Manon Lescaut all’ Opera di Roma

Finisce tra applausi e contestazioni l’ evento romano dell’anno, ossia il debutto di Anna Netrebko in Manon Lescaut sotto la guida di Riccardo Muti. Buh che il pubblico ha distribuito con grande generosita’ al tenore, al maestro e a sua figlia, regista dello spettacolo e, seppure occasionalmente, anche alla diva russa. Del resto il web aveva anticipato che qualcosa covava sotto la cenere, in particolare il fastidio per la compresenza di padre e figlia nello stesso spettacolo, nel teatro di cui Muti e’ direttore musicale stabile: un’oggettiva mancanza di bon ton, che ha pesato nel giudizio del pubblico verso Chiara Muti, ma che non ha inciso sulle reazioni verso la parte musicale. Credevo di essere seduta, in galleria, in mezzo alla clacque personale del maestro, gruppetti di signori di mezza eta’ che si sono profusi tutta sera in apprezzamenti sonori del tipo ” grande maestro!”, “viva mutiiii!” e roba simile, applaudendo rumorosamente come fanno, appunto, i clacquers. Solo alcune signore di fianco a me, gentili e silenti, parevano estranee alla recita loggionistica del consenso amico. E invece alla fine, sull’uscita singola, proprio da quei gruppetti di amici, ma non dagli stessi plauditores, sono cominciati i buh, cui si sono unite anche parecchie persone dei palchi. Le signore se ne sono andate di corsa perche’ lo spettacolo, a loro dire, era stata ” una schifezza senza alcuna emozione”. Una nuova antropologia teatrale per me. Del pubblico romano di ieri mi ha colpito, infatti, il modo di discorrere sul maestro e la diva, con assoluta semplicità, come di un direttore ed una cantante qualunque e non divi intoccabili e sacri, come accade sempre a Milano. A Roma la mitologia dello star system attacca poco, il romano non si fa impressionare da alcun cote’ o panegirico sulla mistica devozione che si deve tributare agli artisti piu’ famosi, serenamente prosaico e libero da pregiudizi. Hanno giudicato lo spettacolo per cio’ che valeva e costava, senza tante storie e sofismi, come mi paiono i romani appunto, assai poco impressionabili e condizionabili. Insomma, a Roma il mito e’ roba per gli archeologi!

Se lo spettacolo fosse stato firmato da qualunque altro regista credo sarebbe sembrato soltanto un allestimento tradizionale, realizzato con una certa abbondanza di mezzi, sorretto da scene luci e costumi, un po’ meno fondato sulla regia, onestamente banale e manierata, sempre a cavallo tra dilettantismo innocuo e sciocchezza, ma che peraltro non mi e’ parso ne’ peggio ne’ meglio di tante altre che abbiamo visto nella nostra vita di melomani, offerteci magari con la protervia di chi si atteggia a superstar della regia. Diciamo che sulla scena c’ erano molte cose, tante controscene del coro ed assai poco movimento per i due protagonisti, ridotti sempre al “Muti-style” del cantante fermo al proscenio che guarda la bacchetta, come se la tecnologia dei monitor non fosse ancora stata inventata per sciogliere il movimento del cantante dal vincolo del podio. In particolare la diva, troppo ferma, bella ma davvero troppo ferma nei grandi momenti, i duetti soprattutto, e niente affatto seducente. Cosi’ e’ la bella Anja, paradosso perfetto del glamour patinato delle moderne dive di agenzia, nelle quali bellezza e fascino non si fondono, ma, anzi, vanno in direzioni opposte. Un bellissimo ghiacciolino, capace di vestirsi ma non di essere seduttrice o affascinante o tragicamente disperata, tutti obbiettivi che la regia avrebbe dovuto perseguire lavorando sulla cantante, per realizzare cio’ che e’ scritto e descritto nella partitura di Puccini. Una Manon con gli amanti distanti e senza passione, mossi in modo convenzionale entro un contesto dove la narrazione non ha avuto sviluppo, solo una serie di pose da bella statuina per lei, un vagabondare per la scena di lui, incolore e rozzo, un ridondanza di azione, talora anche poco mirata, di tutto il resto e qualche costoso effetto inutile, come la prua del vascello che entra in scena al finale del 3 atto. Detto cio’, nulla di peggio o di piu ingenuo di quanto non si possa vedere in molti altri spettacoli di firme più blasonate ( le citazioni di spettacoli famosi erano abbastanza riconoscibili), ma la “gestione famigliare” è parsa fortemente stridente con la situazione contingente in cui viviamo e perciò l’ esito di pubblico è stata la buata finale molto intensa per la figlia d’arte.

Buata che meritava pienamente e soprattutto papa’ Muti, apertamente contestato ma in misura minore. La sua direzione e’ stata la grande delusione della serata ed ha pesato tantissimo nel bilancio finale dello spettacolo, che ha viaggiato sul binario della noia e dell’assenza di emozione. Che il rapporto del maestro con Puccini sia sempre stato conflittuale, mi era noto dalle sue Manon e Tosca scaligere. Di Puccini gli sono sempre mancati la capacita’ descrittiva di ambienti ed atmosfere, la passionalita’ e lo slancio, ma soprattutto il suo profondo senso del teatro. Muti, forse per un pregiudizio ereditato da certa critica italiana, dirige Puccini come se fosse in disaccordo col compositore, resistendogli di continuo e cercando effetti esattamente opposti a suoi. L’altra sera, in un primo atto insopportabile, ha trasformato il gruppo di studenti amici di De Grieux in un manipolo di seriosi solenni da chiesa, il concitato finale 2 in una lentissima e mortifera pantomina di voci sfilacciate, il tragico ensemble del porto in un pachidermico fracasso. Se poi parliamo della passione travolgente dei due protagonisti, non saprei che parole utilizzare per descrivere il black out della buca sopraggiunto proprio al duetto del secondo atto, scena di concitazione che si trasforma in passione; la mancanza di atmosfera nei due incontri del primo, incapace di flettere l’orchestra nel sostenere la varietà del dialogo e dell’innamoramento di de Grieux e Manon, la mollezza distaccata del terzo atto, come se in scena non accadesse alcuna tragedia. Nulla di tutto quello che fa di Manon il capolavoro che tutti conoscete e’ venuto fuori, solo dei clamorosi colpi di gran cassa da fare impallidire il nostro maestro Barembum, per un ‘ orchestra che forse suona meglio di un tempo, ma di certo non ha suonato bene. Il miglior Muti e’ stato quello della prima parte del secondo atto, fino alle “Trine morbide”, e forse l’asettico intermezzo, chiuso atrocemente dalle percussioni. Per il resto, una serie di lentezze e slentamenti contrari al ritmo che Puccini impone al dipanarsi dell’appassionata storia d’amore sino al tragico finale. Poco, troppo poco per quel faraonico cachet che un mio vicino di posto ha tenuto a precisarmi ( ! ), quasi un remake privato del leggendario “ce costi ‘n mione! ” di callasiana memoria.

E di questo Muti ha fatto un po’ le spese la bella Anja, debuttante in cerca di un nuovo ruolo per riproporsi in modo piu’ credibile dopo la pallida Bolena e lo sgangherato Trovatore ultimo scorso. L ‘idea di provarci con un personaggio che con Massenet le aveva portato tanto successo non mi e’ parsa del tutto peregrina, a patto di avere ben chiaro in testa che la Manon pucciniana non è quella di Massenet, ma vive dell’aura magica e seduttiva della primadonna liberty che si trasforma nella tragedienne sopra le righe del finale. Fraseggio e recitazione devono per forza di cose andare di pari passo ma qui non c’erano né l’uno né l’altra, per giunta con l’avvallo dei Muti. La diva russa, infatti, è parsa lontana dall’aver capito quali siano le componenti della primadonna di Puccini, complice la regista che l’ha lasciata troppo spesso ferma al proscenio nei suoi momenti solistici, o da sola, a duettare lontana dal tenore, o mettendola a terra per sollevarsi la gonna in un distillato di volgarità, banalità e ridicolo.
Anja si è presentata in forma fisica e vocale, mostrando un suono bello nella zona centro alta della voce, sonora, gli acuti grandi anche se un po’ spinti quelli estremi, l’italiano più articolato del solito, l’intonazione ripristinata ( solo nella scena finale ha avuto un passaggio calante….peccato veniale della serata). La voce non è certo quella di Manon, bensì quella delle Lucie di un tempo, sonora e grande in acuto, il timbro non sensuale né veramente lirico, mentre la zona centro grave, ove la parte spesso batte, piuttosto tubata e chioccia. Nel complesso tuttavia preferibile alle Manon oggi in carriera, perché più pulita e meno rozza.
Sul suo canto impersonale il maestro Muti avrebbe dovuto inserire un minimo di intenzioni ed accenti, imprescindibili per dar vita al personaggio ( anche se da una superstar si pretende che arrivi autonomamente con la parte scandagliata e formata ). Muti, invece, ha reso la sua prova più onerosa con lentezze e decibels che l’hanno costretta a cantare spesso al limite delle sue possibilità, come alla scena del porto ( di suo pesante per voci più robuste, ) staccata troppo lenta e con un volume esagerato; oppure il “ Tu tu amore tu”, di nuovo troppo lento, in cui la cantante, con accento inebetito, apertamente “tirava avanti” e lui indietro. La bella Anja pareva “adeguata” docilmente alla bacchetta, limitandosi ad abbozzare qua e là alcune smorzature nella prima aria o nel finale, mentre tutto scivolava via come acqua fresca, senza emozione o intensità alcuna. Potrebbe fare di più in questo ruolo, migliorando il proprio fraseggio, perché, anche senza rievocare leggendarie Manon, si può essere grandi protagoniste anche con voci come la sua, in forza “della punta” della voce, ma a patto di fraseggiare davvero. Per Anjia qualche bu ed un generico consenso per il sound esibito e l’aspetto fisico, ma nella generale opinione che la diva non dia mezza emozione e sia inadeguata a questo repertorio.

Del tenore Yusif Eyvazov non ha senso dire più di tanto, solo che non si dà una Manon Lescaut senza tenore. Ha cantato tutto piatto, con una voce inascoltabile, tutta artefatta e disomogenea, acuti da tenorino ( quando gli sono venuti) e recitato senza dar forma all’innamorato De Grieux. Il maestro gli ha staccato un tempo molto difficile alla scena del porto, mancando pure con lui di suggerire intenzioni ( una smorzatura al “Donna non vidi mai” e poi via sul mzforte e il forte fino alla fine), che non so quale realizzazione avrebbero potuto avere, dato il basso livello tecnico del cantante. Sonoramente buato e universalmente stroncato. Bene il Geronte di C. Lepore, bravissimo, il Lescaut di Caoduro ( gli acuti vanno e vengono..) e l’Edmondo di A. Liberatore.

Morale della favola. L’Opera di Roma, forse alla luce del naufragio dell’esperienza scaligera di Lissner, ha ri-provato con questa produzione di Manon Lescaut la via della tradizione, quella lussuosa dei migliori teatri italiani, affidandosi a grandi nomi. La risposta è stata che la tradizione può ancora funzionare a patto di non inficiarla con l’ingenuità o il semiprofessionismo e a patto che il perno dello spettacolo, ossia la bacchetta, sia disposto a lavorare sui cantanti. Anche lo star system ha fatto intravedere di potere mettere dei contenuti sul piatto, ma questi sono stati capitalizzati poco. Attorno alle idee occorre ridar vita anche al sistema di lavoro della tradizione, fatto di costruzione della parte frase per frase, operando sul cantante e alla luce di idee chiare sullo spettacolo. E qui è mancata chiarezza di idee su Puccini e Manon.

59 pensieri su “Manon Lescaut all’ Opera di Roma

  1. Nel finale terzo, la prua del vascello che irrompe dalla prima quinta destra direttamente sulla banchina – e non nel mare visibile nello sfondo – merita un solo grido: “Schettino, torni subito a bordo, c***o!”

  2. Un soprano lirico-leggero, seppur con un centro sonoro, non dovrebbe cantare Manon di Puccini, soprattutto in virtù di una “punta” della voce che non possiede più da almeno 10 anni, ovvero da quando ha lasciato i lidi della natia Russia per sbarcare, sbragare, slargare centro, voce e… nel circuito di moda maggiore.
    Sono d’accordo che nonostante ciò il bel timbro e l’assoluta assenza di concorrenza decente renda sopportabile questa pseudo Lucia sfasciata come Manon ma non si esageri con il buonismo. Altrimenti mi verrete a raccontare che sarà una Isolde accettabile quando fra qualche anno ce la propineranno in Wagner (quando avrà perduto anche i do a forza di ingrossare e ingolare il centro).

    • Guarda che non mi sento affatto buonista. Io penso che possa fraseggiare molto di piu di quanto non faccia, mentre non credo possa diventare una leonora migliore ne’ una vera belcantista. Puo mascherare assai di piu i suoi difetti qui…

        • Allora, parliamoci chiaro cosi ci intendiamo. Quando ha aperto la bocca ho pensato alla lucia della scala us dove, per un verso o per l’altro non c’era nulla. E ti trovi la voce di lucia che fa manon. Poi pensi che nelle sue cose e’ sempre stata una mezza cantante, dai puritani al rigoletto sino alla famosa lucia appunto. Le ultime scelte sono state delle catastrofi, nella bolena mancava la tecnica prima di tutto e ne e’ uscita sfiancata per sua stessa ammissione. Il trovatore la mette alla corda come abbiamo sentito, manca l ampiezza della frase, il legato, le agilita’, i graci…manca tutto. Ora va verso il macbeth e sara’ senza accento e per giunta gridera’. Qui maschera appunto il legato scadente, la tessitura le e’ piu comoda anche se poi la gestisce in parte con la voce tubata, e’ bella ed ha abbastanza volume per farla con una voce poco lirica. Detto cio’, questa roba e’ piu facile delle altre in cui si e’ messa sinora Il punto e’ che fraseggia poco ma potrebbe e dovrebbe far qlcsa di piu, a cominciare dalla conversazione del primo atto. Rispetto a quel disastro del don giovanni era meglio. Poi……o la mandano a casa oppure credo si arrangera’ in queste opere, perche’nel macbeth o roba simile non vedo chances di sopravvivenza. Ricordati che angela canta la tosca, senza nemmeno la sua proiezione. Poi pensa alla mattila, ala dyka, alla sondra, alla monastyrka, o alle butterfly delle opolais, della echalaz…….fai i conti e vedi un po’ tu se questa non ha convenienza ad installarsi nei paraggi di manon……certo, in un mondo normale sarebbe ancora lucia e violetta ma…scusami kirsten, ma sono reduce dagli estratti di butterfly della echalaz con tamburini….

          • Comprendo le necessità di disintossicazione e il fascino timbrico della Annona ipertrofica in perenne apnea. Ma…sarebbe bello tornare in un mondo normale 😉

          • Vabbe, ma non saremo certo noi a fare la magia. Forse perche dopo il don giovanni mi aspettavo men che niente, mi e’ parsa la migliore di questa supposta grande produzione che era tutto fumo negli occhi. La voce e’ tanta e corre, su questo non ci piove. Una bella acqua fresca, come ti ho detto, ma almeno…per dirla con zia lily…non ti faceva pensare a quando le donne avevano la coda, come certe sue colleghe. E poi che conversazione del cavolo mi fai fare kirsten? La grisi che difende la netrebko? Eh no!

        • che non sia una belcantista, lo sapete sono d’accordo anch’io, ma sulla mancanza di volume ???? Kirsten ma hai capito di chi stiamo parlando? di quella cantante bruna…carina…russa già compagna del baritono Schrott…Anna Netrebko, tu devi aver sentito la Marisa Netrebko, che effettivamente “xe un po’ debole di suste” come direbbero a Padova

  3. Mah, non capisco. Il problema con la Netrebko non direi proprio sia la voce che certo non le manca. Per me la si può benissimo considerare un lirico. I problemi sono ben altri, come cioè questa voce – che sarebbe in natura di qualità – viene emessa e con quale inesistente espressività e musicalità.

    • Giusto, giustissimo.

      In pagella la maestra Lily – in vena di incoraggiamenti – le concede un 6 per il risultato e un 8 per l’impegno: media un bel 7, ed esorta questa sua scolaretta, fin qui sventata e pazzerella, a continuare sulla medesima strada, o altrimenti a mettere da parte i soldini che guadagna perché presto, prestissimo, ne avrà bisogno.

      Al Maestro Muti, al contrario, infligge un bel 2 come direttore pucciniano e un altro 2 come papà, avendo egli esposto la sua piccola ad un uragano di buh.

      Un encomio al pubblico tutto che – nonostante la Real Presenza del Presidente della Nostra Sventurata Repubblica – si è dimostrato in questa occasione saggio ed accorto.

  4. la gentilissima Signora Giulia Grisi dovrebbe pulirsi gli orecchi e tornare ogni tanto a vedere delle opere di quali vuole esprimere il suo parere inutile… basta vedere le registrazioni del passato , anche non molto lontano. La Netrebko ha fatto una Manon straordinaria, il tenore ha cercato di dare il meglio per questo ruolo difficile ed ha fatto tutti gli acuti , anche il DO del 4 atto, che riempiva il teatro.. le persone come Lei sono il cancro su questi siti , che credono di essere critici e sapere tutto , ma in fin dei conti siete dei poveracci , che potete soltanto realizzare i propri opinioni su internet , che in fin dei conti servono assolutamente al nulla. i cantanti continuano a cantare, la gente li viene a sentire, e voi intanto scrivete .. mi dispiace soltanto per le persone che non conoscono la lirica e leggono queste oscene descrizioni , ma, alla fine la critica rimane qui.. la musica va avanti… probabilmente si sente importante e gratificata, ma in fine e una poveraccia che abbaia al vento.. salutoni

    • Io personalmente sono grato al Corriere della Grisi che mi ha aperto gli occhi su molte cose, incoraggiandomi ad ascoltare (con le mie orecchie) e a confrontare con gli interpreti del passato. Lei parla di critica dannosa nei confronti di chi non conosce la lirica e legge queste recensioni. Trovo assai più dannose le critiche (esposte su giornali ben più autorevoli, almeno “di nome”) di chi, non avendo alcun metro di misura e ignorando la storia del teatro d’opera e dei suoi interpreti, applaude qualsiasi cosa indistintamente, senza essere in grado di motivare alcuna affermazione (cosa che invece ritrovo spessissimo in questa sede). Questo è il vero cancro che consuma l’opera e l’arte in generale. Lei dice che “la musica va avanti”. A mi piacerebbe tanto sapere in quale direzione.

    • Nessuna ostilità Donna Grisi. Voglio però riaffermare con forza che personalmente SOLO su questo sito posso leggere recensioni/commenti/critiche/cronache (o come le vogliamo chiamare) di spettacoli dal vivo che siano di mio interesse, che rispondano ai miei quesiti, che mi stimolino il ragionamento sul CANTO e l’INTERPRETAZIONE. Basta fare il confronto con ciò che scrive oggi su Repubblica Guido Barbieri – che peraltro è uno di quelli che ancora stimo, se non altro per come conduce Radio3Suite – del medesimo spettacolo per capire la differenza tra l’uno e l’altro atteggiamento.
      Saluti

      P.S.: vorrei poi ricordare che in passato – anche solo 10 anni fa – era normale leggere una stroncatura sui giornali….oggi valla a trovare. Sono tutti perfetti? Anche solo per le probabilità ogni tanto dovrebbe succedere..come mai invece non capita più?

  5. Io non so chi c…. sia questo sig. Marco Opera, però una domanda me la pongo: E’ stato mai nei Teatri Lirici nell’ ultimo decennio? E se ci è stato, cosa ha ascoltato?
    Quanto al tenore del suo intervento, lo trovo ingiurioso nei confronti di tutti quelli che si sobbarcano costi notevoli nella speranza di ascoltare qualcosa di decente e che, puntualmente, rimangono delusi.
    Chissà, magari è un organizzatore di gruppi che applaudono a comando…

  6. Per Albertoemme: io mi firmo con nome e cognome, e puoi conoscere la mai nazionalita’.Se Marcoopera si firma con un nickname e scrive in italiano io valuto anche come scrive. Oppure scriva nella sua lingua madre.
    Nel Merito, se Marcoopera e’ cosi’ gentile da ascoltare su yt il suo tenore in ” e lucean le stelle” e poi scambiare qualche opinione con noi, penso ci potremmo capire (forse).

    • si Massimo ma in una serata contrastata come la prima descrittaci dalla Grisi, un’uscita scomposta come quella di Marcopera ci può stare. Oggi mi riferiscono che il matineé domenicale sia andato benissimo (c’era anche Pappano). Come sempre ogni recita ha la sua storia e come sempre meglio evitare le tensioni delle prime per cercare di godersi quanto meglio offre il “frigidaire”. Speriamo che qualcuno intervenga a conferma o smentita di queste prime voci.-

  7. Sentito “E lucean le stelle” del Bolshoi: ma, se cosi’ stanno le cose, si potrebbe anche concedergli di fuggire, magari via Civitavecchia.
    Un salvacondotto anche per il carceriere, per favore.

  8. eccoci qua. ieri ero a roma, alla pomeridiana domenicale. partiamo dalla fine: grande successo per tutti con qualche buata al tenore, ma senza cattiveria… alla romana direi. C’era la claque? boh, io c’ero! e poi chissenefrega… se c’era buon per loro che avranno guadagnato qualcosa, ma comunque mi pare che sia piaciuta a tutti.

    torniamo all’ordine: diversissima dalla manon scaligera di ormai un secolo fa, secondo me questa è stata assai migliore. condivido l’opinione della carlina moreni sul Sole di ieri (cosa rara, che io condivida…): la ho trovata una lettura matura, si sente tutto il tessuto orchestrale e a me francamente è piaciuta molto (non la ho trovata ne’ lenta ne’ rumorosa, ap arte i punti dove piu’ o meno tutti pestano come dei fabbri).
    sui cantanti che dire… il maestro deve aver suggerito alla netrebko, in una delle peraltro numerose prove (occorre ammettere che la dama ha concesso il tempo richiestole invece di svolazzare da un palcoscenico all’altro), di ascoltare la freni e provare a “rifarla”: in quelle trine morbide mi ricordava l’interpetazione (anziana ma che stile!) della mirellona al concerto del 1996 tenuto in scala, muti direttore, mentre mi ha lasciato freddo assai il finale (ricordo con commozione un concerto di eva marton a san francisco, invece: cercatelo e ditemi). Nell’insieme anche lei mi è piaciuta, devo ammetterlo.
    Il tenore… mah. Le note le ha ma strappa di maledetto; devo riconoscere che trasmette emozione (primo atto escluso) e alla fine qualcosa vorrà dire; ricordo che anche Cura alla scala, sempre con muti, strillava come una gallina, pero’ il finale del terzo faceva venire la pelle d’oca (in positivo, capperi!). La regia: bello il seondo atto, neutro il primo, fastidioso il terzo. Il quarto c’e’ poco da fare in generale, e un bel lenzuolo va sempre bene

    morale: teatro esaurito, gente che cercava biglietti col cartello in mano (succede solo a salisburgo e in germania ormai.. di sicuro non a milano), bel pomeriggio.

    p.s.: giusto per chiarire: nacqui abbadiano e mutiano crebbi; ma non per questo se una cosa non mi piace se la fa muti devo dire che mi piace… e lo sa anche lui
    p.p.s.: toni pappano sembra aver gradito, e anche due sventolone che avevo nel palco di fianco al mio (non c’entra nulla, ma mi hanno distratto parecchio)

  9. non sono sorpreso del risultato musicale. Tenori per Manon di Puccini oggi non ne vedo all’orizzonte. Come canta la Netrebko oggi è arcinoto “purtroppo”. L’ultimo Trovatore era piu’ che brutto. Idem per la sua Bolena . Idem per il suo CD natalizio. In quanto a Muti non mi è mai piaciuto in Puccini e ultimamente anche il suo Verdi è peggiorato. Fare l’opera ai giorni nostri è difficile. I teatri si sforzano di allestire titoli, senza gli ingredienti per la torta. Qui a Roma evidentemente non c’è stato neppure lo spettacolo visto il risultato di Chiara Muti .

  10. Gentile Grisi, sono sempre quel rompiscatole di Vivaverdi, si ricorda? Quello che le aveva (mi pare gentilmente) contestato il fatto che per criticare la signora Agresta nel Trovatore della Scala fosse andata a criticare perfino la sua “maestra”-cosa secondo me mai accaduta in questo blog). Le scrivo ancora perche, veda un po’, sono rimasto indignato dalla risposta violenta che ha ricevuto da un certo MARCOOPERA e vorrei esprimerle tutta la mia solidarietà davanti a tanta villania che sono convinto non si merita perchè, avendo letto la sua recensione della Manon di Roma e conoscendo come canta la Netrebko allo stato attuale e (conoscendo anche Muti quale direttore pucciniano) non mi sembra che il suo resoconto sia stato poi così cattivo. Anche se sulla Netrebko mi piacerebbe fare alcune osservazione… Però, tornando all’inqualificabile commento di Marcoopera di cui sopra, vorrei sommessamente farle notare quali siano effettivamente le risposte insultanti, visto la vivacità e direi quasi la rabbia con le quali lei ha risposto ai miei due interventi sull’argomento Agresta (e corollario…) accusandomi proprio di essere “al limito dell’insulto”. E allora quelli di Marcoopera cosa sono?
    Sull’argomento Kabaivanska ha risposto, secondo me con molto equilibrio Donzelli, che evidentemente conosce “la materia”.Vorrei però confutare qui una sua affermazione (di Donzelli) quando scrive che per difendere la Agresta che incautamente aveva affrontato “I Masnadieri”, la sua maestra aveva affermato che “Verdi uccide le voci…”. Mah, a parte che la stessa frase mi pare che l’hanno sempre detta tutti i cantanti a cui era precluso un certo repertorio (per carenze tecniche ma,a volte anche per limiti culturali); una frase del genere, ad esempio, la disse anche la Callas a proposito di Mozart (si pensi un po’…) nonostante “Il ratto dal serraglio” che fece all’inizio di carriera in Scala (o forse proprio per questo?…). Lì, per esempio secondo me, c’erano dei limiti culturali. In piena carriera infatti la grande Callas mentre incideva il suo famoso recital dove cantava arie veriste e di coloratura (Aria delle campanelle e Ombra leggera – come si diceva allora- e con quali risultati!!!!) avrebbe voluto anche inserire l’aria di Donna Anna del secondo atto del Don Giovanni. Ebbene non ci riuscì: l’aria non fu mai pubblicata lei viva, Quando, dopo morta, la Emi la fece conoscere tutti ascoltammo un disastro. Incredibile che una che cantava la colorature della Lakmé della Dinorah in quel modo si trovasse poi così impacciata con i picchiettati di Mozart. Eppure era lì da sentire! Ecco, in questo caso io penso che fosse più una ragione di testa, come dire? “culturale”. Cosa ne pensate voi del blog?
    Ma per tornare a Verdi che “uccide le voci” a me sembra un’affermazione non poi così campata in aria. Ovviamente si parla del “primo” verdi e, altrettanto ovviamente, tutti possiamo sentire le enormi difficoltà di ruoli come Abigaille, Lucrezia Contarini e tante altre del primo Verdi. Non so, forse mi sbaglio, ma non mi pare che la Strepponi, prima interprete di queste opere, fece poi una lunga carriera…e anche ai nostri tempi, se forse la Suliotis non era sufficientemente preparata e dopo la fiammata del Nabucco perse la voce, mi pare che anche la Cerquetti (che voi amate tanto) non si fosse messa molto bene con quel repertorio (eppure era sicuramente molto agguerrita tecnicamente) e in pochi anni…via, kaput. Non vi dice qulcosa tutto ciò? O forse mi sbaglio?
    Il discorso sulla Netrebko. Nel Don giovanni della Scala ad esempio, a me pare che fosse stata perlomeno accettabile (se pensiamo a Filianotti per esempio…) fino alla terribile aria del 2° atto di cui sopra. Mi viene da dire: se perfino la Callas!!!
    Ma anche la Nilsson, provate a sentirla nell’incisone di Bohm con Fischer-Dieskau: terribile, in grande difficoltà. Però la Nillsson era una di quelle che qualunque cosa facesse pareva che ca*****sse oro (scusatemi). Era una cosa che mi mandava in bestia. Ma a voi piace il suo Macbeth? (a proposito di primo Verdi).
    Ma forse mi sto dilungando troppo e chiedo scusa ed esprimo tutta la mia solidarietà, ancorea una volta, alla “divina” Grisi che, nonostante sia stata così ingiustamente (secondo me) aspra con me, ha comunque tutta la mia stima.
    Per finire davvero vorrei dirvi che la vostra battaglia e le vostre ragioni (pur con tutti i distinguo che a volte possono capitare) sono sacrosante ma, purtroppo ha ragione il mio amico Domenico quando scrive che ormai i teatri fanno quello che possono: è così in tutto l’occidente. E’ un veleno (questo si, non quello che scrive quel poveretto di Marcoopera) che stà corrodendo tutto, ma non soltanto il mondo dell’opera, tutta la cultura. Daltronde abbiamo avuto un ministro che non tanti anni fa ha affermato che “con la cultura non si mangia”
    Ossequi,Antonio

    • Caro Vivaverdi,
      io capisco quello che dici. ed anche quello che sottendi.
      LA signora Kabaivanska non disse che Verdi uccide le voci ( a volte si , a volte no, ma che non sappia scrivere per le voci come Rossini lo ritengo vero, verissimo ed esemplificabile su tutte le corde ), ma affermò che c’era poco da esprimere in quell’opera, che quel Verdi giovanile è così.
      Questo lo ritengo falso, falsissimo, e peggio ancora se la tua cantante non sta latitando solo sul fraseggio ( come a Roma ha latitato la diva Anja, che per il suo standard ha fatto qlcsa, ma cmque poco , troppo poco per essere pucciana), ma sta anche sgallinacciando le agilità malamente. Verdi ti inchioda, ma tu lo affronti se hai il tasso tecnico per gestirlo, a maggior ragione se lo vuoi affrontare con una vocina.
      Questo è il punto della questione, che l’alibi era “pietoso” come il medico sul letto del moribondo.
      Che poi i cantanti dicano sciocchezze, è cosa risaputa. La gencer che disse di aver visto un ernani al met contre sverze, di nome Price, Corelli e McNeill? tanto per fare un esempio..le cazzate dei cantanti sono….gas, se poi cantano bene. Il punto grave è quando credano a ciò che dicono, e stimo la signora maestra della Agresta tanto tanto intelligente, e che sapesse benmissimo che diceva una frecaccia buona per i melomani d’occasione, sennò non si sarebbe gestita come ha fatto in tutta la sua carriera.
      Mi spiace che da più parti ed in più casi suggerisca di osare ai suoi giovani, e non solo in questo caso specifico, come se in questa lirica tanto sfasciata non fossero tutti impegnati al di sopra delle loro reali possibilità e capacità. Certo, se osano trovano scritture. ma, come cantano? con quali risultati per il canto e per il loro destino?..perché io nella tuttologia della Agresta purtroppo non vedo futuro, dato il tasso tecnico con cui affronta i mostri del repertorio. Non è la Gencer!

      si, eri al limite dell’offesa e lo sai bene. anche qui insinui che non ti avrei saputo rispondere a pallino come ha fatto dd, e lo rifai ancora nella mia recensione sulla Anja. Puoi dubitare fin che ti pare. la Netrebko non mi piace, ma ho trovato la sua Manon oltre le aspettative sul piano vocale, e non sono stata la sola tra i detrattori. Non fraseggia, ma è stata molto meglio che in Bolena e in Trovatore. Detto ciò, si ascoltava,pur col grave ingolfato che però si sente oltre la media e forse perchè ormai avvezzi da più di vent’anni a non sentire fraseggiare. Se fosse stata Leonora forse avrei scritto male come per la Agresta, perché il Trovatore ti mette alle corde in altro e per altro ( e questo Raina lo sa bene! ).
      a presto

    • che bell’invito a nozze questo post che non condivido più di tanto.
      la signora Kabaivanska nel censurare Verdi come scrittore per le voci avrebbe dovuto essere quanto meno cauta e più riflessiva. Mi spiego se c’è una parte di Verdi scritta bene è quella di Amalia era l’omaggio ad una diva e Verdi lo rese sino in fondo. Non solo, ma quando scriveva parti ad personam e lo fece molto più a lungo di quanto non si creda e di quanto lui stesso non diceva, provvedeva quanto prima a sistemarle. L’esempio del don Alvaro di Pietroburgo pensato per i mezzi davvero privilegiati di Enrico Tamberlick è prova lampante dell’assunto. Ancora la Giselda dei Lombardi rispecchia la vocalità di Erminia Frezzolini. Basta leggere Monaldi ne “le grandi voci” e si avrà la perfetta corrispondenza fra quello che dice Monaldi sulla bella orvietana e la scrittura che Verdi riserva alla fanciulla rhodense. Ancora Abigaille massacrò la già mal messa Strepponi, ma Teresa de Giuli Borsi se la cantò nel settembre ottobre 1842 in Scala per 42 sere e ne uscì così distrutta che nel 1874 cantava Aida a Napoli. E credo fosse più prossima ai 60 che ai 50 anni. Ma la de Giuli Borsi era razza piemontese come Madga Olivero ed attraversò l’intera produzione verdiana senza uscirne esausta. Taccio del solito esempio dei 32 anni di Amneris di Ebe Stignani per non essere monotono e poco fantasioso e rilevo come ci siano sempre e solo parti giuste e parti sbagliate per un cantante. Verdi è tutto sbagliato per Maria Agresta perché né la voce né la tecnica sono da Verdi.Posso anche scendere in dettaglio la voce è da lirico puro (quindi Micaela, Manon, Margherita) la tecnica tutta da ripensare a partire dalla respirazione. Poi la signora faccia quello che meglio crede e quello che agenti e maestri e direttori impiastri le consentono di fare. La storia di Onelia Fineschi può ripetersi, quand’anche fra Maria Agresta ed Onelia Fineschi, quanto a materia prima ne corre eccome!!
      Chiudo precisando che la Nilsson non è affatto indenne da difetti in generale ed in donna Anna. Ma deve precisare quella Nilsson è una cantante che da dieci anni e più macinava Wagner drammatico, idem Verdi e se voleva riposare la voce le offrivano Tosca e Turandot e poi ricordare che la voce di Donna Anna con le buone o le cattive è di un soprano drammatico o lirico spinto, mica di quella sfilza di Zerline che da trent’anni ci vengono inflitte per “merito” anche delle signore Gruberova e Devia. Non per nulla l’ultima vera donna Anna è stata Margaret Price. Le altre tutte indistintamente inidonee al ruolo!
      Credo che con i ritmi di lavoro e i teatri che faceva e l’affezione per il denaro Birgit Nilsson C…SSE ORO!!!!!

      • Fuori tema per fuori tema colgo anche io questo invito a nozze (e a polemica) che mi offre l’amico Domenico. Premesso che non condivido affatto quel che dice la Kabaivanska sul Verdi “rovina voci” né sul fatto che Rossini scrivesse meglio (non credo esista un meglio o un peggio nella componente creativa: Verdi scrive in modo diverso perché i tempi sono diversi e la musica cambia col tempo…oltretutto scrive per cantanti che eseguivano tranquillamente la sua scrittura – e visto come si è diffusa l’opera verdiana già nell’800 non credo che si incontrassero chissà quali difficoltà), contesto a Donzelli la considerazione per cui quando Verdi scriveva “ad personam” lo faceva meglio (e più frequentemente di quanto egli stesso dichiarasse). Contesto perché tutti i compositori di opera scrivevano per delle voci specifiche, per cantanti ascoltati o auspicati (certo a volte – soprattutto quando il processo compositivo era più lungo e complesso, in seguito al progresso musicale e alla maggior elaborazione del genere operistico – il cantante immaginato non era quello che interpretava il lavoro sulla scena). Il lato cosiddetto artigianale non mancherà mai, neppure in Wagner e Strauss (diverso il discorso sul modello del primo interprete che, spesso, non vuol dir nulla). Che Verdi nella revisione della Forza del Destino adattasse – oltre alle modifiche nel tessuto musicale – una parte scritta per un certo cantante alle caratteristiche di un altro, è cosa naturale. E saggia. Del resto l’ha fatto senza sottostare ai desiderata del cantante – spesso artisticamente umilianti (se si pensa a quel che ha dovuto tollerare il povero Donizetti) – ma sfruttando al meglio le peculiarità dell’interprete. Lo fece con la revisione di Don Carlo, di Macbeth, di Traviata. Ma anche con Nabucco. Certo, soprattutto agli inizi, dovette dire sì a certe richieste che non si potevano rifiutare: penso ai brani alternativi scritti di controvoglia per Ivanov in uno stile ormai desueto e su richiesta di un Rossini ormai sopravvissuto a sé stesso (e a cui il Verdi della maturità più ruspante avrebbe risposto con un grillino “vaff…”, risparmiandoci oggi le velleità di tenori che si ostinano a cantare quei brutti brani, ma difficilissimi e resi ancor più strazianti da una tecnica discutibile). In altri casi vanno considerate le circostanze extramusicali, come con I Masnadieri: Verdi, che amava il denaro almeno come amava la musica (come il suo collega coetaneo tedesco) a fronte di un compenso esorbitante acconsentì a scrivere la parte della Lind in uno stile totalmente desueto, per consentire all’usignolo svedese di trillare come le pareva (ma ben rendendosi conto trattarsi di compromesso). Questo per dire che Verdi operava esattamente come tutti i suoi colleghi operisti…certo in modo coerente ai tempi che mutavano e all’evoluzione della musica. Se si legge l’epistolario si vedrà che anche per Falstaff aveva in mente voci ben precise. Voci, s’intende, non divi. E questo è l’importante.

    • Sto riascoltando la Callas proprio in “Or sai chi l´onore” e “Non mi dir” e si, confermo che si tratta di un canto difficoltoso, non disastroso, perchè le Donne Anna di oggi presunte e sottolineo presunte, specialiste della prassi esecutiva o stilistica, cantano molto, ma infinitamente peggio di questa Callas fuori repertorio.
      Bisogna dire che per sua stessa ammissione la Callas si sentisse ben poco attratta da Mozart e poco a suo agio con il suo elenco di opere che, difatti, frequentò e approfondì pochissimo; ma basta ascoltarla in “Marten allen Arten” per meravigliarsi in maniera positiva.
      Tra le Donne Anna disastrose inserisco senza alcun problema o paura di smentita anche la Netrebko scaligera la quale dal vivo mi confermò quello che sento per lei: un bluff, tra i più clamorosi, degli ultimi dieci anni, priva di fraseggio, dizione, carisma (surclassata scenicamente dalla Frittoli) e dalla voce, sempre dal vivo, fastidiosa, ingorgata e, purtroppo, sonora.
      Per quanto riguarda la Strepponi abbiamo già chiarito nella Verdi Edission la posizione della STrepponi e della seconda Abigaille scelta, la quale fu colei che ebbe i maggiori plausi e la maggior diffusione.
      Se la Souliotis vantava in natura uno strumento prezioso, ma tecnica poco rifinita per poterlo dominare e preservare, oltre che un repertorio troppo massacrante, la Cerquetti si ritirò per scelta prettamente personale, basta anche ascoltare le ultime cose e davanti avremo una voce del tutto salda, acuti ghermiti, certo, ma presenti http://www.youtube.com/watch?v=rKLixeg9Cm0 e quante che si si sono arrischiate negli stessi repertori, oggi, con voci sinceramente più fragili e impreparate sono sparite in una manciata di anni? Basta dare uno sguardo agli archivi dei teatri.
      Quanto alla Nilsson basta ascoltare per rimanere basita sui giudizi frettolosi espressi sopra http://www.youtube.com/watch?v=yszsZiDPk4U e http://www.youtube.com/watch?v=ucTsojeo1Kk Nonostante qualche impaccio nel finale della seconda aria (ed oggi viene perdonato molto di peggio e gratuitamente) l’unica considerazione che mi viene in mente è questa: siamo così disabituati ad ascoltare voci gloriose, compatte, luminose, padroneggiate con tecnica e senza sbavature che accettiamo passivamente, per pigrizia e senza spirito critico le bugie innumerevoli delle “voci” odierne, dei teatri “odierni”, dei “direttori” odierni, della “stampa” odierna, finanche dei “registi” odierni in nome di un accontentarsi aurato di ipocrita benevolenza, per nazionalismo (vedi certi discorsi da fan che campeggiano su internet su divette italiane dell’ultima ora infilate in ogni repertorio), per presunta passione, per preservare la cultura, che è quella che è, così che non riusciamo più a riconoscere il miele dal fiele.
      E’ più facile, infatti, farsi imboccare e trovare mille scuse per giustificare una Netrebko, fallimentare Donna Anna e “artista”, per me, minima e biasimare qualche impaccio della Callas e della Nilsson, o travisare e decontestualizzare la figura della Cerquetti, che porsi da un punto di vista critico ben più difficile e meno consolatorio o chiedere ai teatri di mettere in scena cose alla portata effettiva di quelle voci(ne), ma questo implica un bagaglio culturale ed una certa preparazione… e la cultura, appunto, è quello che è!
      Perchè accontentarsi è solo accontentarsi e non è, in genere, questo gran godimento, soprattutto se bisogna esaltare il fiele e presentarlo per ciò che non è.

  11. a viva verdi dico che condivido molte sue considerazioni. Che la Netrebko fu una donna anna piu’ che buona. Che la Nilsson in un certo repertorio va valutata con un po’ d flessibilita’ d giudizio.

  12. Vivaverdi.
    Ciao V.V., intanto benvenuto.
    Tu non sei un rompiscatole, ti sei presentato
    e hai espresso un giudizio ed un pensiero,
    fossero essi condivisibili o meno.
    Il Signor Marcoopera invece non ha espresso
    nessun giudizio ma solo disprezzo per chi
    frequenta questo sito, sito che lui stesso
    evidentemente frequenta, pensa un po’!
    Sono curioso di sapere da te se l’aria di
    Anna eseguita da Maria Callas alla quale
    hai fatto riferimento, sia quella incisa nel 1953
    a Firenze dalla grandissima. Se non e’ quella,
    (in effetti sono due, incise nello stesso giorno
    e accompagnate da due diversi direttori,
    Dino Olivieri ed Osvaldo Varesco alla
    guida dell’Orchestra del Maggio Musicale
    Fiorentino), potresti per favore dirmi di
    quale brano pubblicato postumo si tratta?
    Ciao caro.

    Per Marianne.
    Ciao Marianne, tu ti riferisci invece ai
    brani incisi nel 1964 per la Emi diretti
    da Rescigno contenuti nell’album
    “Mozart Weber and Beethoven” , vero?
    A presto.

  13. Un noto cronista di cose musicali, dal cognome wagneriano ed in forza al sedicente maggior quotidiano italiano, nello scrivere il consueto omaggio alla propria bacchetta di riferimento (bacchetta magica nel trasformare – a detta del “critico” – il teatro romano nel nuovo tempio della lirica nazionale), incappa, per eccesso di zelo, in un paio di grossolane topiche. La prima ricorre nell’enfasi prossima al delirio nell’attribuire il merito a Muti di “prosciugare la partitura per rivelarne la smagliante veste strumentale” (che vuol dir tutto e vuol dir niente), attraverso una fumosa “impareggiabile libertà ritmica” che, dulcis in fundo, non avrebbe nulla a che fare con la “tradizione deteriore”. Ma come? La stessa involuta penna che celebrava Nello Santi quale ultimo custode della tradizione del melodramma ora si scaglia contro la stessa definita “deteriore”? Ma il nostro critico prosegue in ardite discendenze: nell’assicurarci che l’Intermezzo di Muti è paragonabile solo a quello di Toscanini, ne rivela le ragioni in un improbabile sillogismo di eredità musicale: poiché Muti è stato allievo di Votto e Votto – secondo il “critico” – avrebbe appreso i “segreti” di Manon da Toscanini stesso, ergo Muti è per legge transitiva allievo virtuale dello stesso Toscanini. Il che sarebbe come dire che Kempff suonava esattamente come Beethoven perché nella genealogia di maestri e allievi (attraverso Czerny, Tausig e persino Liszt) si arriva a Beethoven. Fesseria totale, ma tant’è… Inutile poi rilevare che pure Abbado fu allievo di Votto, ma evidentemente per il nostro “critico” in questo caso le leggi dell’ereditarietà artistica non valgono più. Il meglio però viene riservato al finale, quando si avventura in un vero e proprio strafalcione. Scrive che quando Toscanini aveva ripreso l’opera alla Scala nel trentennale della «prima» e il critico musicale del Corriere di allora, Gaetano Cesari, aveva parlato di miglioramenti all’orchestrazione, Puccini avrebbe detto “nulla ho ritoccato, quello che a Cesari è parso miglioramento è solo la concertazione fatta da Toscanini…”. Questo per dire, ovviamente, che Muti/Toscanini migliora addirittura la percezione di Manon. A parte l’iperbolica affermazione in realtà – mi spiace per lui, per Gaetano Cesari e pure per Puccini, se davvero ha detto quello che l’immaginifico critico ci riferisce – la Manon venne rivista più volte dopo la prima del ’93: a parte gli interventi sul testo musicale nel corso dello stesso ’93 per ben 3 volte, e quelli successivi nel ’98, nel 1909, nel ’23 e nel ’24, proprio nel 1915 l’opera venne rivista nell’orchestrazione secondo i suggerimenti dello stesso Toscanini…. Quindi di che cosa stiamo parlando???

  14. Vivaverdi
    Madonna com’è difficile dialogare con voi!!!Ma davvero!!!diventate sempre più acidi e aggressivi. Provate a pensarci. Forse perchè vi sentite ingiustamente aggrediti. E lo siete anche con chi, come il sottoscritto, vi ha espresso ripetutamente il suo apprezzamento. Segnatamente nel mio caso è difficile dialogare soprattutto con la “divina”Grisi che forse si è sentita presa di mira…”Divina” perchè se la prende tanto? Perchè è così “cattiva” con me? Tanto da scrivere, ad esempio, che “insinuo” (a proposito della risposta che mi ha dato Donzelli). Ma io non insinuo proprio niente, le assicuro,, soprattutto a proposito della Netrebko, anzi le ho esprersso condivisione e solidarietà nei confronti di un intervento (quello si, villano e irrispettoso). Poi qui ognuno esprime la sua opinioni e mi pare che da quello che vi scrivevo avreste dovuto capire che non sono tanto differenti dalle vostre riguardo allo stato attuale del mondo lirico.
    Forse abbiamo qualche differenza di gusti su cantanti passati, magari (da parte mia, ma chissà forse anche da parte vostra…)qualche idiosincrasia. Riguardo, ad esempio da parte mia, cantanti certamente gloriosi e di cui non posso che apprezzare la statura ma che a me non sono mai piaciuti più di tanto.
    Forse la differenza tra me e voi (che resta incolmabile) è che voi siete dei competenti, come ho già avuto modo di scrivervi,(e senza ironia vi prego di credermi), voi sapete leggere le partiture, conoscete la musica ecc.. io, nonostante la cura Celletti, sono rimasto (come si direbbe) un semplice “orecchiante”, un ascoltatore, quindi il fatto meramente tecnico sicuramente mi sfugge un poco e magari lascio correre di più. Potrei citare moltissimi cantanti che rientrano tra i vostri miti e che a me hanno interessato meno o, perlomeno, mi hanno interessato soltanto in un certo repertorio e non in un altro. La Callas stessa, che ritengo una delle più grandi cantatrici di tutti i tempi e che, per quanto mi riguarda mi ha aperto mondi di bellezza e anche di cultura, nel repertorio pucciniano mi ha sempre interessato meno (nonostante le sue celebrate Butterfly con Karajan o le Tosche con De Sabata). Le cantava male? Non mi pare, ma ho sempre ritenuto la sua voce (quella gloriosa, non quella sfasciata degli anni 60…) più adatta al repertorio protoromantico.
    Ma per tornare, tra i tanti argomenti, alla Netrebko (che anche a me non è piaciuta nella Bolena – il Trovatore non l’ho mai visto nè sentito-anzi l’ho trovata orrida da vedere e da sentire) mi sono permesso di accennare alla sua Donna Anna della Scala perchè mi era sembrato che nel quadro di una prestazione non certo entusiasmante, la parte decisamente pessima fosse la grande aria (mi sembra che si dica “in stile agitato” o mi sbaglio?) del 2° atto.
    A questo proposito mi sono venute in mente delle prestazioni della stessa aria della Callas degli anni gloriosi (quella del 53, per rispondere al gentite MIGUELFLETA) che pur avendo già interpretato gloriosamente “Il ratto dal serraglio” uno o due anni prima alla Scala, su quella aria non ne venne fuori, e non si tratta solo di “qualche impaccio” come scrive MARIANNE BRANDT, secondo me. Non parliamo poi delle arie mozartiane che incise nel 63!!!
    Veniamo poi alla da me citata Nilsson, sempre per la stessa aria. Ripeto io la trovo orrenda e tanto più scandalosa trattandosi della gloriosa cantante “nibelungica”. Ma nessuno lì mette becco! Evidentemente i mostri sacri non si toccano! Ma forse è anche una questione di gusti, secondo me, di “suoni”. Io, per esempio mi sono convinto che ognuno sente in modo di verso.
    C’era una signora molto pittoresca (della Milano popolare come ero io del resto, come eravamo in tanti allora, veniva chiamata dal grande Tino “la strascera”) quando ero giovane e frequentavo il loggione della Scala, che odiava la Callas e a me (differentemente da tanti mie amici che la detestavano, stava simpatica) la consideravo una memoria storica, mi facevo raccontare dei tempi “glorioso” della Toti, del Pertile, dello Schipa, del Bechi…e via discorrendo, ebbene, per esempio, riguardo alla Callas, lei sosteneva non che avesse una brutta voce (cosa che si poteva anche capire) ma che addirittura “quela li l’ha g,ha minga vus” cioè non aveva neanche voce…Bello no? Cosa rispondere a tutto ciò? E, a proposito della nascente Cossotto “l’è una vus quela lì? L’è un campanel”.E’ una voce quella lì? E’ un campanello…Capito, cari miei “grisini” questi sono gli orecchianti…io ho cercato di emanciparmi un pò ma evidentemente rimane un vizio di fondo. Però la mia emancipazione (nonostante la non più tenera età) cerco di continuarla leggendo il vostro blog (ogni tanto)…Però, divina Grisi, non sia tanto cattiva con me e soprattutto così sospettosa.
    E qui passo a Donzelli che leggo sempre tanto volentieri.
    L’avrei giurato che mi avrebbe risposto così. Infatti mentre citavo la Strepponi eccettera pensavo “figurati se quei diavoli non mi tireranno fuori una sfilza di altre cantanti che invece hanno fatto quel repertorio tranquillamente” e infatti così è stato. Cosa posso rispondere? Niente. Posso solo sommessamente pensare e suggerire che però non sappiamo come e in che stato vocale quelle cantanti siano arrivate alla fine della lora carriera? Non credo che allora siano sempre state rose e fiori nelle esecuzioni. Sappiamo come Verdi ad esempio si lamentasse continuamente degli urli e delle stonature di molti esecutori. Questo non toglie che sicuramente la Agresta non abbia le caratteristiche per eseguire un ruolo così pesante e impegnativo come quello dei I Masnadieri
    (anche se in fondo è un ruolo che Verdi scrisse su commissione e la prima interprete mi pare che fosse la Jenni Lind, grande soprano di coloratura che per forza di cose non doveva avere un grande tonnellaggio vocale) questo non toglie che il ruolo sia durissimo. Su questo sono d’accordo. Come sono d’accordo che andando avanti di questo passo questa cantante non andrà lontano (essendo i ruoli adatti alla sua vocalità quelli indicati benissimo da Donzelli). Ed è un peccato perchè prometteva bene.
    E veniamo a MARRIANNE BRANDT, che anche lei mi sembra molto agitata e contrariata dagli appunti che ho fatto sulla Nilsson, sulla Cerquetti e quant’altro. Ebbene, cara Marianne, la Nilsson in quel Don Giovanni è secondo me pessima e non soltanto nell’aria del 2° atto (e qui si potrebbe aprire un capitolo sull’opportunita o meno di fare eseguire Donna Anna a soprani del tonnellaggio dei soprani vagneriani. I sopranoni tedeschi tanto per intenderci. Io li ho sempre trovati insopportabili-ma so che a voi piacciono tanto! Vedete che è questione di gusti?); del resto la Nilsson è anche molto in difficoltà, per esempio, nell’Oberon tanto celebrato di Kubelik , eppure tutti a sperticarsi…E’ inutile, per me, al di fuori del repertorio vagneriano la cantante Svedese non è mai stata convincente (io l’ho sentita anche in Aida alla Scala). Certo aveva tecnica e potenza ma perfino nella Turandot, secondo me era discutibile (non certo vocalmente per carità in questo caso), ma, sempre a mio parere, basta una frase della Callas del disco Arie pucciniane “O principi che a lunghe carovane da ogni parte del mondo qui venite”-per seppellire tutte le Nilsson con i loro do al fulmicotone. Stupenda invece anche la Sutherland che secondo i gusti dell’epoca sarebbe stata agli antipodi rispetto a quel ruolo. Ma questi sono i guasti di essere un orecchiante, mi dispiace….
    Per finire, sempre con MARIANNE BRANDT, lei scrive “…chiedere ai teatri di mettere in scena cose alla portata effettiva delle voci odierne”…Sacrosanto cara MARIANNE ma…vorebbe dire chiudere i teatri di tutto il mondo
    Ossequi, Antonio

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