Un tempo, con riferimento al fascino femminile, si riteneva che questo fosse caratteristica peculiare della donna francese. Quand’anche non dotate di bellezza, le donne d’Oltralpe vanterebbero un fascino particolare, una sorta di esasperazione della raffinatezza femminile da contrapporre al fascino mediterraneo, della donna italiana o spagnola. Trasportiamo tutto nel campo della vocalità e da un lato avremo il timbro sontuoso di una Chiara, di una Carteri, di una Stella contrapposto per quel che ci interessa in questa sede, al fascino di Fanny Heldy (1888-1975) e Vina Bovy (1900-1983).
Possiamo generalizzare dicendo che le più tipiche voci francesi di soprano possono non brillare per intrinseco fascino e bellezza dello strumento, ma spiccano per il saper dire (che parte da una dizione sempre chiara e scolpita e da una articolazione attenta della parola anche nella nostra lingua) e per quel “profumo di donna” molte delle loro interpretazioni. Posso anche aggiungere che questo non coincide necessariamente, e gli ascolti che andremo a proporre ne sono testimonianza, con una dinamica sfumatissima ed esasperata come quella di un’ Olivero o Beverly Sills.
Eppure le interpretazioni dei due soprani, protagoniste di questa tappa del soprano pre Callas, a queste caratteristiche hanno risposto per lunghi anni perché le loro carriere sono proseguite ben oltre il trentennio e sempre con risultati vocali documentati, che nulla hanno a che vedere con le esibizioni cui si è ridotta l’ultima diva francese, che aveva in natura qualità ben superiori a quelle delle nostre.
Dobbiamo, poi, precisare che il fascino francese era sia per la Heldy che per la Bovy fascino belga.
Fanny Heldy si chiamava in realtà Marguerite Virginie Emma Clémentine Deceuninck. Era nata a Liegi il 29 febbraio 1888, studiato nella città natale e diplomatasi nel 1910 alla fine dello stesso anno era già alla Monnaie di Bruxelles e vi rimase fino al 1914 cantando i tipici ruoli del soprano lirico Micaela, Elsa, Violetta ed anche Euridice. La prima guerra mondiale la costrinse alla fuga in Inghilterra dove conobbe Marcel Boussac, industriale già ricco, ricchissimo, poi, quale proprietario della Maison Dior ed, infine, suo marito.
Sul finire della grande guerra approdò all’opera-comique ed ampliò il proprio repertorio aggiungendo le tre figure dei Contes d’Hoffmann, molte parti pucciniane (Mimì, Butterfly e, persino, Tosca) Louise e Melisande. Cantò frequentemente Traviata. Con Pelleas approdò alla Scala, mentre dal 1920 fu spesso presente a Palais Garnier con Romeo e Juliette, Pagliacci, (1920) Faust (1921) Lohengrin (1922) Hamlet e Thais (1925) Manon (1926) Butterfly (1928) ed, infine, Barbiere di Siviglia (1933). Cantò a Londra, nei paesi del Sud America. In Francia predilesse Nizza, Vichy e Monte Carlo piazze frequentate dal jet set di cui faceva parte. Il ritiro avvenne nel 1938 in occasione del matrimonio, comunque dopo quasi trent’anni di carriera.
La discografia è piuttosto vasta ed alla Heldy spetta il primato della prima incisione di Manon di Massenet.
Partner in teatro di George Thill lasciò, con l’altro grande tenore di lingua francese (ma belga) Fernand Ansseau, una delle più complete interpretazioni della scena di San Sulpizio, oltre che il duetto Micaela –don Josè della Carmen. La vulgata la vuole amica di Ninon Vallin, forse la cantante francese più famosa di quegli anni e dalla carriera internazionale di maggior risonanza. Ma la Vallin cantava Carmen mentre la Heldy ebbe sempre presenti propri limiti e rimase ferma al personaggio della ragazza di Navarra.
I limiti sono presto detti la voce suonava un po’ nasale, soprattutto nella zona medio grave probabilmente la meno dotata in natura, anche a cagione della fonazione della lingua francese, non vantava né un velluto particolare né un timbro soggiogante, al contrario di certi soprani lirici italiani o fors’anche della Vallin. Cantava, però, da grande professionista e musicista e questo la esimeva da suoni aperti e sguaiati in basso e da incertezze in zona acuta, che, infatti, era saldissima, penetrante e facile anche alle smorzature, non stratosferiche e neppure abusate, ma strumentali alla situazione drammatica. Per sincerarsene basta sentire l’aria dello specchio di Thais dove la voce è espansa, sonora e il fraseggio vario, supportato da una dizione chiarissima. Lo stesso accade con l’aria di Louise e nei brani di Manon. In questi ultimi la correttezza vocale e la misura della Heldy sono esemplari. Nel duetto di saint Sulpice con un partner del timbro bellissimo e dalla voce importante come Ansseau la cantante belga né indugia a suoni di petto ed aperti per simulare la foja erotica della giovane (per esempio un po’ più evidente nella Vallin, che pure canta benissimo) né in svenevolezze frutto dell’idea di Manon giovanissima e bamboleggiante. Erano i due estremi in cui le interpreti di Manon, soprattutto alla scena della seduzione, correvano il rischio di cadere. Un dettaglio i piani e pianissimi, che precedono la sezione centrale “la mia non è” esemplari per qualità del suono, frutto del controllo tecnico, dolcissimi come si conviene alla seduttrice per nulla affettati o leziosi. E lo stesso accade, alla chiusa del duetto prima della ripetizione del tema della seduzione.
Aggiungo che nei panni di Violetta, ruolo che affrontò spesso come si conveniva a donne fascinose ed a cantanti con facilità in zona alta e nel canto di agilità la cantante belga lascia un’esecuzione di vaglia dell’aria del primo atto non solo espressiva senza esagerazioni, ma fluida e facile sotto il profilo virtuosistico, comprensivo della variante di “croce delizia” e nonostante la salita al la bem di “solinga nei tumulti” non sia perfetta mentre lo sono i vari do e diesis di cui l’allegro è costellato con la prodezza della smorzatura, senza rallentanti e manomissioni della linea musicale del si bem e dei do picchettati “ a la Tetrazzini” e di un ottimo trillo in sede di cadenza. E’, se non mi sbaglio, il retaggio della cadenza di Adelina Patti, che Emanuele Muzio loda in una corrispondenza con Giuseppe Verdi.
Vina Bovy, invece si chiamava Malvina Bovi Van Overberghe ed era nata a Gent il 22 maggio 1900 (di fatto una generazione successiva a quella della Heldy o della Vallin). Per la cronaca girò il modo come cantante, rimase, però, profondamente legata alla propria città di origine dove fu, dal 1947 al 1955, direttrice del teatro e dove nel 1955 diede con Andrea Chenier l’addio alle scene. A Gand morì nel maggio 1983.
Come per la Heldy gli studi furono locali ossia al conservatorio di Gand ed analogo il debutto ventenne a Bruxelles al La Monnaie nel ruolo di Margherita del Faust. I primi anni di carriera furono nel teatro della capitale belga ed il repertorio anche per lei quello del soprano lirico o lirico leggero. Nel 1925 (9 marzo) debuttò, protagonista di Manon, in quello che era uno dei teatri dell’Heldy. Nel teatro parigino si esibì in un repertorio, che, talora, era quasi del soprano leggero ossia Lakmè, Olympia, Leila dei Pescatori di Perle, Rosina del Barbiere Norina del don Pasquale oltre che parti più schiettamente liriche come Mimì di Boheme, le altre parti dei Racconti ed anch’essa frequentemente Violetta. L’approdò al palcoscenico numero uno parigino -il Palais Garnier- avvenne nel 1935. La cantante vi restò sino al 1947 cantando oltre alle consuete parti anche Gilda, Juliette, Lucia e Thais. Nel frattempo aveva cantato nei teatri sudamericani e spagnoli e, pertanto, conosceva il repertorio italiano anche in lingua originale. A differenza dell’Heldy approdò al Metropolitan non solo per il repertorio francese (le tre figure femminili dei Racconti) ma anche per la Violetta di Traviata conservata in una registrazione del 1937 sotto la guida di Panizza. Esemplare per molti versi perché interessantissimo il raffronto fra Panizza con sé stesso a seconda della protagonista, in un caso la sontuosa voce della Ponselle e nell’altro quella ben più modesta per colore ed ampiezza della Bovy. Anche per la Bovy fu intensa l’attività discografica perché incise quasi al termine della carriera il ruolo di Giulietta nei Contes d’Hoffmann sotto la guida di Cluytens oltre che i duetti di Traviata e Rigoletto con quello che era stato il partner di Fanny Heldy, ossia Georges Thill. Gli ultimi anni di carriera furono spesi soprattutto nel teatro di Gand. La cantante forse non era più allo zenith della forma vocale come certi acuti un po’ spinti e forzati testimoniano, ma l’esecuzione di Manon risponde a tutti quei canoni, che abbiamo evidenziato essere la peculiarità dei soprani francesi.
Anche la Bovy non era indenne da difetti e limiti. I limiti erano essenzialmente timbrici trattandosi di una voce da soprano lirico leggero, che come si usava in quegli anni, e parliamo dei difetti tecnici, presentava qualche occasionale suono ora sbiancato, ora schiacciato, ora acidulo e, magari, qualche limite di estensione. Prendiamo, però, l’aria di Lucia (la famosa pazzia) cantata in italiano, lingua che la cantante non praticava assiduamente. Non siamo davanti ad una pazzia esemplare, ma cominciamo da una dizione chiara e scolpita senza difetti, un attacco dell’andante dolce e sonoro, al tempo stesso, che senza pretese di ampiezza e spessore tragico restituisce una Lucia commovente, bambina quel minimo che basta senza essere mai leziosa o peggio bamboleggiante nonostante la proposizione di una cadenza assai simile a quella di tradizione, migliorata solo da un buon trillo. E lo stesso può valere per l’esecuzione dell’aria di Norina in francese dove si possono ammirare il gusto e la misura oltre che ad un timbro di qualità migliore rispetto alle soubrette cui allora, come adesso, erroneamente affidata la parte.
I difetti ed i limiti sono assai meno evidenti in Traviata e perché la cantante è sostenuta da una direzione d’orchestra di grandissima esperienza e capacità e soprattutto nel repertorio francese dove la scena della morte di Antonia con la presenza di un diabolico Tibbett, è sostenuta con ammirevole facilità pur imponendo l’orchestrale all’infelice fanciulla un peso ed una ampiezza da autentico soprano lirico, quale Vina Bovy, soprattutto nel 1937 non era. Eppure nel 1948 quando non certo freschissima la Bovy incise con Cluytens Giulietta, la cortigiana esibì senza volgarità un timbro ed un accento che inequivocabilmente facevano capire che Giulietta esercitasse il “mestiere più antico del mondo”
Ascolti Fanny Heldy
Manon: “je suis encor toute etourdie”, 1928
Manon: “Obeissins, quand leur voix appelle”, 1923
Manon: “Adieu, notre petite table”, 1929
Manon ” duo de St. Sulpice Toi! Vous!! con Ansseau, 1928
Manon: “Suis-je gentile ainsi?”, 1923
Carmen: “parle-moi de ma mére” con Ansseau, 1928
Thais duo de l’oasis con Journet, 1928
Faust Trio finale con Ansseau, Journet 1931
Louise ” depuis le jour”, 1930
Traviata atto 3^.” Adieu tout ce que!” 1929
Traviata atto 1^:”Quel trouble..folie! folie!” 1930
Grazie! Molto istruttivo. Però ci fa vedere QUANTO siamo nella m…a oggi!