MANGIARE DI MAGRO II: Dulcamara

Un altro manicaretto di magro composto di tre portate. Devo aggiungere che due -Adamo Didur ed Ezio Pinza- appartengono a quel magro (aragoste, caviale, crostacei e, magari, rane e lumache) che fa storcere il naso a molti, che contestano tale esigua sopravvivenza dell’astinenza dalle carni prevista nel mondo cattolico.

Una riflessione sul personaggio eterno ed immortale del ciarlatano, che tale è soltanto perché trova  pubblico credulone e facile da imbonire, un tempo sulle piazze oggi in ogni luogo ampliato dai media. Sempre e solo imbonitori, con una differenza che  Dulcamara applica la sola pubblicità positiva dice e divulga le qualità uniche dei suoi intrugli ed impiastri, gli odierni invece, ricorrono alla pubblicità negativa, al recitar la parte della vittima di crudeli e cattive congiure. Elevato il target dei creduloni , elevato anche quello degli imbonitori, che, ad ogni buon conto solo impiastri ed intrugli vanno vendendo.

Una riflessione sulla tradizione interpretativa del dottor Dulcamara perché a cantanti che di fatto parlavano e aggiungevano lazzi a quanto previsto dal rodato binomio Romani-Donizetti si alternavano veri ed autentici cantanti. I nomi di Filippo Galli (deteriorato è vero) di Luigi Lablache, di Giuseppe Kaschmann (pure lui non più il grande baritono verdiano), di Adamo Didur, di  Tancredi Pasero, di Ezio Pinza ed anche Giuseppe Taddei e Sesto Bruscantini appartengono alla tradizione del Dulcamara (ed aggiungo del Don Magnifico di Cenerentola) cantato e, spesso,  con dovizia di mezzi. Questa riteniamo e per la continuità nel tempo e per l’avallo del medesimo autore (Luigi Lablache cantò nell’edizione del teatro degli Italiani per la quale l’autore aveva provveduto aggiunte per la Tacchinardi Persiani e Mario) essere la strada interpretativa del dottor Dulcamara, ci permettiamo, invece, di disapprovare il dottor Dulcamara non già di voce modesta o limitata, ma quello che trasforma in un pagliaccio più o meno dotato vocalmente il personaggio, quello che spesso rappresenta un refugium di malcanto e malcantanti.

Le nostre  tre pietanze Didur aveva vent’anni di carriera alle spalle quando incise, in versione ridotta atteso il limitato spazio delle registrazioni acustiche, la cavatina, basso cantante  di scuola italiana ad onta dell’origine polacca si sente bene la formazione italiana che gli consente suoni morbidi e tondi in tutta la gamma della voce e con oscuramento e passaggio di registro praticamente perfetti (si veda, senza nessun ingrossamento della voce e ricerca di colori bitumati per ricordare che la voce è di basso, la discesa dell’dite udite o rustici è l’esempio di come dovrebbe un basso eseguire le note basse senza mandarle nello stomaco o più sotto ancora).  Pur cantante da opera serie esegue, nella sola sezione superstite, i sillabati con facilità e velocità  e con la voce sempre squillante e sonora del cantate, che si avvale di tutte le risonanze in maschera. Ogni tanto indulge a qualche effetto di parlato, che appartiene alla tradizione di salare e pepare la pietanza come accade (e “in altri siti”) e a qualche suono pseudo senescente per simulare l’età avanzata del consumato ciarlatano, che chiude l’aria con un la acuto facile e squillante. Per la cronaca il commento su you tube (inesaurabile fonte di approvvigionamento e sostegno culturale) osserva che il la è nota pressoché impossibile per i baritoni, ma Didur era molto dotato in zona acuta dove si permetteva anche di trillare come accade nella famosa aria “scintille, diamant” .

Ezio Pinza è ancora più misurato di Didur, nessuna indulgenza ad aggiunte e cachinni di tradizione salvo il (“tromba” prima della stretta dell’aria). Supera Didur per leggerezza e sapienza di sostegno sul fiato nella sezione conclusiva dell’aria, ma gli è inferiore per leggerezza e levità di emissione all’incipit dove si fa prendere dalla tentazione di “fare la voce da basso” con qualche suono ricercatamente scuro e un po’ ingrossato, come accade  “chiamato DulcamARA ed al seguente “per poco io ve la do” dove   suona un poco ingrossato e gonfiato. Sillabati facilissimi e mai parlati salvo qualche accento troppo marcato, ma da “spedisce gli apoplettici ” è esemplare, inarrivabile per levità, sofficità di suono e sostegno esemplare del fiato che da alla voce una fermezza ed una risonanza oggi impensabile. Nessun basso (neppure Ramey, che  a Pinza si inspirava palesemente) è stato capace di tanto. Pensiero da melomane, perché non ci sono il don Magnifico ed il Mustafà di Pinza? E aggiungo anche di Didur.

Poi arriva il vero piatto di magro rappresentato dal gusto prima che dal canto di Ambrogio Maestri, che entra con suoni rochi e sordi in basso, che sembrano simulare una rampogna e non già la blandizie dell’inveterato imbroglione. Qui il vero problema e limite non è  cantare male, senza la grammatica del canto, ma “scentrare” il personaggio, che in apparenza nulla deve avere di  volgare e di grottesco, attesa la nobile professione di ciarlatano che esercita. Poi è chiaro che la discesa esemplare il Didur diventa un suono cavernoso e vuoto e che il suono troppo scuro e bitumato del “chiamato Dulcamara” costringa il cantante a mezzucci ed artefazioni della dizioni per non rimanere senza fiato a metà delle frasi e che la dizione nei sillabati, pur non essendo oscura, non è scolpita e pertinente come quella di Pinza o di Didur. Basta da ultimo comparare la facilità degli acuti del BASSO Adamo Didur con la difficoltà di quelli di Ambrogio Maestri , BARITONO, pure VERDIANO. Ovvio non c’è correttezza di respirazione, sostegno e  il cantante non sillaba, ma parla  impedite dal precario metodo  di canto, sapidità e varietà d’accento. Quelli che in tre battute fanno il personaggio, non la gioja dei melomani.

 

Immagine anteprima YouTube Ezio Pinza

Immagine anteprima YouTube Ambrogio Maestri

Immagine anteprima YouTube Adamo Didur

 

 

2 pensieri su “MANGIARE DI MAGRO II: Dulcamara

  1. Non perché qualcuno poi venga a dirmi che io sono quello che “fa sentire le i” (con ciò accusandomi di non saper giudicare un’esecuzione nei suoi aspetti generali in quanto mi fossilizzo solo su dettagli capziosi), ma perché semplicemente non vedo quale altro modo vi sia di esaminare difetti di emissione se non focalizzando l’ascolto su come un cantante emette, per l’appunto, le vocali: ascoltate le i di Maestri. Ecco quelli sono suoni ingolati, e non se ne salva una.

  2. Concordo con Mancini. La vocale i è a doppio taglio. Se emessa correttamente aiuta più delle altre a tener alta e immascherata la posizione . In caso contrario , oltre naturalmente a denotare incompletezza tecnics diventa nociva e pericolosa per l’organizzazione vocale.

Lascia un commento