Quando ci si trova a dover commentare certe voci di oggi, il rischio di ripetersi in parole negative è estremo non già per colpa di un critico cattivo, svigorito e monotono, ma per colpa di voci ormai appiattite allo stesso livello, accomunate ormai dagli stessi difetti, dagli stessi errori, e dalla stessa carriera (incomprensibile e, fortunatamente, breve). Si finisce allora e a parlare della loro non-tecnica, di voci ingolate, di voci senza fraseggio, di voci ingolfate e prive del solito ABC del quale ogni cantante lirico degno di tal nome deve (anche se oggi il condizionale sarebbe più realistico) essere portatore consapevole ed intelligente. E cosa ancor più triste, si finisce a parlare di un pubblico piegato alle più banali politiche di marketing, pronto ad applaudire un cantante solo perché sponsorizzato da certe case discografiche, che ignora (e vuole ignorare) completamente il senso di ciò che ascolta (se di ascolto si può parlare).
E così, davanti a un concerto di un cantante come Rolando Villazon qualsiasi ascoltatore critico minimamente educato alle regole del buon canto e soprattutto del buon senso, davanti a tale rischio non può che gettar la spugna. Innanzitutto perché si trova appunto davanti a un cantante privo totalmente delle più elementari tecniche del canto (respirazione in primis), incapace ad eseguire, anche se vistosamente risistemate, le più centrali pagine vocali e dunque costretto alle più tristi contorsioni in scena per tirar fuori una voce ormai morta e sepolta. In secondo luogo perché in presenza di un pubblico per cui ormai il “valore Scala” (“è bello perché lo fa la Scala”) pare abbia totalmente eliminato, nella scala dei criteri di giudizio, il valore “musica”, che nella suddetta scala, dovrebbe essere il primo se non l’unico dei criteri.
Così, in queste condizioni e davanti a questo pubblico, Rolando Villazon, in terre milanesi per preparare Così Fan Tutte, è riuscito, miracolosamente, a “concludere” una serata assolutamente decadente. Il repertorio, è inutile ormai stupirsi, ha visto come autore protagonista Schumann (Dichterliebe op. 48) e De Falla (Siete Canciones populares españolas) con un’aggiunta (permettetemi di esprimere parere personale) del più mediocre Giuseppe Verdi dalle Sei Romanze e delle canzoni popolari spagnole di Obradors. Solo nel bis è apparso un compositore caro al Corriere, Francesco Paolo Tosti, con Chanson de l’adieu, ma credo sarebbe stato meglio che il tenore messicano non avesse aperto neanche lo spartito. Il tutto accompagnato da un Barenboim volgarissimo, privo di ogni minimo fraseggio, incapace a scandire qualsiasi ritmica sia questa tagliente come nelle canzoni di De Falla o ampia e morbida come nei Lieder di Schumann.
In questo caso il problema del repertorio e dei problemi vocali va però in secondo piano per lasciar spazio ad una riflessione ben più complessa: siamo davanti ad un cantante, ed ad un Teatro che more solito avalla tale operazione, che ha il coraggio di andare in scena in condizioni che, come detto da un simpatica presenza in sala, “neanche agli esami in conservatorio potrebbero accettare”. Eppure in Scala si applaude con tanto di lancio di fiori. Viene allora spontaneo chiedersi veramente il senso di tutto ciò: il senso di un Teatro che toglie soldi alla cultura italiana per mettere in scena spettacoli come questo, il senso di un pubblico, considerato il più severo d’Europa se non del mondo pronto a contestare José Cura ed applaudire ben peggiore Rolando Villazon, e soprattutto il senso di questi spettacoli che non fanno altro che mettere in scena, in modo che rasenta la comicità, la lenta ed inesorabile agonia di un’arte ormai distrutta e cosa ben più triste, dimenticata.
Manuel García
Gli ascolti
Schumann: Dichterliebe – Cesare Valletti (1960)
sull’agonia,non sono d’accordo,forse in Italia…comunque è proprio vero,una volta che uno si è fatto un nome,vive di rendita,il caso di Villazon..
io credo che il pubblico della Scala sia sempre lo stesso, severo in proporzione a quanto una fetta o fettina del medesimo si prenda sul serio. Allora la relativa fettina diventa sufficientemente disinibita da nutrire il piacere di “farsi sentire” e “partecipare” allo spettacolo. E’ capitato anche a me per cui non voglio fare la morale a nessuno. Parlare di condizionamenti da operazioni di marketing e sponsorizzazioni di case discografiche nel 2014 delle tue tesi (oh Grisi) é quella che mi fa più ridere (spero mi scuserai perché non vorrei fartele girare un’altra volta). Poteva succedere a Salzburg nell’ultimo decennio di von Karajan ma al giorno d’oggi dove la musica seria é tutt’altro che un business…Speriamo, anzi, che ogni tanto qualche incisione in studio buona o cattiva che sia (il tempo é galantuomo e chi vivrà vedrà) venga fatta ancora, diversamente saremo condannati all’opera in DVD che é assai pallosa. Circa il Villazon lo ascolterò presto in Così fan Tutte (anzi nel “Così Così” fan tutte che ho già visto all’Haus fur Mozart) e la mia unica esperienza dal vivo riguarda il suo Elisir che (pur fra mille difficoltà) non era poi inferiore a quello di un Austin Kelly, un Grigolo, un Pastine e di altri sentiti dal vivo da quando mi piace la lirica.-
Mi rispieghi per favore quello che hai scritto quassù come lo spiegheresti ad un bambino di 5 anni? Grazie.
ok te lo spiegherò…ma quando sarai maggiorenne…
Ok… Ma 13 anni son troppi per VillaNzon.
Grazie lo stesso.
Le contorsioni dialettiche del caro albertoemme quando vuole difendere l’ indifendibile eguagliano quelle che fa Villazon mentre canta…
Il Nemorino di Villazon io l’ ho ascoltato a Baden Baden. Tralasciando tutto il resto, quella specie di rantolo agonico da lui emesso sul FA# di attacco nella “Furtiva lagrima” sarebbe costato la bocciatura a uno studente del quinto anno di Canto.
su youtube c’è il video di quella roba…
Lo ricordo in Manon a Barcellona con la Dessay.
Una stonatura unica da inizio a fine. E le stonature non erano la cosa peggiore.
Non c’è stato verso che si riprendesse nel corso della recita.
in questi giorni un impianto di confezionamento della ditta per cui lavoro è in manutenzione; a uno dei meccanici piace cantare, canta sempre, non ha mai studiato canto o uno strumento musicale in vita sua. Canta canzonette sceme neomelodiche da balera. Le finestre del mio ufficio danno sui reparti di produzione per cui a macchine ferme non posso non sentirlo… e lui canta. Fortunatamente questo meccanico ha una magnifica voce di tenore lirico, naturale morbida rotonda, intonata. Una dote naturale, certo non si sogna ora (avrà sui 45 anni) di intraprendere una carriera anche solo come studente, certo non passa di registro, la voce non è perfettamente appoggiata, ma intanto lui canta. C’è in lui un ultimo scampolo di civiltà vocale, quella che attraverso i tenorini da balera è pur arrivata nel nuovo millennio. Lui canta e quei suoni, devo ammetterlo, sono gradevoli. Ora,
come accidenti sia possibile che uno come Villanzon si esibisca alla Scala e il mio amico meccanico no, è un mistero incomprensibile!
Ciò che a me ripugna e avvilisce profondamente, più di ogni altra cosa, è che i grandi nomi della direzione d’orchestra oggigiorno, i quali dovrebbero essere d’insegnamento a me giovane studente, altro non sono che un’associazione di miserabili mercanti.
Le generalizzazioni sono sempre sbagliate: a chi ti riferisci esattamente? Chi sono i grandi? Chi i miserabili mercanti? Mi sembra un po’ troppo “celibidachiana” questa presa di posizione: simili a certe affermazioni parossistiche dell’ultimo Celibidache…tanto d’effetto quanto poco lucide.
evidentemente si riferisce, innanzitutto, a Baremboing… come dargli torto
A me pare di portata assolutamente generale e generica…francamente la trovo molto superficiale ed effettistica (come molte delle “sentenze” inappellabili dell’ultimo Celibidache)
“Le generalizzazioni sono sempre sbagliate”
Gilbert-Louis Duprez
il 26 gennaio 2014 alle 01:05 scrive:
Ma veramente state considerando i cantanti vittime? È un’assurdità bella e buona: i cantanti sono meri esecutori. Punto. Ma siccome son pessimi musicisti (viziati pigri ignoranti spesso analfabeti) credono che i loro limiti siano virtù e considerano “errori” o affronti ogni casa che non sanno fare.. Non mi è mai capitato di sentire lamentele da violinisti o flautisti, circa presunte decadenze compositive
Purtroppo la mia non è una generalizzazione…ma un’amara constatazione della realtà dei fatti.
Caro Duprez, si vuole divertire eh?.. La colgo l’insinuazione, ma non rispondo ad essa: non mi interessa.
I grandi nomi ai quali ho pensato sono Pappano, Muti ed in parte Baremboim, sicuramente il migliore dei tre. Lei dice che è generale? Lo è anche: può essere riferita a tutti i musicisti interessati al mercato, il quale esclude la possibilità di fare musica. Ed un uomo che usa la musica per fare affari, è un miserabile. Con quale coscienza e quale etica può un direttore d’orchestra, che è il responsabile ultimo di una esecuzione, scegliere di collaborare con la maggior parte dei cantanti e dei registi che circolano oggigiorno (in particolare i più famosi, i grandi “nomi”)?..
Barenboim migliore di Muti e Pappano??? Maddai! Quante volte hai sentito Muti dal vivo? Quanto al fantomatico mercato…siamo seri: per far musica occorrono soldi. Credi che Kleiber, Furtwaengler, Reiner, Bernstein, Gould si esibissero gratis? Neppure Celibidache era un missionario… Quanto alle collaborazioni: non sempre si può fare quel che si vuole. Neppure Karajan.
Ma poi a quali grandi nomi ti riferisci (a parte i citati, che non sono certo tra i più esposti mediaticamente: Muti in particolare)… Io ti parlo di Salonen, Boulez, Jansons, Jaarvi, Savall, Rilling e tanti tanti altri… Sarebbero questi i miserabili? Dai che voglio farmi due risate…
Nemmeno Kau può arrivare a tanto….solo 4 parole: lo stupro del canto
La Scala dell’ultimo Lissner non poteva farci cosa gradita che abbinare il peggio del peggio, il peggior direttore pianista tuttofare all’eroico tenore del canto senza canto. Un certo Stinchelli li avrebbe definiti DUE PERLE NERE. Il dramma non stà nell’abbinamento ma nel compiacimento di poter “rifilare” agli spettatori scaligeri cio cheuna banalissima zitella avrebbe fatto al fidanzato: non mi vuoi? beccati questi due e poi, vedremo.
Non ho mai nascosto la mia disistima per Baremboim, per ciò che ha realizzato come direttore, perchè per mè vale il detto milanese ” “Ofelè fa el tò mestè!” ma evidentemente la saggezza popolare non vale che per pochi.
In merito a Villazon che della sua carriera tenorile e discografica rimangono purtroppo pericolose memorie, e ricorda un altro detto
” vorrei ma non posso!”