Ascolti comparati: Se il mio nome (Il Barbiere di Siviglia). Florez / Manurita

manuritaSe il mio nome saper voi bramate,

dal mio labbro il mio nome ascoltate.

Io son Lindoro

che fido v’adoro,

che sposa vi bramo,

che a nome vi chiamo,

di voi sempre parlando così

dall’aurora al tramonto del dì.
L’amoroso e sincero Lindoro,

non può darvi, mia cara, un tesoro.

Ricco non sono,

ma un core vi dono,

un’anima amante

che fida e costante

per voi sola sospira così

dall’aurora al tramonto del dì.

 

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Giovanni Manurita (Tempio Pausania, 1895 – Roma, 1984)

Born in Sardinia he made his debut in 1922 at the Teatro Quirino in Rome as Ernesto in „Don Pasquale“ proceeding to the Teatro Costanzi in 1923 as Des Grieux (Massenet) alongside Carmen Melis. He scored a great success as Lindoro in „L´Italiana in Algeri“ with Gianna Pederzini at Milan´s Scala in 1932. He had a good in Italy and some guest performances in Warsaw, Amsterdam and Copenhagen. His specialties were Wilhelm Meister, Almaviva, Ernesto, Nemorino or the Duke. After WWII he changed his repertoire to more dramatic roles like Don Jose, Manrico, Maurizio, Loris and Canio etc.). He also made some films and sang the song of the prince in the Italian synchronisation of Disney´s „Snow White“ („Non ho che un canto“). He retired in 1950 and later taught at the Accademia Santa Cecilia.

Here, he is an utmost elegant and refined Almaviva. A recording I never heard before and which bewitched me on first hearing. It´s less the perfection of sound or the exactness of the notes sung (although he sings very exact – especially when you hear Florez later) that get a listener hooked – it´s the charme, the delicate ease and airiness, the deep affection of a noble man in love which Manurita perfectly conveys in this recording. His singing is light and elegant, but he is no effeminate crooner. Not for once he breaks the line, always keeps the balance, never blurting out fully, never even for a moment exggerated, always nobly holding back.

As opposed to Florez the low note in „dal mio labbro il mio nome ascoltaaatEE“ causes him no problem. His contemplative lingering on the second „che a nome vi chiamo“ is done most beautifully. Many singers just roll over the dotted notes (if they sing them at all) – as does Florez, who sings both verses the same way when the first verse really has the dotted note on the first sillable and the second verse on the second.

Io son Lindoro che f I do v’adoro,

 

che sp O sa vi bramo,

 

che a n O me vi chiam

 

The second verse goes instead:

 

Ricco non sono, ma un cor E vi dono,

 

un’an I ma amante

 

che fid A e costante.

 

Manurita respects them as written and it sounds beautiful and makes perfect sense, yet sung without affectation and with great ease and charm. He is always flowing – no rough edges. A real delight. And I love the ending beautiful ending on two repetitions of „deeeeeel diiiii“ – one sung out – one piano. A great singer for the lyric repertoire, although one wonders, how he was able to sustain roles like Manrico and Canio towards the end of his career.

 

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Juan Diego Florez

 

I respect Florez as a „sincere“ and disciplined singer. Each time I heard him live I was both surprised and dissappointed – and even bored. The voice is small, yes, but it carries pretty well. It´s „sound“ il rather monotone, though. He tries to do some nuances on forte and piano, but that´s about it as far as imaginative singing is concerned. Just all sung out at more or less the same volume. I do not find him a very nuanced singer, although he does some ornaments and variations. Neither does he convey real charm in his singing in order to „seduce“ his listeners. This „Se il mio nome“ is well sung, but he is much less exact and has less finish and finesse than Manurita. The second „che a nome vi chiamo“ is no real piano. He starts out with a hesitant attack – as many of his attacks are not really clean and as much of his singing is too slow and sagging here for my taste. Much of what he does sounds arty and too DELIBERATE. The form of his serenade here is rather mushy and with no real structure. There is some recurrent scooping which really need not have to be. I would even go as far as calling it a little sloppy and boring, just concentrating on making a nice sound. Much of it is monotonous and all too forthright and predictable, albeit on a high level – talking of course about the high level among today´s singers not the one of long ago.

24 pensieri su “Ascolti comparati: Se il mio nome (Il Barbiere di Siviglia). Florez / Manurita

  1. Vi sono delle variazioni nelle note di manurita che scaturano dalle emozioni che il cantante vive, e trasmette durante una esecuzione; dette emozioni sono scomparse nell’esibizione di Florez: e neppure dal vivo le ho mai udite. E’ vero che si attiene scrupolosamente a quanto in spartito, ma manca l’anima, quello che ti fa scattare in un grande e convinto applauso.
    Un altro sudamericano ha calcato le scene italiane in Rossini col medesimo comportamento asettico e il cui nome è Luis Alva
    alla Scala e Piccola Scala ce lo siamo sorbito in ogni forma e colore, ma sempre asettico era e restò

    • Alva resta un pessimo cantante…neppure paragonabile a questo (e neppure a Florez a dire il vero). Alva non era in grado di eseguire le più elementari colorature, aveva voce sbiancata e stonacchiante…per me una calamità in ogni registrazione che ha rovinato (lo ricordo – tra le tante cose – come il peggior Ferrando mai inciso).

          • Ma anche Peter Schreier come “malcanto” in Ferrando non scherzava…. rispetto a lui con Boehm preferisco decisamente Alva con Cantelli, almeno la pronuncia e la linea di canto erano corrette.

          • Guarda, confrontavo proprio Alva con Schreier e nonostante tutto preferisco Schreier, almeno è intonato ed esegue decentemente le agilità…anche sulla pronuncia: Schreier è osceno (ma è tedesco), Alva nonostante l’origine latina pronuncia in modo pessimo. Alva è un pessimo cantante. Lo è sempre stato.

  2. Bravissimo manurita. E più piani sono piani, non falsetti. Vario, bella la linea…elegantissimo. nel confronto emerge che è il fiato che fa differenza a florez, che non è continuo, e la voce non galleggia..

  3. Beh, ce n’è per tutti e due. Al di là della voce, Manurita chiude con una cadenza che sembra quella della “furtiva lagrima”… discutibile…
    Quanto a Florez, l’accompagnamento di Gelmetti è talmente osceno che tutto il resto passa in secondo piano!

    • Davvero l’accompagnamento a Florez è qualcosa di osceno: nemmeno le schitarrate davanti ai falò sono così approssimative e brutte. E poi i gusto che sorregge l’intera scena – di cui credo il responsabile sia Gelmetti – è davvero sgradevole: una roba da crooner, da cantante confidenziale…o da pianobar. E pure le variazioni sono troppe e e troppo invadenti.

  4. La mia maestra Alessandra Gonzaga ha studiato in conservatorio con Manurita (oltre che in casa con la madre e la nonna): ha detto che egli era anche un ottimo maestro.
    Florez ha la musicalità di un comodino.

    • Florez, come al solito, ha la vocalità di Lindoro…un tempo almeno l’agilità era perfetta: ora la fatica è più evidente. Comunque per Almaviva ancora attendo l’interprete che valorizzi l’eroismo del personaggio e non si rifugi nel femmineo…

      • A me, come interprete di tal genere di Almaviva viene in mete Rockwell Blake, uno dei pochi a saper dare un’idea realistica di come dovesse essere il vero canto eroico di agilità dei leggendari tenori dell’epoca di Rossini. Me lo ricordo come se fosse ieri nel Barbiere al Regio nel 1987, con Serra, Dara, Pola, Montarsolo e Campanella direttore; dopo “Cessa di più resistere” mi ero letteralemente spellato le mani dagli applausi (e con me tutto il pubblico). Un altro tenore di questo genere è stato – ma purtroppo noi lo possiamo solo sentire dai vecchi 78 giri… chissà cosa doveva essere dal vivo! – questo illustre signore lituano:
        http://www.youtube.com/watch?v=nTwsq1ueneQ

  5. Ottimi tutti e due ma preferisco Florez ( ce ne fossero oggi a quel livello ) . Manurita : da un lato ne apprezzo il valente magistero tecnico, dall’altro avverto quel sapore di naftalina e di stantio – con tutto il rispetto dovuto all’artista – che questi ascolti vintage promanano indefettibilmente. Per storici e/o gerontofili ( il mondo è bello perché e vario ).

  6. Da sardo non posso che ADORARLO :)
    Manurita era grande amico di Bernardo de Muro, altro tenore che segnalerei per altri ascolti comparati sebbene di diverso “repertorio” (proprio una parola demodé ai giorni d’oggi; riprendendo Corena, un termine “stantio”) e sebbene – a mio vedere – meno raffinato come gusto del Manurita.

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