e di realizzazione, compromettendo non solo le generazioni future ma la sopravvivenza stessa della nostra identità. Diamo spazio, nel nostro piccolo, alle parole sacrosante di Muti, ignorate, come lui stesso afferma, dalla stampa nazionale e aggiungo io, dalla nostra scadente ed ignorante classe politica.
96 pensieri su “Quando Muti la dice giusta”
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Bellissime parole.
Marco Ninci
meglio il retore, che il direttore!!!
Invece è un grandissimo direttore. Soprattutto oggi.
Parole condivisibili quelle di Muti, ma da prendere nel verso giusto, perché passare dall’esterofilia allo sciovinismo è una vera e propria fesseria. Va benissimo valorizzare i talenti presenti nel nostro paese, senza però nascondersi dietro la “tutela nazionale” e ignorando il livello spesso disastroso (parlo di qualità artistiche, impegno, capacità) delle nostre orchestre e dei nostri teatri. Sostenere che “la musica italiana va lasciata agli italiani”, ricacciando lo straniero “oltre il Piave” e non “permettendogli” di insegnarci come si fa Verdi (ad esempio), è una pura e semplice scemenza (scemenza detta e ridetta da chi – all’epoca – organizzava imboscate contro Karajan o Kleiber che “avevano l’ardire di insegnare Verdi a noi italiani”). Così come è una scemenza ritenere certe sgangherate orchestre italiche di pari livello dei Berliner, della Budapest Festival Orchestra, della Cleveland, dei Wiener, dei Chicago, della Staatskapelle di Dresda o delle splendide orchestre radiofoniche tedesche e nord europee… Insomma, attenzione a non cadere dalla padella alla brace, poiché sicuramente ci sarà chi fraintendendo volutamente le parole di Muti, si lancerà in retorici sproloqui d’elogio alla presunta eccellenza italiana, arrivando a dire che i Berliner a Milano non servono perché c’è già l’orchestra della Scala (medesimo ragionamento di chi ignora che esistano altri – e molto più validi – pianisti che non rispondano al nome Maurizio Pollini), o quella dell’Opera di Roma o quella del Regio di Torino. Perché ad essere sinceri ed onesti non si può fingere di non vedere che in Italia l’unica orchestra paragonabile agli standard europei è quella di Santa Cecilia e che le pur lodevoli compagini giovanili (Mozart e Cherubini) sono realtà in crescita, ma non stabili. Lo stesso vale per solisti, direttori, cantanti…insomma il criterio nazionale è il più misero dei discrimini, così come i rigurgiti di nazionalismo (che – come sosteneva Schopenhauer – è la passione dei più mierabili babbei). Il vero punto di partenza deve essere sempre e solo la bravura, il merito, le capacità: poco mi importa che a suonare siano italiani, tedeschi o russi…la musica è universale.
Uno strano discorso se arriva da coloro che per tutta la vita – pur lavorando nelle istituzioni – hanno dimostrato più interesse a valorizzare il proprio talento (e interesse, e carriera) piuttosto che quello altrui, soprattutto quello degli altrui meritevoli.
Ripeto: non credo nell’efficacia del gesto retorico, specialità di casa Italia.
e se fosse il cato senex didicit linguam graecam?
ci credo poco pure io alla intima convinzione, se penso a certi aspiranti padri costituenti. però sull’episodio orchestra di dudamel ha ragione da vendere a da spendere
Ben detto Lily.
Francamente, non mi viene in mente nessun grande direttore che abbia tenuto a valorizzare il merito altrui più che il proprio; oppure che abbia trascurato il proprio interesse e la propria carriera.
Marco Ninci
dimentichi Mitroupoulos
e Colin Davis e molti altri, ma non si tratta di dimenticanza, Giulia, ma di un misto di ignoranza e io grandioso, in grazia del quale ogni annuncio è preceduto e seguito dal proprio augusto nome.
Attenzione al merito altrui vuol dire rispetto per la propria arte, per la propria disciplina, per il proprio talento.
Ah, Ninci, Nnci, sei tu che non sai distinguere tra critica e rimprovero; vuoi parlare di cose di cui non hai alcuna esperienza e lo fai senza nessuna umiltà. Sono contenta che le mie figlie non ti abbiano avuto come maestro.
in effetti la ridondante abitudine di firmarsi ogni volta in calce ai commenti, quando già nome e cognome compaiono in alto, è a dir poco irritante… ma d’altronde lo fa per rimproverarci l’uso degli pseudonimi.
Non credo che Bernstein, Karajan, Walter, Boulez, Celibidache, Kleiber, siano esempi di altruismo (così come nemmeno lo furono le bizzose primedonne del recente passato)
Mitropoulos ha certamente aiutato, come anche Abbado. Ma nessuno, neppure lui, ha mai considerato il merito altrui più del proprio. Questo poi in una professione dove il narcisismo è portato alle stelle. Quindi non ha alcun senso rimproverare una cosa del genere a Muti.
Marco Ninci
Concordo pienamente: è una professione necessariamente narcisistica. Esattamente come il cantante…e non capisco perché esaltare il narcisismo di primedonne vere o presunte (e il loro portato di capricci, invidie, vigliaccate) e scandalizzarsi o redarguire quello dei direttori d’orchestra.
fra abbado e mitropoulos, nel ruolo di mentori di giovani talenti, corre la medesima differenza del loro orientamento sessuale !
Sempre Mitropoulos e Abbado…il problema non è il gusto personale (a te piace il primo e detesti il secondo), ma l’ego di entrambi. Detto questo trovo pretestuoso giudicare i direttori per il loro narcisismo e scandalizzarsi o censurare i loro atteggiamenti primadonneschi quando, invece, si continuano ad esaltare i capricci, le isterie, i vizi e l’arroganza di certe dive (atteggiamenti spesso ingiustificati che avrebbero meritato di procurare un bel calcio nel deretano alle capricciose divine e un invito a tornare a studiar musica)
Mi sembra evidente che il discorso di Muti, in questa situazione e dopo i fatti scaligeri, sia condivisibile, ma ricorda la battuta su alcuni curati :” predica bene ma razzola male”. Invece trovo poco tollerabile la volgarita’ da bettola ed il lessico di cosi’ basso livello.
mozart è stata una delle persone più scurrili della storia
“è stato”…. scusate l’errore di digitazione
Restando nella categoria dei direttori e tralasciando Toscanini, Leopoldo Mugnone, ad esempio, non era secondo a nessuno in quanto a parlar forbito (ed anche come bacchetta però)…
Io credo che la scurrilità, l’aggressività e la bestemmia per comunicare idee interpretative siano – con Toscanini in primis – segno di ignoranza e di non aver assolutamente nulla da dire. Non è necessario insultare orchestrali e cantanti per comunicare idee. Gli spezzoni delle prove di Toscanini sono un miserabile documento che testimonia una completa incapacità espressiva (anche perché, filtrando gli improperi e le bestemmie, non si capisce cosa chiedesse alla povera orchestra)…confrontale con le prove di Kleiber (Carlos) e Celibidache, tra i primi che mi vengono in mente, per distinguere un vero direttore che parla di musica e condivide e guida scelte ed interpretazione, da un pagliaccio che sbraita e agita le braccia.
Non se se è il caso di Muti. Però, in linea generale, devo dire che, proprio per esperienza personale, la volgarità da bettola e il lessico di infimo livello spesso appartengono alle persone di intensa creatività, mentre la raffinatezza e il linguaggio forbito più di una volta individuano splendenti nullità.
Marco Ninci
Se parla muti… Mah… Lo fa per un motivo SUO, PERSONALE!
Mi dispiace. Ha rovinato e continua rovinare.
Fa come tanti… Bla, bla, bla. Lui che potrebbe, però, in realtà, fa ben poco ma cerca di convincere tutti che fa tanto.
Scusatemi.
Addirittura? Mi sembra eccessivo questo astio…
In questo caso non c’è nessuna differenza fra critica e rimprovero, visto che rimprovero non l’ho usato certo in senso morale. Ma queste sono cose ovvie. L’osservazione di Mancini è di una psicologo da bancarella, tanto per far prova di umiltà.
Ciao, Lily
Marco Ninci
ti posto un motto di cui potresti fare tesoro, caro ninci, qui ed altrove
tacere di sé è umiltà
tacere degli altri carità
tacere parole inutili penitenza
tacere a tempo e luogo prudenza
tacere delle croci eroismo.
Alla fine si viene sempre a parlare del mio lavoro, lavoro in una cloaca, non si vorrebbe che una propria figlia mi avesse avuto come insegnante etc. Oltretutto, siete voi che vi siete occupati di scoprire che lavoro facevo, fate tutto da soli. Questa è veramente una grande prova di umiltà e di finezza.
Marco Ninci
E poi, se devo essere sincero, cara Lily, non hai parlato di semplice e generica attenzione al merito altrui. Hai parlato invece di una maggiire attenzione al merito altrui che non al proprio. Il che mi sembra difficile.
Ciao
Marco Ninci
Perdonami, Marco, forse non mi sono spiegata. Intendevo parlare di cura, devozione e rispetto verso la propria arte, la propria disciplina, il proprio mestiere piuttosto che – sempre ed esclusivamente – verso il proprio ego.
L’attenzione genuina al merito altrui è solo uno dei tanti corollari che ne derivano.
Sono perfettamente d’accordo. Vedo che è stato fatto il nome di Celibidache insieme a quelli di altri direttori, come esempio di narcisismo primadonnesco. Significa aver capito ben poco della sua vicenda artistica e umana. Il suo rifiuto per il disco, che fu la causa del suo divorzio con i Berliner, che gli preferirono il mercante Karajan, è un perfetto esempio di mortificazione dell’ego e della carriera, per rispetto dei propri principi artistici. Analogamente rifiutò, negli anni sessanta, l’allettante proposta di diventare direttore stabile di un’orchestra a sua scelta tra la New York Philharmonic, la Philadelphia Symphonic o la Boston Symphonic.
Il narcisismo si esprime sia con gli altezzosi silenzi sia con la sovraesposizione mediatica. Attenzione: non parlo di meriti, bravure, gusti, ma di mera coscienza di sé e del proprio ego. Per fare il direttore d’orchestra occorre un ego deciso.
Mio Dio! non sono mai stato un fan di Muti, ma durante il suo “regno” scaligero MAI si sono vste schifezze simili al “Conte Ory” (ho visto la generale) in scena da domani. Non pensavo si potesse , intenzionalmente, oltraggiare musica, canto, spettatori fino a questo punto. Come è possibile che un direttore di lunga esperienza come renzetti (tuttominuscolo) si sia prestato a simile nefandezza? Solo per i soldi? Muti, ne sono certo, avrebbe preso a “calci nel culo” un simile regista e, quantomeno, avrebbe garantito l’aplom musicale……Riccardo Muti avrà avuto, e forse avrà ancora, atteggiamenti dittatoriali con l’orchestra, ma ha sempre garantito un livello complessivo degli spettacoli almeno decente.
ma a quale porcheria si è prestato sir pappano a londra nell’ultima manon lescaut? questi si prestano a tutto !
Già mia cara, fanno marchette.
Comunque ha diretto davvero bene! Ma bene bene.
U
Beh, quando il regista parla dell’Ory come di “un’erezione che dura due ore e un quarto” che vuoi aspettarti?
Vedi, Lily, fra noi sono volate parole grosse che non dovevano volare. E di questo mi dispiaccio molto. Il problema è che su internet le persone non appaiono per quello che sono e non si capisce nulla di nessuno, né di me né di altri. Quello che però mi sembra è che non è il caso, quando si tratta di artisti di livello, di fare discorsi moralistici su quello che sono come individui, sul loro ego, sulla loro considerazione degli altri, sul rispetto che hanno della loro arte etc. E’ qualcosa che non ha molto a che vedere con la loro grandezza; alla fine non è neppure interessante. Karajan è stato nazista. Eppure nella sua arte è stato la negazione del tronfio nazionalismo germanico, tanto per fare un esempio. Io non so se è vero, ma mi è stato sempre detto che la Callas non era un esempio di generosità verso i colleghi. Se fosse vero, sarebbe soltanto un ulteriore tassello di una storia molto lunga. Se non è vero, va bene, sarà un ulteriore tassello di una storia invece molto breve. Comunque, se non riconosceva i meriti altrui, questo certo non vuol dire che non avesse rispetto per la propria arte. Come è difficile dedurre una conclusione simile dall’invidia delirante, quasi un fatto psichiatrico, che Furtwaengler nutriva per Karajan. Un’ultima osservazione. Può darsi che io parli di cose di cui non so niente. Va però anche detto che tu sai ancora meno del modo in cui insegno e di ciò che ho trasmesso ai miei studenti. Forse le tue figlie con me si sarebbero quanto meno divertite, come hanno fatto tanti miei allievi; forse avrebbero anche apprso qualcosa. Non è poco, credimi.
Con l’affetto di sempre.
Non mi firmo, per far contento Mancini.
riassumiamo la “tirata” di ninci nella frase di ebe stignani “un cantante vale per quello che fa sulla scena”.
ciao
dd
Per favore, Donzelli, lascia perdere, tu non c’entri niente.
Caro Ninci, lei intende dire che i discorsi sulla moralità di Muti sono qui fuori tema? Se è così, pare anche a me. Che poi a lei, come a me, non interessino per nulla, è forse problema nostro.
Invece, vorrei capire, e chiedo, cosa stia effettivamente denunciando Muti. Vi è un problema generale connesso al reclutamento dei giovani orchestrali? Se sì, esso è da ricondurre alla situazione economica o al quadro legislativo? Perché fa benissimo Duprez a mettere in guardia dallo sciovinismo, e da consimili piccinerie, che stanno sempre dietro l’angolo.
Me lo sono chiesto anch’io perché il discorso in sé è pure condivisibile, ma si presta troppo ai soliti sospetti. A parte che il concetto per cui gli italiani sarebbero migliori di russi e tedeschi nell’eseguire musica italiana è tutto da dimostrare (e vale per tutti i repertori: mi sembra ridicolo pensare ad una sorta di autarchia musicale…), ma poi la realtà smentisce la retorica delle grandi occasioni. Io tutta questa eccellenza italiana non la vedo: le orchestre dei nostri maggiori teatri non sono neppure paragonabili agli standard europei. Solo un pazzo o un disonesto può sostenere che l’orchestra della Scala sia migliore dei Berliner o della Staatskapelle di Dresda o di realtà considerate minori. Ma vale anche per l’Orchestra Verdi o quella del Regio di Torino, dell’Opera di Roma…e francamente pure per la Cherubini. Ora se il motivo della tirata di Muti è il risentimento perché alla Scala hanno scritturato l’orchestra giovanile di Dudamel e non la sua, beh amen…se invece è una sincera denuncia di un sottodimensionamento dei musicisti italiani mi verrebbe da chiedere al Maestro Muti (che stimo assai più come musicista che come retore) perché mai, allora, il pianista di quel concerto dove ha tenuto il discorso è il francese David Fray (buon solista certamente) e non gli italiani Cominati, Prosseda, Andaloro: pianisti eccellenti, compatrioti del Maestro e decisamente superiori a Fray. Certo non sono sposati con la figlia…ma se si parla di merito allora si deve essere coerenti.
La musica certo è linguaggio universale, ma è anche vero che la globalizzazione, con la distruzione degli stili esecutivi nazionali, per il fatto artistico è stata secondo me una perdita secca.
Ma son due cose differenti: un conto è la globalizzazione che omologa e semplifica in un solo linguaggio ritenuto gradevole alla maggioranza, altra cosa è ritenere che gli italiani facciano meglio la musica italiana, i russi la musica russa e i tedeschi quella tedesca…inglesi e spagnoli sarebbero relegati ai loro scarsi compositori (anco peggio andrebbe agli scandinavi). Insomma l’assunto che sostiene Muti è davvero discutibile…e smentito dalla storia tra l’altro: se voglio ascoltare il miglior baritono verdiano, ad esempio, scelgo Schlusnus non certo gli “italiani”, così come per Mahler scelgo il francese Boulez o l’americano Bernstein, per Puccini scelgo l’austriaco Karajan tutta la vita e per il Beethoven pianistico la russa Grimberg, per Schubert l’argentina Pires o il russo Richter…
Io, per parte mia, penso che l’internazionalismo sia la morte della cultura. Se voglio essere letto, devo scrivere in inglese. Ma in inglese non sarò mai in grado di esprimere le sfumature che mi permette la lingua madre. Quindi ciò che scrivo è sfigurato, dal momento che il contenuto cambia quando lo si esprime in una lingua diversa.
Non solo della cultura.
forse basterebbe sapere l’inglese come l’italiano e te lo dici chi, secondo te, ignora l’italiano! però….. nel blog abbiamo un paio di persone che decidono a tavolino che lingua , diversa dalla patria, utilizzare e mi pare che pochi o nessuno se ne siano accorti
Certo, Toscanini un pagliaccio; addirittura…pensare che mi sembrava di una certa bravura; sono proprio vissuto invano.
Ancora una volta il tuo contributo alla discussione è solo il sarcasmo snobistico di chi si crede troppo superiore per abbassarsi al livello dei propri interlocutori entrando nel merito delle cose e argomentando. Per questo saresti da censurare. Sottoscrivo in toto l’intervento di Duprez riguardo a Toscanini.
Non so che dirti…ma se ascolto le prove di Toscanini e quelle di Kleiber nel secondo caso trovo un musicista che parla di musica, nel prima che sento? Bestemmie e urla per dire…che cosa alla fine? Io ancora non capisco cosa chiedesse all’orchestra. Condivido il giudizio di Furtwaengler su Toscanini.
Beh Toscanini ..pagliaccio non di certo,ma irascibile di certo…poveri orchestrali,però c’è da ammirarlo quando si oppose ad eseguire la canzoncina fascista,ed è stato schiaffeggiato …
Quindi le ragioni per ammirare un direttore d’orchestra sono le sue scelte politiche?
Infatti, mi chiedo la stessa cosa: ho timore a chiedere a Pasquale quel che pensa di Furtwaengler o Mengelberg o De Sabata… Direttori così superiori a Toscanini che neppure si dovrebbe porre il paragone. Ma che, purtroppo per loro, non hanno ricevuto schiaffi e non sono scappati negli USA per godere di faraonici ingaggi. Mi piace ricordare, qui, le dignitose parole di Furtwaengler di fronte all’ignorante arroganza dei cosiddetti vincitori: “Sapevo che la Germania era in una situazione terribile; io mi sono sentito responsabile per la musica tedesca, ed è stato mio compito farla sopravvivere a questa situazione, per quanto ho potuto. La preoccupazione per il fatto che la mia musica potesse essere usata dalla propaganda ha dovuto cedere alla preoccupazione più grande di conservare la musica tedesca, di farla ascoltare al popolo tedesco. Questo popolo, compatriota di Beethoven, Mozart e Schubert, doveva ancora vivere sotto il controllo di un regime ossessionato dalla guerra. Nessuno che non abbia vissuto quei giorni può giudicare com’era. Non potevo lasciare la Germania in quello stato di massima infelicità. Andarsene sarebbe stato una fuga vergognosa. Dopo tutto sono un tedesco, qualunque cosa si possa pensare di questo all’estero, e non rimpiango di aver fatto questo per il popolo tedesco”.
Splendide parole quelle di Furtwaengler, grazie. Faccio mio anche il suo giudizio su Toscanini:“La militare esattezza, il ferreo ritmo, tutto scorre rigido e senz’anima, la meccanica e martellante scansione, la mancanza di elasticità ritmica, quell’esattezza pedante che nulla ha a che fare con la precisione”.
Che palle, ancora ‘sta storia…quanti dividendi ha prodotto quello schiaffo! Lasciam stare… Dici “poveri orchestrali”…io dico povera musica.
cosa sarebbe successo,se invece avrebbe acconsentito alla richiesta? rimaniamo solo al suo rifiuto,se poi ha avuto dei vantaggi andandosene in America,può darsi ,ma non è che si è fatto a prendere a schiaffi per questo,per andarsene in America,resta il fatto che non si è piegato alla richiesta,sinceramene nemmeno a me mi piace molto Toscanini,però non si può dire che ha prodotto cattiva musica…o povera musica
non intendevo questo Mancini,quell’episodio esula dal giudizio come direttore di orchestra,invece merita un encomio come uomo che non si è piegato a un prepotente …
Ma qui non c’entrano le scelte politiche. Queste hanno la loro importanza, ma in un ambito diverso da quello musicale. A quelle scelte per esempio si doveva il fatto, come diceva Fedele D’Amico, che per l’uomo della strada negli Stati Uniti italiano e fascista non fossero la stessa cosa. Il che è è stato fondamentale. Tuttavia, sbrigare in un rigo o due con disprezzo un musicista come Tosacnini è assurdo. La sua importanza storica è enorme, ha imposto livelli esecutivi per l’opera italiana ai suoi tempi impensabili, le sue interpretazioni meritano di essere discusse, non certo diprezzate. Il suo Falstaff, poi…Comunque, Toscanini non è stato insuperabile, come nessuno lo è. Ma ha posto le condizioni per essere superato, come ogni musicista di importanza storica. Alla fine, i giudizi di un direttore su di un altro lasciano il tempo che trovano, sono tuitti delle prime donne. Io voglio solo dire che cancellare due musicisti come Toscanini e Karajan cone due paroline, “pagliaccio” e “mercante”, non fa onore a chi le pronuncia.
Marco, allora riformulo e amplio la mia considerazione: trovo che comunicare idee musicali sbraitando come un ossesso, bestemmiando e insultando senza ragione chi sta suonando PER te, poco o nulla c’entra con la musica e con il lavoro dell’interprete (e il direttore è prima di tutto una guida che accompagna l’orchestra in un percorso musicale condiviso, non un despota incivile), piuttosto mi sembra una sceneggiata, uno spettacolo di varietà (o di circo appunto, dove protagonisti sono i pagliacci). Ora non sto parlando di gusti o i risultati (peraltro a me Toscanini non piace – salvo alcune incisioni, tipo Falstaff e Otello) e neppure di politica. mi chiedo solo cosa vi sarebbe di formativo in quelle sfuriate: come può crescere un’orchestra a suon di bestemmie? cosa comprende uno strumentista da indicazioni tipo “e qui..nananana…MA PORCO D….mmmmm somariiiiii e là più più più NOOOOOOOO”? cosa diavolo intendeva comunicare Toscanini (io non riesco a capirlo)? Forse mi aspetto che un musicista parli di musica…aldilà del giudizio di Furtwaengler che lascerà pure il tempo che trova, ma che – a mio parere – descrive esattamente l’approccio musicale toscaniniano nel definirlo un pedante e meccanico battitore di tempo.
sul trattamento che riservava agli orchestrali sono d’accordo,un schiaff da un da un di loro lo meritava
No, Donzelli, in questo hai torto. La lingua condiziona il modo di pensare. Tant’è che quando Rilke ha scritto in francese ha scritto molto diversamente; e le poesie francesi di Rilke, che il francese lo conosceva alla perfezione e lo usava per scelta, non certo per necessità, non sono davvero quello che esprimono il suo sentire alla perfezione.
mi sarei meravigliato che tu mi d’Assi ragione!
rimetti a posto l’italiano ninci non gira molto……..
L’italiano, caro Donzelli, gira perfettamente. C’è solo un errore di battitura nell’ultima riga: “quello” al posto di “quelle”. Ma che si tratta di un errore di battitura lo vdono tutti.
Ciao
allora continua a non girare, cara la mia signora maestra. Guardati anche quel che “il francese lo conosceva alla perfezione “…… è censurabile come il lombardo il Piero, la Teresa, Il Giulio (che per i veri milanesi non è solo un individuo che si chiami Giulio, ma il pitale!!!!!)
e adesso FACCI pure la sua lezioncina non aspettiamo altro!
Caro Donzelli, il fenomeno che tu stigmatizzi si chiama “dislocazione a sinistra” ed è comunemente ammesso, quando si tratta di mettere in rilievo un certo termine. Come vedi, la tua pedanteria è inutile quanto noiosa.
Ciao
ho imparato da qualcuno che non sa fare altro come la stragrande maggioranza delle persone che infestano ed impestano le università italiane!
e per altro pensavo fosse una “supercazzola con scappellamento al centro”, ma sai ho frequentato una di quelle università dove l’importante è non insegnare !!!!!
visto che si è deragliato dal tema,ma Toscanini sapeva scrivere bene l’italiano,oltre a maltrattare i musicisti?
Adesso non cominciamo a esagerare. Stiamo parlando di un musicista che, comunque lo si giudichi, è stato uno dei massimi direttori della storia ed era amico personale, oltre che di Verdi e Puccini, anche di letterati e scrittori. A me i suoi dischi non piacciono molto, ma un po’ di rispetto per cortesia!
Toscanini era un grande direttore, di importanza storica assoluta. Questo solo importa. Che non parlasse di musica non significa niente. Al direttore veramente grande bastano il gesto e l’autorevolezza per comunicare tutto il suo mondo interiore.
Se il suo mondo interiore corrispondeva a ciò che gli usciva di bocca durante le prove o che si ascolta nella maggior parte delle sue incisioni, credo che fosse un mondo molto arido.
Insomma è così perché è così… Ma che me frega di questi luoghi comuni, dell’adulazione cieca e dogmatica del nome famoso? Mi interesserebbe sapere invece in base a quali criteri puoi affermare che era un grande direttore, che cosa oggi ha da insegnare sul piano musicale, qual è la sua lezione, se ha lasciato una poetica. Il resto risparmiacelo per cortesia.
Intanto, era un grande direttore sul piano tecnico. La trasparenza della sua resa orchestrale, all’interno della quale non c’era particolare che sfuggisse, era proverbiale. E questa esperienza la si può fare anche oggi, se si ascoltano le sue incisioni seguendole sulla partitura. Incisioni che non hanno certamente la perfezione di quelle di oggi e forse neppure di quelle loro contemporanee. Poi, nelle incisioni di opera, l’unitarietà del discorso orchestrale e vocale. I cantanti delle sue incisioni si possono criticare, senz’altro; eppure nessuno, anche fra i suoi detrattori, ha saputo negare il fatto che i cantanti di queste esecuzioni parlino tutti lo stesso linguaggio. L’intensità del legato orchestrale; forse solo Furtwaengler lo ha uguagliato. Basta sentire l’esecuzione della sinfonia della “Forza del destino”. Ha imposto la nobiltà dell’opera italiana (ovviamente con i limiti del suo gusto, che era lontano dal bel canto), proprio dal punto di vista della coerenza ochestrale, anche nei paesi di lingua tedesca. Ovviamente è un direttore che ha iniziato la sua carriera alla fine dell’Ottocento ed è norto alla metà degli anni Cinquanta del Novecento; va visto nel suo tempo. Usanze che oggi sono banali in ogni teatro è lui che le ha imposte. Mancini può detestarle, ma è così. Inoltre Toscanini ha dato nell’Italia del primo Novecento grande rilievo a Wagner; non è stato il solo, ma forse il suo impulso è stato quello decisivo. Ha poi raggiunto grande livello, a giudicare dal parere dei suoi contemporanei, sia nel sinfonico che nell’operistico, in tempi, come il primissimo Novecento, in cui questo non era così banale come lo è oggi. Insomma, una serie di meriti fondametali, alcuni validi anche oggi, altri da contestualizzare; negarli secondo me è senza senso.
Non voglio entrare nel merito dei gusti personali, però quando ascolto Toscanini non sento precisione, ma scansione martellante. Non sento trasparenza, ma secchezza. Davvero è grandezza saper tenere il tempo? A me pare che le letture di Toscanini si riducano ad una visione molto superficiale: ossessione ritmica, cronometrica “precisione”, nessun interesse – almeno questo appare – a ciò che sta dietro la mera esecuzione delle note. Aveva un repertorio molto ampio…e allora? Di per sé non è un merito (Carlos Kleiber l’aveva limitatissimo eppure è uno dei più grandi direttori del secolo passato). Sul suo Wagner poi…molto effettistico e superficiale (peraltro credo che in Italia si debba a De Sabata un vero e consapevole contributo alla musica wagneriana). Più ci rifletto, più ascolto incisioni, più ripenso al direttore e più mi pare che l’eredità toscaniniana sia sostanzialmente di natura mediatica: ha incarnato a livello popolare ciò che il pubblico meno preparato musicalmente pensava dovesse essere il direttore d’orchestra (ossia un despota che sbraita sul palco e agita le braccia ed esegue Verdi); ha arricchito l’aneddotica degli appassionati di pettegolezzo o della fauna di certi loggioni; ha regalato un termine di paragone universale alla stampa generalista che marchia ogni direttore italiano che esegue Verdi come “il nuovo Toscanini”; ha generato una marea di imitatori più o meno sgrammaticati; ha generato equivoci di ogni genere sui presunti doveri di un direttore d’orchestra; ha prodotto miti ancora oggi difficili da eliminare (come la falsità per cui eseguisse solo e tutto ciò che era segnato in partitura).
Sai, Duprez, il pubblico meno preparato comprendeva contemporanei come Alfred Einstein e Paul Bekker. In tempi più vicini a noi, Fedele D’Amico, Luigi Ronga, Massimo Mila, Francesco Orlando Gianandrea Gavazzeni e molti altri.
E chi ha parlato di loro? Non mi pare di aver scritto che Toscanini piacesse solo agli ignoranti, ma – diversamente – che per un pubblico meno preparato musicalmente e ignorante, Toscanini ha incarnato (e incarna tuttora) il mito del direttore d’orchestra per eccellenza…
se Toscanini,sarebbe vissuto nei nostri tempi,secondo voi dirigeva alla stessa maniera,e con gli orchestrali sarebbe stato più gentile ? Mozart comunque ha ragione,può non piacere (a chi non piace) ma stiamo parlando di uno dei più importandi direttori,non del primo battisolfa che passa
Sono state scritte tante cose interessanti e importanti in questo lungo dibattito, scaturito dalle parole colorite e di non facile decifrazione – a parte quella più superficiale – di Riccardo Muti; sono stati affrontati problemi di enorme interesse e delicatezza (peculiarità nazionale della musica e degli esecutori; fedeltà alla partitura; opportunità o meno di coinvolgere nella valutazione di un musicista anche variabili extra musicali). Vorrei, a mia volta, fare un paio di considerazioni, soprattutto su Toscanini e Karajan, il “pagliaccio” e il “mercante”.
Allora, Toscanini:
– la sua formazione musicale era solidissima e approfondita in modo che in tempi come i nostri può apparire addirittura fantascientifico; per esempio: quanti direttori d’orchestra oggi, pur con un diploma cartaceo in composizione, sarebbero in grado di intervenire nella stesura di un finale d’opera partendo dagli appunti del compositore, come Toscanini fece con il, o i finali di Alfano per Turandot? Quanti direttori, avendo di fronte a sé la partitura di un’opera in prima esecuzione assoluta come fu il suo caso con “Manon Lescaut”, sarebbero in grado di aggiungere tutte, tutte le arcate di fraseggio perché il pur grandissimo Puccini era sempre troppo indeciso e aveva lasciato la partitura priva di indicazioni che non sono proprio inutili o accessorie? Quanti direttori oggi si sono dedicati come lui alla musica di compositori suoi contemporanei? Per tacere del fatto che, essendo stato violoncellista in orchestra, aveva anche un punto di vista che moltissimi giovani e meno giovani odierni suoi colleghi non possono vantare;
– il suo modo di provare: concordo pienamente che la tirannia non sia un modo accettabile per relazionarsi con le persone, orchestrali o no; sicuramente preferisco la fantasia immaginosa di Kleiber, l’energia di Bernstein o il signorile garbo di Giulini. Tuttavia, fra le urla e le bestemmie, Toscanini sapeva ottenere quel che voleva e le citate prove de “La Traviata” ma anche quelle interessantissime del duetto del primo atto dalla “Valchiria” con Bampton e Svanholm sono lì a dimostrare che i risultati c’erano eccome; che poi non piacciano è un altro discorso;
– concordo con Marco quando dice che le sue esecuzioni operistiche hanno una compattezza d’intenzione interpretativa rara, sia nel bene (Falstaff, Otello, ma anche le diverse esecuzione del Requiem verdiano), sia nel benino (La Bohème, Aida), sia nel male (Un ballo in maschera); non si dovrebbe, però, dimenticare anche che sono riprese radiofoniche in auritorio; se si ascolta il Falstaff di Salisburgo, in teatro, con i costumi, la recitazione, la narrazione musicale, si sente ben altro Toscanini: tempi meno stretti, senso appunto della narrazione musicale, del teatro; non dimentichiamoci quando è nato, signori: probabilmente la, eccessiva anche per me, speditezza di certi suoi stacchi di tempo era dovuta al più o meno consapevole desiderio di colmare quelli che egli percepiva come vuoti (la mancanza dell’azione scenica, appunto);
– fedeltà alla partitura: non so quante sue dichiarazioni esistano in proposito; non so quanto pesi un fraintendimento più o meno interessato da parte di suoi “eredi”; tuttavia, per come la vedo io “eseguire solo quello che c’è scritto” è una frase priva di senso e, ripeto, Toscanini era un musicista troppo preparato per credere a una panzana del genere; inoltre esistono diverse testimonianze delle libertà che si prendeva a fini interpretativi – libertà che, sia detto, spesso ci sono eccome scritte in partitura, basta saperle leggere (un solo esempio: in una cadenza con una forte dissonanza che risolve su una consonanza, i compositori non sentivano alcun bisogno di scrivere “rallentando” o “stentato”, dando per scontato che un vero musicista l’avrebbe capito da sé; insomma non sono scritte ma sono scritte; altrimenti i Notturni di Chopin, molto avaro di indicazioni, diventerebbero inascoltabili, per dire), e con ciò vorrei segnalare a Mancini alcuni aspetti di quella che potrebbe essere considerata una “poetica” toscaniniana: nella sua versione della “Danse Macabre” rallenta intenzionalmente l’attacco del cantabile dei violoncelli, proprio per esaltarne, appunto, l’aspetto cantabile; nel concerto dedicato ad Arrigo Boito effettua uno stringendo sugli ultimi “Ave” del “Prologo in cielo”, non scrito da Boito ma di grandissimmo effetto – e poi, guarda caso, siamo in cadenza; sempre nello stesso concerto consegna una delle migliori versioni del terzo atto di “Mefistofele” che si siano mai sentite – e basterebbe il preludio e l’accompagnamento all’aria di Margherita o il clima creato all’attacco di “Spunta l’aurora pallida” per far impallidire qualsiasi altro interprete di quel bizzarro e affascinante pastiche che è l’opera di Boito; durante le prove, guarda caso, sempre di “Mefistofele”, leggenda narra che, accompagnando Pertile, Toscanini gridasse agli orchestrali: “Non suonate, cantate, cantate come Pertile”; nel concerto di Ciaikovskij non può passare inosservata la sua disponibilità ad assecondare le pirotecnie ma anche gli abbandoni estatici del giovane Horowitz; ultimo esempio che mi viene in mente: ascoltate il clima che crea nel preludio al terzo atto de “La Wally”: si è mai sentita una cosa del genere dopo? A me non risulta; e poi, anche in quella, per mio gusto, bruttura che è il suo “Ballo”, quante volte avete sentito creare un clima così teatralmente efficace all’inizio della scena in cui Renato invita Amelia a estrarre il nome dell’attentatore alla vita di Riccardo (e, per favore, non ditemi i soliti nomi perché quelli li conosco anche io)? Insomma, una poetica toscaniniana esiste ed è fatta di senso del teatro, senso della frase, attenzione ai rapporti strutturali;
– precisione e limpidezza nella sua visione della musica sono indiscutibili; poi, ripeto, possono essere percepiti da ogni ascoltatore in modo diverso e ci sta anche, benissimo, il giudizio di Furtwaengler – che io, per quanto valga il mio giudizio – gli preferirò fino alla fine dei tempi; ma è un po’ come il discorso: Abbado è un direttore cristallino o un direttore algido?
Insomma, può non piacere e, per dire, non è di sicuro fra i miei direttori prediletti, ma da qui al “pagliaccio” ne passa. Per quanto riguarda la sua eredità, beh, qui pesa tantissimo l’atteggiamento dei suoi cosiddetti o autoprocalmatisi eredi e imitatori; ma non si può dare la colpa a lui; sarebbe come darla alla Callas per l’involontaria strage di voci anche importantissime che la sua insensata imitazione ha provocato.
Il “mercante” Karajan. Quanto è facile cedere ai luoghi comuni, a tutti i luoghi comuni, anche a quello dell'”uomo del marchio giallo”. Non si dovrebbe dimenticare che prima di diventare l’uomo del marchio giallo, e in alcuni compositori anche dopo, Karajan è stato un direttore di valore immenso: il suo ultimo Verdi, il suo Puccini, il suo Strauss, il suo Bruckner – compositore che troppo spesso si liquida come un noioso trombone e al quale Karajan ha reso un servizio straordinario fino alle sue ultime, magnifiche, settima e ottava – il suo Ciaikovskij, nuovamente, possono non piacere ma sono di straordinario livello Non solo: prima di pensare, come vuola la vulgata, ad assicurare un futuro alla consorte e alla prole, Karajan ha lasciato interpretazioni in disco e dal vivo, solo sul podio o con compagni di musica come Gieseking, Rostropovich, Richter (che non lo amava per nulla), Bermann che ancora oggi sono paradigmatiche; non solo, ma eseguiva molta musica sua contemporanea e, di conseguenza, difficile da “mercanteggiare”, che poi avrebbe abbandonato con l’età: ma i dischi rimangono e restituiscono interpretazioni sempre di grandissimo interesse di musica di Frank, Bartok, Stravinski, e, aggiungerei, probabilmente la migliore interpretazione dal vivo di quella trappola mortale che è “Die Frau ohne Schatten”. Per cui concentrarsi solo sui suoi ultimi anni e metterlo a confronto con Chelibidache, che sfoggiava il suo saio ascetico con lo stesso compiacimento con cui Karajan sfoggiava la sua barca a vela o le sue Porsche (e allora salviamo uno perché è francescano e condanniamo l’altro perché è ricco? A parte il fatto che non mi sembra proprio che il Che dirigesse solo quando “aveva il frigorifero vuoto o ne aveva voglia”) è davvero ozioso e stantio. Lo vogliamo fare davvero? Ma dai, per favore: non si può accettare una cosa simile in un sito come questo, dove e giustamente si richiedono argomentazioni consistenti.
Per concludere: tutto si può discutere, il criterio “a me non piace, gli preferisco quest’altro direttore” è sempre lecito e sacrosanto ma quando portato avanti onestamente, non a colpi di “quello pensava solo ai soldi, quello era stronzo, quello era un santo, quello era omosessuale etc. etc.”; ma “pagliaccio” e “mercante”, o “fenomeno mediatico” proprio no. Non si può leggere da persono che in altre occasioni, molte occasioni, hanno dimostrato di avere solidi argomenti su cui e con cui dibattere.
Buona serata.
Volevo aggiungere qualcosa, ma questo è un post perfetto. Semplicemente, da incorniciare. Condivido fino all’ ultima virgola.
Grazie a Mozart per le bellissime parole. E scusate per gli errori di battitura; qui da me sta diluviando, non c’è luce in casa e lo schermo del portatile è quello che è. Buona notte a tutti.
Grazie di avere riportato la luce qui. Finalmente! Se tu avessi voglia di allargarti sul tema e volessi farne un tuo post, sarei molto orgogliosa di editarti in homepage…prima che la neuro faccia un retata qui
sagge parole donna Grisi 😀
Scusa ma non so cosa farmene del Bruckner di Karajan a fronte di quello di Celibidache, il direttore che più di ogni altro, e di gran lunga, ha saputo rendere giustizia a tale compositore. Tutt’al più è utile come confronto, per capire ancor meglio la bravura del rumeno.
A proposito di alcuni argomenti di cui sopra… Celibidache ed i Münchner eseguono l’inno di Mameli: http://m.youtube.com/watch?v=17Tz9zqF8ps
Non entro nel merito del discorso molto complesso che si sta ancora svolgendo (mi trovo dalla parte di Lontanodalmondo), ma……. io non sopporto il nostro inno perché di una bruttezza spaventosa (non amo il Risorgimento in geenrale, ma sono fatti mieiXD), eppure questa è la prima volta che mi sia piaciuto realmente e in cui abbia sentito una dignità musicale!!!!!!!
ovvio che un rossiniano non ami il risorgimento !
eppure, forse perché sono per motivi anagrafici uno degli ultimi cui la storia patria è stata insegnata (inculcata?) nei suoi elementi di base da una maestra pe cui la patria era sempre oppressa e la storia era solo un anelito di unità di qualche cosa che non poteva essere unito (l’ho già scritto che i miei nonni nati nell’ultimo decennio dell’800 mangiavano da austro ungarici e la scoperta della parmigiana di melanzane fatta a Roma nel 1906 fu una sorta di epifania) trovo divertentissima la storia del risorgimento. Se poi penso che oltre a Camillo Cavour il merito maggiore spetta al culo di Cristina Trivulzio Belgiojoso mi diverto moltissimo…..
Antonino non potevi trovare commento più pertinente di questo come risposta alle parole di Muti, grazie.
Cara Lontanodalmondo, intanto devo dirti che mi piace moltissimo il tuo scritto, così acuto ed equilibrato. Per quanto mi riguarda, posso solo aggiungere che qualunque giudizio mi sembra degno di interesse, anche quello che condivido di meno. Per il semplice fatto che parte da alcuni presupposti precisi e determinati. E i presupposti, anche quando sono molto diversi dai nostri, indicano tuttavia un ambiente, una mente, una concezione del mondo. Conoscere cose di questo genere è sempre fondamentale. Per cui mi stanno benissimo il giudizio di Adorno su Toscanini ed anche l’opinione negativa che di Toscanini aveva Furtwängler. E pure l’asprezza di Celibidache è interessante. Era dettata ovviamente da motivi personali; e questo lascia il tempo che trova, come in genere fanno i particolari biografici dei grandi artisti. Indica però anche una distanza abissale di tipo ideologico e musicale; e questo dice molto sulla poetica e di Celibidache e di Karajan. Questo solo, a mio parere, deve importare a noi. Sono giudizi ed opinioni che non devono generare fan di uno o di un altro, ma aiutarci a comprendere e l’uno e l’altro. Del resto, hai ragione ad osservare che negli ultimi tempi sono state sollevate questioni di importanza enorme, questioni che hanno generato tonnellate di scritti e non possono certo pretendere di essere risolte qui. Un saluto affettuoso da Marco,
Un’ultima osservazione per Mancini. Tu desideri, a ragione, che si argomenti. Tuttavia la tua ultima osservazione su Karajan e Bruckner non è proprio un granché come argomentazione; mi sarei aspettato di meglio. Come non è uno splendore argomentativo il nomignolo “mercante” affibbiato a un musicista importante. Ciao
Vorrei replicare a Lontanodalmondo perché – a mio giudizio – sposta il discorso su altre questioni: questioni mai affrontate e mai messe in discussione. Rassicuro Giulia, però, che non vi è alcuna necessità di ricorsi alla “neuro”: si tratta di giudizi non certo improvvisati o umorali.
TOSCANINI: preciso – se ce ne fosse bisogno – che non è certa mia intenzione negare valore storico a Toscanini (se non altro per aver vissuto a contatto con grandi compositori e aver in certo modo “contribuito” ai loro successi). Ma non credo sia un’offesa o un delitto (o una follia) sostenere che Toscanini – per circostanze storiche ed esposizione mediatica – ha rappresentato l’epitome del “direttore d’orchestra” con tutto il mito che ne circonda la figura (che nella vulgata DEVE essere scorbutico, sbraitare, lanciare bacchette e far scenate), anche presso il pubblico più musicalmente impreparato o ignorante: tutti conoscono il nome di Toscanini e tutti lo associano alla definizione “il più grande direttore d’orchestra”, anche chi nulla sa di musica (e che neppure ha mai sentito nominare Furtwaengler o Klemperer). E perché lo conoscono? Non certo per la precisione del gesto o perché sapeva mettere le arcate di fraseggio…ma per l’aneddotica e la fama di direttore/despota. Non entro poi nei gusti personali: le tue sono opinioni e come tali indiscutibili (le mie sono molto differenti: sia per quanto riguarda il “far cantare l’orchestra” o per la pretesa limpidezza e precisione), ma vorrei soffermarmi su altre tue affermazioni. Dici “quanti direttori diplomati sarebbero in grado di…etc”, e francamente rimango basito. Innanzitutto la prassi di intervenire sull’orchestrazione era molto comune nella generazione di direttori dell’epoca toscaniniana (e anche successiva); molti direttori erano anche compositori: alcuni eccellenti (come Mahler e Strauss), altri molto meno (come Furtwaengler e De Sabata)…quindi non stupisce questa capacità. Senza contare che una grande parte di repertorio (dal ‘700 sino all’800 inoltrato) non indicava molti segni espressivi in partitura (men che meno le arcate di fraseggio) e quindi i direttori dovevano comunemente estrapolare dal testo. Sul finale della Turandot, poi, vi sarebbe molto da dire: chi lo scrive – utilizzando la traccia degli schizzi pucciniani – è, come noto, Alfano (ed è un ottimo lavoro che, ovviamente, è più da compositore che arrangiatore, e infatti è poco pucciniano nella sua prima stesura)…Toscanini interviene poi con la sua solita sfuriata obbligando Alfano a riscriverlo perché – a suo giudizio – tradiva Puccini. E amen. Ma, in generale, è la pretesa “indiscutibilità” di certi pregi di Toscanini che trovo contestabile: quella che chiami precisione io la trovo un’assurda meccanicità di battuta. Non è – come spesso si legge – l’esaltazione dell’aspetto ritmico (che di per sé non dovrebbe comportare alcuna rigidità), ma l’ossessione per la scansione “esatta” e per l’aspetto meramente metronomico della partitura. Una concezione rigida e inchiodata che è agli antipodi della fluidità di Furtwaengler (per cui ogni misura aveva il suo tempo). L’esaltazione del ritmo in senso metronomico rende arida l’interpretazione: una specie di corsa sempre più tirata. Alcune cose mi piacciono del repertorio toscaniniano, soprattutto in ambito operistico (Falstaff, Otello e per certi versi anche Aida), ma nel repertorio sinfonico proprio no. Circa l’apertura ai compositori contemporanei mi riporto al giudizio di Shostakovich sulla qualità delle interpretazioni delle sue sinfonie. Sulle prove continuo a pensare che siano indegne di un musicista: perché non parlano di musica… In questo senso la definizione “pagliacciate” resta la più indicata.
KARAJAN: non voglio aprire qui il discorso sul direttore austriaco – perché mi sono ripromesso di affrontarlo più in là – ma aldilà delle questioni personali che viziano i giudizi di Celibidache, non si può negare che l’approccio di Karajan fosse incentrato quasi esclusivamente sul suono (riducendo, di fatto, l’intera esperienza musicale a mero dato sonoro), anche attraverso manipolazioni e falsificazioni: appena la tecnologia ha fornito i mezzi per farlo, infatti, le sue interpretazioni solo in parte trovavano la compiutezza nell’esecuzione orchestrale, e venivano poi trattate in fase di mixaggio con interventi di ogni genere (sui volumi, la presenza, le dinamiche…tutte cose che una volta si facevano in orchestra, non certo sulle manopole di un apparecchiatura elettronica) per costruire un prodotto artificiale del tutto diverso da quel che poteva essere l’esperienza d’ascolto. Il disco era il fine ultimo della poetica di Karajan perché nel disco riusciva a manipolare il suono secondo la sua precisa volontà. Per me questo è mortificante. Senza nulla togliere alla grandezza di Karajan ovviamente. Ma ci sarà occasione per approfondire.
BRUCKNER: francamente trovo piuttosto discutibile l’affermazione secondo cui prima della cura Karajan, Bruckner sarebbe stato ridotto a una specie di trombone. Non è vero…esiste una ricchissima varietà di interpretazioni (non solo Celibidache) che smentiscono questo assunto…forse in Italia, tra i melomani specialmente, è considerato così… Sul suo Ciaikovskij però: credo non esista niente di più zuccheroso (in senso negativo) della sua esecuzione della Patetica.
Per prima cosa vorrei ringraziare Giulia per l’attestato di stima rappresentato dalle sue parole; fa molto piacere ricevere un invito simile. Purtroppo in questo momento della mia vita non posso dedicarmi troppo a un argomento tanto complesso; incidentalmente anche Idamante aveva scritto cose interessantissime di recente e avrei voluto partecipare al dialogo ma… vabbè, la vita ha le sue esigenze. Comunque grazie.
Poi, caro Duprez, non so davvero come spiegarmi. La faccio semplice: sono quasi interamente d’accordo con te: di direttori preparati come Toscanini all’epoca sua ce n’erano moltissimi – anzi, un De Sabata, oltre al canonico diploma in pianoforte, sapeva padroneggiare più che bene diversi strumenti orchestrali. Non parliamo poi di Strauss, un direttore straordinario, e di Mahler, il mio più grande sogno impossibile: non hai idea di quanto mi piacerebbe avere anche un lacerto scricchiolante di un brano, suo o di altri, diretto da lui. Io però, mi permetterai di sottolineare, mi riferivo ai nostri giorni – e l’unico direttore che mi viene in mente e Salonen, che infatti trovo anche uno splendido e interessantissimo compositore.
Sulla prassi di manipolare le partiture sono d’accordo. Basta vedere le riproduzioni di certe partiture di proprietà di Gino Marinuzzi per vedere con quanta disinvoltura si maneggiava il materiale testuale – e spesso avendo ragione di farlo, aggiungerei. Ciò non toglie che Puccini avesse non pochi problemi con la gestione del suo stesso talento, difatti scriveva le partitura a matita, per poter cancellare i ripensamenti con la gomma e non con un bel segnaccio d’inchiostro come faceva Verdi, per esempio. E ancora il raffronto era con i giorni nostri. Poi l’esposizione mediatica: il discorso può funzionare con Karajan, meno con Toscanini, nel senso che non saprei dire quanto egli fosse consapevole di ciò che gli succedeva attorno e quanto non fosse “consenziente vittima” di un nuovo medium che stava nascendo e che veniva, perché no?, adeguatamente sfruttato. E ancora: il fatto che nell’immaginario popolare Toscanini rappresenti un certo tipo di essere direttore e forse, nuovamente concordo con te, l’unico modo di essere direttore è vero: ma nuovamente, è colpa sua? O non è forse colpa di un sistema che tende a privilegiare gli aspetti più appariscenti di alcuni personaggi, senza chieder loro un consenso? Perché le due cose sono assai diverse. Lo stesso, per dire, vale per Horowitz, che è quasi l’antonomasia del pianista funambolico; dimenticando però come suonava gli Improvvisi di Schubert, i Notturni di Chopin, lo Scriabin più intimista e via dicendo. E nuovamente ti chiedo, ma lo chiedo anche a me: di chi è la colpa?
Poi su tutto ciò che dici sulla rigidirà ritmica e sulla diametralmente opposta concezione – preferita anche da me – di Furtwaengler mi trovi d’accordo; lo ripeto a scanso di equivoci: c’è chi percepisce questi tratti direttoriali come limpidezza e senso del ritmo, chi come rigidità e anche mancanza di musicalità. Ma vale quanto dicevo a proposito di Abbado: è cristallino o è algido? Secondo me è cristallino perché io lo sento così.
Sulla interpretazione della musica contemporanea: sono stata un po’ imprecisa. Sicuramente ha fatto moltissimo e spessissimo molto bene per quella italiana; meno per quella estera (Rubinstein raccontava uno spassosissimo aneddoto a proposito di un’esecuzione del Bolero, presente Ravel, che il compositore aveva trovato talmente detestabile da rifiutarsi di alzarsi a ricevere gli applausi nonostante il giovane e ingenuo Artur, che evidentemente non aveva colto il malumore dell’autore – uomo impenetrabile per molti versi, del resto – continuasse a spronarlo in questo senso).
Poi Karajan, e per rispettare il tuo desiderio di non parlarne qui cercherò di essere breve. Intanto sgombriamo subito il campo da una cosa che ha fatto notare anche Marco: lo so bene anche io che Bruckner è stato ben trattato da grandissimi – mi citi Klemperer e sfondi una porta aperta; qualcuno di recente, forse proprio tu, scusa se non ricordo, citava Wand, e di nuovo si sfonda una porta aperta; nessuna “cura Karajan”; anzi direi che la situazione è ancora più tragica: nonostante Wand, Klemperer, Celibidache, io ci metto anche Karajan, Bruckner è ancora oggi considerato un insopportabile trombone. E questo è un problema. Poi sui Concerti grossi di Handel, sulle Quattro stagioni, in generale su tutte le sue incursioni nel repertorio che, per comodità, definisco barocco, nuovamente sono d’accordo con te e non ne ho taciuto dolosamente; semplicemente non mi sembrava utile a quanto volevo dire. Però, per carità, anche la sua ultima integrale beethoveniana è censurabile e il suo Mahler di poco interesse in un universo interpretativo fatto di Bernstein, Abbado – io ce lo metto -, Boulez, Walter, Klemperer, Salonen. Tutto vero. Ma Strauss, ma certo Verdi, ma i suoi concerti di Schumann e Grieg col giovane Zimerman – cito solo questo caso per non dilungarmi? Insomma, non mi sembra un contributo interpretativo su cui si possa sorvolare. E non dimentichiamo Sibelius – quello degli anni sessanta; e anche Ciakovskij: ecco, tu lo trovi zuccheroso; io struggente, decadente, senza mezze misure. Chi ha ragione? Non lo dico per essere accomodante, ma io sospetto che l’abbiamo entrambi. Poi, e qui mi fermo, non sono proprio d’accordo sul fatto che l’interpretazione per Karajan fosse solo una questione di bel suono; no. Ci sarebbe il disco, ma la questione è lunga e spinosa e poi si prendono altre vie e ci si allontana troppo.
Quello che mi preme sottolineare è che, in generale, è importante porsi sempre la domanda: quali sono le responsabilità del musicista, in questo caso il direttore d’orchestra, o come sarebbe tanto più bello dire, il maestro concertatore, e quali quelle del mondo che lo circonda e del quale non sempre egli ha un controllo diretto? E ancora: quando rimangono solo i dischi da cui estrapolare un “pensiero interpretativo” – altro gineprario non indifferente – quanto effettivamente si riesce – e qui mi piacerebbe sapere cosa ne pensa Idamante – a sviscerare le intenzioni interpretative senza sovrappore la nostra personale gabbia interpretativa?
Tutto questo per dire, senza nessuna polemica e anzi con piacere, che questo tuo intervento, caro Duprez, dimostra che ci si può confontare senza scomodare i mercanti e i pagliacci. Tutto qui.
……potrei anche editori a tradimento sai?
Troppo, Signora, troppo!
Già che ci sono, ringrazio Marco per le bellissime parole e mi associo all’elogio di Ninia92 e di Mancini all’esecuzione dell’inno patrio da parte di Celibidache: gli archi, in particolare, sono davvero impressionanti.
Che l’attenzione di Karajan fosse dedicata esclusivamente al suono è un luogo comune assolutamente ridicolo. Con Karajan l’architettura della musica, gli snodi, i passaggi erano assolutamente evidenti. Non certo una sfarinatura sentimentale e priva di forma, come sarebbe avvenuto se l’attenzione fosse stata rivolta solo al suono. Poi non facciamo dire a Lontanodalmondo quello che non ha detto. Non ha detto che prima di Karajan Bruckner fosse considerato solo un trombone. Una persona così intelligente non può dire una cosa del genere. Ha soltanto detto che Karajan ha portato un contributo rilevante alla comprensione di un autore che troppo spesso è considerato un trombone. Mi scuso con Lontanodalmondo per aver fatto il suo esegeta; ma non penso proprio che consideri il Bruckner prima di Karajan, per esempio quello di Furtwaengler, di Walter o di Klemperer un Bruckner trombone.
Sarà anche un luogo comune, ma negare la cura dell’immagine, la mediatizzazione dell’esperienza musicale, la manipolazione esasperata (soprattutto a partire dagli anni ’70) dei prodotti sonori è mala fede. Karajan, nel bene e nel male, è il simbolo della musica all’epoca del disco. E del disco ha sfruttato ogni potenzialità sostenendo – coi fatti – la liceità dell’intervento in post produzione. Nessuno nega la grandezza di Karajan, ma neppure nego l’approccio sostanzialmente edonistico nella ricerca del “bel suono” (quanto diverso è il suo Mahler così spianato e accademico rispetta ad un Bernstein che ai Berliner chiedeva “di suonare sporco”). Karajan è stato il musicista più discografico del ‘900, nella cura maniacale di costruire la propria immagine sonora, nel rifinire ogni nota ogni frase ogni volume attraverso le manopole del mixer. Prendi ad esempio il caso mostruoso del suo Parsifal che, per me, è un prodotto di laboratorio, costruito a tavolino. Poi c’è una certa differenza tra il primo Karajan e il secondo, ma francamente non trovo molto gradevoli i suoi Barndeburghesi coi Berliner (il video grottesco dove suona il cembalo in playback con espressioni orgasmiche e occhi socchiusi, che pare un videoclip di Richard Clayderman, non lo prendo neppure in considerazione), la seconda Messa in Si minore, la Passione secondo Matteo DGG, le Quattro Stagioni, la Patetica, l’ultimo ciclo beethoveniano, il suo Mahler (una delle peggiori None incise)… Certo hanno tutte un bellissimo suono. Ma basta quello?
Senti, caro Duprez, siamo sempre a parlare di questa cosa, del suono di Karajan. Io il suo Parsifal in dischi non lo conosco. A Salisburgo era stratosferico. Non so che dire. Non ne parliamo più, vuoi?
Ne riparleremo al momento opportuno.