Fratello streaming. Il Turco in Italia ad Aix en Provence

LE TURC_05138-1000pxlNon solo Pesaro, che deve farlo per realizzare i propri fini statutari, ma anche il festival di Aix ha proposto un titolo rossiniano. Titolo che non venne mai preso in considerazione negli anni della simbolica renaissance milanese dell’era Abbado, ma che vantava una riproposizione storica nel 1950 a magistero, è il caso di dire, di Maria Callas e Sesto Bruscantini. Non solo, ma Pesaro nel lontano 1983 con l’accoppiata statunitense Ramey – Cuberli concretò una delle più complete produzioni rossiniane, per poi finire per autosconfessarsi con il meraviglioso flop della successiva coppia Aliberti Raimondi. La storia delle riprese successive potrebbe essere, nella documentazione fornita dagli ascolti, la perfetta dimostrazione del fatto che anche il Rossini buffo si deve cantare come quello serio e che, perciò, di grandissimi cantanti necessita. In caso contrario non funziona nulla, la magia del divertimento elegante si perde nell’alternativa moderna dei vezzi, delle caccole, del cattivo gusto, della volgarità che non può supplire la mancanza di capacità e talento dei cantanti. Quello che ha caratterizzanto anche questa nuova proposta di Aix e che ci induce ad una riflessione breve, ma documentata dagli ascolti provenzali. Ossia come la stagione della Rossini Renaissance sia inesorabilmente finita ed anche i titoli del maetro pesarese, al pari di Tristano e Isotta o di Iris possano essere rimessi in quell’archivio dove rimasero per circa un secolo.
Prendiamo la direzione d’orchestra del maestro Minkowsky , tanto incensata dalla critica. Con una sinfonia pesante e sonnacchiosa che non ha nulla dello spirito e della brillantezza che costituiscono la più significativa sigla del Rossini comico, ha fatto seguire un serie di tempi soporiferi, di cui sono stati esemplari tutte le entrate del finale, prima dove non ha colto il clima notturno ( e, diciamolo pure, da opera seria perché ormai con Rossini i due generi ben poco differiscono), o lo stesso rondò di donna Fiorilla. Ci si annoia a sentire il Turco di Minkowski. Dall’altra parte, come su un binario parallelo, la sezione conclusiva dell’aria di don Geronio, una “bandella di Mendrisio” ad accompagnare l’aria di don Narciso, il finale del primo atto, il prodigioso ensemble del secondo, “Questo vecchio maledetto”, che segna la cesura fra le due sezioni del secondo atto, sono suonate fragorose e rumorose, risolte con colpi di piatti e gran cassa come pure tutta l’entrata di Selim. Per altro rumore e sonnifero sono divenute i due estremi ( ma nulla nel mezzo) delle esecuzione dei titoli rossiniani, siano essi comici o tragici.
Tacciamo, poi, dell’allestimento e della regia predisposte da C. Alden e dal suo team, che hanno propinato la solita attualizzazione del titolo, quindi ambienti modesti e proletari di vago sapore oltre cortina, cromie deprimenti, abiti vintage,qualche elemento scenografico che non portava a nulla come la chiglia di vascello etc etc. Siccome i registi, nel senso tecnico del termine, paiono spariti, le solite mossette del coro, che ricorda l’avant spettacolo (neppure la rivista), le pose da maliarda da fumetto (Valentina di Crepax in versione goliardica di Olga Peretiatko) il solito don Geronio depresso, deprimente e sottomesso, e così pure don Narciso con l’ impermeabile, forse in preda ad ipotermia, e il fascinoso e virile Selim versione “vu’ cumpra” o “kosovaro”. Sempre sul personaggi di don Narciso, questo viene costretto a cantare canta languide melodie con movenze da “tonio lo scemo” o -forse?- da “slave”, come alla scena del quartetto, dove Narciso sta accucciato sotto il tavolo del poeta. Insomma niente che giustifichi il termine di new production perché quello che abbiamo visto sia pure per video lo stiamo vedendo identico da almeno un trentennio. Pur realista in potenza, l’opera comica rossiniana rifugge da ogni richiamo alla realtà al pari dell’opera tragica, tutta ideale: eppure i registi ancora non lo sanno o non lo hanno capito e continuano in operazioni rovinose di attualizzare una realtà….che in partenza non c’è. Eppure lo ha detto, claris litteris, anche l’autore! Ed invece, giù con notazioni inutilmente realiste, cacchinni e sottolineature, che sappiamo essere parte del peggior bagaglio della rappresentazione di Rossini: era il 1925 quando Gino Marinuzzi se ne doleva apertamente, eppure dopo 90 anni siamo ancora fermi là. Non se ne può davvero più di costoro che nel fare il loro mestiere hanno, prima di tutto, gravi problemi di comprensione del testo che vogliono mettere in scena.
E poi i cantanti. Cantanti che sappiamo cantare sono irrinunciabili per qualsiasi titolo, ma parafrasando Orwell “in Rossini sono più irrinunciabili che in qualunque autore”. E, invece, a parte il don Geronio di Alessandro Corbelli (il poeta di Pesaro 1983) quasi sessantenne, con la voce accorciata e non certo fantasiosissimo nel fraseggio ma almeno composto e dotato di ottima dizione, il resto è da accademia (degli esclusi o, come si dice adesso, di quelli ammessi come semplici uditori).
Basta sentire le prime dieci battute della cavatina di sortita di donna Fiorilla: grazie all’emissione “bassa” priva del vero sostegno sul fiato, è cosa normale poi che oltre il fa acuto arrivino gli strilli, le agilità spappolate ( dire di grazia in contrapposizione a quelle di forza offenderebbe alcune professionali Fiorille come la signora Devia), la assoluta mancanza di legato in frasi da opera seria come l’ingresso della protagonista al finale primo (lo stupendo “Per placar superbo foco”) o l’intera aria del secondo atto. Da censura le interpolazioni (gli abbellimenti), che consistono in staccati, picchettati spesso pure quelli strillati, perché questo tipo di ornamentazione, oltre tutto non tipicamente rossiniana, richiede per un’esecuzione impeccabile e, ripeto, un controllo del fiato perfetto. Taccio dei trilli o di certe altre amenità proposte come virtuosismi canori. Tanto per essere nostalgici quello di colorature di inizio secolo come Luisa Tetrazzini. Insomma a partire dall’emissione, priva di ampiezza e sonorità, sino all’interpretazione, che disintegra la piccante eleganza del personaggio facendolo scivolare nell’ordinario, quanto di meno rossiniano possa immaginarsi. Saremmo alla cosiddetta quarta generazione dei cantanti rossiniani!

Lievemente meglio, ma con un canto molto prossimo al parlato, oltre tutto nella parte più facile che Rossini pensò per Filippo Galli, e quindi più da buffo parlante che non da buffo cantante, il Selim di Adrian Sempetrian.Le poche agilità del duetto con Fiorilla, che, poi, si muta in quartetto con l’entrata di Geronio e Narciso al secondo quadro del primo atto ed anche il duetto con Fiorilla, esemplare per l’andare e venire dal genere comico a quello serio sono approssimative ed affidate alla natura ed alla facilità innata del cantante nel reggere la scrittura quasi baritonale di Selim. Meglio, comunque rispetto alla protagonista .

Il Don Narciso di Larry Brownlee è apparso loffio, falsettante e eunucoide, la voce senza punta perché senza appoggio. Anche qui la malinconica poesia dell’innamorato, causa i problemi vocali del tenore, cede il posto ad un’affettazione stucchevole ed inefficace, il carattere estatico e dolce del canto dell’innamorato, inclusa la coloratura, sostituito da una maniera noiosa e fastidiosa. Senza infamia e senza lode il poeta di Pietro Spagnoli che non riesce mai ad uscire dai clichè più consumati nel suo personaggio, come pure l’Albazar di Juan Sancho, cantore da rivista.

Ci allontaniamo sempre più dalla terra di Rossini: l’attività della Fondazione pesarese come l’esempio dei grandi interpreti che dalla Callas in poi hanno ridato vita all’arte del grande compositore pesarese non paiono più avere alcuna forza nel guidare ed ispirare la rappresentazione teatrale corrente, vuoi per palese inadeguatezza tecnica vuoi per evidente ignoranza e misconoscenza di questo tipo di canto. Siamo in alto mare, attorno a noi c’è solo acqua e la bussola non funziona proprio!

18 pensieri su “Fratello streaming. Il Turco in Italia ad Aix en Provence

  1. Come possano aver fantasia i registi post-comunisti se non hanno ancora digerito il comunismo quello vero.
    Allorchè in quel di Pesaro si cominciò a cercare un nuovo modo di
    interpretarlo con cantanti che poco potevano esprimere, perchè la cultura musicale non si ottiene dal fatto di esser “figli di…” ma dallo studio, non ci andai più. Inutile recriminare. anticamente si diceva tto che l’albero è sano se dà buoni frutti.
    Chiudo con una domanda: almeno il pitale e i rutti ci vengono risparmiati? se sì è già un progresso, almeno verso la scala.

  2. Complimenti a Donna Giulia per l’articolo, preciso e chiaro: dopo averlo letto ti passa la minima voglia di vedere una siffatta schifezza, vero insulto al povero Rossini. Minkovski in Francia è considerato un genio della bacchetta ed è sopravvalutato e superlodato dai suoi plauditores, esaltato come un maestro capace di passare dal barocco a Verdi e Wagner. Se qualcuno ama l’horror o ha bisogno di un emetico particolarmente efficace, può cercare “Il trovatore” diretto da Minkovski e messo in scena da Tcheniakov a Bruxelles: l’effetto emetico è assicurato sicuro ed immediato.
    Purtroppo la “regia” di Alden ce la dovremo sorbire nella prossima stagione del Regio di Torino, dove, invece, l’ultimo “Turco in Italia” 9 anni fa si giovava di una messa in scena di Calenda, veramente bella e raffinata.
    Vorrei, infine, ricordate, come antidoto alle schifezze di Aix la vecchia edizione televisiva del Turco diretta da Sanzogno con la Sciutti e Bruscantini (ergo, ben cantata) e con una trascinante regia di Enriquez, vero modello di intelligenza; regia tutta nata sulla musica e non contro la musica (su youtube se ne trova un breve estratto http://www.youtube.com/watch?v=LFurRjeMnlQ).
    Purtroppo, cantanti simili e registi simili oggi ce li scordiamo! Povero Rossini!!!

  3. Carissimo Pasquale: mi spiace polemizzare con te ma, un dì si diceva: le opere per i cantanti, ossia mettere in cartellone i titoli di opera cui si ha uno o più cantanti in grado di farle eseguire al meglio.
    Se invece si fa il contrario poi occorre disporre di uno o più pitali da mettere in scena ed altrettanti rutti, sennò come si fa ad accontentare il pubblico odierno???

  4. Non credo sia il caso che questi titoli o il Tristano o altri, vengano messi in un cassetto, ma, soprattutto nel caso di Rossini andrebbe ripensato l’approccio esecutivo che torni là dove è cominciato, ossia dalla Rossini renaissance perché così com’è oggi non si va da nessuna parte. Nel corso degli anni abbiamo assistito ad una perdita di consapevolezza stilistica che ha riportato lo stato delle cose a periodi ante renaissance, ma con l’aggravante di aver voluto dare a chiunque la patente per cantare Rossini senza l’adeguato bagaglio tecnico e la necessaria dote naturale. Sì, perché non è vero che le voci sono tutte uguali e basta una buona tecnica, occorre anche la natura. Quella che dà autorevolezza, sensualità, corpo…e queste cose non si insegnano e non si apprendono. Colpa principale è dunque di chi sceglie le voci e di chi le forma (e pure dei cantanti stessi che per insensata ostinazione si rifiutano di affrontare il repertorio che sarebbe loro naturale per cimentarsi in velleità che nel migliore dei casi provocano brutture, nel peggiore rovinano la voce). Parallelamente si è persa la capacità di individuare il proprio carattere vocale e ci si ritrova Leporello che canta Maometto II o Konstanze potenzialmente splendide che arrancano in Verdi e Puccini. Il Turco in Italia, poi, è una partitura atipica nel panorama del Rossini buffo (che terrei comunque ben distante da quello tragico e che richiede un linguaggio diverso), non è la farsa anarchica e folle di Italiana o del Barbiere o, per certi versi, di Cenerentola, ma una delle opere più mozartiane del pesarese (di cui peraltro fa abbondanti citazioni). A cominciare dalla figura del protagonista che non è la fotocopia di Mustafà. Molto condivisibile quel che dice Giulia circa il forzato realismo che oggi va per la maggiore tra i registi di moda. Va benissimo trattare l’opera come un pezzo di vita teatrale, ma senza scadere in quella quotidianità che è quanto di più antirossiniano esista, soprattutto nelle opere comiche. Allo stesso tempo sarebbe da evitare il ricorso ad elementi di cabaret che sono indegni di un regista che svolga il proprio lavoro con professionalità. Possibile che si debba assistere a mossettine ritmate, passi di danza sincronizzata, coreografie da avanspettacolo ogni volta che l’azione si ferma nelle strette e nei concertati? Non sarebbe il caso di fermare l’azione quando lo fa la musica? Bah… Quanto a Minkovski: è un direttore che mi piace molto sia nelle sue origini barocche e classiche sia nelle sue nuove esplorazioni dell’opera ottocentesca e del grand-opéra (ricordo sempre i suoi impressionanti Ugonotti di Bruxelles), per non parlare di Offenbach di cui è il miglior esegeta ed interprete. Purtroppo con Rossini e con Mozart non si trova a proprio agio, non trova la cifra interpretativa e risulta poco significativo (pesante o noioso a seconda). Non coglie insomma quella leggerezza intellettuale, quel gioco raffinato che, invece, seppe individuare Abbado in quello che è uno dei suoi più felici approdi operistici. Rossini non è più ‘700, ma non è neppure ‘800, sta in equilibrio tra passato e futuro in un esercizio puramente razionale.

  5. Ho resistito solo per un atto,poi sono passato ad ascolti piu’gratificanti.
    Ma e’ bastato per notare, tra l’altro,la competenza del regista rispetto alle posture dei cantanti: il povero Brownlee, che non e’ un maestro di tecnica, doveva cantare con una spalla piu’ bassa. e addio appoggio con gli intercostali, e altro che ridurre la lordosi lombare per favorire il sostegno,il poveretto sembrava un cifoscoliotico !Mi pare anche che , sia stato costretto a cantare in posizione supina,costringedolo ad appoggiarsi ai gomiti per tirar fuori qualche gemito…
    Complimenti ad Alden !

  6. Le “tavanate galattiche” di Alden sono state notate e recensite negativamente persino in terra gallica, il che è tutto dire!
    Un noto sito francese (http://www.forumopera.com/il-turco-in-italia-aix-en-provence-malchance-ou-prescience) al Turco aixinprovenale dà solo 1 punto su 4, osservando, circa il tenore che “L’amant malheureux, présenté comme un simple d’esprit, est contraint d’interpréter dans des positions difficiles ses deux airs… La technique, pourtant remarquable, ne peut faire des miracles lorsqu’il s’agit de chanter couché des notes périlleuses”. Se l’hanno capito persino i francesi, è tutto dire… Non mi esprimo sui loro giudizi non troppo severi circa i cantanti, fidandomi più di Donna Giulia, notoriamente dotata di miglior orecchio.
    In quanto ad orrori scenici “sciccosi” ad Aix invito a vedere, sullo stesso sito, le foto dell’Ariodante ivi messo in scena: lo stesso noioso trovarobato scenico da recita di terz’ordine tedesca di 30 anni fa che si cerca di spacciare per novità.
    Prepariamo per marzo 2015, quando il Turco verrà dato a Torino, i pomodori ed i cavoli marci per Alden.

  7. Ci credo! Il cervello degenerato dei registi non conosce limiti. Sicuramente, fosse ancora vivo al giorno d’oggi, Krafft-Ebing aggiornerebbe la sua “Psychopathia sexualis” con un capitolo dedicato agli esponenti del Regietheater, con dovizia di osservazioni sui loro casi clinici…
    Un amico medico con me al recente Gugliemo Tell torinese si chiedeva quale fosse la patologia psichiatrica in cui inquadrare Vick; io mi limitavo a sostenere, ad alta voce, che il regista si sasrebbe meritato – come minimo – il trattamento che sulla scena, faceva infliggere al vecchio Melchtal…

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