Correva l’anno 1969 ed i nomi di Montserrat Caballé e Placido Domingo erano “i nomi nuovi “ della lirica. Al diffuso batage pubblicitario corrispondeva la qualità altissima per il soprano e quella potenziale e tale rimasta per il tenore, pure ancora in carriera in chiave di fa. Le due stelle spagnole (anche se poi, nel dettaglio, Domingo è messicano di nascita e la Caballe catalana, ma allora il franchismo castiglianizzava l’intera penisola) erano le stelle più fulgide del firmamento insieme a poche altre. Quando si presentarono sul palcoscenico dell’Arena avevano da poco registrato don Carlos parti di un cast stellare e di lì a poco l’uscita della registrazione avrebbe confermato il trionfo areniano in un periodo in cui turismo ed arte felicemente si coniugavano. A distanza di pochi mesi entrambe le stelle sarebbero state consacrate con il debutto in Scala: Domingo protagonista di Ernani e la Caballé spettacolare Lucrezia Borgia.
Gli applausi tanti e sonori, le richieste di bis alla fine della grande aria sono la risposta del pubblico davanti alla spettacolare bellezza della voce di “Nuestra senora”. Preciso che ci sarebbero uguali e forse superiori oggi e che la registrazione è paradossale dirlo penalizza la voce superba della senora. Quando pochi mesi dopo approdò (e non in senso metaforico perché donna Lucrezia scendeva da una barca) a Milano quale Lucrezia la voce dolce, cremosa, materna si espandeva sontuosa e splendida nella sala del Piermarini. Era la grande Montserrat quella che da qualche anno ed ancora per qualcuno avrebbe strabiliato i pubblici di tutto il modo con i pianissimi aerei, le filature, la qualità del timbro e, alla bisogna, ampiezza, sonorità e cavata. Insomma un soprano completo. Passati, però, più di quarant’anni aggiungo: NON PER VERDI. Era una Beatrice di Tenda o più ancora una Manon, che dotata di voce molto peculiare, personale ed ampia poteva essere applicata a Verdi, ma non era verdiana per la mancanza di vero accento scandito e arroventato alla richiesta dell’autore.
Nell’aria la Caballé sparge e spande le meraviglie del suo canto (per essere precisi anche della sua poca musicalità, bastando il pasticcio su “riposo profondo”). Basta sentire “se ancor si piange in cielo piangi sul mio dolore”, “il pianto mio reca al trono” la messa di voce su “Francia”, “Fontainebleau! ver voi schiude il pensier i vanni”, “fra voi vaghi giardini” e la splendida esecuzione della forcelle “timide zolle ruscelli” per essere estasiati, per ammirare qui non solo il timbro, ma anche la esattezza dell’accento, per lasciarsi affascinare dalla voce e dall’elegiaca interprete. L’ultimo esempio richiamato è uno dei casi –pochi- in cui anche una frase “energica” è ben interpretata dal soprano catalano. Non le capita spesso perché l’attacco “tu che le vanità” è piuttosto sotto tono e il “trono del Signor”, frase che trabocca di prosopopea verdiana ed ottocentesca, insignificante. Ma ci sono alcune frasi, che portano la voce sotto il rigo come “conoscesti del MONDO”, “ e questa eternità un giorNO SOL DURO’” che evidenziano il limite congiunto di tecnica e natura della ottava bassa. Di lì a poco con tante Norme in gola la voce avrebbe presentato un fastidioso “scalino” ed acuti duri e ghermiti.
E poi sorge il dubbio che suoni angelici e tenuti oltre misura come il di “pianto mio” alla chiusa (seguito da un bruttissimo “pianto mio reca a piè del Signore”, che, infatti, batte la zona grave della voce) siano estranei al personaggio ed alla vocalità di Elisabetta, per essere, invece, la sigla di Montsyta. Grandissima, ma sempre Montsyta e mai verdiana pur in una pagina di rimpianto e ricordanza, ovvero di quelle più consone alla voce ed all’accento. Per essere espliciti alla grande esecuzione, perché tale è questa live come quella del vinile coevo, della Caballé mancano la voce veramente verdiana di Anita Cerquetti o le mille risorse di accento di Leyla Gencer o della declinante Callas, irrinunciabili per rendere grandezza ed ampleur del grand-opéra.
Quando entra Domingo con la frasetta “e’ dessa” sentita oggi dopo più di quarant’anni non possiamo che confermare che Domingo è il re del generico, bastando a conferma il confronto con Bergonzi. Per altro neppure la Caballè brilla nella frase “al ciel io raccomando il pellegrin che parte”. Il problema di Domingo, o meglio il suo limite come protagonista dell’opera (per altro una delle sue migliori realizzazioni) è che il limite vocale ovvero voce gonfiata artificialmente al centro, che gli fa emettere un mezzo bercio su una frase elementare come “terra fiamminga” si trasforma in limite vocale ovvero carenza di nobilità, di ampiezza e di grandeur come conferma il passo di “ di sangue tinto rio”. La Caballè era migliore solo perché sapeva cantare meglio e quindi è splendida ne “i fior del paradiso a lui sorrideranno”, ma quando Elisabetta diventa un soprano Falcon “Si l’eroismo è questo” non accenta, non scandisce perché il passo è troppo pesante per un soprano lirico anche se la salita agli acuti è (anno 1969) facile, anzi facilissima e fluida. La replica di Domingo è all’insegna della generica concitazione. Quando arriva la frase “la man ritiro dalla tua man” Montsyta con una frasetta centrale “stende” il partner e lo “finisce” con l’attacco di “ma lassù”. Canta splendidamente, dolce, tenera ispirata. Certo canta Bellini o Donizetti, non Verdi, ma canta, lui le arranca dietro. E allora possiamo discutere che la Montserrat sia mai stata un soprani verdiano, possiamo dire che quando Celletti nel 1969 o giù di lì la indicava come il nuovo soprano verdiano sbagliava, dimenticando che i soprani di Verdi hanno altro ampleur e altra scansione, ma era splendida anche se, al pieno dei mezzi vocali tendeva a strafare come accade con il si nat in chiusa, tenuto a dismisura.
Un lustro prima dell’esecuzione areniana qui proposta era andata in scena a Chicago un’edizione di Don Carlo, connotata da quello che oggi parrebbe lusso sfrenato, ai confini e magari anche oltre i confini dello scialo, e che era invece, all’epoca, semplice conseguenza di un’oggettiva valutazione delle richieste poste dalla partitura verdiana. Accanto a Grace Bumbry, Tito Gobbi e Nicolai Ghiaurov, sotto la bacchetta di Bruno Bartoletti, i regali e “revocati” sposi promessi erano Leyla Gencer e Richard Tucker. Il confronto con la coppia veronese vedrebbe entrambi perdenti, ove si considerasse in via esclusiva la fortuna del soprano turco e del tenore statunitense presso le case discografiche. L’ascolto delle registrazioni live, numerose quanto memorabili, consente una maggiore equità di giudizio. La Gencer aveva iniziato la carriera come soprano leggero e la voce era, al più, quella di un lirico puro. Le virtualmente illimitate risorse espressive, congiunte a un panorama vocale in cui i grossi calibri cominciavano a scarseggiare, le permisero di abbordare un repertorio che, solo trent’anni prima, sarebbe stato semplicemente impensabile e virtualmente improponibile, anche per le prevedibili reazioni di un pubblico avvezzo ai poderosi strumenti di una Cigna, di una Caniglia o magari di una Gatti. Come la stessa Gencer, donna intelligentissima e fine critica di se medesima (e di molte colleghe), ebbe a riconoscere in seguito: “Se non si fosse ritirata la Cerquetti, io avrei continuato a cantare la Butterfly”. E se avesse abbordato una Valois, sarebbe stata la Margherita degli Ugonotti, non certo la sovrana verdiana.
Eppure, ascoltando la registrazione di Chicago, quasi ci si dimentica che la voce non è quella richiesta dalla partitura, e questo non tanto, o almeno non in via prioritaria, per la raffinatezza dell’interprete, bensì per la solidità del canto. Basta sentire l’attacco, facilissimo e dolce, del “Tu che le vanità” (fa#4, tra il centro e i primi acuti e quindi nota tendenzialmente scomoda e ardua da risolvere in forza della sola dote naturale) per realizzare come una voce, dal timbro assolutamente comune, acquisti omogeneità e bellezza per merito di una corretta emissione. Anche le discese al do# grave di “monDO” e “riposo proFONDO” non intaccano la posizione, che rimane alta, e quindi la qualità del suono (invece più avanti, in frasi come “questa eternità un giorno sol durò” e “la pace dell’avel”, i gravi, forse per malinteso desiderio di maggiore incisività drammatica, risultano un poco aperti). All’attacco “Se ancor si piange in cielo” e in tutte le successive frasi elegiache la Gencer riesce non solo a cantare splendidamente, passando senza fatica dai gravi alla zona medio-alta della voce (specie su note ancora una volta “perigliose” come il sol#4 di “CIElo”), ma a rispettare, e più ancora a moltiplicare e ampliare, tutte le indicazioni dinamiche ed espressive previste, dall’”espressivo, molto dolce” iniziale al “morente” su “del Signor”, al “grandioso” su “il pianto mio” con salita a un la#4 impressionante per penetrazione e purezza di suono (è in frasi come questa, e in quella conclusiva dell’opera, che la natura di soprano lirico puro della cantante può estrinsecarsi al massimo grado), fino, per tornare in zona centrale, al “morente” di “a sera giunta è già”. Che debba evocare la purezza dell’amore giovanile su “Francia” o l’amara disillusione della maturità, così precocemente e dolorosamente raggiunta, con gli sforzando su “e questa eternità”, la Leyla (come la chiamavano i suoi ammiratori, alla cui schiera, almeno per il ruolo in questione, non possiamo fare a meno di appartenere) esibisce un suono costantemente raccolto e sorvegliato, in cui converge tutta la regale sofferenza del personaggio, il che le consente, per inciso, di sfoggiare un più consistente volume su una frase come “i ruscelli, i fonti, i boschi, i fior cantino il nostro amor”, con una nuova, spettacolare salita al la bem acuto. La sezione “Addio bei sogni d’or” suona adeguatamente nervosa e agitata, mentre la ripresa del “Tu che le vanità” ha un andamento più stringato del “I tempo” indicato in partitura, certamente per la scelta, da parte del concertatore, di sostenere al meglio la cantante, impegnata, ancora una volta, principalmente nella zona medio-grave della voce. La conclusione dell’aria, complice, di nuovo, un sorvegliatissimo controllo del suono alla prima ottava, trova la cantante assolutamente facile, nonché, al solito, prodiga di smorzature in acuto. Condivisibile, a dir poco, il caloroso applauso tributato dal pubblico nordamericano.
Davanti a una simile Elisabetta persino il Carlo di Tucker, esemplare per proiezione e squillo, facilissimo in alto, interprete tutt’altro che compassato, risulta non altrettanto vario, benché di piacevolissimo ascolto, e dispiace il taglio tradizionale della sezione “Sì l’eroismo è questo”, in cui la Gencer avrebbe certamente potuto, più e meglio di una Caballé, superare, o per meglio dire aggirare, i propri limiti vocali. E se questa Valois mostra un poco la corda in una frase come “Il pianto egli è dell’alma”, in cui, per un istante, si affaccia nel chiostro di san Giusto una peraltro saldissima Mimì, la Gencer è, ancora una volta, al proprio meglio nei passi più elegiaci del duetto, da “I fior del Paradiso” all’Assai sostenuto “Ma lassù ci vedremo in un mondo migliore”, in cui i cantanti fanno a gara (ed è virtualmente impossibile, forse anche inutile, decretare un vincitore) a suon di smorzature, piani e pianissimi perfettamente appoggiati, accenti solenni e al tempo stesso dolenti, autenticamente verdiani.
mi raccomando giovani lettori del CdG la Caballé MAI IN VERDI! anche voi tedeschi prekate un poko Tio che nasca una nuova Mancini o una Vitale ma mai una Kaballé che kanti Ferdi…
E’ evidente che non sai leggere. Che non sapessi ascoltare lo sapevamo già.
ke k…. tschentrano i tedeski kon la Kaballé…??????
invece di scrivere le solite banalità e bontà di chi ti abbia pubblicato potresti confutare la tesi della quale sono più che mai convinto avendo sentito la caballè dal 1970 al 1982 (poi meglio fora avesse tapeato) verdi le era proibito e proibitivo.
ciao dd
Placido Domingo, e nato a Madrid, nella calle Ibiza, piu tardi e andato a Mexico. Montserrat Caballe e nata a Barcellona, che a giorno di oggi e ancora una citta spagnola, come Milano e Italiana, lei sta molto orgogliosa di esserlo.
En efecto, la Caballé, según ella misma ha declarado, está orgullosa de ser española “de pura cepa”, pero los demás sabemos que es también una orgullosa andorrana.
http://www.rtve.es/noticias/20140429/juez-imputa-soprano-montserrat-caballe-fraude-fiscal/930000.shtml
Ecco bravo. Quel questionamento ingiusitificato della “spangolità” di due spagnoli non c’entra proprio niente.
Il Don Carlo di Giulini è stato uno dei primi cd da me posseduti, ascoltati e consumati sin dai miei verd’anni… Eppure proprio quell’attacco bolso della señora nella grande aria mi ha sempre lasciato un profondo senso di delusione…
Sulla (mia) Leyla non occorre io dica niente: condivido in toto!!!
Grazie per la disamina, saluti!
AM.
Ciao, Alby!
http://www.youtube.com/watch?v=AJyMec58OkU
Sentito che brava, nonostante la tessitutura non
proprio adatta a lei? Brava? No, superba.
Se poi ascoltiamo, e sempre in Verdi, Montserrat Caballe’
in tessiture ed in brani che le si adattino,
http://www.youtube.com/watch?v=ClW8e44ynd8 ,
non possiamo che definirla una cantatrice di livello
storico. Ma Verdi non e’ tutto uguale, proprio no.
Sono mesi che Donzelli propone un determinato
tipo di vocalita’ verdiana, quella di Elisabetta,
e su tale vocalita’ si basano i suoi esempi ed i
relativi commenti. Puoi forse dargli torto se ti
dice che anche nei migliori anni della sua carriera
la Signora non era adatta al ruolo preso in esame?
Vedi tu. Anche la Gencer, altra cantante che ho
seguito e molto amato non era per niente, ma proprio
per niente una Elisabetta, ruolo anzi tra i peggio
riusciti al grande soprano turco. Intendiamoci,
non e’ che Elisabetta sia piu’ difficile da cantare
di Luisa ruolo nel quale la Caballe’ ha lasciato
per lo meno nei primi anni della sua fama un’altissima
prova, o di Gilda dove la Gencer e’ da ritenersi
una delle grandissime, e’ semplicemente
diversa questa benedetta Valois, la vocalita’
e’ piu’ grave, abbisogna di voci piu’ dotate
nell’ottava bassa, e l’orchestrazione impone
un volume diverso. Cantanti che hanno ben
cantato Elisabetta, neanche lontanamente
possono essere paragonate a Gencer e Caballe’
in altri repertori, ma tant’e’, altre avevano
vocalita’ piu’ adatte, forzavano meno.
Teniamoci queste Elisabette una dalla voce
d’oro, e l’altra grande interprete per carita’,
ma il ruolo non e’ per loro. Ciao.
Montserrat Caballé e Leyla Genger sono state due delle cantanti che hanno accompagnato, alla fine degli anni 70, i miei primi passi nel mondo dell’opera. Sono quindi molto legato ad entrambe se non altro per motivi sentimentali. In particolare di Montserrat Caballé sono diventato un fan particolarmente agguerrito … fazioso, parziale e ideologicamente indisponibile a qualunque critica (come molti altri fan).
Purtroppo a metà degli anni 80, cioè quando ormai ventenne frequentavo i teatri, la Caballé non era più la mitica Caballé del decennio 65-75, ma tutte le volte che potevo andavo a rendere omaggio alla Senora e pur orfano della sua voce, di tanto in tanto venivo ancora travolto da una frase, una nota, una smorzatura che mi ricordassero la sua fama.
Spesso sul Corriere della Grisi ho trovato commenti per me inaccettabili sulla Caballé e, così adesso desidero ringraziare Domenico Donzelli che ha offerto una discussione onesta, competente e in tante parti condivisibile anche da me…Ci tengo però a ribadire che Trovatore (Firenze 1968), Don Carlo (1969), Vespri Siciliani (NY 1974), Luisa Miller, alcune esecuzioni statunitensi della Traviata a fine anni 60, le incisioni discografiche di Giovanna d’Arco e Aida, mi sembrerebbero sufficienti per ricordare a tutti noi che, se proprio non pienamente verdiana, la Caballé sapeva e poteva offrire di Verdi letture emozionanti, originali e di primissimo piano (con buona pace di Caterina Mancini, Norma Fantini e di tutte le soprano Falcon). Ciao a tutti
Ma certo! se non è brava la Caballè in Giovanna d’Arco chi altro lo sarebbe? Forse la Tebaldi? o una rediviva Cerquetti (senza trillo, con agiltà compitate con prudenza…)? Verdi non è mica solo quello della Forza e del Don Carlo (come hanno già ricordato altri meglio di me)
Esaaaaatto,e se non fosse stata sovrappeso, anche una grandisssssssima violetta
Secondo me in questa pagina la Gencer si mangia la Caballe, che in questa pagina mi è sempre parsa una silfide che si prova una XXL. La voce è bellissima, le prodezze e le bellezze tantissime, ma nella grande scena non emerge, pare sempre piccola pur restando una cantante eccellente. La Gencer invece supplisce con il temperamento e l’accento, e, poi, a mio gusto, gli acuti specie se presi piano sono davvero celestiali, ancor più della Caballe. Nel duetto la Caballe sembra meno fuori parte, ma la Gencer le è ancora superiore. Il si in chiusa è galvanizzante, ma fuori luogo, la Gencer ìnon all’infinito è altrettanto, se non più efficace.
Tucker è sempre un modello di squillo e buon canto e schiaccia Domingo, anche lui “piccolino” per il ruolo. Non amo per nulla Domingo, ma fino alla metà degli anni 70 e poco oltre era gradevole e aveva diversi pregi, mai del tutto capitalizzati però. Questa prova è tra le sue più azzeccate.
Ninia.
Ciao caro, guarda che io sono un genceriano di
di ferro sai? E al tuo commento aggiungo anche
che l’orrenda abitudine a mangiarsi intere parole
era gia’ in parte presente anche nel 69, parlo
ovviamente della Caballe’, che quell’altra se la
mangi come interprete e pure nella gestione del
misero mezzo non ci son dubbi. Pero’, brava o
non brava, la vocalita’ della Gencer con la Valois
non ci azzecca proprio. Se invece mi parli
del secondo atto di Traviata, ti dico che e’ una
delle Violette piu’….”verdiane”. Un abbraccio.
Billy
Ciao Billyssimo, hai proprio ragione, la Montserrat
ha INCISO una bellissima, anzi secondo me la
miglior Giovanna ad oggi , ma Renata Tebaldi in
quel ruolo, con quella voce, con quell’appoggio,
con quel volume, con quel fraseggio ispirato (almeno
per i suoi standards), la trovi cosi’ male? E, guarda
che il fiato lo manovrava ancora bene in quella
recita alla Rai, la riascoltero’, ma me la ricordo
non brava, di piu’, e poi era CANTATA , non
incisa. Un abbraccio.
Sì la voce era bellissima, ma lo stile, le agilità semplificate o approssimative, lasciano molto a desiderare. forse non era solo colpa sua, ma dell’andazzo dell’epoca, non so, certo era una cantante “pigra” almeno da quello che si può dedurre dalle sue incisioni…un abbraccio affettuoso.
Ce le ho entrambe, ma da molto tempo non le ascolto, ricordo pero’ una Caballe’ piu” “angelica” e una Tebaldi piu’ pugnace. Il fatto e’ che, in rapporto alle coeve esecuzioni verdiane RAI, la qualita’ dell’incisione del 1951 e’ pessima.
Celletti defini’ la prestazione della Caballe’ nell’EMI 1972 come la migliore esecuzione in disco del “giovane Verdi”, credo riferendosi a un’incisione completa. Ricordo che porto’ ad esemplificazione di realizzazione dei segni di espressione la frase “o mia bandiera” dove Verdi ha scritto “rapita in estesi”
Ricordo poi il magnifico “o fatidica foresta” o anche il duetto con Domingo.
Si puo’ dire che Giovanna sia un ruolo verdiano che meglio si attagliava allo strumento vocale della Caballe’ ?
A me paiono grandi realizzazioni anche l’Aida EMI 1974 e la Luisa Miller Decca 1975.
Domenico Donzelli ha evidenziato, in base ad una serie di parametri di valutazione, i limiti che ritiene, non solo lui, credo, ascrivibili alla Caballe’ nei panni di Elisabetta e, per estensione, alla Caballe’ quale soprano verdiano in generale.
Ma questa valutazione e’ da ritenersi applicabile in egual misura ai tre ruoli citati ?
Non so, su Aida andrei cauto, è un’esecuzione “furbetta” in un certo senso, canta tutto alla sua maniera , a tratti persino stravolgendo la scrittura verdiana e la psicologia del personaggio. E poi, chi l’ha ascoltata dal vivo nel ruolo mi ha raccanttato che il famoso pianissimo di Cieli azzurri in teatro si trasformò in un urlo orrendo…
era un soprano da traviata, non da aida o da don carlo. che poi fosse affascinante….il suo verdi cmq non mi convince mai, anche perchè tende ad accentare sempre dove le fa comodo, non dove è corretto farlo. una bellissima anestesia sonora….assai poco verdiana. stamani ascoltavo il suo inflammatus dello stabat di rossini, del 68. si, si tanto bello ma davvero loffio loffio: di fronte alla steber è poca cosa….poca
Postilla a margine del sorprendente Don Carlo 1969 in Arena (Caballé, Domingo, Cossotto, Cappuccilli, Petkov, Direttore Inbal, Regia Jean Vilar, Scene Damiani, Costumi Pizzi).
La signora Caballé interpretò il ruolo di Elisabetta con la gamba destra ingessata a causa di un’operazione al ginocchio cui era stata sottoposta pochi giorni prima dell’inizio delle prove. L’ausilio di due stampelle rivestite di velluto nero e la presenza di due giovani e bellissime fisioterapiste venete – Camareras Mayores rigorosamente in nero e costantemente al suo fianco tranne che nella scena finale – contribuirono a un incedere lento e regale e a un’immobilità e a una severità grandemente espressive che, assieme alla qualità del canto, resero quelle recite irripetibili e indimenticabili.
L’emozione di quelle recite mi torna alla mente ogniqualvolta mi trovo davanti alle piroette e alle spaccate di certe cantanti acrobate che credono di impressionarci con la loro “recitazione”.
P.S. Per la cronaca, le foto riportate non sono quelle delle rappresentazioni veronesi
Ciao Lily,
Mi ricordo perfettamente delle stampelle,
e mi ricordo inoltre, che “Tu che le vanita’”
non era certo il brano che meglio metteva
in luce le possibilita’ del soprano catalano.
Su tutto, comunque l’affascinante esecuzione
del quartetto. A presto.
Danilo.
Ciao, non sono d’accordo sull’ Aida della
Caballe’, valgono in molti punti gli stessi
problemi rilevati per Don Carlo.
Dal vivo poi, sia a Barcelona che a Milano
le cose non erano proprio come nell’incisione.
Certo l’edizione Emi con Muti, e’ cantata
molto bene. A Milano inoltre meta’
del testo era puro vocalizzo. Caballe’ in
Verdi, secondo me sono innanzitutto
Luisa e Desdemona, (le recite eseguite
a New York), poi ovviamente,
ma in disco, tutto il recital “Rarita’ verdiane”.
Non ricordo nessun urlo in Aida a Milano,
certo ricordo una grande delusione da
parte mia, nel 75 non poche cose
scricchiolavano. Ciao.
Ciao Miguel. Quella sera del dicembre 1975 c’ ero anch’ io, era la mia prima volta alla Scala. Che serata da corrida, altro che i quattro fischi per cui oggi le prefiche si stracciano le vesti…
Ricordo ancora quello che gridò alla Bumbry: “O soprano o mezzo, la non può mica sempre mangiare in due piatti, cara signora!”
O quell’ altro: “Basta, non vi vogliamo piú! Costate troppo all’ erario!!!”
Miguel.
Di Aida non possiedo le live ma solo l’EMi ’74. Del “decennio d’oro” possiedo 4 CD tra i quali le “rarita’ verdiane”. Un’altro dei 4 e’ quello dei duetti con la Verret nel quale, sempre in tema di Aida, c’e’ lo scontro con Amneris: a me questo sembra notevole, soprattutto nella prima parte, ma mi sembra ragguardevole tutto il cd, ad esempio lo scontro fra Gioconda e Laura e la Barcarola dei “Racconti di Hoffmann”: gli altri 2 CD raccolgono poi i recital di Rossini, Bellini e Donizetti e qui siamo spesso nel suo elemento. a me piace moltissimo l’Inflammatus ma non conosco quello della Steber.
Comunque voglio procurarmi anche le altre arie verdiane, sempre del decennio d’oro, beninteso, e qui c’e’ anche Desdemona, oltre a Leonora (“Trovatore”), Gilda; Amelia (“Ballo”), e Lady (pazzia): be’, come Lady dovremmo proprio essere fuori dai suoi canoni.
A catalogo Sony c’e’ un doppio CD verdiano con le “rarita’”, gli estratti dell’integrale Traviata del ’66 e quello che ho appena detto, ma non c’e’ traccia della Leonora della “Forza”: eppure a me sembra che avesse inciso anche il Finale II e l’aria del IV Atto.
Boh.
Ciao.
Caro Danilo,
le recenti pubblicazioni dei brani verdiani
incisi da Montserrat Caballe’ vengono da ben
sette differenti recitals, oltre che (tanto per
incasinarsi un poco di piu’), da incisioni
di opere complete. Se non hai gli originali
sara’ molto dura che tu riesca a capirci
qualche cosa. Tant’e’. Ciao.
Si, Mozart, mi ricordo fin troppo bene quella serata! Ho visto la señora varie volte in molti ruoli e il Verdi era sempre il ‘suo’ Verdi e non il Verdi dello spartito, come tutti gli altri compositori che affrontò. All’inizio fu anche ‘charmant’ sentire gli effetti speciali di una voce ancora fresca, ma dopo non molto iniziò a stancare con urli, falsettini e un generale ‘non’ interesse per le parole accoppiati con furbizie varie.
La Gencer è molto più moderna e ricercata nei colori, accenti, ecc. un’artista che fa impallidire l’altra.
Domingo contro Tucker non esiste.
Domingo ha sempre fatto il furbo (…e continua tutt’ora!) mentre Tucker cantava con tutto il suo essere e dava il meglio di se SEMPRE. In questo caso, chi non l’avesse sentito ‘live’ in teatro dovrebbe solo tacere e fidarsi di chi l’ha sentito in tutto il suo squillante splendore fino agli ultimi Canio. Tucker, come del Monaco, Corelli, Bergonzi & Co non saranno mai dimenticati da chi li ha sentiti. Mentre tanti altri sono sepolti ‘vivi’… questi sono nella memoria di tutti e li resteranno vivi e vegeti per sempre.
Buongiorno
Trovo la Caballé moto singolare in alcune frasi, ma ahimè, forse per mia condanna, non l’ ho trovata estremamente comunicativa. Come cantatrice è stata, però, davvero notevole in molte opere e illuminante spesso come interpretazione. A volte mi è sembrata, specie nei confronti della Gencer, molto compassata oppure generica nelle agilità, ma lei ha portato al successo un suo punto di forza: i suoi pianissimi e i suoi legati. Non la condannerei per questo. Anche lei ha dato una sua visione personale del repertorio che aveva scelto. Dopo è questione di gusti. La Gencer è sempre stata secondo me una garanzia e una interprete favolosa davvero: metteva anima in tutto ciò che cantava. Oggi siamo qui a decidere se sia meglio una Caballé o una Gencer. Ce ne fossero oggi di nomi anche meno noti al grandissimo pubblico come una Zeani (solida interprete e cantante), una Ilva Ligabue, e potrei continuare con altri. Domingo è sempre lui: ad onta di una interpretazione generica, sfoggia il suo solito timbro da “Eccomi e quanto sono cool!”(mi fa sempre venire in mente Banderas e Rosita nello spot).
Scusate se non sono stato “super” ortodosso con terminologie o quant altro! Buona giornata a tutti!
AM
Danilo.
Emi 71. Montserrat Caballe’ e Verdi.
Royal Philarmonic Orchestra. Anton Guadagno.
Pace mi Dio.
La Vergine degli angeli (con gli Ambrosian Opera Singers).
Una macchia e’ qui’ tuttora (con la Bainbridge e Allen).
Canzone del salice ed Ave Maria (con Bainbridge).
Ritorna vincitor.
O cieli azzurri.
Le arie di Leonora (Trovatore), appartengono a
due incisioni differenti. Uno e’ un Emi 76 dove
lei canta Tacea la notte placida e cabaletta, direttore
sempre Guadagno con la Sinfonica de Barcelona,
il disco si chiamava “Dramatic arias”, nella prima
facciata di questo disco, il direttore era Armando
Gatto, che la dirige nella sortita di Lady Macbeth,
Questo Emi 76 non e’ disco da mettere tra le belle
cose della grande cantante, direi.
C’e’ poi la seconda aria del trovatore, che, sempre
Emi, ma 1974 (Kling!) , rappresenta
l’ultimo recital veramente di grande livello vocale
della Caballe’. Insieme al D’amor sull’ali,
in quell “Operatic recital” diretto da Masini, e
sempre con la Sinfonica di Barcelona c’erano
anche “Caro nome” e le arie dei Vespri.
Il duetto dell’Aida con la Verrett e’ tratto da
un Rca diretto da Guadagno che dirige la
New Philarmonia Orchestra, il disco e’
di soli duetti, mentre l’altra versione della
Canzone del Salice unitamente alla scena
di Amelia dal Ballo in maschera sono tratte
dal “Arias de Opera”, Emi 1965 diretto da Cillario,
sempre con la Sinfonica de Barcelona,
disco quest’ultimo, di straordinario livello vocale
non fosse, purtroppo, proprio per l’aria del
Ballo cantata benissimo ma che non ci
azzecca un tubazzo con la vocalita’ di Amelia.
Rarita’ verdiane, oramai lo conoscono
tutti, e fan bene a conoscerlo perche’ e’
come ha gia’ detto Donzelli un gran disco.
Ciao.
Diciamo che della lodatissima Caballé si potrebbe scrivere delle critiche molto più dure di questa qua. E quanti diffetti onde altri sono severissimamente tacciati le si perdonano senza neanche menzionarli!
Secondo me, non è questione di essere verdiana o meno: Caballé a volte faceva quello che cavolo voleva, e se non c’era qualcuno che le dicesse “Guarda che quello non c’entra niente” o “Guarda che le parole bisogna dirle, non fare ‘Uoooohohohohoaaaehhhaaaouuuh'”, poteva fare delle cose veramente indegne. O sbaglio?