Quando Tosca fu proposta per la prima volta al pubblico bolognese, nel novembre 1900, la critica ebbe parole di elogio per gli esecutori: baritono (Eugenio Giraldoni) e direttore (Leopoldo Mugnone) erano gli stessi della première romana di pochi mesi prima, mentre i protagonisti, legati sulla scena come nella vita (la loro relazione sarebbe di lì a pochi anni terminata in maniera assai diversa, e non meno infelice, di quella degli amanti creati da Sardou), erano Enrico Caruso e Ada Giachetti. Non unanimi i consensi nei confronti della musica, giudicata di scarso effetto e addirittura fredda. Un giudizio che, peraltro, non ostacolò la riproposta dell’opera nella sala del Bibiena, con sedici allestimenti nell’arco di poco più di un secolo, quasi sempre con grandi nomi in locandina. Sappiamo bene che non sempre i grandi nomi danno vita a grandi esecuzioni, ma lacerti del titolo pucciniano, affidati ad alcuni di questi interpreti bolognesi, risultano illuminanti e meritevoli di rinnovati ascolti.
Come sempre in questi casi il melomane, incontentabile per definizione e magari reduce dalle recenti rappresentazioni felsinee, si ritrova a sfogliare le cronologie e rimpiangere l’assenza di testimonianze discografiche, che la lettura delle suddette cronologie spingerebbe a considerare indispensabili. Non abbiamo ad esempio neppure il “Vissi d’arte” di Ernestina (ossia Tina) Poli Randaccio, della Tosca e più in generale del repertorio del soprano lirico spinto e drammatico interprete di riferimento per un trentennio abbondante. La Poli Randaccio è protagonista dell’opera a Bologna nel 1916, ancora una volta sotto la bacchetta di Mugnone, accanto a José Segura Tallien (che si alterna all’immarcescibile Giraldoni) e a due Cavaradossi a dir poco storici, Aureliano Pertile ed Amedeo Bassi (primo interprete italiano della Fanciulla del West al Costanzi di Roma). Dei tenori rimangono le romanze, di Bassi anche il breve assolo, che introduce il duetto conclusivo. Ammirevoli entrambi, ma la facilità con cui Pertile smorza i suoni a ogni altezza, lo squillo del registro acuto (in una voce tutt’altro che timbricamente privilegiata) e l’esemplare saldezza dei fiati, che consente all’esecutore di sostenere un tempo ampio con una scansione autenticamente tragica, restano difficili da eguagliare.
Quasi un decennio più tardi, nel 1925, un altro straordinario terzetto calca il palcoscenico del Bibiena: la diva Floria è Carmen Melis, il suo amante Giacomo Lauri Volpi, il Barone Scarpia Mariano Stabile, mentre nel ruolo di Cesare Angelotti compare un giovane Salvatore Baccaloni. Sul podio, Vincenzo Bellezza. La Melis è la protagonista di una delle prime incisioni integrali del titolo (precedendo di pochi mesi la registrazione di un’altra celeberrima cantante, Bianca Scacciati), Lauri Volpi incide a più riprese le pagine solistiche dell’opera e di Stabile rimane, in disco, il finale primo. Quanto al direttore, un live napoletano del 1955, protagonista Leyla Gencer, attesta il sicuro controllo e la predilezione per tempi solenni e sonorità maestose, che non si traducono però (a dispetto della precaria tecnica di registrazione) in vuota pomposità o incontrollato frastuono. La Melis, paradigma della cantante verista, possiede una voce di grande dolcezza e sensualità e un controllo dell’emissione che le permette di cantare, alla bisogna, piano e legato. Insomma non è la zoppicante parodia di una cantante lirica, cui la vulgata mediatica moderna tenta di ridurre questa e altre esecutrici del medesimo periodo e filone, ma un’interprete solida, a tratti anche ispirata, benché, forse, priva del fascino di una Muzio o di una Krusceniski. Le prime incisioni di Lauri Volpi, risalenti al terzo decennio del Novecento, mostrano un allargamento e un ispessimento dei suoni al centro, che causano una fatica piuttosto evidente nella salita agli acuti, oltre che una dizione non sempre esemplare. Decisamente più riusciti, malgrado l’inevitabile usura del mezzo, i dischi degli anni Quaranta, in cui il tenore di Lanuvio non imita esempi deteriori perché inimitabili (Caruso, tanto per essere chiari), ma canta con la propria voce di tenore lirico, con un pregevole effetto di voce mista su “le belle forme discogliea dai veli”. Quanto a Stabile, si fa apprezzare soprattutto per la dizione e il fraseggio, esemplari.
Ancora il maestro Bellezza sul podio per l’edizione del 1927, star indiscussa Beniamino Gigli, accanto a uno Scarpia, che è facile immaginare di assoluto lusso, quale Luigi Rossi Morelli. Di Gigli (che incide l’opera al fianco di Maria Caniglia, altra specialista del ruolo, inspiegabilmente assente dalle scene bolognesi) proponiamo un frammento “live” della romanza del terzo atto, tratto da una recita londinese nel 1938. È ovvio che un cantante come Gigli trovi nello struggente addio alla vita di Cavaradossi un “territorio di caccia” ideale per la propria vocalità, sostenuto, in questo, da Vittorio Gui, che asseconda il solista con variazioni dinamiche e agogiche a ogni battuta o quasi. Al termine della romanza si può udire la Tosca di Iva Pacetti, protagonista della ripresa del titolo al Comunale nel 1936. Quello che si sente non induce a rimpiangere che non sia stato preservato altro (do della lama in primis). Molto più interessanti le testimonianze sonore degli altri due solisti di punta di quella produzione, Giuseppe Lugo e Luigi Montesanto (quest’ultimo ormai al capolinea di una lunga carriera). Il canto dolce e sfumato del tenore (modellato sull’esempio di Gigli, con tutte le differenze timbriche del caso) e quello protervo e di assoluta saldezza in alto del baritono si adattano perfettamente ai rispettivi ruoli.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta Tosca viene allestita a Bologna solo due volte e in entrambi i casi il maggior interesse è costituito dagli interpreti maschili: nel 1951 il solido Giuseppe Campora e Afro Poli, nel 1960 Franco Corelli (che si alterna a Daniele Barioni) e il robusto quanto estroverso Giangiacomo Guelfi. Del tenore marchigiano proponiamo una celeberrima registrazione dal vivo al Regio di Parma, che testimonia un interesse e una partecipazione da parte del pubblico, quasi più coinvolgenti e pregnanti della performance, pur notevole, che li suscita. La bacchetta nell’edizione del 1960 è affidata a Oliviero de Fabritiis, del quale si tramanda un aneddoto, non sappiamo dire quanto storicamente fondato, ma spassoso e indicativo del pragmatismo caratteristico di questo e altri solidi professionisti del podio. Un giorno Gavazzeni e de Fabritiis, trovandosi a passare nei pressi della casa natale di Donizetti, sostano un istante a contemplare la targa commemorativa che ivi troneggia. Gavazzeni chiede al collega che cosa scriveranno i posteri – il più tardi possibile – sulle loro rispettive dimore. “Affittasi”, è la lapidaria risposta del direttore romano.
Dopo un’edizione diretta da Francesco Molinari Pradelli nel 1971, il titolo pucciniano torna a Bologna con ben cinque edizioni allestite fra il 1982 e il 1987, due delle quali affidate a Sylvia Sass e le restanti a Raina Kabaivanska. Benché lontane dei vertici espressivi di una Melis, entrambe propongono una Tosca di sicura presa sul pubblico, impetuosamente tragica la prima (con effetti dirompenti particolarmente in acuto), più misurata e quindi più sottilmente fascinosa la seconda, che anche negli anni della maturità artistica continua a muoversi, forse inconsciamente, all’ombra di un inarrivabile modello, quello di Magda Olivero. Sono, per la diva romana, gli ultimi fuochi felsinei, prima di quelli (fatui) di un presente che ripudia, a chiacchiere, il malcanto e gli eccessi interpretativi. Quelli che gli ascolti proposti di seguito documenterebbero. A chi ascolta, l’ardua (per così dire) sentenza.
Gli ascolti
Puccini – Tosca
Atto I
Ah! finalmente…E sempre lava! – Agostino Ferrin, Paolo Mazzotta, dir. Oliviero de Fabritiis (1961)
Recondita armonia – Giacomo Lauri Volpi (1922), Aureliano Pertile (1923), Giacomo Lauri Volpi (1946)
Mario! Mario! Mario! – Raina Kabaivanska e José Carreras (1976)
E’ buona la mia Tosca – Alessandro Granda e Salvatore Baccaloni (1930)
Or tutto è chiaro…Ed io venivo a lui tutta dogliosa – Apollo Granforte, Carmen Melis e Antonio Gelli (1929)
Tre sbirri, una carrozza – Mariano Stabile (1926), Giuseppe Taddei, dir. Vincenzo Bellezza (1955)
Ed or fra noi parliam da buoni amici – Sylvia Sass, Sherrill Milnes, Giacomo Aragall e Horst Nitsche (1984)
Nel pozzo del giardino – Attilio d’Orazi, Franco Corelli, Virginia Gordoni e Bruno Grella (1967)
Se la giurata fede – Luigi Montesanto (1918)
Vissi d’arte – Carmen Melis (1929), Raina Kabaivanska (1976), Sylvia Sass (1984)
Vedi, le man giunte io stendo a te – Carmen Melis, Apollo Granforte e Nello Palai (1929)
Io tenni la promessa – Giuseppe Taddei e Leyla Gencer, dir. Vincenzo Bellezza (1955)
Atto III
Io de’ sospiri – Kris Kalfayan, dir. Francesco Molinari Pradelli (1968)
E lucevan le stelle – Giacomo Lauri Volpi (1922), Aureliano Pertile (1923), Beniamino Gigli (con Iva Pacetti – 1938), Giacomo Lauri Volpi (1946)
E lucevan le stelle…Franchigia a Floria Tosca…O dolci mani – Franco Corelli e Virginia Gordoni (1967)
Franchigia a Floria Tosca…O dolci mani – José Carreras e Raina Kabaivanska (1976)
Ascolti ponderati, come sempre. Grazie Antonio.
grazie per gli ascolti….
Grazie per i bellissimi ascolti. Fra l’altro, mi ha fatto piacere riascoltare Sylvia Sass. Penso fosse lei la protagonista di un Macbeth (dove mi pare cantasse anche Bergonzi) che fu una delle primissime opere che i miei mi fecero vedere alla TV (avrò avuto cinque-sei anni).
Si’, era lei. Dal Regio di Torino, anno 1977. Macbeth era Bruson, Banco Nicola Ghiuselev. Macduff, per l’appunto, Bergonzi.
Vidi lo spettacolo e ne posseggo gli Lp in un’ edizione pirata, come si diceva allora, non un Macbeth di riferimento ma esecuzione impensabile oggi…..compresa la direzione del routinier Previtali ma che blasonate bacchette dovrebbero riascoltare per imparare ad accompagnare un cantante…
sottoscrivo concordo e condivido
Grazie a Danilo, ho scoperto che questa edizione c’è anche su You Tube. Però io devo avere visto una qualche replica, dato che nel 1977 avevo due anni (il 75 del nickname è il mio anno di nascita). Magari quando la Rai dava la lirica in prima serata. Bella edizione. E, se permettete il commento puramente tecnico, la Sass era davvero una gran bella topona. Che adesso darebbe del filo da torcere alle tante bonone che vanno per la maggiore, sapendo peraltro cantare molto meglio.
Urlava tanto….ma tanto
Gigli, Pertile, Bassi, ma che magnifico cantante fu anche Giuseppe Lugo! Altro che la minestra di buccie di patata a cui siamo abituati oggi!
Crudele Tamburini : “nessun maggior dolore – che ricordarsi del tempo felice – nella miseria “
“Orrore, orrore, orrore. ascoltate Voi stessi: io dir nol posso”. Tosca in diretta dal Regio di Torino: E’ finito il I Atto con uno Scarpia inqualificabile: Marco Vratogna.
Ricordo di aver assistito, oltre alla diretta tv, a una replica dal vivo, ma ero bambino e non posso dire nulla di concreto; ricordo solo che, nella replica, la Lady era Josephine Barstow.
Finita Tosca di Torino: ho perso quadi tutto il II Atto: ma che peccato !!! Al termine applausi scroscianti per i tre protagonisti, ripeto: applausi scroscianti per i tre protagonisti. Sono contento, molto contento, di non essere riuscito a trovare un biglietto per la pomeridiana di Domenica. Pare che in redazione RAI siano arrivati messaggi di dissenso soprattutto per i due protagonisti maschili: Berti e Vratogna. Meno male.