Al chiostro di San Giusto arrivano due gran dame del canto, Renata Scotto e Raina Kabaivanska e mettiamo due diverse intelligenze interpretative a confronto.
Sul piano della voce, la prima nata Violetta e Lucia, progredì via via all’interno del repertorio lirico e spinto quasi che non vi fosse limite vocale che non ritenesse di poter oltrepassare; la seconda dal mezzo lirico, forzata dell’eclettismo professionale per ragioni di mercato, divenne poi diva del verismo nostrano. Sulla carta più adatta la seconda della prima, dunque, alla parte centralizzante di Valois, ma di fatto entrambe con alcune ma non tutte le carte in regola per la statuaria regina di Spagna.
Le prove offerte nel “Tu che le vanità” dalle due primedonne sono profondamente differenti e ci dimostrano con chiarezza la loro diversità di pensiero e di atteggiamento verso il brano e, più in generale, il canto. Renata Scotto architetta l’aria a tavolino, in forza di un grande talento nel variare accenti e sfumature, nel calibrare la prima strofa rispetto alla seconda. Sa di non possedere la voce per Valois, né l’accento e nemmeno la forma fisica di un tempo, ma non demorde, rifugiandosi in una intellettualità tanto affascinante quanto poco spontanea. E’ un continuo alternare accenti opposti e contrastanti, e il biglietto da visita è il suo “Tu che le vanità” molto caricato, cui segue un “conoscesti del mondo” cantato con un piano che evoca il mistero tombale, per poi passare ad un opposto tono celestiale con “si piange in cielo”. Inutile raccontare la sua abilità nelle frasi estatiche del ricordo della Francia e dell’incontro di Fontainbleau, in cui poi però si insinuano momenti esagerati, come “E questa eternità un giorno sol durò”, che preludono agli eccessi della seconda strofa. Nella ripresa vorrebbe cantare con più voce ( quella che non ha ma che servirebbe per la parte ), ma i suoni che emette sono spinti ed acidi, la voce balla sui forti tanto che poi nemmeno i piani le girano più come all’inizio.
Ben lontana da ogni manierismo, stucchevolezza ed artificio è Raina Kabaivanska, pragmatica e forse anche più efficace alla fine. Canta sinceramente, con la sua voce, dal corpo certo più adeguato alla caratura della parte, ma priva di fascino timbrico. Esegue l’aria in modo meno originale e studiato, ma più in sintonia con il fraseggio di Verdi. Il suo canto mostra maggior saldezza nelle frasi agitate come “Addio verd’anni addio…”, poco suggestive quelle estatiche per limite timbrico e forse anche perché la voce a volte non pare ben a fuoco, come nei passaggi aerei sul sol diesis di “ Se ancor si piange in cielo”. L’esecuzione delle forcelle è assai più solida di quella della Scotto, la voce non le si squaderna anche se le fa difetto una vera cavata.
Al duetto con Don Carlo le cose non cambiano molto.
La diva Scotto si atteggia, aggirandosi per il palco con un’aria falsamente dolente e misticamente ispirata. E’suadente e sussiegosa nei passaggi come “ Pensate a Rodrigo “, ma poi malamente strillacchia e spinge in quelli più solenni come “ Fiero eroismo è questo ..“.Un momento sublime, l’attacco di “ Ma lassù ci vedrem..”, per questa ambiziosa Mimì travestita da regina, che non cambia il bilancio di una prova di canto innaturale ed artefatto fino all’irritazione dello spettatore.
La più pragmatica Kabaivanska accenta con esattezza e sobrietà, invece, ma la voce è metallica, grigia, il legato nemmeno troppo curato. Bello il passaggio su “I fior del paradiso …” e gli acuti, ma nel complesso anche lei poco appetibile.
Dieci minuti meno pretenziosi ma più veri e timbricamente stupendi con la brava Antonietta Stella sono assai preferibili!
14 pensieri su “Il convento di San Giusto, il convento del grand-opéra. Ottava puntata: Renata Scotto/Vasile Moldoveanu vs. Raina Kabaivanska/Franco Corelli”
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Io adoro questa rubrica A quando su Semiramide?XD
Non mi perderò in 1000 parole per dire che la Stella è forse la mia Elisabetta preferita per voce, tecnica, dizione, credibilità, e grande tenuta su tutta la linea. Nel complesso disegna un grande personaggio e risolve con grandissima maestria tutti gli scogli dal grave all’acuto. Ah, dimenticavo, la metterei pari merito con la Steber
Interessante il confronto tra Scotto e Kaibavanska. La seconda non mi ha entusiasmato molto ad esser sincero: corretta, ma quasi fuori luogo anche se risolve bene molti passaggi. Corelli qui non mi piace per nulla.
La Scotto è ammirevole in quanto riesce nel miracolo di risultare credibile con una voce che non corrisponde assolutamente a quella della protagonista. Sono verissime le note mosse dalla Divina Grisi, eppure crea davvero un personaggio e ne esce bene risultando molto più plausibile di molte altre cantanti più adeguate per voce alla parte. La tecnica ottima la aiuta, anche se la pesantezza della parte si fa sentire eccome e compromette vari passaggi. In ogni caso una prova da ricordare! Entrambe non chiudono bene l’acuto finale.
caro ninia semiramide è un dovere per l’importanza assoluta del titolo e per l’amore che ho per semiramide fra il 1980 (Aix) e il 1999 (Liegi) non so quante ne ho viste. adesso mi sento le registrazioni…. non ci sono più la grisi e l’alboni…..
Sì sono d’accordissimo Donzelli! Infatti è la mia opera preferita Non posso che invidiarti… oggi si fa davvero pochissimo e quello che si fa è imbarazzante (tipo la recente integrale con la Penda in cui proprio la protagonista, ma non solo, è un orrore… almeno una volta la si riesumava per grandi cantanti!).
Io di registrazioni ne ho diverse, ma ce ne sarebbero moltissime che spererei di procurare prima o poi… se ti sentissi in vena caritatevole pensami 😀
Ho sentito recentemente quell’edizione e, tra mille difetti, è più accettabile di alcune altrettanto recenti riprese. Certo è un titolo complesso: per i cantanti che affrontano una partitura di difficoltà estrema, per il direttore (perché non è certo solo opera di cantanti, avendo avuto – Rossini – una cura estrema per l’orchestra) e per il pubblico…
Sì è senz’altro vero eppure io salverei solo la Pizzolato (che fa bene pur non essendo straordinaria, ma dovrebbe sistemare gli acuti perché sono mal eseguiti) e, parzialmente, Regazzo perché non cerca di strafare e tutto sommato ne esce vivo. Osborn non mi piace per nulla come Idreno, si sente che è disordinato e ha affrontato la parte con superficialità e se non ricordo male le variazioni erano davvero brutte! Purtroppo neppure la voce è bella quindi non ha scusanti di sorta…
La Penda però è pessima, la voce è malferma, grida, gorgoglia, farfuglia… insomma mi ha reso inascoltabili le parti in cui c’era Semiramide. La direzione non dice nulla di nulla. Il tutto è integrale, ma me ne faccio poco di qualche recitativo reinserito se il contorno è questo…
Sottoscrivo la tua recensione: personalmente trovo la Pizzolato una brava cantante. Osborn è troppo scostante (e come Idreno mi pare del tutto fuori parte). Regazzo è intelligente. Sulla Penda (e il suo new look) nulla da aggiungere: concordo al 100%…peccato che oltre al nome non abbia mutato anche il modo di cantare. La direzione è onesta, e con Semiramide non basta: è un’opera che non amo particolarmente, ma ne riconosco l’assoluta grandezza e importanza.
semiramide è il modello dell’opera per grandi cantanti e solo in presenza di grandi cantanti può essere proposta. Il cast perfetto non l’ho visto neanche io perché qualche cosa mancava sempre. Ad esempio solo una sera per caso a parigi nel 1981 si incontrarono nei rispettivi ruoli martine dupuy e samuel ramey fu un caso per l’influenza della horne e la disponibilità della dupuy che era a casa sua a marsiglia! non ho la registrazione, che per altro sarebbe stata funestata dal rottame della caballe.
Siccome ormai siamo ridotto al fanta cast da sempre sogno la prima crisotemide e la prima klitemnestra quali protagoniste!
Magari dirette da Mahler, con Vanni Marcoux e Urlus.
La Scotto è cantante di vaglia sempre, gran musicista e fraseggiatrice ma in Elisabetta è sempre troppo al limite, troppo costruita, la sua è una prova di equilibrismo, alla fine la si ammira per esserne arrivata alla fine, ma non la trovo affatto credibile. Al contrario la Kabaivanska; ho avuto occasione di sentirla e vederla in questa parte, una regina, magari dalla voce non bellissima ma non mancava nulla al lirismo della sovrana dolente e ferita come alla fierezza della regina offesa, un canto sincero un personaggio coerente. Di quella serata non ricordo chi fosse il tenore, chi il baritono o il mezzosoprano, ricordo solo l’Elisabetta di Raina Kabaivanska…
Ascoltata la Raina al San Carlo di Napoli forse ? Io la ascoltai li’ primi anni ’80 ( credo ) con Bruson, Cossotto, Arragall , Siepi ( “altre voci, altre satnze ” )
per la precisione era il 1976. credo l’ultima eboli in teatro della cossotto.
Mi correggo ( la mia tremolante mano da vegliardo e’ la colpevole),altrimenti non si comprende la citazione dal primo libro di Capote ” Altre voci , altre STANZE ).Pardon.
no, alla Fenice credo primissimi anni 90, Filippo era Furlanetto, gli altri…caduti nell’oblio… le “stanze erano già cambiate….
L’incipit dell’aria in esame è tra le più difficili da svolgere: Sembra una un’interrogazione, ma in fondo è semplicemente una spiegazione di ciò che in lei si tumultua in sentimenti. Quindi repentini slanci
emotivi seguiti a frenate sull’ardire delle richieste (si tratta pur sempre di un Dio)
Le due soprano esaminate sono (ahimè) inadatte la Scotto per il sua “vorrei ma nol posso” e
la Kabaivanska per la voce inadatta ad una sovrana….
Meglio sarebbe una Margareth Price con colore vocale adatto ma manca il pathos
L’altra Price è imponente ma gli acuti sono troppo artificiosi…
La Janowitz sarebbe più vicina ma il tremulo della voce non mi soddisfa
La Jurinac è più vicina al ruolo e la dizione è nitida
La Caballè nel 1969 all’Arena mi folgorò per l’imponenza del personaggio
ma la vera Elisabetta è la Cerquetti