Lucia di Lammermoor alla Scala. Una Lucia da ouratori

Lucia2014Negli oratori lombardi, all’avvicinarsi del Carnevale, era tradizione mettere in scena con compagnie amatoriali, neppure filodrammatiche, ora testi comici vernacoli come l’epopea di Tecoppa o “La class di asen”, ora parodie di testi teatrali famosi. Talvolta si proponeva anche la parodia di  melodrammi celebri ed uno dei più parodiati era la Lucia donizettiana a partire dal titolo, che veniva storpiato in Lucia di Laversmort (Lucia dalle labbra smorte). Sulla carta e sul cartellone lo spettacolo dell’altra sera era l’originale del genio bergamasco, ma l’esito e’stata una rappresentazione da oratorio . E preciso non l’oratorio d’una delle dieci più ricche parrocchie della Diocesi, ma di una piuttosto scalcagnata ed in male arnese.
Tutto da fischiare e tutto da riprovare ed aggiungo a maggior ragione, perché quinci e quivi per il mondo in questi ultimi anni, dopo la Lucia del 2006 che vide l’addio al ruolo della Devia, il titolo donizettiano ha conosciuto, uno dei pochi, esecuzioni di ben più alto livello. Dai proclami altisonanti di Lissner sul progetto Barenboim Netrebko ( tipo Karajan Callas …!) siamo arrivati a furia di passamani di tenori e soprani a questa produzione priva di qualunque ragione di esistere.
Tutti, nessuno escluso: direttore, compagnia di canto, coro, orchestra, allestimento, direzione artistica e parte del pubblico, che non ha alzato la testa davanti all’ennesimo oltraggio all’autore, alla propria dignita di spettatore pagante (il biglietto) e sponsorizzante per mezzo delle tasse questo spettacolino parrocchiale, partorita dalla cultura, mente e fantasia di soggetti cha da tempo, privi di idee, proni ad idee altrui, svendono un pezzetto del nostro paese. E lo scriviamo proprio con dolore e rammarico perché la cultura è il vero patrimonio, la cassaforte del nostro paese, che svuotiamo e dilapidiamo.
Stupisce che l’orchestra pesante, greve, piatta ed imprecisa che ha accompagnato questo paradigma del Romanticismo in musica sia la stessa che la sera prima  ha suonato il ben più difficile Mascagni con eleganza, rotondità, morbidezza di suono, precisione di attacchi, colori. Tanto per documentare il lugubre preludio all’opera piatto e meccanico, l’imprecisa (soprattutto da parte dell’arpa che ne è strumento solista) introduzione all’ingresso di Lucia, il clangore al quadro del matrimonio (con il coro davvero al minimo) gli attacchi imprecisi sia all’ingresso della folle Lucia che alle tombe dei Ravenswood, dove si consuma il dramma d’amore.
Degno compare di questa orchestra il coro metronomico e meccanico ai cacciatori del primo quadro, fragoroso al matrimonio, pesante alla pazzia si nel “ah quella destra” che nel sostegno al canto della impresentabile protagonista.
Stupisce . e lo ripeto- perché solo la sera prima nella ben più difficile Cavalleria orchestra e coro  sono stati impeccabili anche in passi tutt’altro che facili come la sortita di Alfio, eseguita integralmente.
Ma l’errore per certo sta in buca ad opera del direttore e concertatore Pier Giorgio Morandi, scritturato dalla oculata dirigenza scaligera, che da anni nel repertorio pre verdiano ( quello che con marchiano errore chiamano Belcanto) ha solo effettuato scelte pessime o mediocri.
Ai direttori di questo repertorio si chiede di creare le atmosfere che introducono ogni scena e di calibrare lo stacco dei tempi sull’esigenze drammaturgiche e le difficoltà di scrittura vocale. Ovvio ier sera nulla di tutto questo. Pesante l’introduzione di ogni quadro, senza colori e senza afflato la descrizione  dei luoghi (la landa brumosa del primo quadro, la tempesta alla scena della torre) o dello stato d’animo dei personaggi (le tombe dei Ravenswood) o del carattere dei personaggi (Lucia nel giardino).
Una chiosa poi circa tagli e accomodi, assolutamente a casaccio perché i soli da capi proposti sono stati quelli delle arie dei protagonisti, scorciate le agilità della coda del “Quando rapito” e le agilità cromatiche di “il pallor”  tagliuzzata la sfida (ma fa fino e culturale farla, anni ’50 ometterla e allora facciamola per sunto), sino all’intera scena finale abbassata, senza che la scelta consentisse risultati espressivi che la giustificassero, se non quello di “provare ad arrivare alla fine”. Arrivare alla fine senza danni per i cantanti può essere anche buona regola, ma esige flessibilità e coerenza. Sto chiedendo troppo.
Ma il peggio appartiene al concertatore che ha “tirato via” il grandioso sestetto, passato sotto silenzio, senza senso del dramma che si compie, senza ampiezza ad un tempo troppo veloce e, soprattutto, l’aver accettato una compagnia di canto in toto impresentabile anche in un modesto teatro di provincia.
Dobbiamo censurare l’aver accettato una Alisa (Barbara di Castri, pochi anni fa proposta come Arsace agli Champs Elysées) che nella stretta del secondo atto emette tre la acuti ululati, un Normanno (Massimiliano Chiarolla) dalla voce bianca ed eunocoide, uno sposino Gatell ( anch’esso proposto e non per brevissimo tempo quale prima parte) che annaspa nel cantabile dello sposino e sparisce negli assieme.
Dovremmo tacere, ovvero applaudire ed accettare la proposta del teatro davanti ad un Raimondo (Sergey Artamonov) dalla voce che non si capisce a quale corda appartenga, che si confonde con il baritono (modello di canto ingolato e suoni artificialmente scuriti) privo dell’ampiezza, legato e gravità che il carattere impone. Quanto, poi, a Massimo Cavalletti, la qualità della prestazione è quella del titolo. Ed offendiamo la nobile istituzione di Filippo Neri. Tralascio gli urli indietro e stretti in gola degli acuti (compreso il sol di tradizione al “fulmine”) ma non si può neppure in un teatro decente proporre un cantante che non sappia cantare privo di proiezione e di suono, colore ed accento, che farfuglia le poche superstiti agilità della cabaletta, malamente scorciata, e della sfida. Che cosa succeda dal re acuto in su è cosa che difficilmente si può descrivere e che sopportare è impegnativo.
3223Rimangono in fine i due protagonisti , e qui dalla padella alla brace. Potrei liquidarli dicendo che in quaranta quattro anni di Lucia non ho mai sentito un peggior “Verranno a te sull’aure”, e chiudere dicendo che certe prestazioni hanno il solo potere di stendere al tappeto il pubblico e fargli agognare la fine dello spettacolo che è, poi, quanto direttori d’orchestra, direttori di teatro ed agenti sognano per poter continuare, finchè dura, in questo mal sistema.
Albina Shagimuratova ha la voce della soubrette. Si differenzia una soubrette da un soprano leggero nel colore, nel timbro chiaro, puntuto e penetrante, che per il limite di natura può solo affrontare personaggi privi di spessore drammatico e monocordi. La soubrette è una categoria particolare che può essere applicata a determinati ruoli, negata al repertorio belcantistico. La soubrettina da provincia russa servitaci ieri sera ha fatto a pezzi Astrifiammante, ha stonato per tutto l’arco della serata in qualunque frase  di una certa durata, pure spezzettata rispetto alle indicazioni di spartito (un capolavoro di antimusicalità la variante di tradizione alla cabaletta della pazzia, che prevede si bem, trillo e frase successiva legata qui eseguita con fiato, acuto, nuovo fiato, trillo, fiato e frase successiva), suoni fissi in tutta la zona medio acuta, aperti e bianchi ad imitazione della cantante verista in quella medio-grave, sopracuti spinti e filiformi, oltre che stonati (do diesis inserito al quando rapito in estasi  ed i due mi bem della pazzia), eseguito una versione semplificata della già semplice cadenza della Toti e Paolantonio.  Con queste pesanti zeppe di personaggio, realizzazione del carattere, interpretazione non è neppure il caso di provare a parlare neppure per dire che abbiamo sentito una bamboleggiante Lucia, come  quelle delle colorature. Protesta obbligatoria da parte di un teatro che non sia adeguato alle grandi agenzie e fischi da parte di un pubblico con un minimo di indipendenza ed autonomia.
Ovvero il trattamento che merita l’estroverso, esteriore, gigioneggiante Edgardo di Vittorio Grigolo, che canta come un dilettante, senza armonici e colori, gesticola come l’attor giovane di una filodrammatica, corre per il palcoscenico come Gianburrasca e quando canta con voce gonfia e scurita artificiosamente (in altro post qualcuno adombra l’amplificazione)  non si esime dallo spezzare tutte le frasi perché il fiato non basta (sulla tomba che rinserra), non lega (“Verranno a te sull’aure”) e pasticcia le quattro quartine della sfida, parla e declama isterico la maledizione ( dove furore, ampiezza e grandeur da eroe romantico appartengono anche a tenori solidi come Jagel, Garaventa e Labò per non citare i divi) e a straziare il finale dove il pur pietoso abbassamento non lo esime da un recitativo piatto che sarebbe stentoreo se ci fosse la voce e la stessa  non fosse afona, da un cantabile senza colori ed ispirazione e da una stretta di cui canta con fatica il primo enunciato, accenna la ripetizione e stiracchia l’ultime ripetizione di “Bell’alma innamorata”. Insomma, eravamo a metà strada tra X Factor e Amici della de Filippi.
Rimane un allestimento infarcito di buffonate inutili e gratuite ( cassato lo stupro incestuoso del secondo atto ) come il fantasmino dell’ava che appare a Lucia e guida la mano suicida di Edgardo , maldestramente copiato dal Tim Burton di “The corpse bride”, la coperta stesa da Edgardo dopo che l’ha indossata in stile Capucine alle sfilate di Chanel, la foto ricordo del matrimonio durante il tragico concertato,  che, con assoluta mancanza di buon senso e senso della corretta gestione, la dirigenza scaligera è andata a noleggiare sino a New York, con tutte le belle Lucie italiane ancora utilizzabili ( a cominciare dall’ultima semplicissima del San Carlo ). Tanto paga sempre Pantalone! Esperienze del genere fanno passare la voglia di andare all’opera.

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32 pensieri su “Lucia di Lammermoor alla Scala. Una Lucia da ouratori

  1. Avrei voluto vederla questa Lucia: è una delle mie opere preferite!
    Riguardo al cast, non capisco perché non hanno scritturato la Pratt (almeno per più recite, se non al primo cast) e la Mosuc. Sicuramente ne sarebbero uscite meglio.
    Lo stesso per Meli, Beczala, Jordi o anche lo stesso Pretti relegato al secondo cast per solo 3 recite.

  2. Noto che e’ piaciuta molto anche a te questa Lucia,
    Donzelli! Sono praticamente d’accordo su tutto,
    ma avendo ascoltato solo la generale aggiungerei,
    e la Olivia che era con me me lo conferma, che tre
    giorni prima, la Signora Albina era fissa anche nei centri.
    Ma fissa da far invidia ad una Lezhneva, sai?
    Ho inoltre ascoltato la peggior Alisa della mia vita, e
    proprio qui’ non riesco a capire. Non capisco nel senso
    che, passi per i ruoli principali i quali, dato la spaventosa
    crisi della vocalita’ odierna, son difficili d’ affidare a
    qualsivoglia soprano, tenore e baritono, ma Santa
    pazienza, e’ mai possibile non trovare una studentessa
    che eviti di emettere quelle urla agghiaccianti nel
    concertato? Ma insomma, manca proprio la volonta’
    del ben lavorare. Ma dove cavolo le tiene le orecchie
    questo Morandi? E questo Artomonov, che emette
    dei rumori, il peggiore basso dell’anno solare, superiore
    soltanto a quell’innominabile caricatura che canto’ Filippo a
    Salisburgo la scorsa estate, ma nessuno gli dice niente?
    Il Gatell era senza voce, quell’altro che cantava Normanno
    era senza fiato, E Cavalletti e’ finito ancor prima d’aver
    cominciato. Pietosissimi veli stesi sui protagonisti,
    ma purtroppo c’e’ poco di meglio in giro.
    Spero nelle recite con il secondo cast.

  3. Non ho visto questa edizione, ma non mi meraviglia la critica più che severa, atteso che ormai nei teatri lirici canta solo chi fa capo ad alcune Lobbies.
    Già son pochi gli interpreti bravi e se non li fanno neppure andare in scena, vuol dire che siamo alla frutta.
    E’ la prima volta che scrivo in questo Corriere. Faccio i complimenti a tutti quelli che lo fanno da tempo. Mai commenti compiacenti, mediocri, conformisti. (Dicunt…).
    Ad maiora! Rino.

  4. riporto quanto scritto nel post di qualche giorno fa su grigolo vs. altri tenori:

    accidenti ho vissuto un viaggio nel tempo… ho seguito alcune prove e l’antigenerale; la sera di giovedì sono entrato in teatro pensando di ascoltare un’opera del 1800 e mi sono trovato di fronte a una maialata pseudoveristica… MAH. Mi e’ piaciuta la regia (poca fantasia nell’ultima parte, ma le prime scene erano bellissime), il soprano dignitoso, grigolo il solito guitto che nei momento clou si spinge sulle punte dei piedi come bolle (ma bolle balla e grigolo non canta…), il resto passa e va.

    Sono curioso di sentire il secondo cast, che potrebbe dare prova di un minimo di aderenza alla partitura (malgrado la lettura orchestrale). Ad maiora!

  5. Non ho visto ne ascoltato questa Lucia, ne intendo vederla. Mi ricordo di spettacoli contestati anche in tutte le recite (es.Idomeneo del 1981) ma erano contestazioni per la mancanza di Pavarotti; non per la qualità dello spettacolo.Solo un Anacreonte con la Gasdia fu buato per la superficialità del canto.Allora i dirigenti avevano il coraggio di dimettersi.Oggi abbiamo un sovrintendente e direttore artistico che sa solo aumentarsi lo stipendio, rendendosi ancora più ridicolo. Speriamo se na vada al più presto.

  6. buona sera.
    e quindi naufragio è stato…………..
    Vi leggo mi date conferma delle mie povere impressioni della prova generale: dunque niente preludio fosco e misterioso al primo atto,niente brani descrittivi, niente brani ad andamento concitato, niente brani malinconici o nostalgici, ma allora dove è finito Donizetti e i suoi segni di espressione?, Lord Enrico si è smarrito da subito: niente gioco di tinte e di accenti,scarsi attacchi precisi , nessun temperamento drammatico, nessuna vibrazione di sdegno da parte del baritono; in “cruda funesta smania” dov’è l’uomo furente? e via dicendo.
    Il coro forse un po’ troppo smunto e sonnacchioso ( direbbe Celletti), ma la causa è da ricercare altrove ; il soprano non prova neppure ad inventarsi una aura da soprano drammatico di agilità, avendo pochissimo del soprano drammatico e ancor meno del soprano di agilità, flebile e monotona nei recitativi, fa sfoggio di qualche raro picchiettato ma poi manca di mordente e di espressività ; il tenore, come Malipiero , non ha un gran volume nè un timbro sopraffino ( fuori luogo i bravo da alcuni palchetti), ma non dispone neppure di una mezza voce suggestiva nè di un fraseggio vario ed elegante, per tacere della dizione, che qui’ dovrebbe essere invece eccellente.
    e Raimondo? secondo le intenzioni del compositore dovrebbe avere nella voce virtu’ consolatorie e afflati di commossa pietà ( cito): non li ho sentiti, e questo basta a dimenticarlo persino nel nome.
    Non inorridite : per superare la delusione al rientro dalla generale non ho scomodato nessuna prima donna, ho recuperato in archivio i vinile con Wilson, Poggi,Colzani,Maionica, CAPUANA, e sono tornato a sorridere.
    grazie a tutti per la attenzione e buona notte serena a ciascuno.

  7. Caro reverendo, posso solo dire….amen! Ho visto la prova pure io con fleta e olivia. Guardi, non so se era peggio il gattino russo miagolante che ogni tanto faceva bollire l acqua de the piiiiiiiiii oppure l ‘ imitatore di rita pavone. Certo, al sestetto, tra la vocina da pernacchia di gatell, i versi della di castri, i buff buff del baritono, la coppia dell anno e il prot prot della buca, pareva tutto surreale.la mandelli si e’ messa le mani nei capelli, mi ha guardato e mi ha ingiunto….di’ ‘ na got!!!!! Poi si e’ accasciata in avanti dicendp…mama mama mama…….eh!!!

  8. Sono molto tristi e sconfortanti le vicende di quest’ultima Lucia scaligera. E non solo per ragioni artistiche.
    E’ triste che uno dei titoli più rilevanti del particolare romanticismo musicale italiano non abbia suscitato interesse nel pubblico e negli addetti ai lavori (nemmeno la diretta radiofonica è stata predisposta).
    E’ triste che un tale capolavoro venga trattato con superficialità e faciloneria, come fosse un titolo di serie B infilato in una stagioncina estiva: un allestimento riciclato, un cast raccogliticcio, un direttore scelto al ribasso. Come se non valesse la pena fare un piccolo sforzo in più. E capisco che Lucia è opera di repertorio, ma proprio per l’importanza – e la ricca tradizione esecutiva locale – avrebbe meritato di più. Se un grande teatro – come dovrebbe essere la Scala – rinuncia all’ “evento” per la routine (in questo caso, credo, piuttosto bassa) allora davvero non trovo dove sia l’eccezionalità del teatro milanese rispetto all’Aslico e perché meriti un così cospicuo drenaggio di soldi pubblici.
    E’ triste assistere al ribasso delle aspettative e dell’offerta: partito come progetto Barenboim/Netrebko si è trasformato in una recita da paese con interpreti da provincia. Non che avessi mai creduto alla possibilità di ascoltare una Lucia di Barenboim (per fortuna, forse), ma qui siamo- e mi scuso per la trivialità – “partiti per una trombata e tornati con una pippa”…
    E’ triste anche il ritorno a tagli e tagliettini che, se 40 o 50 anni fa erano pienamente giustificati da ragioni storiche e di gusto, oggi stonano: passi per i “da capo” (anche se si snatura il genere e si impedisce – di fatto – all’interprete di svolgere con compiutezza il suo ruolo), ma l’omissione delle code orchestrali e i tagli interni sono intollerabili. La scena della torre è oggi giustamente irrinunciabile: è musica splendida, ha una funzione drammatica fondamentale ed era tagliata solo per ragioni divistiche…che senso ha “scorciarla”????

    • Ho notato anch’io che questa produzione non sembra interessare molto il pubblico, infatti sul sito della scala ci sono state decine di biglietti sempre disponibili (se non centinaia, per talune recite). Forse dipende anche dalla sostanziale concomitanza del Trovatore (ad esempio la prima del Trovatore è il 15 ed il 16 c’è una rappresentazione della Lucia)…. per l’opera verdiana, invece, i biglietti sono andati bruciati fin dal primo giorno.

    • Caro Duprez, almeno su Lucia siamo d’accordo in toto!
      Si parla, spesso e giustamente, di come siano le case discografiche e la pubblicità a costruire i “miti” del canto odierno, ma non si parla abbastanza di quanto le stesse (complice anche tanta musicologia ideologizzata) indirizzino i gusti del pubblico. Altrimenti perché disertare un capolavoro come Lucia? Mi torna in mente un Elisir a Firenze con il teatro semi-vuoto… sarà un caso?

  9. Quel che scrivo centra poco con Lucia, o forse no.
    Mi pare fosse il 5 novembre 2013 allorchè mi trovavo a Milano nei pressi della Scala. Ho avuto la sventura di trovare un biglietto a 12 euro o giù di li. Davano l’ Aida. Letto il cast ho detto tra me e me: “sperèm” e sono entrato, salvo andar via a metà del secondo anno.
    Cantanti SCHIFOSI, inetti, incapaci. Si muovevano come marionette e cantavano come se avessero un registratore in gola.
    Senza perdermi in rilievi tecnici (non basterebbero 100 pagine per farlo…) dico solo che è SCANDALOSO mettere in scena di tali turpitudini in un teatro lirico di questa tradizione.
    Ma ne vogliono la morte o che cosa altro? Proporrei un assalto alla diligenza…

  10. Io guardo dall’ esterno la situazione della Scala e mi vien da ridere: se questi avessero guidato il Titanic, secondo me manco ce l’ avrebbero fatta a uscire dal porto.

    Peggio: non ce l’ avrebbero nemmeno fatta a centrarlo. L’ iceberg. Uscendo così dalla Storia senza lasciare tracce o memorie.
    Nemmeno buoni a finire in tragedia.
    Solo farsa.
    A costoro non resta che esibirsi in un Burlesque sperando che il pubblico tiri loro contro solo frutta e verdura sufficientemente marcia: essendo questa più molle, fa meno male all’ impatto.

  11. piu’ o meno le stagioni della Scala hanno sempre avuto alti e bassi. Invecchiando s tende sempre a ricordare le cose migliori dei tempi passati quasi a voler competere per vincere l ‘ ambito “Don Bartolo” d’oro

    • buon giorno, si’ certo è vero, è vero, m’è noto! direi parafrasando ARTURO: se abbiamo pochi soldini per fare LUCIA allora facciamo in modo che l’occasione sia colta per affidare l’orchestra a un giovane direttore da testare, salviamo il lato musica della direzione e concertazione e poi perchè solo due anni fa al Regio di Torino ho assistito, ed era l’ultima replica, la meno motivata, ad una dignitosissima lucia, certo piu’ sobria e povera nell’allestimento ma con una orchestra che vibrava; credo che anche li’ in carenza di fondi abbiamo privilegiato il discorso musicale e si siano messi al sicuro con Campanella. La Scala potrebbe secondo me cogliere l’occasione per testare il nuovo; ricordo diversi anni fa, molti, in un teatro della Liguria una ripresa di Don Giovanni, affidata ad un giovane direttore , rimasto poi poco conosciuto, ma per il quale lo stesso Balloli spese parole di schietto apprezzamento su L’Espresso. Alla Scala non si sente da un pezzo dirigere il maestro Carella. Eppure so che ha lavorato bene dove è stato chiamato. Forse dovremmo recuperare un po’ di sano e conslidato artigianato nel fare musica, mentre si passa dalle stelle rare al ” forse va”.
      insomma a mio avviso una occasione perduta per osare veramente e non ripiegare sul ” accontentiamo i turisti”.
      Come sempre grazie per la attenzione e buon fine settimana a ciascuno di voi.

    • Però Alberto c’è un “però”: giustamente si tende a ricordare il meglio, ma Lucia dovrebbe essere un titolo da “evento”, non uno spettacolo dall’orizzonte provinciale… Quanto ai premi: non esiste solo il “don Bartolo d’oro” ma pure il premio amplifon..

  12. ma quello e’ il premio per chi ha veramente i timpani bucati dall ascolto dalle note cantanti superdotate o da un decennio d berci nibelungici e non sa piu’ apprezzare quel tanto d oggettivamente valido eseguito dai pesi piuma.

  13. Oggi sul quotidiano il Giornale vi appare un articolo a firma Giovanni Gavazzeni dal titolo: Alla Scala successo a metà; Lucia è un opera per grandi direttori. ….Albina Shaghimuratova (Lucia) soprano di indubbie qualità vocali….Edgardo era il focoso tenore Vittorio Grigolo:generoso e palpitante attore, dicitore ai margini della selvatichezza…..e finisce con queste frasi: Lucia è opera per grandi concertatori.Lo insegnano i precedenti scaligeri da Faccio aToscanini, da Marinuzzi a Karajan a Claudio Abbado….

    Vorrei un vostro commento a tale…(no coment) Grazie

  14. Dico anch’io la mia sulla Lucia scaligera. Di tutti i post sin qui pubblicati in relazione all’ultima Lucia scaligera, trovo quello di Otto (sul secondo cast in particolare) piuttosto equilibrato. La regia e le scene (direi scena della pazzia a parte) erano godibili e il clima da film gotico anglosassone ben ricostruito. La direzione di Morandi era davvero come minimo “tardo romantica”. Complice un’orchestra di proporzioni insolite e pur non brillando di particolare fantasia, il nostro ha fatto suonare bene archi e creato impasti e dinamiche interessanti. Le precedenti direzioni (Maag e Ranzani) erano inferiori (legnosa l’una, noiosa l’altra). Patané aveva provato pochissimo e della sua direzione non ho un ricordo particolare. Roberto Abbado era stato superiore a Morandi ma non di molto. Questo direttore, che avevo apprezzato in Macbeth la stagione passata allorché Gergiev gli passò la bacchetta, è il classico direttore che, come Rustioni, viene preso di mira da coloro (dotati da madre natura di indole aggressiva superiore alla media) che sono portati ad essere forti con i deboli. Morandi non ha grande fama, ma in realtà é ne meglio ne peggio di tanti altri direttori ed é comunque solido professionista. Veniamo ai cantanti: Albina Shagimuratova: non è una “soubrette” come sostiene dd, anzi ha una voce chiara ma piuttosto sonora. Lei tende a cantare sul fiato, sfortunatamente i fiati e la cavata complessiva non sono il suo forte. Per cui riprese di fiato frequenti e anche rumorose. Linea vocale che nella zona bassa spesso si spegne per mancanza di fiato e di spessore. Nel medium solo le note staccate sono degne dell’acrobata come sostanza ma risultano inespressive. Facili invece i sopracuti (qualcuno invero assottigliato ma comunque efficace). La dizione è buona, ma l’interprete è priva di comunicativa e risulta forse la più gelida Lucia di un certo valore che ho mai ascoltato in vita mia. Gli applausi ricevuti (pochetti ad onta della buona qualità del sopracuto conclusivo) dimostrano rispetto ma non coinvolgimento del pubblico. Vittorio Grigolo (come fu Poggi o il primissimo, Cupido quello per intenderci della Maria di Rudenz o di Rinuccio) è un cantante bidimensionale, tuttavia ha idee chiare, sfuma e si impegna molto. Il baritono Cavalletti non è un fulmine di guerra ma la sufficienza se la conquista con qualche bell’acuto: zona acuta che a onor del vero come acqua e olio non riesce a emulsionarsi al resto.-
    Ho ascoltato il live della recita del 16.2 (secondo cast) e ho trovato Cavalletti peggiore che alla mia recita. Una Pratt nel complesso più che sufficiente: buona nel registro acuto e con quel misterioso vuoto di volume che si riscontra nella zona media (che, Grisi non smentirmi; c’era un po’ anche nella Lucia di Venezia eseguita in piena forma) e che nell’Africaine era più evidente. Pretti infine: non è male e ho voglia di sentirlo dal vivo. E’ un tenore piuttosto completo ma sembra relegato ai secondi cast perché privo di un timbro accattivante, costantemente intimorito dagli attacchi (che Franz 75 definirebbe eseguiti da un mediano di spinta piuttosto che da un centravanti), e scarsetto di fantasia.-

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