Due grandi Winterreise

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In vista di ben due serate scaligere nel giro di un mese e mezzo, in cui due dei più celebri cantanti odierni eseguiranno la Winterreise schubertiana (come se il repertorio liederistico si limitasse a quello…), vi presentiamo due esecuzioni classiche della Winterreise, sia nella chiave tenorile che in quella baritonale. Il tenore Peter Anders ed il baritono Gerhard Hüsch ci propongono due approcci interpretativi abbastanza diversi: il primo risulta più distaccato nell’accento, mentre il secondo investe un tasso emozionale più alto ed immediato. Sono invece quasi identici per quanto riguarda la loro “buona scuola” di canto. La franchezza dell’emissione, il suono educato e raccolto vanno insieme con un’esemplare limpidezza della dizione, il che dà quasi l’impressione che i due cantanti stiano semplicemente parlando, il “parlare” essendo inteso metaforicamente, come lo stato di una “seconda natura” a cui si arriva grazie alla combinazione di un’emissione franca, una dizione nitida ed un legato impeccabile e per questo quasi impercettibile come qualità autonoma. Il senso di naturalezza è inoltre rafforzato dall’assenza di qualsiasi affettazione esagerata, che testimonia un gusto musicale ed interpretativo molto più misurato di quello di tanti liederisti blasonati di oggi.

 

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61 pensieri su “Due grandi Winterreise

    • sono il peggior cronista possa esistere detestando la liederistica e ritenendo Fischer Dieskau un’ impostura. Me la sorbii tutta accompagnata dal sussiego del divo che non concesse bis perché il ciclo è perfetto (alla latina) e ne uscii traumatizzato e stravolto. Poi ci ho riprovato con Lotte Lehmann e ho capito la differenza fra una cantante storica ed una impostura E adesso si scatenano tutti…… Prendila per una boutade, ma prossima al vero
      ciao

  1. Mah!!!…Dieskau una impostura mi sembra esagerato. E’ un baritono che a me piace moltissimo per eleganza vocale e molto altro ancora. Proprio oggi ho ascoltato un Winterreise interpretato in età avanzata e mi pare che funzioni. Peraltro, se dici quello che dici, avrai delle ragioni, non condivisibili da parte mia, ma legittime dal Tuo punto di vista. Buoni ascolti.
    P.S. la liederistica non garba tanto neppure a me.

    • Ciao Lavillenie,
      A me invece la liederistica garba moltissimo,
      non mi garba se eseguita come la esegui’
      Fischer-Dieskau a Milano, in occasione del
      ciclo Schubertiano e neppure, sempre a Milano
      in altra occasione dove esegui’ un programma imperniato su Wolff, richiamando coorti di
      persone. Amando io molto la versione eseguita da
      Gerhard Huesch, postato da Pasta che ringrazio,
      per forza di cose, Fischer_Dieskau non puo’
      piacermi un gran che. Elegante? Certo! Pero’
      bisogna anche cantare, e bene, Lied o non Lied.
      Rimango curioso di sapere cosa sia il tuo
      “e molto altro”. Anche Panzera, Schumann e
      Lemeshev erano eleganti esecutori del repertorio
      liederistico Lavillenie, e cantavano pure bene. Certamemte se invece il termine di
      paragone si pone con l’ultima Winterreise
      pubblicata (con kaufmann), allora il celeberrimo,
      lo si ascolta con altro rispetto. Ciao caro.

  2. A me DFD piace nel repertorio tedesco (non lo trovo affatto un’impostura) e pure in certo Verdi germanizzato (splendido nello splendido Maskenball del ’51 diretto da Busch)…certo l’interprete è spesso manierato ed artificioso: pessimo – a mio gusto – nel Verdi in italiano (checché ne dica Celletti che riempie di elogi il suo Posa, il suo Falstaff e il suo Rigoletto). Ho però più di un problema coi lieder chiunque li canti: è un genere che non mi appartiene. Trovo invece opportuna la scelta di non fare bis dopo un ciclo compiuto come Winterreise perché non avrebbe senso: sarebbe come cantare il Brindisi di Traviata dopo il terzo atto di Parsifal.. Detto ciò il mio Winterreise preferito è quello Hotter/Moore. In chiave tenorile non mi spiace Pregardien (accompagnato dal fortepiano in una dimensione più intima). Invece non lo sopporto interpretato da voci femminili

  3. io invece amo moltissimo Fischer Dieskau anche se quando venne alla Scala l’ultima volta (c’ero 1979) era in ottima forma ma super affettato. DD e Miguel avranno le loro ragioni, ma il successo decretatogli fu spaventoso ma non provinciale (io per esperienza diretta credo inferiore solo al recital della Sutherland ad Asolo e all’ultima recita operistica di Kleiber (Rosenkavalier a Vienna). Ha ragione DD che non tutti (me compreso) gradirono la mancanza di bis richiesto da mezza Scala a gran voce per un tempo molto vicino all’intera durata del ciclo.-

  4. Asp… avevo chiesto lumi sul Winterreise in Scala di DFD ed arrivarono fulmini. Ah ah…
    Come sempre accade, ci si spacca sui gusti musicali e sui giudizi. Grazie per le belle considerazioni fatte.
    Non mi spingo a confutare quelle che considero severe poichè i giudizi vanno accettati, anche se scomodi, visto che sono espressi da persone competenti. Rimango, però, dell’ idea che l’ eleganza, nel canto, rimane una prerogativa irrinunciabile, e DFD la esprimeva in maniera totale, come tanti altri grandi, dopotutto.

  5. Che Fischer Dieskau possa non piacere è più che comprensibile. A me difatti non piace particolarmente, come non piace qualche altro celebrato colosso del canto. Questione di gusti: quella del canto – fortunatamente – non è una scienza esatta. Ma sostenere che non abbia mai passato una suono corretto nella vita è francamente spararle grosse.

  6. Mah, Donzelli, si può dire di tutto; non c’è nessun problema. Io, pensa un po’, ho sentito dire perfino che l’operazione attraverso la quale Renzi è andato al governo è stata un’operazione “politica” correttissima, fatta per il bene del paese e magari anche per il bene di Letta; il quale, in maniera incomprensibile e ingrata, ha mancato di ringraziare. Quindi puoi tranquillamente dire che “la” Winterreise è una bischerata, che Fischer-Dieskau è un cane, etc. etc etc. Va tutto bene.
    Ciao
    Marco Ninci

  7. Dunque, vedo che la proposta delle due belle esecuzioni di Husch e Anders si è immediatamente tradotta in una discussione più o meno critica su Fischer-Dieskau: e in realtà la cosa non sembra fuori luogo, perché all’interno della pur breve presentazione della Pasta Dieskau risulta certo il convitato di pietra, in quanto principale padre nobile dell’attuale generazione di liederisti direttamente contestata. E del resto la Pasta lo aveva esplicitamente contrapposto a Lotte Lehmann in un ampio articolo a lei dedicato (http://www.ilcorrieredellagrisi.eu/2012/04/il-soprano-prima-della-callas-ventunesima-puntata-lotte-lehmann-parte-prima-la-liederista/). Siccome su DFD ho detto ampiamente la mia in passato, vorrei ora affrontare la questione proprio prendendo spunto da quel vecchio pezzo della Pasta (è parecchio che ne avevo l’ intenzione e se non lo faccio ora non lo faccio più). Premetto naturalmente che tutto il discorso è ad ampio rischio di generalizzazioni: la Lehmann non può certo essere eretta a rappresentante tout court del liederismo pre-Fischer-Dieskau (Husch ed Anders ad esempio appartengono a una generazione più giovane, e si sente), così come DFD non rappresenta l’unica “religione” del dopoguerra. E comunque, come ho già avuto modo di ricordare, Dieskau non si sentiva certo in posizione di contestazione ma anzi addirittura di venerazione nei confronti dei suoi predecessori.
    Detto questo, cara Pasta, io trovo meritorio che tu riproponga all’attenzione del pubblico questi interpreti, e trovo interessante e ricco di spunti il contributo che hai dedicato alla Lehmann. Ma proprio per questo, e proprio perché vedo che sei un serio e professionale studioso (complimenti in ritardo per il riconoscimento ottenuto a Bayreuth) non posso non dirti che in questo caso trovo la tua riflessione critica incredibilmente lacunosa. Come è possibile imbastire un discorso così approfondito come è nelle tue intenzioni, proporre gli ascolti della Lehmann che tu proponi, e non menzionare per nulla, almeno incidentalmente, il fatto che ci troviamo di fronte a una civiltà musicale stilisticamente lontanissima da quella del dopoguerra e attuale? Una civiltà cioè in cui l’attenzione e il rispetto nei confronti del testo musicale sono elementi secondari e in qualche caso irrilevanti rispetto a quello primario della performance? In cui, fra le altre cose, il senso dell’agogica e del rubato sono soggetti all’arbitrio dell’interprete in maniera oggi inconcepibile? Sia ben chiaro: io non ritengo affatto che questi elementi vadano condannati, ma semplicemente menzionati e magari un po’ esaminati, se si vuole tentare di fare un discorso storicamente sensato (anche se so che per alcuni qui l’antistoricismo è un valore). ln “Die Kraehe” la Lehmann esaspera l’ “Etwas langsam” prescritto da Schubert in una lentezza inaudita, e aggiunge ritardandi ancora più insostenibili: il risultato è splendido, folgorante, di una immobilità ipnotica. In altri casi il tradimento delle intenzioni dell’autore mi sembra approdi a risultati meno felici: nello schumanniano “In der Fremde” lo stravolgimento della ritmica originale della linea vocale distrugge il sottile incastro polifonico con la parte pianistica, che viene qui arpeggiata un po’ alla bell’e meglio. Ora, si badi, queste questioni sono intimamente connesse col discorso sulla vocalità che tu proponi, perché, come è ovvio, nella vocalità i tempi giocano un elemento primario: tempi di respirazione, di pronuncia, di tenuta di fiato. E quindi è chiaro che se puoi gestirti i tempi musicali come meglio credi, puoi anche dare ben altra priorità a un certo tipo di suono e alla “grana della voce”: per fare un esempio banale, la Lehmann in “Mainacht” non si fa problemi a semplificarsi la vita e a spezzare la lunga e insidiosa frase “und die einsame Traene rinnt” piazzandosi un bel respirone fra “einsame” e “Traene”, molto discutibile non tanto perché separa l’aggettivo dal sostantivo quanto perché distrugge la continuità di quella che è una tipica melodia lunga del Brahms cameristico-strumentale. Ma qui la grana della voce vince sulla musica, e tanti saluti. O per fare un esempio citato or ora da Donzelli, Jadlowker non si fa problemi a “schleppen” (trascinare) dal principio alla fine il piuttosto rapido “Erstarrung” per mantenere in posizione il suono. E sì, certo che è più semplice conservare la chiarezza della pronuncia delle consonanti tedesche mantenendo però primario il calore “musicale” delle vocali, se queste ultime te le puoi allungare a tuo piacimento. Per cui, cara Pasta, anche l’importanza che giustamente attribuisci alla Lehmann come attrice-dicitrice va intesa a mio avviso in un senso diverso da come intendi tu. L’attore in effetti ha un sistema di segni molto più limitato su cui basarsi rispetto a un cantante: ha un testo letterario da recitare, ma si può gestire con libertà quasi assoluta i tempi di recitazione. Bene, la Lehmann cantante si avvicina appunto ad un’attrice per la grande libertà con cui si gestisce i tempi della performance: una libertà che esplica con notevolissima e spesso efficacissima fantasia, ma con la quale viene ridimensionato (anche se certo non vanificato) l’apporto dell’essenziale intermediario fra testo letterario e interprete, il compositore.
    Qui Fischer-Dieskau viene spesso ricordato come sostenitore della pronuncia enfatizzata e “sovrarticolata” del testo poetico a scapito del canto, come padre del “declamato”, ma in realtà a Dieskau va storicamente riconosciuta prima di tutto una nuova attenzione verso la priorità del testo MUSICALE, con tutte le conseguenze che questo può aver avuto sul piano del canto, che piacciano esse o meno. All’interno di questo sviluppo del gusto e dello stile, interpreti come Husch e Anders vanno appunto visti come anello di congiunzione fra le generazioni di Jadlowker e della Lehmann e e i nuovi liederisti del dopoguerra.
    A scanso di equivoci, maggiore attenzione al testo musicale non significa affatto minore fantasia e maggiore self-control, per cui la generazione del dopoguerra è stata spesso e volentieri più teatrale ed “estrema” nell’espressione e nella scelta dei colori rispetto ai predecessori. Che poi qui ad alcuni queste sonorità appaiano sempre e comunque dure ed artefatte, è questione che come al solito attiene al gusto molto preciso in fatto di sonorità vocale che accomuna molti degli affiliati a questo sito. L’impressione molto chiara è che qui anche nel Lied alla fine interessino le solite cose: un certo tipo di emissione (che in realtà è l’”unica”, beninteso), una ideale equilibrata naturalezza del porgere , e insomma tutto quello con cui qui viene identificato il canto. Per cui un discorso potenzialmente estremamente articolato e complesso si riduce alla fine alla solita contrapposizione fra la “vecchia buona scuola” e la decadenza postbellica. Però siccome parecchi ammettono candidamente di non amare il genere del Lied, questi potrebbero forse tenere presente che, fatta salva la sacralità del gusto, raramente si esprimono giudizi intelligenti su argomenti che non ci attraggono e non ci interessano. Anzi spesso ci avviciniamo a un argomento che non ci interessa proprio grazie a elementi che sono vicini alla nostra sensibilità ma che in quell’ambito sono in realtà eterogenei. È assolutamente possibile che un detrattore di Verdi cominci ad interessarsene ascoltandolo eseguito da Kaufmann, o che qualcuno cominci a rivalutare Rossini ascoltando la Bartoli, proprio perché (al di là di quello che si pensi sul loro valore) sono interpreti che difficilmente potrebbero essere definiti verdiani o rossiniani puri… Traete voi le debite conclusioni :)

    • Ciao Idamante, e grazie della lunga ed argomentata risposta in cui, se capisco bene, mi stai rispondendo esclusivamente circa la Lehmann, perché delle lentezze esagerate non le sento né in Anders né in Huesch.
      Stai dicendo che Lehmann o Jadlowker rallentavano per potere mantenere il suono alto (e quindi esporre la grana della voce). Guarda che si può benissimo esporre la grana della voce e mantere l’emissione alta anche nel canto sillabato più veloce. Ad esempio: http://www.youtube.com/watch?v=RR8gwUTpU5M
      Poi sostieni l’idea di una certa fedeltà al “testo musicale” per cui certe scelte interpretative di una Lehmann sarebbero troppo “libere”, però ci aggiungi che quel che fà la Lehmann è di un impatto straordinario. Non vedo nessuna ragione per cui l’attenzione di Fischer-Dieskau dovrebbe necessariamente andare con il sacrificio della “buona scuola” di canto. Anders e Huesch, la generazione fra Lehmann e FD, lo dimostrano con chiarezza. Quindi, non vedo perché si dovrebbe attribuire qualche merito particolare al “sacrificio” di FD se la generazione precendente coglieva risultati identici (se non superiori) senza fare questo “sacrificio”. Sapevo che ci vuole il sacrifico del buon canto per essere espressivi – il discorso germanofilo che si fa intorno a Wilhelmine Schroeder-Devrient docet – ma non sapevo che fosse necessario sacrificare il buon canto anche per essere fedeli al… testo musicale….
      In generale, ho problemi con la tua concezione del testo musicale, per quanto lo astraggi troppo violentemente dalla sua unione con la performance. Il lied mica è Das Wohltemperierte Klavier…

  8. Anch’io ascoltai il sussiegoso DFD alla scala e se non erro era accompagnato da Sawallisch. Una serata che mi parve monotona e quasi noiosa, e che per l’appunto fece sgorgare una irresistibile richiesta di bis (non ripetizione) nella speranza di qualche cosa di”appetibile” alle nostre orecchie. Spiace che dopo quella serata non tornasse almeno il Sawallisch.

  9. Cara Pasta, evidentemente malgrado la lunghezza della mio intervento non sono riuscito a farmi capire su diversi punti salienti. Non c’è dubbio che partiamo da ottiche molto diverse, ma mentre la visione tua e di questo sito è ormai chiara a me come all’universo mondo, le mie capacità argomentative non sono evidentemente in grado di fare intendere come le cose possano eventualmente essere viste in un altro modo. Pazienza, non ho speranza di migliorare d’un tratto e di spiegarti meglio la mia posizione, tuttavia per amor di chiarezza ti risponderò punto per punto, anche per lasciare all’eventuale lettore terzo qualche elemento di giudizio in più. Dopodiché valuterai anche tu se proseguire oltre una discussione che probabilmente potrebbe a questo punto risultare sterile.

    1) Io non ho detto semplicemente che la Lehmann e Jadlowker rallentano per tenere la posizione del suono. Ho detto che nella generazione di cui la Lehmann è una delle massime rappresentanti la concezione del rispetto del testo musicale in generale, e del tempo in particolare, è estremamente elastica, e subordinata alle esigenze sia tecniche che espressive dell’interprete. Questo comporta non solo rallentamenti ma anche eventuali accelerazioni in passi scomodi o in frasi lunghe (come è noto nel rubato la velocità si diminuisce ma anche si accelera), prese di fiato abusive opportunamete collocate, ed eventualmente, all’interno della parola tedesca, l’allungamento di vocali per natura brevi (il ché non implica un rallentamento ma semplicemente un diverso rapporto fra vocali e consonanti). Con questo non ho voluto esprimere un giudizio di valore ma semplicemente una fondamentale constazione di fatto, che nel tuo resoconto mancava: ho quindi detto che oggettivamente la Lehmann è molto libera, non che è “troppo” libera. Anzi, sono il primo a riconoscerne la grandezza artistica, che può tuttora essere fonte di ispirazione, anche se non più di imitazione. Non è che io “sostengo l’idea di una fedeltà al testo musicale”, semplicemente prendo atto che all’epoca questa idea mancava completamente nel repertorio liederistico, mentre ora ne è un elemento imprescindibile, perlomeno come presupposto teorico. Questa è una constatazione storica talmente elementare che dovresti condividerla incondizionatamente con me: dopodiché potrai liberamente dire che rimpiangi il passato e asserirai con tutte le tue forze la necessità e la speranza di un ritorno all’antico. Io su questa strada non ti seguirò, perché non credo che la storia possa né debba tornare indietro, ma non sarò certo un acritico esaltatore del presente, e non mancherò di notare i non pochi casi in cui l’impostazione attuale produce risultati più poveri che nel passato.
    Riguardo poi all’ascolto proposto da Donzelli, ho rilevato che, lì sì, Jadlowker rallenta per tutto il brano, sembrando preoccuparsi unicamente di tenere il suono in posizione (e di prodursi in fiati fantasticamente lunghi): per il resto, devo aggiungere, c’è qui solo una totale e monocroma piattezza espressiva, a parte un paio di singhiozzi strappacore su “Schmerzen”. Tu mi ricordi che si può tenere il suono alto in posizione anche nel sillabato più veloce. Grazie, lo so, però non devi dirlo a me ma a Jadlowker, e a tutti quei cantanti recenti e passati che si sono sentiti sbraitare dal direttore “Nicht schleppen!” perché tiravano indietro preoccupati solo della loro emissione. Il punto è proprio che l’estetica dell’epoca differentemente da quella attuale consentiva tranquillamente queste soluzioni. Che però tu a mo’ di esempio mi porti il Figaro di Bruscantini, invece dei molteplici esempi di repertorio tedesco che potevi tranquillamente reperire, sinceramente mi fa cadere le braccia. Ho capito che qui si sostiene che il canto è uno ecc., ma almeno tener presente che un sillabato veloce italiano presenta problemi diversi di un sillabato veloce tedesco si potrebbe. Comunque fortunatamente Bruscantini non la pensava come te, perché pur essendo eclettico quant’altri mai, si tenne sempre saggiamente alla larga del repertorio tedesco pur essendovi quotidianamente a contatto per parte di moglie.

    2) Nel mio intervento mi sono concentrato soprattutto sulla Lehmann perché se non chiarisci qual era la sua posizione è poi impossibile cogliere il ruolo intermedio giocato da Husch e Anders. Non c’è dubbio che rispetto ai predecessori c’è qui un margine molto minore di arbitrio, però rispetto a Fischer-Dieskau siamo ancora in un altro mondo. Tu parli di limpidezza della dizione ecc., però avrai certo notato che la dizione Husch se la “italianizza” non poco, con allungamenti delle vocali brevi e sonorizzazione delle consonanti sorde (per cui: küssen diventa küüsen e in “sind erstorben” la D è sonora come in italiano, per legare meglio). Dici che non trovi lentezze esagerate? Ascoltati il “Nacht und Träume” di Anders, sicuramente il più “moderno” dei due, registrato già nel 1947: https://www.youtube.com/watch?v=vydVh9riZnk. Anders prolunga a tal punto il primo suono che il pianista Giesen per seguirlo deve protrarre la figurazione di accompagnamento, aggiungendo note…

    3) Mi attribuisci di aver detto che Fischer-Dieskau per l’attenzione al testo dovette sacrificare il buon canto, e questo mi lascia francamente basito. Mi sembrava evidente che quando ho parlato di “buona scuola” di canto dell’anteguerra stavo adottando il cosiddetto discorso obliquo: usavo cioè il VOSTRO tipo di linguaggio, in cui io, pensavo fosse chiaro, non mi riconosco. Pensavo di averlo già stradetto ma lo ribadisco: per me la vocalità di Fischer Dieskau e di altri suoi colleghi qui aborriti (Prey, Schreier, Adam) ha pari dignità alla precedente tradizione, pur discostandosene nettamente e inagurando una nuova tradizione del dopoguerra all’insegna del suono espressivo ma al contempo pulito, con poco vibrato, parsimonioso nei portamenti, ecc. Non è che questo tipo di sonorità è una “ricaduta obbligata”, un ripiego conseguente al rispetto del testo: è proprio un ideale di suono consapevolmente perseguito, che certo nel nitore del rispetto del testo ha un ideale pendant. Per quanto Fischer-Dieskau ammirasse Hüsch, certamente non avrebbe mai voluto coprire gli acuti all’italiana come fa lui (“WOS soll ich länger weilen”…). Se poi volete uno che contemperasse i nuovi ideali con un’impostazione tecnica più “universale”, rivolgetevi a Fritz Wunderlich.

    4) Mi spiace che tu abbia problemi con la mia concezione del testo musicale: che io lo astragga o meno dalla performance non sta a me dirlo, certamente non è nelle mie intenzioni, ma devo dire che per quanto riguarda il Lied la questione della performance è effettivamente cruciale. Il punto è che il genere nell’Ottocento NON era in effetti pensato in primo luogo per la peformance, e l’accostamento che in questo sito viene spesse volte fatto con la romanza da salotto italiana è storicamente errato e fuorviante. Più o meno da “An die ferne Geliebte” di Beethoven in poi il Lied si emancipa come forma d’arte autonoma, e diventa una sorta di “laboratorio personale”, di “diario intimo” dei compositori. Non esistendo all’epoca una tradizione di concerti di canto, la prospettiva commerciale era semmai quella della pubblicazione. Diversamente dall’opera in cui il ruolo veniva scritto PER un cantante, PER un certo tipo di voce, qui il destinario è in generale indeterminato a partire dal registro vocale. Lo stesso rapporto spesso citato fra Schubert e Vogl ne è indicativo: Vogl era baritono, ma Schubert scriveva i suoi Lieder in chiave di violino. La diffusione a livello concertistico del Lied avvenne grazie a Liszt e alle sue trascrizioni pianistiche. Quando poi si cominciò ad affermarsi il concertismo vocale, semplicemente non esisteva una tradizione a cui fare riferimento, per cui la situazione generale era abbastanza aleatoria. Un compositore “inattuale” come Hugo Wolf era inorridito dagli arbitri perpretrati dai cantanti ai danni dei suoi Lieder, mentre al contratrio Richard Strauss, l’”attuale” per eccellenza, li consentiva tranquillamente. La nuova fedeltà al testo di Fischer-Dieskau non ha quindi in effetti nulla di filologico, perché non c’era nessuna tradizione performativa originale da“ricostruire”: era in realtà un nuovo modo di ripartire da zero, di approcciarsi al testo concentrandosi sul contenuto musicale prima ancora che su quello vocale. Il tutto naturalmente finalizzato all’efficacia della performance. Non avevo mai pensato all’accostamento con Das Wohltemperierte Klavier, ma in effetti il richiamo è suggestivo per diversi aspetti: da una parte brani scritti per tastiera senza l’indicazione dello strumento specifico, dall’altra brani per voce ma non per un determinato regitro vocale.. In entrambi i casi il tentativo di rispecchiare il mondo a partire dalla piccola forma… Bella idea, bravo! :)

    Uhm…mi sono dilungato fin troppo…Saludos

    • Tornando al sillabato:
      Prendiamo “Die Rose, die Lilie” dalla Dichterliebe.
      Suzanne Danco: http://youtu.be/h58zuVfVr5g?t=2m2s
      Lehmann: http://youtu.be/rZdV1vg7jYE?t=2m3s
      Kipnis: http://youtu.be/qE1M1E5DpbI?t=2m38s (Mi sa che la registrazione è riversata un po male…)
      Fischer-Dieskau: http://www.youtube.com/watch?v=fj7GuUo9I18

      Adesso. Si può dire che Kipnis è un po troppo “operistico”, talmente si sente l’opulenza vocale. Pure io ne rimango un po disturbato. La Lehmann sembra già abbastanza vecchia ed è relativamente lenta. La Danco è elegantissima ed esattissima. Però una cosa li unisce tutti: NESSUNO di questi è costretto di produrre sussurri e nessuno è MUSICALMENTE IMPRECISO – stonato, disomogeneo, privo di legato e magro di suono – come Fischer-Dieskau. Scusa se parlo come un semplicione, ma qui le teorie e le teorizzazioni storiche finiscono. In che cosa consiste quella cura del testo musicale che Fischer-Dieskau avrà promosso difronte alla sua esecuzione di questo liedchen? La pronuncia del testo? Grazie, si sentono le parole anche nelle altre esecuzioni e con più “grana”.
      Ovviamente il tedesco ha bisogno di qualche aggiustamento rispetto alla vocalità italiana, ci hanno provato tanto ad unire questi due elementi, ma quello che si legge tra le tue righe è l’idea (normativa) di una perfetta pronuncia tedesca che ha assolutamente bisogno di un suo principio di emissione particolare. Certo che FD, Schreier o Adam erano consapevoli di quello che facevano. Con tutte le teorie che i tedeschi si sono costruiti, figurati se non ne sarebbero stati consapevoli… Ma il problema rimane fortemente ideologico. Tu fai intendere che una certa ricerca di una germanicità più autentica nel cantare il repertorio tedesco e sopratutto il lied ha conosciuto uno sviluppo storico-teologico con cui si è arrivati alla soluzione più autentica; che si è scaricati dal peso dell’italianità e degli operismi… Poi arrivano i fatti, arriva la performance, il lavoro materiale e le teorie incontrano qualche non piccolo problema.
      Mi parlavi del rubato e dicevi che oggi è inconcepibile l’uso del rubato come lo facevano prima. Se il rubato era una parte integrale della prassi esecutiva nel XIX secolo e fino alla seconda guerra mondiale, perché escludere che anche i compositori abbiano composto i loro pezzi avendo in mente quello spazio di libertà che il rubato consentiva all’esecutore senza che questa libertà fosse stigmatizzata di eccessi interpretativi? Dov’è allora il “testo musicale” come testo astratto, autosufficiente che detta delle leggi inviolabili e peraltro presuntamente più vicini alla “nostra” sensibilità estetica? (Quale vicinanza? chi l’ha stabilito? Lo svliuppo teleologico dalla Lehmann a FD?) Non resta che un’astrazzione che poi è anche contradetto dalla performance reale di un FD, il presunto apostolo di questo Testo Musicale.

  10. Imparo sempre molte cose dalla lettura dei “post” di questo sito. Però sostenere che Fischer-Dieskau è “un’impostura” a me pare come sostenere che la Cappella Sistina è stata affrescata da un imbianchino. Ferma restando la liceità delle opinioni. Un saluto cordiale a tutti.

  11. Probabilmente mi sbaglierò, ma io non chiederei mai a un tedesco il parere su una pizzeria italiana. Allo stesso modo , mi vien da pensare che se ai cultori del genere Liederistico (e io non son fra quelli) piace cosi tanto Fischer-DIeskau ci sarà pure una ragione…… (o sono tutti rincoglioniti?)

    • Perche’ sono state create categorie di ascolto che ti imoomgono di dire che luo canta bene e ti piace. Analogamente alla bartoli. 50 prima fd non avrebbe fatto carriera nella sua stessa germania. Veniamo educati all asxolto da postulati e categorie di nostra crazione, figlie di una concezione distorta di attualizzazione della musica. Se il tuo mondo e’ fatto janssen o di schlusnus, il signor fd non lo puoi sentire proprio. E purtroppo tutte le nuove categorie di ascolto, sempre di marrice tedesca o francese guarda caso, sono sempre state xontro il canto come lo intendiamo noi. C’e sempee alla base la geografia settecentesca del mcanto lirico, di come il canto degli italiani sia di fondo altro da quello francese, dai twdeschi che importano i cantanti ma apprezzano i cattivi cantori etc….Nell opera tutto e’ ancora come era in origine e la natura dei pubblici di fondo nemmeno l’universalizzazione del gusto tentatata dai disxografici …tedeschi….cambiera’. Gli italiani restano italiani. Se poi vogliono atteggiarsi ad intellettuali, come gli insegnano i teorizzatori tedeschi, si mettono a dire che fd equivale a panzera o a schlusnus etcc…Gli italiani amanoil canto e il canto e’ affare da pulcinella, l’arte invece e’ per i nipotini di hegel. A questo si riduce il dibattito, al non roconoscere al saper cantare la dignita di arte.

  12. Diciamo che demolire un assoluto fuoriclasse come Fischer – Dieskau rischia di togliere credibilità alle altre valutazione di merito ( per esempio a quelle meno peregrine di questa su Kaufmann e soci ) . Altra cosa è dire: bravo ma mi garba poco. Stesso discorso credo valga per il Winterreise. Purtroppo dopo 10 minuti di ascolto personalmente vengo travolto dalla noia. Ma non mi è mai passato per la mente di dire che tale musica non abbia valore. Ho imparato ad accettare l’idea che non tutto ciò che è universalmente riconosciuto come “bello” ed esteticamente degno possa piacermi o essere da me compreso. Dunque onore e grande rispetto per un artista del calibro di F-D e se a qualcuno non piace pazienza, normalissimo che accada .

      • credo che il Verdi di Fischer Dieskau inciso per la Decca (Macbeth, Don Carlo, Traviata) o il suo Rigoletto DG o lo Scarpia (Decca) sia tutto fuorché noioso. Ci sono soluzioni (alcune sottolineate anche da Celletti nel “Teatro d’Opera in disco”) assolutamente originali che io riascolto sempre volentieri. Ma scusate la fantasia nel canto ha un valore o no?

        • a parte che non stiamo parlando di opera, ma di lied – argomento che conosco poco e su cui, pertanto, non mi esprimo per evitare di dire scemenze – posso dire che il Verdi di DFD non è certo noioso, ma personalmente lo trovo sgradevole, lezioso, manierato, e spesso carica il testo di un’enfasi eccessiva nel tentativo “di rendere” il significato attraverso la parola, prescindendo però dalla prosodia italiana. Mi ha sempre stupito il giudizio di Celletti su DFD ed è stata una delle cause di ridimensionamento della sua critica ad altri interpreti (evidentemente detestati per altre ragioni).

  13. Per me, la vera grandezza di DFD, non è solo l’ eleganza, lo stile ecc. ecc., ma anche la versatilità. Va da se, però, che sia poco adatto alla musica verdiana. La sa fare perchè è un grande, anzi, il più grande (scusate la faziosità) ma altri baritoni, in quei ruoli, funzionano meglio…

    • scusa ti abbiamo citato solo gente che sta nell’empireo perché fd è al più alto livello dell’empireo…. se vuoi ti posso citare baritoni che non stanno lì ma che fd se lo mangiano per quadratura tecnica, gusto e capacità di fraseggio tanto per gradire sesto bruscantini, il cui marchese di posa è un milione di anni luce sopra quello di fd. Poi sono partigiano pure io e non lo nascondo sforzandomi sempre di motivare simpatie ed antipatie

  14. …sempre facile mitizzare chi non si é mai ascoltato dal vivo. Dimmi caro, ma che dico, carissimo Donzelli TRE volte che hai ascoltato un cantante dal vivo di cui ti eri già molto impratichito dall’ascolto dei dischi (cosa assai frequente ai “nostri” tempi) che almeno un po’ non ti risultasse diverso da come te l’eri immaginato.

  15. Sono in questo “Gruppo” da due settimane soltanto, ma apprezzo questo parlare cosi schietto. Grazie anche per gli indottrinamenti. LI ritengo davvero preziosi. In questa materia c’è sempre da imparare.
    Tornando alla base: Il Winterreise interpretato da HUSCH è davvero bello…

  16. Ho finalmente ascoltato le due Winterreise proposte in questa pagina. Che dire? Il tenore Anders e il baritono Hüsch, come è stato scritto, sono senz’altro di “buona scuola” per quel che riguarda la tecnica del canto. Ma per quel che riguarda l’interpretazione e l’accento per me non c’è dubbio che Fischer-Dieskau prevalga di gran lunga. Ma anche – per fare due esempi molto diversi tra loro e diversi da Fischer-Dieskau – Ian Bostridge e Hans Hotter riescono a comunicare molto di più. C’è da dire anche che, nei due ascolti proposti, i pianisti certo non aiutano; non voglio evocare l’ombra di Brendel o di Pollini mentre suonano, interpretando, con Fischer-Dieskau, ma i due che suonano con Anders e Hüsch si limitano ad accompagnare come eseguendo un compitino. In breve: due Winterreiste di “buona scuola”, va bene, ma privi di “anima”. Così almeno a me pare. Un saluto a tutti!

  17. detesto i lieder principalmente per la loro ritenuta superiorità culturale rispetto ad una romanza di rossini o di tosti ancora di più non sopporto la teoria di masturbazioni sull’ interpretazione del lied massime quando serve ad esaltare imposture e dilettantismo canoro di cui la voce candeggiata e spoggiata di bostridge è uno degli ultimi e più completi esempi. Siccome il lied si deve cantare e non eseguire con altri rumori e suoni diversi dal canto professionale certe esecuzioni non possono e devono essere accettate. Sarebbe assai più onesto, tralascio l’ antistoricità, dire che è un genere diverso dal canto e allora esigo i lieder di brandhauer

    • Libero ciascuno, evidentemente, di detestare ciò che gli pare e di accettare e non accettare quel che vuole. Non si tratta però, a mio modo di vedere, di vera o presunta “superiorità culturale” del Lied rispetto ad altro: è anch’esso, come una romanza di Rossini, pagina musicale, e come tale necessità di un’interpretazione che non sia mera “esecuzione”. Tutto qui quel che volevo dire (le “masturbazioni” teoriche, eventualmente, le lascio ad altri). E rilevavo che, a mio modo di sentire (che evidentemente non ho la pretesa che possa o debba valere per tutti) l’interpretazione di Fischer-Dieskau (e di altri, Bostridge incluso) mi pare d’altra qualità rispetto a quelle del tenore e del baritono proposti (e che peraltro ho acoltato con piacere).
      Un saluto cordiale.

  18. In questi tristi giorni, ho scoperto che il tenore
    Bostridge, oltre ad aver reso ridicola
    l’incisione dell’ Idomeneo mozartiano diretto
    da Charles McKerras, ed aver lasciato ai
    posteri la piu’ scandalosa compilation
    (secondo solo a Villazon) di arie haendeliane,
    si e’ cimentato anche con il ciclo schubertiano
    “Winterreise”. Ma sara’ proprio quel Bostridge
    la’? L’ho cercato su yt….era proprio quel
    Bostridge la’! Posto l’inizio :
    http://www.youtube.com/watch?v=DLsaSm5iG9o
    e la fine del celebre, per me meraviglioso Viaggio :
    http://www.youtube.com/watch?v=14j7btI_D4w&list=PL2FEA1645BA0A5D3B
    Buon ascolto.

    • Rispondo ai due carissimi, che mi han telefonato:
      Carissimi tutti e due, e’ ovvio che l’aggettivo
      meraviglioso si riferiva alla Winterreise e non
      a quel peto fatto tenore. Ehhh! ma che difficile
      stare al mondo! Dai ragazzi!!!! Sveglia!!!!

  19. Cara Pasta, credo effettivamente che sia meglio che interrompiamo qui, amichevolmente, il nostro scambio. Non certo perché non ci troviamo d’accordo: credo di aver già dimostrato di saper discutere serenamente con chi non la pensa come me. Il fatto è che nel tuo caso incontro davvero serie difficoltà a farmi comprendere. Tu capisci che se io mi impegno in un interminabile papiro cercando di delineare uno sviluppo storico e chiarendo ripetutamente che non sto esprimendo delle gerarchie di valore, e tu mi rispondi che “fra le righe” leggi un piano teleologico e un’idea normativa, i nostri margini di comunicazione non sono molto ampi. Del resto ricordo che in altra occasione, mentre discutevo con il clan grisino al gran completo dei miei gusti vocali, tu fosti l’unico a trarre dal mio linguaggio la curiosa impressione che in realtà Fischer-Dieskau e Schreier non piacessero nemmeno a me. Probabilmente se io ti dessi appuntamento a Milano in piazza del Duomo tu, deciso a non farti fregare, mi aspetteresti in piazza della Signoria a Firenze. Tu mi attribuisci delle teorie “ideologiche” che io non ho mai enunciato né pensato (necessità assoluta di una perfetta pronuncia tedesca, testo musicale autosufficiente e astratto che detta leggi inviolabili) e in realtà nei miei interventi non vedo tracce di teorie, a meno che la tua definizione di teoria non sia “discorso vagamente complesso”. Ti atteggi a pragmatico e mi fai far la parte del teorico, ma mi pare di esser sceso nell’esemplificazione e nel dettaglio concreto ben più di quanto abbia fatto tu nei tuoi articoli in questione: tu ci hai intrattenuto con Barthes e il geno-canto, io ti ho riportato alla musica e agli ascolti che tu stesso proponevi. Tu ci hai detto come la limpidezza della dizione di Huesch ricordi il parlato “il parlare essendo inteso metaforicamente, come lo stato di una seconda natura”: io, fuor di metafora, ho specificato quali siano concretamente le caratteristiche della sua dizione (allungamenti delle vocali e sonorizzazione delle consonanti), cioè per l’appunto un netto allontanamento dalla dizione parlata. Sei tu poi a teorizzare o comunque a stabilire che la dizione di Huesch è preferibile a quella di Fischer-Dieskau per il maggior legato ecc.: sei padronissimo di farlo, io ho semplicemente aiutato chi ci legge a capire i concreti elementi di differenza, che altrimenti non sarebbero stati altrettanto chiari.
    Per quanto mi riguarda non ho mai avuto difficoltà ad ammettere di sentirmi in generale più vicino alla generazione di Fischer-Dieskau: ma non certo per motivi ideologici o teorici, bensì di gusto e sensibilità. A livello di giudizio di valore, sostengo la grandezza assoluta di alcuni di questi interpreti (per ragioni che ho già esposto in passato) ma non mi metto certo a metterli in gara con i predecessori, la logica del campionato non mi appartiene, e per me esaltare il taluno non significa automaticamente denigrare il talaltro. E poi davvero, le mie predilezioni non sono immutabili e non vanno per categorie, mi risulta assurdo generalizzare. Come ti ho detto sono il primo a riconoscere la grandezza di artisti come la Lehmann o Huesch: se proprio si dovesse giocare alle graduatorie, non avrei problemi a definirli di gran lunga superiori a Keenlyside o alla Kirschlager, per citare due liederisti attuali che proprio non mi piacciono. Solo che il loro modo di cantare sarebbe oggi improponibile. Purtroppo, direte voi: forse, ma è così, e ho cercato di spiegarne i motivi. Allo stesso modo rimango ammirato dalla grandezza di Casals nelle suites per violoncello di Bach, o di S. Richter nel Clavicembalo ben temperato, ma oggi non si potrebbe più suonare Bach a quel modo. Mica perché oggi siamo arrivati all’autentica “fedeltà al testo”, ma semplicemente perché oggi quei canoni estetici sono sorpassati: verosimilmente fra 70 anni i canoni attuali appariranno altrettanto obsoleti. È la Storia, bellezza, e tu non ci puoi fare niente. Io non ho mai detto che Fischer-Dieskau ha trovato la ricetta magica dell’Unica Verità Inviolabile Del Testo Musicale: ti sarai forse accorto che ci sono decine di sue Winterreise in commercio, e sono tutti diverse tra loro, talvolta in maniera anche radicale. Non credo affatto che Dieskau abbia trovato risposte definitive (e la sua evoluzione lo dimostra), ma sicuramente ha contribuito a un nuovo modo di porre domande, di interrogare il testo musicale: ad esempio, come accennava qualcuno, riconoscendo alla parte pianistica un ruolo coprotagonistico e non di semplice accompagnamento alla voce. Più in generale, mettendo in primo piano le ragioni della musica rispetto a quelle del canto: cosa che ovviamente qui non può destare grandi entusiasmi. Il problema, cara Pasta, è che quando tu parli di interpretazione del testo musicale e ad esempio di rubato, sembri semplicemente non conoscere concretamente quello di cui stai parlando. Una frase come “perché escludere che anche i compositori abbiano composto i loro pezzi avendo in mente quello spazio di libertà che il rubato consentiva all’esecutore senza che questa libertà fosse stigmatizzata di eccessi interpretativi” rivela tutta la tua ingenuità e la tua carenza di studi sull’argomento. “Perché escludere”? Ma che stai dicendo? Il rubato è DA SEMPRE prassi non solo accolta ma necessaria e prevista dai compositori e discussa dai musicisti: nel ‘700 ce ne parla Carl Philipp Emanuel Bach nel suo trattato, poi ce ne parla Czerny a proposito dell’interpretazione degli Adagi di Beethoven…e chi più ne ha più ne ha metta. E naturalmente le discussioni non vertono sulla presenza o meno del rubato, quella è indiscutibile, ma sulla sua misura, sulla sua collocazione ecc., proprio per evitare gli “eccessi interpretativi”. Ogni epoca poi propone risposte diverse a queste questioni, non in base a dogmi, ma in base al gusto e alla sensibilità del periodo. è un argomento sterminato in cui non esistono soluzioni assolute ma solo orizzonti estetici di massima, e soprattutto la continua sperimentazione della pratica. Non è questo lo spazio per scendere nell’esemplificazione, ti ipotizzo solo un singolo, elementare caso per darti un’idea di cosa stiamo parlando: nel tal Lied di Schubert la Lehmann inserirà un ritardando non prescritto da Schubert per mettere meglio in mostra una zona “calda” della voce, Fischer-Dieskau invece inserirà magari un ritardando (egualmente non prescritto da Schubert) per sottolineare espressivamente un passaggio armonico particolarmente denso di cromatismi. È l’approccio all’uso del rubato che è cambiato, ma mica ho detto che Fischer-Dieskau fa solo quello che c’è scritto, anzi…
    E anche sulla dizione, trovo che il nuovo “modello” inaugurato da Fischer-Dieskau sia perfettamente funzionale alla sua proposta artistica, ma non ho sinceramente idea se fosse quello il tipo di dizione adottata e auspicata da Schubert o Schumann. Anzi, nel caso di Richard Strauss possiamo tranquillamente ipotizzare di no, considerando il suo rapporto con Elisabeth Schumann. Io credo che Wolf, spasmodicamente attento ai valori del testo poetico, avrebbe adorato Fischer-Dieskau, mentre probabilmente Strauss no: però ripeto, non c’entra qui un discorso meramente “filologico”, ma un nuovo e diverso approccio con il testo poetico-musicale, a mio avviso estremamente convincente ma che però non ho certo la pretesa di definire come “quello giusto”.
    Dopodiché, vogliamo dire che l’impostazione di Fischer-Dieskau ha avuto anche alcuni spiacevoli effetti collaterali, per cui ora in certi ambienti musicali è invalso il luogo comune che se sai cantare vai a fare l’opera, mentre se non hai la voce ma sei un fine letterato vai a cantare il Lied? Diciamolo, purtroppo è così, ogni tendenza storica ha i suoi diritti e i suoi rovesci. Vogliamo poi passare in rassegna la produzione di Fischer-Dieskau alla ricerca di punti deboli e prestazioni insoddisfacenti? Nulla di più facile, quello ha cantato tantissimo, troppo secondo me: ad esempio,l’Erstarrung postato da Donzelli ce lo mostra vocalmente declinante e in seria difficoltà. Il “Die Rose, die Lilie” da te postato invece mi piace molto,e se bisogna giocare alla classifica lo metto in cima alla tua selezione insieme alla Danco (per quanto possa avere senso astrarre dal contesto del ciclo un Lied come questo chiaramente “di passaggio”). La Danco è, come dici tu, esatta, misurata ed elegante, Fischer-Dieskau invece estremizza l’espressione e caratterizza il brano in maniera opposta, febbrile: si lancia in un tempo velocissimo e ricorre a un’iperaccentuazione quasi frenetica, pagando certo qualcosa in termini di pulizia vocale. Ogni tanto scivola nel declamato, e quindi lo giudichi “stonato” (ma sappiamo che l’orecchio grisino ha una tara hertz tutta sua, per cui magari non senti le stonature di Jadlowker nell’ascolto postato da Donzelli). Varia marcatamente i colori in una maniera che alla controllata Danco non interessa, e quindi lo senti “disomogeneo” perché i suoi colori non ti convincono (sappiamo..). “Privo di legato”: mah, vedi un po’ tu se ti pare che “Die Rose, die Lilie” possa essere una scuola di legato, chiaramente anche questa è una scelta. Poi che ti devo dire, magari Bruscantini avrebbe realizzato le stesse intenzioni con un maggior legato… “Magro di suono”: ecco, qua possiamo essere d’accordo, e direi che è questo il busillis, no?… Ad ogni modo, a proposito di quanto di diceva prima, Dieskau è qui sicuramente il più fantasioso e “libero” dei quattro.
    Bene cara Pasta, questa è stata la mia ultima epistola a te dedicata. Intendila come credi, e se per te provare a dare una lettura delle cose che non sia una teoria della decadenza significa automaticamente essere teleologico, fai pure…

    • Sei libero di chiudere la discussione. Tanto, hai scoperto che non sono all’altezza della materia. Non ho mai detto di essere un musicista, ma del rubato (in entrambi sensi: 1. accellerazione-rallentamento del ritmo rispetto all’esigenza musicale (scritta o non scritta) e 2. trattamento flessibile della linea melodica rispetto all’accompagnamento, come in Chopin o come sembra sia stata la prassi ottocentesca – ormai persa anche per la ricerca – nell’esecuzione della musica belliniana) ho qualche nozione anch’io povera anima e trovo la tua dichiarazione un po arrogante, visto che tu invece sei in tutta evidenza un musicista e magari anche un specialista del lied. Ho davvero pensato che tu avessi un’idea molto normativa del rubato, visto che hai anche un idea abbastanza normativo e finalista sui gusti estetici delle varie epoche. Stai dicendo che oggi è inconcepibile esagerare con il rubato come lo facevano la Lehmann & Co. senza pensare ad esempio alla riemergenza del gusto più volgare per i rallentamenti ed accelleramenti più amusicali nelle interpretazioni di moltissimi direttori di oggi. E’ sempre una generalizzazione troppo audace quando si dice che “noi” non sentiamo o suoniamo più come si faceva in tale altra epoca, come se ognuno di noi avesse l’identica estetica – quell’estetica che nei maggiori casi è un prodotto academico o giornalistico di sistematizzazione e – soprattutto oggi – anche di giustificazione e di rebranding di un numero di occurenze musicali che in realità sono molto più eterogenee tra di loro. Parli di “canone sorpassato” – da chi? Anche del canto come lo intendiamo noi, la maggior parte dei grisini, ci dicono che è “sorpassato”. Da chi? da che cosa? chi impone questo “risultato”? La cosa più teorica – e se vuoi, teleologica – è proprio questo ragionare per sorpassamenti e per fissazioni di certi canoni epocali. Ed è un approccio teorico, una visione storica che facilmente risulta extra-musicale, cioè finisce per ricoprire proprio quella concrettezza dell’interpretazione con la cui descrizione tu intendi argomentare. Extra-musicale perché impone criteri estranei a quello che si compie in realtà sul livello della performance (inteso qui sia come lo intende Dahlhaus in primo luogo riguardo a Rossini sia nel senso di “drastico” come lo intende oggi Carolyn Abbate in contrapposizione all’approccio “gnostico” alla musica). Mentre io, da bravo grisino, sottolineo che certe durezze e debolezze vocali di FD siano non una “scelta interpretativa” ma spessissimo dei risultati materiali di carenza tecnica e mentre questo modello di critica e di ispezione rimane il mio punto di partenza (che poi ovviamente porta a risultati determinati), tu invece parti dalla convinzione c’è una ragione estetica, una forte volontà e visione artistica per cui sono successi quei cambi nella vocalità e per cui tu ti ritrovi con un apparecchio estetico con cui giustificare ed estetizzare quei difetti materiali. Io, da grisino, partirò sempre dalla “performance” e dal fatto “drastico” della musica perché anche l’estetica di canto che amo (e che non per caso è fortemente legato all’estetica rossiniana ed al belcanto in generale) è una estetica che prende come criterio supremo la realizzazione musicale, quindi le premesse tecniche di questa realizazzione. Tu invece potresti essere definito di “teutonico” proprio perché c’è sempre un valore di “idea” – che essa sia un processo di “sorpassamento” o un'”intenzione” espressiva – che tu imponi prima di passare all’analisi “concreta”. Per questo nella tua prospettiva l’elemento “tecnico” sarà sempre secondario rispetto allo svillupo di idee ed esetiche che consideri come primo motore del cambio di gusto e di epoche. Ed è proprio per l’importanza primaria di questo livello di “tecnica”, di “grana”, di “realizzazione” ch’io parlerò sempre in primo luogo di emissione e di elementi collegati e che io considererò la perdita (non certamente definitiva, per cui non posso essere definito di teorico della decadenza) di una certa cultura canora come il risultato di un processo in cui prima è arrivata una vocalità senza grana, disomogenea etc., e dopo un sistema estetico-specolativo di giustificazioni grazie a cui delle carenze materiali fondamentali si sono trasformati in risultati secondari di un’estetica innovativa. E’ per questo che nell’ultimo intervento ho menzionato il caso problematico della Schroeder-Devrient e non per caso la Schroeder-Devrient è l’immagine centrale di una estetica del tutto tedesca di canto che è emersa 1. a causa della necessità di distanziarsi dall’influenza culturale italiana e di affermare una “germanità” anche nella tecnica canora, e 2. perché cantavano semplicemente male (eccetto quelli che avevano studiato con maestri italiani).
      Con questa risposta dilettantesca ed ingenua chiudo anch’io, ma continuo di sperare che non tutto ancora è perso per la povera Pastina.

      http://www.youtube.com/watch?v=dRrFpFddDNM

    • Ti ricordo Idamante che tempo fa proponesti Peter Schreier in un’esecuzione di “Un’aura amorosa” e neanche ti accorgesti di quanto calava, quindi hai poco da fare lo spiritoso su Jadlowker e l'”orecchio grisino”.

  20. Mi scuso se ti sono parso arrogante, ma sai, qui le credenziali personali stanno a zero e ci si giudica in base a quello che si dice, e questo vale per tutti: per me tu potresti essere musicista oppure il maggior esperto di rubato del globo, ma se sull’argomento mi dici un’assurdità te la devo rimarcare. Sul discorso del progetto artistico come “ripiego” della carenza vocale ti rimando se ti interessa ai miei primissimi interventi su questo sito, nel Quaresimal dedicato a Dieskau (l’ironia sull’orecchio grisino invece rimandava appunto a quanto scrissi nel post su Schreier, in occasione della cantonata di Mancini che ne rimarcava inesistenti problemi di intonazione). Sul resto del tuo commento lascio a chi ci legge giudicare se tu abbia colto lo spirito (nonché la lettera) del mio intervento. Lascio inoltre ad altri valutare chi dei due, al di là delle rispettive dichiarazioni di intenti, sia rimasto più attaccato al fatto vocale e musicale, e chi invece sia partito per supercazzole gnostiche, drastiche e perifrastiche.
    Ciao caro, senza rancore

    • Il problema è che tu non vuoi ammettere che il tuo approccio è determinato da una certa logica sussistente (che si potrebbe chiamare ideologia), mentre io da parte mia lo ammetto tranquillamente e non faccio altro che invitarti a fare lo stesso. Peccato che i nostri linguaggi siano troppo lontani l’uno dall’altro. Tu mi esponi delle analisi “concrete” e pretendi di essere attento allo svillupo storico, io invece provo di mostrarti quali sono le presupposizioni implicite di questa tua “concrettezza” e quali sono le ragioni per cui i tuoi risultati “concreti” e musicalmente cosi “precisi” diventano problematici perché dimentici della loro propria base storica ed ideologica. Siamo proprio su diversi piani (se non pianete).
      Ciao.

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