Carlo Bergonzi (1924-2014)

bergonzi16E’ morto il commendatore, anzi il cavalier Bergonzi, che fu il cavaliere del canto verdiano. Possibile, e in certa misura giusto e doveroso, censurarne i limiti, come il frequente ricorso a portamenti e gli acuti che erano, dopo il 1975, regolarmente tirati. Impossibile, d’altra parte, non riconoscere nel tenore di Vidalenzo un autentico campione di fraseggio e soprattutto di stile verdiano. Anche se poi non si può dimenticare come quello che fu il suo dichiarato modello, Aureliano Pertile, fosse ancora più vario in termini di fraseggio. E il primo ad esserne conscio era lo stesso Bergonzi, che a più riprese indicò in Pertile e, un poco più sorprendentemente, in Giacomo Lauri-Volpi un irraggiungibile mito del canto verdiano. Salutiamo in Bergonzi anche un esempio di regolarità e costanza di preparazione, caratteristiche delle quali sempre più dolorosamente registriamo, ormai, la mancanza, e non solo nei tenori che affrontano il repertorio verdiano. Che si producesse al Met o a Lucca, Bergonzi era sempre se stesso, vale a dire un serio e valido professionista del canto. Poi possiamo anche osservare come la fama di grande esecutore verdiano abbia almeno in parte determinato la scarsa frequentazione di altri repertori, benché gli esiti in titoli come Lucia ed Elisir fossero splendidi e costituiscano ancor oggi un esempio di come si possano affrontare questi ruoli senza ricorrere a voci esangui da opera di mezzo carattere. E tacciamo delle Gioconde e degli Chénier, affidati oggi a tenori convinti che il repertorio del tardo Ottocento vada parlato. L’assidua frequentazione dei grandi teatri americani, il cui repertorio era sostanzialmente limitato a Verdi e poco altro, in uno con la concorrenza, nel repertorio francese, di tenori quali Tucker e, successivamente, Kraus, ha contribuito non poco alla “specializzazione” verdiana del tenore, specializzazione che non aveva comunque nulla da spartire con quelle oggi così di moda nel barocco, in Mozart e, ovviamente, in Wagner. Soprattutto ricordiamo in Bergonzi un esecutore sempre cosciente dei propri limiti, al punto da opporre un rifiuto a Von Karajan che gli aveva proposto di eseguire in teatro Cavalleria e Pagliacci, titoli frequentati con grande parsimonia lungo tutta la carriera.

Gli ascolti

Bellini – Norma

Atto I

Svanir le voci…Meco all’altar di Venere…Me protegge, me difende (con Rod MacWherter – dir. Richard Bonynge – 1970)

Boito – Mefistofele

Atto I

Sediam sovra quel sasso…Dai campi, dai prati (con Frederick D. Mayer – dir. Lamberto Gardelli – 1966)

Donizetti – L’elisir d’amore

Atto II

Una furtiva lagrima (dir. Carlo Franci – 1972)

Donizetti – Lucia di Lammermoor

Atto III

Tombe degli avi miei…Fra poco a me ricovero…Tu che a Dio (dir. Hector Urbon – 1975)

Giordano – Andrea Chénier

Atto I

Colpito qui m’avete…Un dì, all’azzurro spazio (dir. Fausto Cleva – 1960)

Leoncavallo – I pagliacci

Atto I

Recitar…Vesti la giubba (dir. Fausto Cleva – 1962)

Mascagni – Cavalleria rusticana

Atto unico

Tu qui, Santuzza?…Fior di giaggiolo…Ah, lo vedi, che hai tu detto? (con Grace Bumbry, Gina Lotufo, dir. Bruno Bartoletti – 1968)

Ponchielli – La Gioconda

Atto II

Sia gloria ai canti…Cielo e mar (dir. Francesco Molinari-Pradelli – 1973)

Puccini – La bohème

Atto I

Che gelida manina (dir. Thomas Schippers – 1958)

Puccini – Manon Lescaut

Atto I

Cortese Damigella…Donna non vidi mai (con Dorothy Kirsten – dir. Fausto Cleva – 1960)

Verdi – I due Foscari

Atto I

Brezza del mar natio…Dal più remoto asilo…Odio solo, ed odio atroce (con Aldo Bertocci, dir. Carlo Maria Giulini – 1951)

Verdi – I Lombardi alla prima crociata

Atto II

O madre mia…La mia letizia infondere…Come poteva un angelo (con Frances Ginsberg – dir. Eve Queler – 1986)

Verdi – Ernani

Atto I

Mercè diletti amici…Come rugiada al cespite…O tu, che l’alma adora (dir. Thomas Schippers – 1962)

Verdi – Il trovatore

Atto III

Quale d’armi fragor…Ah! Sì, ben mio…Di quella pira (con Antonietta Stella, Charles Anthony – dir. Fausto Cleva – 1960)

Verdi – Aida

Atto I

Se quel guerrier io fossi…Celeste Aida (dir. Sir Georg Solti – 1963)

Verdi – Requiem

Ingemisco (dir. Sir Georg Solti – 1964)

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56 pensieri su “Carlo Bergonzi (1924-2014)

  1. Rifiutò così tanto Cavalleria e Pagliacci con Karajan che li incise pure (e per fortuna, giacché restano una delle sue migliori incisioni…soprattutto per merito della bacchetta). Cantante che segna un momento storico, ma che fuori da certo Verdi non mi ha mai entusiasmato. Sì perfetto, aulico, nobile, ma sempre uguale sia che facesse Nemorino che Radames che Pinkerton…

  2. Un buon professionista. Invecchiato male, per me, stilisticamente e tecnicamente limitato. Lontano, per me dalla dimensione del vero artista. Ritengo sia uno dei primi prodotti tipici da casa discografica. Dai datemi addosso :-). R.I.P.

  3. Caro Lucar, le provocazioni sono sempre benvenute ( quando intelligenti)
    Puoi indicare i limiti stilistici e tecnici di Bergonzi ?
    Scopro grazie a te una nuova dimensione : il vero artista ! Non e’ che stai seguendo in TV la serie “Ai confini della realta’” ?

  4. Lucar, anche Kraus era sempre uguale… nel senso che cantava ciò che era adatto alla sua voce, e sapeva dir di no anche ad offerte vantaggiose economicamente ma che avrebbero accorciato la sua carriera e compromesso la sua fama. (secondo te è poco?)
    La sua carriera è la dimostrazione che ci si avventura in ruoli che si possono eseguire bene (non raffazzonati) e che se si è tenori è inutile
    sbiancare o peggio scurire la voce per apparire chissà cosa.
    I mostri vocali sono da museo, non per i teatri.

  5. Stavolta sono d’accordo con Zagreo. Oggettivamente come non riconoscere la serietà, la probità, la correttezza, il rispetto dei dettami, bla bla bla, etc. etc. etc. Grande rispetto e omaggi al serissimo professionista. Una voce del resto – per le sue caratteristiche – ingabbiata in Verdi ( non l’ultimo, ovviamente ). La assoluta mancanza di sensualità e di solarità nel timbro gli precludeva grandi risultati in Puccini e nel verismo in genere. Prima di Verdi solo Donizetti, non altro. E’ già molto. Ma anch’io o quasi mai voglia di ascoltarlo.

      • Non è solo la questione del repertorio. Mi può anche star bene, anzi va benissimo visto che preferisco una certa “specializzazione” e non amo per nulla i “tuttologi” di oggi.
        Il timbro per me non particolarmente seducente era ancora di più limitato da una mancanza di equilibrio tecnico,un’eccessiva ricerca della copertura che non gli hanno mai permesso una vera espansione della voce. Per paradosso, sicuramente poco intelligente come mi hanno detto più su, un Di Stefano al contrario. Ma senza la solarità del timbro e senza mai un guizzo. I portamenti poi e la dizione mai curata a dovere han fatto il resto. Io lo ricordo in una Forza degli anni 70, in teatro, che mi ha lasciato completamente indifferente. Ne più e ne meno di quando lo ascolto nelle registrazioni. Stessa impressione che ebbi in un concerto più tardivo.
        La sua fama a me pare spropositata, posso dirlo? É un mio giudizio personalissimo ma che, comunque, non mi trova proprio solitario.

        • Concordo con lucar. Per quanto io sia molto affezionato a Bergonzi, sia perché l’ho sempre ascoltato in CD sia perché ho sempre ammirato la sua serietà, la professionalità, e certe sue caratteristiche tecniche come proprietà di stile in Verdi, fraseggio e piena coscienza tecnica, egli non era indenne da imperfezioni, come gli acuti non sempre facili (e sistematicamente tirati e calanti dagli anni ’70 in poi), certe prese di note nel passaggio calanti, così come i suoi insopportabili glissandi fuori stile, oltre che un inutile allungamento di carriera coronato dall’orribile Otello del 2000.

          Questo “Ingemisco” a mio personale vedere, racchiude tutti i suoi difetti http://www.youtube.com/watch?v=ANah5FSFXdY

  6. esatto Zagreo, i gusti sono altra cosa….ognuno ha i propri. Con Bergonzi è morto l’ultimo pezzo di storia vera di questo magnifico ed esangue mondo del melodramma. Un grande cantante… basta il “Dai Campi ai prati” postato da Tamburini a ridicolizzare tutti i Faust venuti dopo di lui, per non parlar di Pollione, Edgardo… Il migliore tenore verdiano in un epoca di decadenza? forse si, ma non mi sembra comunque poco.

    • Che a me, per esempio, non fa per nulla impazzire. Si rientra anche nel campo soggettivo. Ma anche il “donna non vidi mai” a me non piace proprio. Mi sembra sempre in un equilibrio precario, al limite. Come se da un momento all’altro dovesse succedere qualcosa.

  7. Nel Mefistofele Kraus e Pavarotti non mi sembra che siano ridicolizzati da Bergonzi: sono anzi meglio. Kraus tra l’altro di gran lunga. Come in Edgardo del resto. Personalmente preferisco anche l’Edgardo di Di Stefano, ma qui si entra nel tabù dei gusti personali .

    • pavarotti non mi risulta sia andato in teatro col ruolo, kraus a chicago e altro non so. Per kraus mi pare anche pesante la parte. In generale, trovo il fraseggiatore bergonzi superbo, mai piu eguagliato dopo. Il finale di lucia, l aria di mcduff perfino, come il suo ballo sono testimoninaze di un’arte, quella del dire, scomparsa.

      • esatto divina Giulia, Bergonzi non era certo indenne da difetti , tutto vero quanto descritto da Sardus, voce non bellissima, corta, a fine carriera acuti spesso calanti e raggiunti strascicando l’intonazione, ma da li a preferirgli Di Stefano………
        Bergonzi rimane comunque il miglior fraseggiatore del dopoguerra, a mio parere su questo fronte nemmeno Pavarotti e Kraus gli si avvicinano per non parlare della pleiade di imitatori di Di Stefano e Del Monaco che si sono susseguiti negli ultimi 40 anni…

        • definirlo CONFINATO a verdi è una solennissima cavolata. Noi siamo confinati…..ai quadrupedi, dato che un tenore da verdi non lo abbiamo piu prodotto. Solo dei cani sentiamo in aida, forza, ballo etc…microfonati pergiunta. Confinati nel cervello quelli che oggi apprezzano le schifezzze e sanno sentire solo i difetti dei grandi cantanti. Difetti ne aveva ma…..quali e quanta qualita?

          • mah! se mi attacco ad un trend iniziato da Corena, dove Corena scrive “Personalmente preferisco anche l’Edgardo di Di Stefano” forse è il caso rilegga tu un po’ meglio caro lucar……

  8. «Note e parole non sono mai messe a caso dal compositore. Cantare significa conferire alle note e alle parole quel colore che trasmette l’ emozione e il sentimento con cui il musicista ha composto». Questa riflessione, riportatami da una sua allieva, dice tutto della sensibilità e dell’ intelligenza del grande Bergonzi. Preferisco ricordare questa frase invece di partecipare a questa gara di autopsie vocali a freddo.

    “Basta, Carlo, on quai dì se vedaremm”.

  9. Condivido appieno l’intervento di Mozart 2006. Le autopsie vocali, nel momento del congedo di un grande artista, denotano unicamente la mancanza di generosità e di empatia nei confronti di chi tanto ha donato al pubblico attraverso doti canore naturali mai disgiunte da professionalità , intelligenza e sensibilità.

    • Io sono sempre d’accordo con quello che leggo su questo blog e credo di averlo dimostrato nelle poche volte che sono intervenuto.
      Le parole riportate da Mozart 2006 sono bellissime e quindi? É lesa maestà dire quello che si pensa?
      Nessuna mancanza di generosità nel cercare di capire cosa gli altri percepiscono da un cantante che a me non dice molto. É proprio curiosità e voglia di capire. Che c’è di male? Mi hai visto scrivere un insulto che sia uno?

      • Non credo di essere la prima a pensare e ad affermare che ‘ c’è un tempo per ogni cosa ‘. Lungi dal voler censurare libere opinioni, soprattutto critiche e opposte alle mie, credo che in talune circostanze , come l’addio a un grande cantante, sarebbe meglio evitare le ” autopsie vocali a freddo” ., come magistralmente scrive Mozart 2006. Del resto la tua conclusione ” dai tiratemi addosso” invita a qualche riflessione.

  10. La morte di un artista non deve essere motivo di panegirici e agiografie sciocche che niente danno alla sua memoria.
    La morte di Bergonzi ci fa riflettere certamente sulle sue doti e virtù, ma anche sui suoi difetti perché in questo mondo odierno senza più miti apprezzo le letture molteplici e coincidenti piuttosto che sentire gli sterili e ripetitivi “era alto, bello, buono e bravo”.
    In ogni caso, come ho postato un esempio in cui Bergonzi non è di certo rimarchevole, ne posto un altro in cui a mio avviso è superbo!
    http://www.youtube.com/watch?v=nqpQOFWEstI

    • Perfettamente d’accordo, anche sull’ascolto come esempio del miglior Bergonzi. A parte il fatto che nessuno ha offeso la memoria di questo tenore, ma tutti si è d’accordo nel tributargli un omaggio affettuoso e un meritatissimo encomio, voglio ricordare – a proposito dell’officio della critica – che quando si è trattato di salutare Maazel non si è fatto risparmio di giudizi assai duri e di severe censure a ceneri ancora calde. Non vedo cosa significhi “c’è un tempo per ogni cosa”.

      • Vero. Non sarà forse perché nel suo lavoro di tenore è stato assai più serio di maazel come direttore? E sottolineo, lavoro di tenore, e non altro. Cmq, polemica sterile ragazzi. Trasferiamoci a san Giusto che c’è maggior sugo di cui parlare.

  11. Bergonzi è stato un grandissimo cantante, uno dei massimi tenori del dopoguerra. Aveva una buona tecnica. Sapeva fraseggiare. Sapeva cosa fosse l’accento giusto, verdiano e non solo.
    Il suo Don Alvaro, il suo Rodolfo od il suo Riccardo sono veri modelli di come si deve cantare Verdi.
    Per capire cosa significhi cantare e cosa sia l’emettere suoni di vario tipo (più o meno orridi, anzi, più sì che no), prego solo di confrontare questo Elisir d’amore (Bergonzi, Scotto, Taddei, Cava, Gavazzeni, Firenze 1967)
    http://www.youtube.com/watch?v=o3js_2JTRqI
    con quest’altro (Baden Baden 2012), più recente (se qualcuno riesce a sopportarlo per più di pochi istanti….):
    http://www.youtube.com/watch?v=y7DNrpjmK4k
    Qui è chiara la differenza fra un vero grande tenore (che ha avuto la fortuna – fortuna anche per chi non l’ha potuto ascotlare in teatro – di avere pure un successo dal punto di vista discografico) ed un sottoprodotto, buono nemmeno per il disco.
    “A Carlo Bergonzi gloria ed onor!”

  12. D’accordo con Don Carlo.
    Caro Lucar, tu parli di eccesso di copertura,ma ben sai che questo termine serve a spiegare la omogeneita’ nel passaggio tra settore medio ed acuto, ed e’ ottenuto nel momento del passagio mediante l’abbassamento del laringe,nello schiacciamento della base della lingua e nella elevazione del velo palatino ( pena nasalizzazioni). Insomma si ottiene un allargamento del tratto oro-faringeo. Bene, questa e’ la bravura di un cantante, e denota una buona tecnica, versus proprio, ad ex il di Stefano evocato. In altre parole, ci sara’ anche un eccesso di copertura, ma non e’ paragonabile a chi non la sa eseguire.

    • In Bergonzi la tecnica era al tempo stesso pregio e difetto, punto di forza e limite. Proprio come l’altro grande tenore del dopoguerra, Afredo Kraus. Due cantanti perfettamente complementari per tipo di voce, ma anche nei pregi e nei difetti, nella tecnica, nel repertorio. Li accomunava l’essere due “tecnici”, che la tecnica (anzi, le tecniche; giacché non cantavano affatto nello stesso modo) non seppero mai trascendere, finendo coll’esserne schiavi man mano che l’età avanzava.

      • Sono completamente d’accordo: forza e limite. E’ verissimo, Bergonzi in tutta la sua carriera ha sfoggiato una tecnica perfetta, ma non seppe mai trascendere dalla stessa mancandogli quella naturalezza (vocale ed espressiva) che, ad esempio, aveva uno Schipa che – come i migliori solisti e direttori d’orchestra – non sfoggiava mai, ma pareva connaturata al suo canto. E’ lo stesso concetto espresso da Furtwaengler quando parlava di musica che si fa da sola e in cui la tecnica è mero punto di partenza (o meglio condicio sine qua non), la musica che sta oltre le note.

        • In verità non la trovo affatto perfetta questa sua tecnica. Dirò di più, tecnica e perfezione sono due categorie antitetiche. La perfezione implica il superamento della tecnica. Un canto fermo ad uno stadio tecnico non è ancora un canto perfetto, tutt’al più è un buon prodotto di artigianato. E Bergonzi questo fu, un pregevole artigiano del canto.

          • Io trovo le parole di Mancini perfette. Ha espresso molto meglio di me quello,che intendevo. Con questo mi accommiato,da,questa discussione. Ringrazio Carlo Bergonzi per quello che ha dedicato all’opera e gli chiedo di perdonare io mio ardire. :-)

  13. Alex Ross – a proposito all’Amami Alfredo” della Callas – scrive : ” (…) Quando si eleva al La e Si bemolle, artiglia le note, quasi strappandole alla pagina, anche se il suo timbro conserva una disperata bellezza. La sua interpretazione ha un impeto così spaventoso da rischiare l’anticlimax ( … ) Dove mai potrà ancora andare l’opera? Riascoltandola si capisce: lo spirito di Violetta è spezzato, e da qui in poi canterà come se fosse già morta. Tale intrepido spingersi al limite è precisamente ciò che Verdi richiedeva ai suoi cantanti (…) Verdi dichiarava la sua preferenza per i cantanti votati al dramma rispetto a quelli tecnicamente impeccabili (…)”. Acutissime osservazioni ( questo è davvero parlare di interpretazione ). Rispetto alle quali ridurre l’arte del canto a banali schiacciamenti della base della lingua etc. etc. è veramente qualcosa di pedestre, riduttivo, banale. Amen.

    • Trovo sia altrettanto banale quanto scritto da Alex Ross, i cui libri – lungi dall’essere saggi musicologici – restano dei best seller da fighetto newyorchese e delle lunghe tirate sul fatto che tra Bach e i Radiohead non ci sia poi molta differenza… Nessuno qui ha vivisezionato l’arte di Bergonzi, né – mi pare – che la scomparsa di un artista abbia impedito uno sguardo critico sul suo ruolo nella storia della musica (è successo con la Sutherland e con Abbado, non vedo perché Bergonzi debba essere solo onorato acriticamente); si è solo dato spazio ad opinioni differenti, nessuna delle quali ha sostenuto fosse un bluff (come in altre occasioni ho letto, relativamente ad artisti uguali o superiori al tenore scomparso, e senza che nessuno se ne lamentasse).

  14. Caro Gianmario, la tecnica corretta e’ la base dell’interpretazione, e la Callas non avrebbe potuto far scrivere quelle ispirate righe a Ross se non avesse padroneggiato la propria voce ( e sappiamo con quanta fatica). Ricordati cosa disse verdi a Maurel.
    Amen a chi dissocia l’interpretazione dalla tecnica.

    • Sono a grandi linee d’accordo con te. Semplicemente ho voluto aggiungere che il discorso sull’interpretazione è qualcosa che – presupponendo senz’altro un accorto uso tecnico della voce – entra in ambiti che la mera contabilità tecnica non esaurisce. Il passo di Alex Ross – quel banale fighetto newyorchese – aiuta a capire l’arte della Callas ( e , cosa più importante , quella di Verdi ) molto più delle infinite analisi sull’uso dei muscoli cricotiroidei o della maschera nelle cavità legittime. Solo questo.

      • Ma che cacchio di contributo danno le scemenze retoriche di Ross alla comprensione di Verdi o della Callas? Ma siamo seri! Scriva libri su Bob Dylan o sui Radiohead che mi pare il suo ambito. Non si tratta di contabilità tecnica, si può parlare di interpretazione anche senza dire banalità. Sotto i superlativi di Ross non c’è proprio nulla. Sembra un libro di Allevi o di Battistoni…

        • Allora Duprez: se vogliamo rimanere nella patologica autoreferenzialità va benissimo assecondarti, costa poco. Ross dice banalità: certo. Le sue “scemenze retoriche” sono state tradotte in 15 lingue per puro caso e ovviamente quale evidente sintomo di decadenza culturale. E’ l’unico motivo motivo per cui coi suoi libri ha vinto – tra l’altro – il National Book Critics Circle Award o il Guardian First Book Award o il Grand Prix des Muses o il Best Music Book Award: perché ovviamente è un povero pirla ( oltre che fighetto newyorchese ). Naturalmente meglio – con tutto il rispetto – i commenti tuoi o – nel peggiore dei casi – i miei. Raccontiamocela così: fa tanto bene nella vita avere solide certezze.

          • No, i premi no, per favore! Garantiscono solo un lavoro e qualche potere a chi li amministra. Solo in Italia vi sono qualcosa come 1800 premi letterari. E comunque il brano sulla Callas mi pare robetta ordinaria.

          • Beh Gianmario ,mi sembra che in qualche post si e parlato di grandi critici,e recensori,che vengono tradotti in molte lingue, e poi dimostrano,tanta incompetenza, sono convinto, che quando Allevi ha detto quella scemenza su Beethoven. veniva riportato in tante lingue ,tanti sciocchi,l’avrebbero considerato un grande, invece ha detto solo una sciocchezza

          • Francamente che Ross sia stato tradotto in 15 lingue e abbia preso premi a raffica, mi importa poco o nulla (anche Allevi è stato tradotto, anche Fabio Volo…). Ho iniziato a leggere un suo saggio (“Senti questo”) e dopo paragoni tra Schubert e Led Zeppelin, Bach e Duke Ellington o Mahler e i Radiohead ho deciso di lasciar perdere… Trovo che la divulgazione musicale non possa passare per la mistificazione. Non c’entrano nulla i miei commenti o i tuoi o quelli di chiunque…

  15. Lasciando perdere Ross e le sue Banalità devo una risposta all’amico Tamburini, relativamente alla sua domanda circa il Bergonzi sempre uguale a sé stesso. Ribadisco che la sostanziale uniformità interpretativa – anzi una vera e propria riduzione di ogni carattere ad un solo e nobile modello – sia il maggior limite del grande tenore. Non c’entra nulla con la tecnica (sempre ottima e controllata) o sulla capacità di “dire”, ma l’utilizzo di un fraseggio sempre alto, sempre aristocratico e aulico e un ‘interpretazione distaccata e nobile, a lungo andare rendono molto simili tutti i personaggi interpretati. Persino Turiddu acquista una nobiltà inusuale, e così Nemorino che somiglia ad un signorotto di campagna e non ad un sempliciotto. In Edgardo trovo manchi della freschezza romantica dell’eroe notturno: Bergonzi è sempre posato, maturo, moderato. Quanto a Verdi – di cui è accreditato come l’interprete ideale – credo si debba fare una premessa: Bergonzi ha contribuito alla diffusione dell’equivoco per cui esista realmente la categoria de l”tenore verdiano” inteso come un modello vocale preciso e delineato; equivoco – a mio giudizio – dovuto principalmente al fatto che Bergonzi cantava “bene” tutti i ruoli, ma li cantava alla stessa maniera. Io credo – e mi sembra che nessuno possa negarlo – che sia una forzatura ed un ‘illusione parlare di “tenore verdiano” in un arco di carriera di più di 50 anni in cui si trovano Ernani, Manrico, Alfredo, Otello, Arrigo, Jacopo Foscari, Fenton, Foresto, Don Carlo, Alvaro, Radames etc…ruoli spesso molto diversi e con caratteristiche proprie. Del resto vale per qualsiasi ruolo: non esiste il soprano verdiano (a meno di ritenere Lady Macbeth uguale a Gilda), il baritono verdiano o il basso verdiano. Più corretto è parlare di tenori verdiani. E Bergonzi senz’altro è stato un grande interprete di molti ruoli verdiani.

  16. Al di là delle polemiche consiglio caldamente a tutti la lettura dei due saggi di Ross . Specie il primo, quello sul XX secolo, davvero molto bello: al di fuori dell’ambiente della Grisi – nel resto del mondo, intendo – gode di grande considerazione ( per quanto ciò possa stupire Zagreo e pasquale ).

    • Gentile Gianmario, sentendo tante e tante volte il passo di Traviata citato, ritengo che senza aver letto Ross, con lo spartito alla mano e con un minimo di sensibilità propria di ogni uomo si possa provare lo stesso sentimento descritto da Ross, peraltro descrivibile in meno parole e senza guadagnarci!
      Aggiungo una battuta calzante di Kraus: “dalla popolarità (nel senso di popolarizzazione) alla volgarità il passo è breve”.
      Saluti!

  17. Pare anche a me che, come diceva Duprez, “Cavalleria rusticana” e “Pagliacci” siano tra le incisioni piu’ riuscite ma, in ambito extra-Verdi, trovo comunque assolutamente eccellenti, per limitarsi all’ambito delle incisioni integrali in studio, anche Bohème, Madama Butterfly e Gioconda, non a caso tutte dei suoi anni d’oro.

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