Il glossario di Mancini. 3) Il passaggio

L’ostacolo vocale per eccellenza, lo scoglio tecnico fondamentale, con cui tutti i cantanti passati presenti e futuri devono cimentarsi, è quello del passaggio, ossia dei registri. Se di passaggio si parla, infatti, è perché nella voce esistono almeno due meccaniche fonatorie diverse, che con un termine derivante dall’organaria si dicono registri. Se  si nega, come molte scuole oggi fanno, l’esistenza dei registri o comunque la possibilità di utilizzare più di un registro, allora non ha senso neanche parlare di passaggio (a cosa e da cosa?). Garçia figlio, al quale a tutt’oggi dobbiamo la più chiara ed esaustiva disanima di questo argomento, definisce “registro” una “serie di suoni consecutivi ed omogenei dal grave fino all’acuto, prodotti dallo sviluppo d’uno stesso principio meccanico e la cui natura differisce essenzialmente da un’altra serie di suoni ugualmente consecutivi ed omogenei, prodotti da un altro principio meccanico”.  I registri storicamente prendono il nome di petto e falsetto (o testa, o falsetto-testa), il primo proprio dei toni gravi e centrali, il secondo proprio dei toni acuti. Salendo con il registro di petto si arriva alla nota limite superata la quale l’emissione diventerà pericolosa, forzata, urlata, se non interviene un cambio di registro. Questa zona della voce, in cui convivono a discrezione del cantante l’uno o l’altro registro, ma che ridotta ai minimi termini riguarda una sola e ben precisa nota, è la zona del passaggio. Una impeccabile unificazione dei registri non solo ne rende irriconoscibile il passaggio dall’uno all’altro, ma lo annulla tout court. La voce perfettamente addestrata non ha passaggi, è un vero strumento che sale e scende con naturalezza e perfetta uguaglianza , una corda unica e omogenea. Questa è però una condizione rarissima, che ben pochi hanno conquistato. Nella stragrande maggioranza dei casi, i registri sono ben distinguibili e si sente uno “scalino” più o meno marcato, una disuguaglianza tra la zona centrale e la zona acuta della voce, che nei casi più gravi dà luogo ad una vera e propria doppia voce. Spesso esistono ulteriori scalini che danno luogo ad ulteriori pseudo registri, che in verità dichiarano disuguaglianze di appoggio e cambi di posizione. In tal senso si può arrivare all’estremo caso negativo di avere una sorta di registro diverso per ogni tono o semitono, tanto numerosi sono i difetti di emissione. Solo un imposto perfetto consente di bilanciare i registri in modo esemplare, e di eliminare tutti gli scalini.

Ecco alcuni esempi di passaggio mal risolto, per non dire di voce spezzata in due tronconi, tra le voci femminili, nella quali il problema investe la zona medio-grave della tessitura.
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Viceversa, alcuni esempi di  ottima omogeneità.

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Nelle voci maschili il passaggio di registro consente invece l’accesso alla zona acuta.  Talora la manovra è molto sottolineata, come possiamo sentire in questo disco di Mattia Battistini, che alla fine del brano inserisce una variazione che lo porta al fa# acuto. E’ molto evidente il cambio di corda propiziato da una emissione oscurata e molto raccolta.

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Altri cantanti invece riescono a cantare a cavallo del passaggio con tale disinvoltura da rendere impossibile distinguere la nota in cui avviene il “cambio”.

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Un centro ingolato e ingrossato può rendere impossibile scavalcare lo scoglio del passaggio, se non a prezzo di suoni scomposti e gridati, strozzati, fissi e legnosi
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18 pensieri su “Il glossario di Mancini. 3) Il passaggio

  1. Molto interessante ed estremamente chiara la spiegazione. Complimenti all’autore. Per me, poi, è sempre una vera gioia sentire Schipa cantare. Fa bene alla salute; è un vero balsamo per le orecchie. Tanti anni fa, persino dei miei amici tutt’altro che amanti dell’opera, ma dediti ad altri e ben diversi generi musicali (rock etc.) cui avevo fatto ascoltare per caso delle arie cantate da Schipa erano restati a dir poco stupiti e colpiti da tale voce e soprattutto dalla chiarezza della dizione (“Ma come! Di solito nella lirica non si capisce niente! Con questo si capisce tutto quello che canta!”) da volerne ascoltare dei dischi. Quanto a Villanzon….. non sono riuscito a sopportarne l’ascolto più di un minuto. L’attacco è urlato e scomposto, sembra quasi che un siffatto Ottavio, invece di cantare il suo amore per Anna, sia incazzato con lei e voglia, come minimo, farle un trattamento tipo Suarez con Chiellini…. Non si poteva trovare un migliore esempio antitetico rispetto a Schipa. Mi pare che parlare solo di “suoni scomposti e gridati, strozzati, fissi e legnosi” per il suo “canto” sia persino molto generoso!. E pensare che siffatto cantore mozartiano dallo stile invero personalissimo la Scala ha pensato bene di proporlo per la prossima stagione ai suoi spettatori nel Lucio Silla! Se non erro l’ultima volta in Scala Silla era stato Anthony Rolfe Johnson, cantante che io non amo particolarmente (anzi!), ma, a questo punto, che si debba arrivare al punto di rimpiangerlo in confronto con Villazon?
    D’altro canto io penso che – se è vera la teoria di Agostino sulla gerarchia dei beni – anche la sua voce può avere una certa utilità, in campo medico, soprattutto nel pronto soccorso, dove spesso c’è bisogno di provocare in breve tempo determinate reazioni……

    • Ahahahah ho pensato esattamente la stessa cosa appena Villazon ha aperto bocca!! Spaventosamente inadeguato, inascoltabile, irritante al massimo grado.
      Notare le contorsioni facciali appena la linea sale sopra il mi.
      Non ce l’ho fatta ad andare oltre i primi 40 secondi.

  2. Sempre a proposito del Villanzòn. Non so se è noto all’universo ed in altri siti che il predetto e sullodato signore qualche tempo fa si è pure improvvisto regista, mettendo in scena oscenamente il Werther all’Opéra de Lyon, con i bei risultati che si possono ammirare su youtube:
    https://www.youtube.com/results?search_query=lyon+werther
    La messa in scena è una specie di rimasticatura di teatro di regia dei poveri, una cosa ridicola, con uina grande gabbia da uccellini dove sta Charlotte (evidentemente a simboleggiare la gabbia in cui metaforicamente si trova…. ma sai che fantasia…. nessuno se ne era accorto finora!)
    Per la scena si aggiravano personaggi vestiti da pagliacci (che il regista abbia sbagliato opera?).
    Forse che il sullodato signore, temendo di finire a breve la sua carriera canore, cerchi di propiziarsi una nuova carriera come metteur en scène?
    Normalmente i cantanti che si sono dedicati alla regia, spesso con ottimi risultati, erano cantanti di gran nome e di età non più giovanissima; mi vengono in mente Tito Gobbi, Renato Bruson ed Enzo Dara, che hanno iniziato a fare i registi dopo aver passato la cinquantina. Questi tre signori, come registi, hanno sempre dimostrato il massimo rispetto nei confronti degli autori delle opere da loro messe in scena.
    Ho visto al Regio di Torino 3 opere con la regia di Dara (Barbiere, Campanello e Schicchi): il Dara regista era come il Dara cantante, c’era il massimo divertimento, unito al massimo rispetto per l’autore.
    Se è vero che un cantante diventato regista trasporta in tale ambito il suo modo di essere cantante, niente di strano che una regia di Villazon sia quello che è!
    Incidentalmente: il medesimo si è dato aanche alla “letteratura”:
    cfr. http://www.forumopera.com/livre/un-petit-avorton-qui-faisait-cric-crac
    Quando deciderà di darsi all’ippica?

      • Io direi KUL TURA!
        Solo una piccola appendice al mio precedente intervento: a Lione – dove l’orchestra ed il coro dell’Opera sono di notevole livello e dove la cucina francese raggiunge i suoi livelli massimi – c’è evidentemente un certo gusto depravato per le messinscene orride (ricordo un terrificante Boris coprodotto con un teatro tedesco – ça va sans dire – in cui avveniva in scena di tutto e di più… tranne quello che sarebbe dovuto avvenire secondo libretto!), basti vedere cosa è diventato il povero Simon Boccanegra di Verdi dato questo mese, con la solita regia geniale del solito regista tedesco geniale che avrebbe dovuto spigare tutto ai poveri coglioni che sinora nulla avevano capito del Simone:
        http://www.youtube.com/watch?v=RiUx9GLCGoc
        Prego notare (nei primi 10 secondi del video) le terrificanti maschere di lattice imposte sul viso ai cantanti che interpretano i consiglieri del Doge, maschere (tipo zio Fester o zio Tibia, quello dei fumetti horror anni ’70) che coprono l’intera faccia e rendono difficilissimo ai poveri coristi sentire l’orchestra, cantare e sentire cosa stanno cantando. Non sono un esperto tecnico in materia, ma mi pare che ci sia anche una questione di risuonatori facciali, inibiti da tale robaccia appiccicata in faccia.
        Per chi non è pago, ecco altro video del predetto Simone scempiato (dei cantanti taccio, è meglio): http://www.youtube.com/watch?v=T0fPV3QnINI
        Un amico che era a Lione mi aveva inviato questo commento, che non necessita di molte aggiunte: “Un pubblico di ciechi (e sordi) ha applaudito calorosamente lo spettacolo. Simone: una vaccaccia ignobile. Paolo: accettabile. Amelia: accettabilina… Gabriele: giovane, bella voce, ma fuori-ruolo e slavizzante. Fiasco: gonfia un po’ i suoni, ma in un mondo di orbi… Unica bella sorpresa: la bacchetta di Rustioni, sicura e competente, veramente bene ! Regia ridicola e pretenziosa, robe che si vogliono rivoluzionarie e che, in realtà, hanno il gusto della stessa minestra riscaldata über alles da almeno quarant’anni”.
        Povero Verdi! E povero Dvorak, dato che per la prossima stagione è programmata la Rusalka con la “geniale”, “innovativa”, “creativa” e “rivelatrice” regia di Stefan Herheim, nella produzione del solito famigerato Théâtre Royal de la Monnaie (melius sarebbe dire de la Monnèz, non per niente il luogo da cui il mai abbastanza esecrato Mortier ha spiccato il volo), nella quale invece che ninfe lacustri in scena ci sono solo puttanacce disfatte e magnaccia….

  3. sulla Barbieri e la Podles,certo vanno bene come esempio, in questo caso negativo,però qui ormai queste due cantanti sono alla frutta, con la voce usurata,e senescente,mi ricordo che avevamo commentato ( se non sbaglio ) in chat questa diretta di ” Ciro in Babilonia” con la Podles, e abbiamo anche discusso su questo contralto,e di quando la voce risultava usurata e divisa in tronconi,però ci troviamo di fronte a un vero contralto…

  4. Caro Mancini, lasciamo nel “dustbin”Villazon e soci.
    Torniamo al passaggio, qualche chiarimento: cosa intende Garcia per “stesso principio meccanico”?
    Garcia non aveva diviso la voce in tre registri, petto, testa e falsetto ?
    E’ secondario, ma non sarebbe bene abbandonare i termini ” di petto, di testa..”che si riferiscono a sensazioni del cantante con una terminologia piu’ oggettiva ?
    E’ vero che alcuni cantanti ( tipo Kraus) avevano il passaggio oltre il mi-fa-sol?
    Scusami per la futilita’ delle questioni,ma dal punto di vista fisiologico (ahimè la deformazione professionale e’ dura a morire) conoscere come si effettua il passaggio e’ affascinante.

    • Stesso principio meccanico, cioè stesso assetto della laringe e quindi stesso modo di vibrare delle corde vocali, che, detto in soldoni, nel petto sono spesse e convesse, vibrando per azione della muscolatura intrinseca, mentre nel falsetto sono tese e assottigliate, in conseguenza del basculamento della cartilagine tiroide, col quale le corde si allungano passivamente. Falsetto e testa non sono due registri diversi, Garcia infatti chiama “testa” la prosecuzione, la parte acuta del falsetto. Non cambia la meccanica di base, si accorcia solo il lembo di corda vibrante (logicamente più la corda e’ corta più il tono prodotto e’ acuto) e questo richiede un impegno maggiore, ma non un cambio di registro. Corrisponde all’ottava acuta e oltre per le voci femminili, ai sopracuti per le voci maschili (quelle che ci arrivano). Ma le meccaniche di base, cioè i registri, ridotti ai minimi termini, restano i due sopraddetti.

      Sulla terminologia più oggettiva, credo che adottando una nuova nomenclatura, come ad esempio quella che usano i foniatri (che straparlano di registro modale, registro leggero…) si rischi di fare solo ulteriore confusione.

      E’ vero che i tenori acuti come Lauri Volpi o Kraus hanno il passaggio un mezzotono sopra agli altri (cioè sul fa diesis). Mi pare che Lauri volpi a fine carriera dichiarasse di passare addirittura sul la bemolle o sul la… Forse è un’evoluzione legata all’età avanzata.

      Non sono affatto questioni futili, anzi ti ringrazio per avermi dato l’occasione di parlarne. Mi parevano cose troppo tecniche da inserire nel glossario che vorrei il più semplice ed essenziale possibile, essendo destinato agli ascoltatori e non agli addetti ai lavori. Tecnicizzare troppo l’ascolto rischia di fare più male che bene. Ribadisco, il passaggio e’ giusto quando non si sente, anzi quando sparisce del tutto in ragione di un imposto perfetto.

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