Non risponde al vero che solo oggi i cantanti d’opera debbano essere belli anzi “gnocche” se femmine, “fighi” se maschi. La storia dell’opera è ricca di donne belle e fascinose, di uomini attraenti solo che, in linea generale, sapevano anche cantare. Chi ascoltasse i dischi di Lina Cavalieri detta, con ragione, la donna più bella del mondo e la cui avvenenza supera gusti e mode ascolterebbe una cantante dalla voce non certo sontuosa, ma emessa correttamente e dal fraseggio scrupoloso se non proprio vario ed originale. Diciamo anche che il teatro Metropolitan ebbe sembre nei propri rosters soprani avvenenti cui spesso venivano affidate parti, che richiedono o che si esaltano se affidate ad una avvenente primadonna come Violetta, Mimì, Manon, Melisande, la Margherita e la Giulietta di Gounod e se dotate al centro Carmen. Anna Moffo si produsse quasi esclusivamente su quel palcoscenico e le esecuzioni non andarono oltre la stentata sufficienza come le venne rimarcato dal pubblico scaligero quando sostituì la riprovata Mirella Freni nella famosa Traviata del 1964.
Ma dall’origine del teatro sino agli anni ’50 la presenza di avvenenti soprani fu una costante. Ritengo che la più nutrita rappresentanza della categoria sia stata fra il 1910 ed il 1950 ad opera di Bidu Sayao (1903-1999), Jarmila Novotna (1907-1994), Grace Moore (1898-1946), Lucrezia Bori (1887-1960) e Geraldine Farrar (1882-1967). I cultori delle cronologie potranno andare a ricercare i titoli in comune di questa prime donne, che approdarono al massimo teatro americano già piuttosto famose, ben rodate su altri palcoscenici e – giustamente- vi si s’insediarono. Le voci non erano affatto uguali ed in comune potevano esserci i titoli sopra detti, che convengono ad un lirico leggero ed anche ad un lirico spinto, ma l’avvenenza, il fascino, le doti di attrice ora brillante ora drammatica, magari anche la capacità di indossare impeccabibilmente panni maschili ad onta dell’essere femminilissime in quelli di pertinenza del proprio sesso (Novotna e Farrar soprattutto).
Le prime di cui trattare a distanza di pochi giorni Bidy Sayao ed Jarmila Novotna, ovvero le ultime che fra la fine degli anni trenta e la prima metà dei cinquanta cantarono al Met in ruoli spesso e giustamente riservati a belle donne.
Bidu Sayao di chiamava Balduina Oliveira de Sayao, era nata in Brasile, vicino a Rio nel 1902 e siccome morì nel 1997 fu piuttosto longeva; messa da parte l’idea di fare l’attrice, una volta debuttato in patria, era approdata in Europa spinta dal desiderio di studiare o meglio di perfezionare il canto. Ebbe come maestra una cantante, che era il suo opposto Elena Theodorini, un soprano Falcon, che a cavallo fra ‘800 e ‘900 aveva trionfato nei teatri italiani e dell’Europa degli imperi. Studiò anche a Nizza con Eduard de Reszke e ci domandiamo se il grande tenore, oltre i sessanta, sia stata la prima delle molte e stagionate vittime del soprano, che, forse, doveva rimuovere il trauma derivato dalla morte del padre quando aveva cinque anni. La giovane Balduina era un soprano leggero e come tale intraprese la prima parte della carriera, italiana ed europea, cantando al Costanzi di Roma e poi al San Carlo di Napoli, alla Scala (1932) e Parigi (sempre nel 1932). Chi volesse leggere una descrizione della voce e dell’arte della prima Sayao può ricorrere al solito Lauri Volpi di “voci parallele”, che cantò Rigoletto con la giovane brasileira. Come molte “belle” della lirica l’avvenenza aiutò molto la giovane cantante, che nel 1930 convolò a nozze con Walter Mochi, vedovo di Emma Carelli e di ben trent’anni più anziano di lei. Il matrimonio durò poco e nel 1935 la Sayao sposò Giuseppe Danise, baritono, napoletano, appena ritirato dalle scene, famoso soprattutto per la carriera americana e anch’esso “ben stagionato”. E (guarda caso!) nel 1936 la nostra Balduina Oliveira de Sayao debutta a New York in concerto alla Carnegie Hall cantando, sotto la guida di Toscanini “la demoiselle elue” di Debussy. Grande successo, favore e stima di Toscanini, consegue debutto al Met il 13 febbraio 1937 rimpiazzando Lucrezia Bori (ormai ex bella del Met alle soglie del ritiro) in Manon e da quel giorno per quindici anni Met e pochi selezionati teatri americani. Come cantasse la debuttante è testimoniato dalla diretta radiofonica, perché certi lanci allora come oggi si facevano in grande stile. Era solo differente il prodotto. Il repertorio del Met è la fotografia della voce della Sayao e dell’evoluzione, maestra di seduzione anche in scena e cantante ben conscia dei propri limiti, che erano ben evidenti. Si racconta che dopo una recita di don Pasquale il marito -don Peppino Danise- le disse “bella voce da corista”. Rimanevano alcuni ruoli del soprano leggero come Gilda e Rosina, che, però, non impegnano troppo la gamma acuta, imperversavano Mimì, Manon, Giulietta e Violetta cui si aggiungevano le parti da ingenua o larmoyant di Mozart ossia Susanna e Zerlina e poi Adina, che alla categoria può anche appartenere e Norina di Don Pasquale, che è ben altro, ma che veniva a quelle parti assimilata. Alla fine della carriera la Sayao aggiunse il ruolo di Melisande. Chiuse rapporto con il Met nel 1952 con la sua Manon. Non offrì lo spettacolo triste di altre celebrate dive del Met coeve come Lily Pons. Pochissime le apparizioni successive. Che fosse fascinosa basta vedere i video, erano lo sguardo, la persona, anzi la personcina perché era piccola ed aggraziata a farne una donna non sensuale, ma affascinante, di quel fascino particolare delle donne minute e, apparentemente fragili. E questo si sposava alla perfezione o con giovani sofferenti e provate da amori infelici come Gilda e Violetta o ragazzine furbe e perite della vita e dell’arte di sedurre coma Adina, Susanna ed anche Giulietta e la Manon dei primi atti. La coincidenza fisica con il personaggio insegna l’esperienza artistica della Sayao aiuta e consente risultati artistici forse al di sopra dei mezzi vocali. Sempre l’esperienza della Sayao insegna e spiega che non è tutto però. E’ vero che non era una virtuosa inarrivabile come documentano le pagine del don Pasquale (anche se emette un discreto trillo) dove oltre tutto l’idea del personaggio lezioso induce a suoni aperti, che altrove (Traviata, Boheme e una esemplare Gilda del Rigoletto emendata da tutti i peggiori vezzi delle colorature che non abbiamo la classe ed il gusto di una Galli-Curci) non compaiono e che l’estensione era limitata, ma sapeva cantare e bene. La voce al centro suona sempre sonora, alta di posizione e consente ad una voce in natura limitata di espandersi in una sala immensa come il vecchio Met. Basta ascoltare le arie di Violetta dove la cantante esibisce (ad onta di qualche accento da diva dei telefoni bianchi nella lettura della lettera) una dizione scolpita, accenti adeguati al testi ed alla situazione nel recitativo, sia quello che precede l’aria che quello di conducimento fra andante ed allegro, eseguiti con buona varietà di colori, ed accento che nel solco della tradizione quanto a dinamica è, comunque, vario anche perché il canto è sempre di alta scuola, come comprova il do acuto attaccato piano e progressivamente rinforzato nella cadenza dell’andate “ah forse lui”. E questo anche se il timbro non ha peculiarità al di là della generica dolcezza, frutto della corrette emissione. Nell’allegro, staccato a ritmo piuttosto veloce, come facevano quasi tutti i soprani leggeri per supplire con il ritmo al tonnellaggio vocale, l’esecuzione è sufficientemente nervosa e forse anche nevrotica, le agilità fluide, nessuna difficoltà in zona medio grave, acuti facilissimi, sonori e penetranti. Niente mi bem a riprova che il soprano leggero era passato da tempo.
Anche se il soprano leggero era passato la Sayao propose dopo il debutto al Met Gilda, di cui nella carriera italiana era stata una specialista. Gilda è compiuta e completa anche senza sfoggio di sovracuti (che aggiungo se facili e sicuri devono essere interpolati) il meglio della Sayao è ovviamente nella scena del secondo atto dove senza far credere che sia diventata una donna vissuta questa Gilda è tenera, trepida, accorata, sfumata al tempo stesso. Un esempio e, aggiungo di una modernità sorprendente e cantata davvero bene.
Eppure che fosse nata soprano esteso in alto e che in alto avesse la parte privilegiata della voce appare negli estratti della Boheme come al duetto del terzo atto con de Luca (l’unico live intero del baritono romano) dove la voce sovrasta senza difficoltà la massa orchestrale e dove, per contro ogni tanto compare qualche suono un poco aperto e vuoto nella gamma bassa. Aggiungo anche nella realizzazione di Mimì la Sayao riduce al mimino, una sorte di incidente, le svenevolezze del personaggio. Per altro le maggiori Mimì del Met, ovvero i modelli con cui confrontarsi o venivano dalle fila dei soprani spinti (Elisabeth Rethberg) o erano quanto a gusto sorvegliatissime (Lucrezia Bori e la Farrar).
Cantante conscia dei propri limiti sempre come si sente nella realizzazione della scena della seduzione della Manon dove gli effetti di facile verismo e seduzione da donnaccia sono evitati a favore di un’esecuzione varia e sfumata dell’intera scena. Quella che i mezzi vocali della cantante consentivano e che la cantante utilizza al meglio. In questo la cantante brasiliana, educata vocalmente in Italia è molto più prossima ai modelli francesi che italiani.
Per altro che la voce fosse sempre a fuoco nella zona centrale, che secondo la vecchia scuola (quella di de Reszke e di Danise, che fu di fatto un ulteriore maestro) è quella che deve “essere a posto” perché ” si canta con il centro” è confermata dall’adagio “ah non credea mirarti” dove bandite svenevolezze, sbiancamenti emerge un suono dolce e sempre raccolto, un canto morbido e rispettosissimo del legato belliniano, un attento gioco di piani e pianissimo impercettibili accelerando e stentando e per conseguenza la cantante fa centro nella realizzazione del personaggio patetico e triste della ragazza creduta, a torto, traditrice. Soprattutto dovrebbe essere un esempio per le “gnocche” di oggi, che, loro malgrado non hanno la completezza tecnica e la coscienza del proprio io della fascinosa brasileira.
Manon “on m’appelle Manon” 1937 debutto al Met
Manon scena di San Sulpizio 1937 debutto al Met
Boheme duetto con Marcello (de Luca) Met 1940
Sonnambula: “Ah non credea mirarti” 1945
Traviata grande aria atto primo Met 1943
Don Pasquale “quel guardo il cavalier” Met 1940
don Pasquale rondò finale Met 1940
debussy “la demoiselle elue” Bidu Sayao Eugene Ormandy Philadelphia orchestra
Le nozze di figaro “duetto dei pini” con Elisabeth Rethberg Met 1940
Le Nozze di Figaro “deh vieni non tardar” Met 1940
Rigoletto “il sol dell’anima” con Jussy Bjorling 1945
Rigoletto “caro Nome” Met 1945
Rigoletto: ” Tutte le feste al tempio… solo per me l’infamia.. si vendetta ” con Leonard Warren 1945
Boheme: ” che gelida manina, mi chiamano Mimì finale atto primo” con Richard Tucker 1951
Romeo et Juliette: “ange adorable” con Jussy Bjorling 1947
però strano sulla sufficienza della Moffo,mi è rimasta in mente la sua Violetta trasmessa per televisione( c’era solo un canale,bei tempi ) nel 1961 ( ma forse era il 1960 ) seppur bambino mi è rimasta in mente,e l’emozione che ha regalato ai presenti a vederla( eravamo in un circolo Arci dotato di televisione,si pagava 10 lire )
A me la Sayao piace, non farà parte dell’Olimpo del canto, ma mi piace e molto. Ci ricorda che bellezza non esclude bravura, come oggi va di moda pensare. Nel gusto poi è moderna, la voce è bella (la trovo molto simpatica anche se comprendo che non voglia dire molto) e ben gestita, le intenzioni ci sono tutte e c’è anche la dizione, che è merce rara. Ad averne di cantanti così!
PS: Non ci azzecca nulla, ma altrove l’argomento è stato sollevato: trovo delizioso il modo di scrivere di Donzelli e ho trovato molto ironico e piacevole questo articolo dal sapore narrativo-agiografico.
se poi tu sapessi che il nome di battesimo completo della cantante in dialetto meneghino ha ben poco elegante significato……..indicando quella che i fratelli ricci chiamano la “fritola” …..
Oddio davvero?! XD In effetti pareva un nome assai particolare, da protagonista di un poema eroicomico, ma a tanto non avrei mai pensato 😉
Per me invece la Sayao è una cantante olimpica e tra quelle che amo di più. La ragione sta nel fatto che di lei ci rimangono a mio avviso delle interpretazioni di riferimento: su tutte, come ricordato, la sua Manon e come invece non ricordato la sua Juliette nell’opera di Gounod. Ritengo l’incisione live dal Met con il Roméo di Bjorling e la direzione di Panizza l’edizione più bella in disco.
La voce in alcune registrazioni a me sembra un po’ vuota nei centri, ma non concordo, così come non concordo con riguardo alla Ponselle, sui gravi aperti. In Bidù sento semmai dei gravi chiari e alti di posizione, ma non aperti. È una nostra vecchia diatriba questa dei gravi aperti Donzelli! 😉
erano i gravi aperti episodi sporadici nella sayao, li ho segnalati per il don pasquale dove vuole e deve secondo la moda del tempo “fare la vezzosa” e la vezzosa, allora, si faceva in questo modo. Quando canta Gilda o Violetta, anche nel duetto con papà Germont, che è molto centrale non si sente nulla di questo.
Fare la vezzosa o bamboleggiare o totidalmonteggiare era, prima di tutto uno stilema interpretativo. Lo praticava, persino, Rosetta Pampanini che era un soprano lirico spinto (che si divertiva a fare il lirico). Passata la moda di bamboleggiare i soprani ne hanno esibite altre ovvero per dirla con Franca Valeri “far le tragiche” per imitare la Callas nei suoni gravi oscurati e tubati o fare i pianini come la Caballè Senza la voce ed il controllo della medesima, chela catalana esibì sino al 1975 almeno.
Quanto alla Ponselle, mi spiace, non mi sposto: in basso non sapeva dove mettere la voce.
Nomen omen, insomma… :-). Grazie per il solito informatissimo ed illuminante post. Ottima introduzione ad una cantante che ammetto di non conoscere moltissimo.
Concordo su molto di cio’ che ha scritto Domenico.
Ma non ritengo, neppure riferendomi ai celebri ruoli
ricordati piu’ sopra, la Sayao una cantante da mettere
tra le migliori interpreti degli stessi. Purtroppo del suo
periodo migliore che, vocalmente parlando, finisce
verso il 35-36 non e’ che rimangan poi molte cose,
essendo la maggior parte del suo lascito inciso tra
la fine della guerra ed i primi anni 50, periodo del
suo declino vocale e della sua massima fama
mondiale. Devo pero’ aggiungere che secondo
me la grande Bidu Sayao e’ da ricercare fuori dal
repertorio operistico, e fuori dalle facili melodie
imposte dalle televisioni nord e sudamericaane.
Bidu Sayao e’ infatti secondo me una delle massime
interpreti della canzone colta francese, un repertorio
che non le imponeva tessiture od orchestrazioni tali
da portarla a forzare, che permetteva alla voce
sostenuta con grande maestria, di espandersi e di
esprimersi meravigliosamente, l’eleganza ed il gusto
uniti alla dizione ed alla fantasia facevano il resto.
Ognuno di noi trovera’ una Suzel od una
Susanna meglio cantata di quelle eseguite dalla
diva brasiliana, ma poche, pochissime artiste possono
vantarsi d’aver lasciato ai posteri meraviglie come
questa : http://www.youtube.com/watch?v=sGsRT3vDT0A
o questa : http://www.youtube.com/watch?v=Lq5RZQGHLQQ
Aggiungo che la Signora fu una delle maggiori interpreti,
sempre secondo me, di Braga e Guatavino oltre che
la piu’ celebre interprete mondiale di Villa-Lobos,
celebre non significa bravo, lo sappiam bene, in questo
caso pero’ la celebrita’ e ben meritata, piu’ che meritata.
Poi certo era bella, buon per lei.
http://www.youtube.com/watch?v=bLZD0XplYrI . Ciao.
,
Ho dimenticato di chiedere una precisazione: ma ha studiato con il basso Eduard o con il tenore Jean De Reszke?
Jean! – Ricordo di aver letto nel libro delle Last Prima Donnas di Rasponi che Danise sorvegliava rigorosamente le sue scelte di repertorio. Niente Butterfly! ripeteva ogni volta quando sua moglie comminciava stufarsi delle- inas ed onas.
Grazie Domenico, un bell’articolo. Con Enrico condivido l’ammirazione per la cantante, con Miguel la predilezione per le canzoni.
Trovo la Sayao ammaliatrice per eleganza, musicalità, linea di canto; incanta perché artista, capace di superare un mezzo modesto con colori, gusto ed espressione.
La bellezza della donna, poi, deve averla resa irresistibile.
Ben ricordata, Bidu Sayão! Ecco una cantante, ma sopratutto uno stile di canto, che onorava teatro e musica, con consapevolezza delle proprie possibilità vocali e sceniche. Ottimo articolo e i
registrazioni interessantissime da riascoltare. Obrigado Donzelli