Ascolto comparato: Recondita armonia (Tosca)

Recondita armonia is not a particularly taxing aria (nor do I for myself find anything extraordinary in it) , but a rather effective one (if you have a certain verve and get at least the „Tosca, sei tu!“ right) for every Cavaradossi to introduce himself.

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Massimo Giordano has just finished three Toscas in Vienna – with more than mixed critics. The Wiener Staatsoper tells us on their website that he is among the leading tenors worldwide in the belcanto(!)-repertory. His daily bread at the moment are Cavaradossi, Rodolfo, Alfredo. So much for „belcanto“……… Coming soon are Des Grieux (Puccini) and in Vienna Maurizio and Pollione (!??) His technique is not only bad – he doesn´t have any. Listen to how he attacks the notes, watch him sing! At best a pretty timbre, but an amateurish, not more than provincial singer opting for a big sound and MAKING a voice, that is not his natural own one. He fakes a dark, broad sound and adds vocal weight where there is not much vocal texture to add it to.  He forces the top, but the middle register is a total mess. Badly supported, throaty, every note seems to come from somewhere else, and you can both see and hear how he struggles to get the notes somehow into place. „E te, beltade ignota“ costs him considerable effort. One of the most overrated tenors around in relation to how much he seems to be in demand.

FÜGEL Wie sich die Bilder gleichen

Encouraged by Clemens Krauss, Fügel studied briefly before his debut in Ulm in 1937. His career advanced in Graz and Munich in 1940, where he became a regular in lyric roles throughout the war. After the War he sang as a guest at the Stuttgart Staatsoper and again in Ulm. He also appeared on the concert stage and passed away during a concert in 1960.

Let´s not talk about the German translation, let´s not pretend that this is a perfect recording of this aria (although strangely enough there are really not many satysfying ones, once you take a closer look). Fügel has an appealing lirico-leggero voice, not forced, with a natural cutting edge, not always well supported in the passaggio area, a relatively secure upper register with occasional „stecche“. He stays on the light side, but is no crooner – no Macho there, but an artist in love enjoying female beauty.

Far from perfect, but certainly more interesting and doing more justice to the music than Massimo Giordano, who really butchers the music and struggles with his technical shortcomings.

177 pensieri su “Ascolto comparato: Recondita armonia (Tosca)

  1. Non sono per niente d’accordo con la prima affermazione di Selma.
    Credo che non sia corretto scrivere che un’aria di sortita insistente sul passaggio della voce come fa “Recondita armonia” sia poco impegnativa. Non la si canta con agio se non si è risolti in quella zona della voce che a mio avviso è la più scomoda per ciascun cantante e che è parte della perizia di un cantante saper – letteralmente – aggirare a regola d’arte. A maggior ragione quando la grana della voce sia piuttosto spessa.
    E non penso nemmeno che Puccini abbia scritto le 5 battute che precedono la ripetizione della linea melodica principale solo per stile.

    A questo punto però desidererei sapere secondo quali parametri riteniate onerosa un’aria o una frase; posto che, per parte mia, vorrei la si smettesse di dire che una frase, un’aria o un’intera parte non sia particolarmente difficile da eseguire: a mio parere è una mancanza di rispetto nei confronti di ciascun serio professionista.

    • Sono d’accordo che in generale non esista musica “facile”, tanto meno arie d’opera, anche la più semplice delle quali risulta comunque di tessitura onerosa e impossibile da affrontare senza un buon addestramento vocale. Tanto meno si può affermare che sia poco impegnativa la scrittura di Puccini o in generale del periodo verista. Al contrario, il modo di scrivere per voce di quel periodo, fisicamente così impegnativo, è una delle prime cause della decadenza del canto.

      • Con tutto il rispetto Giambattista però non sono nemmeno d’accordo con la tua conclusione.
        Io preferisco pensare che se uno sa cantare sappia affrontare qualsiasi scrittura rispettando i canoni del belcanto.
        Abbiamo tantissimi esempi di magistrali esecuzioni veriste cantate come si deve cantare e senza appellarsi ad un presunto aspetto “truculento” del verismo solo per giustificare emissioni cavernicole.
        Ogni tanto mi riascolto le incisioni di Garbin, il primo Fenton, un nobile Maurizio, passando per essere uno dei più celebri Rodolfo.
        Di lui sta scritto, mi pare da Celletti, che fu il classico tenore verista. Beh, se quello è il cantare verista, viva il verismo!
        Lì sì che aveva un senso parlare di “evoluzione” del gusto interpretativo, al contrario di oggi.
        Invece sono più propenso a pensare che la decadenza del canto sia imputabile solo ed unicamente ad un certo modo di trasmettere l’arte canora. Una responsabilità che pende sul capo degli artisti e dell’impresa teatrale in genere.
        Non certo su quello dei compositori. Soprattutto su si parla un talento come quello di Puccini…
        D’altra parte se un genio vocale come Renata Scotto si produce in sospirose magnificazioni di Kaufmann, non so proprio dove andremo a finire….

        • La colpa è anche dei compositori invece, a partire da Bellini. L’alzamento delle tessiture, il canto sillabico spinto fino ad altezze improbabili, il disuso dell’agilità, tutto ciò ha contribuito non poco alla decadenza del canto, lo dice anche Lamperti. Quanto a Puccini, avere talento musicale non significa intendersene di voci. Francamente a chi non è un superdotato vocale con una resistenza fisica da bestia da soma sconsiglierei di andare oltre Donizetti.

          • Ma chissenefrega di Lamperti! Per me l’abbandono dell’agiltà rossiniana è stata invece un fattore di progresso.

          • Uhmmm, che bello, potremmo dare una bella piallata a donizetti e bellini e migliorarli finalmente…..non parliamo poi di spianare tutto rossini, a cominciare dalla semiramide…cosi avre mo nuove forme di arte musicale finalmente perfezionate dal giudizio musicologico fondato. Altro che restauri debarocchizzati o perfezionamenti violletiani del medioevo….!

          • E chi l’ha detto? L’assurdità è sostenere che il canto sarebbe decaduto per colpa di Bellini Donizetti Puccini o Verdi “colpevoli” di vivere nel loro tempo e non ancorati ad un passato ormai trapassato.
            Ps: davvero vuoi sostenere che il canto muore con Rossini? E tutti i successivi compositori sono solo decadenza? No perché mi chiedo: decadenza rispetto a cosa? Quali parametri? Quali valori? Sarebbe come dire che lo stile barocco è la decadenza dell’architettura rispetto al romanico. Ma chi lo decide? Lamperti? Qualche suo simile teorico reazionario (che non sapendo far nulla lo insegna)? Mancini per grazia ricevuta? Dio in persona? Dove si distribuiscono gli attestati o le patenti di decadenza?

          • Non vedo dove stia l’assurdità nel riconoscere che l’evoluzione del modo di scrivere per la voce nel secondo Ottocento ha prodotto nel tempo un canto sempre più fisico, pesante, grossolano, stentoreo, a detrimento della morbidezza e dell’elasticità di gola. E’ un dato tecnico, nessuno ti sta dicendo che Puccini non sia un grande musicista. Se la vocalità ha avuto una decadenza – e per me è innegabile che un canto che dipende sempre più dalla forza e sempre meno dall’abilità tecnica e musicale, sia un canto decadente – è normale individuarne le cause anche nel lavoro dei compositori.

          • Però il chissenferga del Lamperti è sacrosanto. Queste son le cose su cui a mio avviso dare un giudizio di relatività storica.

            Pur non avendone studiato il brodo di provenienza quella di Lamperti mi sembra una belinata da reazione culturale.
            Allora Verdi è un rovinavoci peggiore di Mascagni.

            Le agilità Rossiniane sono uno stile che indidividua un’epoca: time goes by.
            Io le adoro, ma resta quello che ho detto sopra: come per ogni cosa occore avere la voce adatta per cantarle e saperle cantare.
            Io la penso così.
            Esistono scritture più esigenti, di sicuro. Ma nessuno era obbligato e non dovrebbe esserlo oggi a cantare tutto di tutto.

            Per quanto riguarda i superdotati di voce e di resistenza fisica, posto che una buona tecnica dovrebbe alleviare o quanto meno ben dirigere il giusto impegno fisico, vorrei sapere chi sono.
            O meglio: capisco di più il discorso fatto sulla resistenza fisica.
            Molto meno quello sulla superdotazione vocale.

          • “Belinata da reazione culturale” splendida definizione. Lamperti Artusi Garcia…rimpiangevano Caffariello e pretendevano che fosse sbagliato o decadente tutto ciò che non volevano o potevano comprendere

          • Ma certo che Verdi è un rovina voci, del resto gliel’hanno sempre detto.

          • Verdi non ha mai rovinato nessuno. Semmai sono gli altri che si sono rovinati misurandosi con Verdi.
            C’è una differenza sottile come il paggio del duca di Norfolk!

            A contrario abbiamo invece avuto fior fiore di cantanti che hanno sempre cantato di ogni senza il minimo problema.

            E per tornare sul canto d’agilità, a mio avviso non c’è stato un progresso in meglio o in peggio. C’è stato un mutamento.

            (Per inciso: se Rossini avesse sentito Blake in, che so, Donna del Lago, ad una prima sarebbe tornato alla seconda con uno schioppo e lo avrebbe impallinato. Dal palco di proscenio per non mancare la mira. E a Merritt nel Tell, avrebbe fatto far la fine della mela!)

        • “(…) Tecnicamente, Garbin fu un tenore di scuola antica. Il timbro era un poco generico e non privo di “vibrato” o “tremolo”, ma i suoni della zona centrale erano tenuti sotto controllo e le cavità superiori di risonanza, sfruttate al nmassimo, consentivano l’emissione di acuti squillantissimi. Sapeva inoltre servirsi dlela mezzavoce, anche se nelle modulazioni e nelle sfumature non era né un Bonci, né un De Lucia, né un Anselmi, e questo contribuì a fare di lui uno dei prototipi del “tenore lirco”, specialista della Manon Lescaut di Puccini, della Boheme ecc.” (Rodolfo Celletti, Voce di Tenore – Idealibri 1989, pag. 193).
          Non mi pare francamente il ritritto di un “tenore verista”, termine che nell’articolo dedicato a Garbin (inserito in un capitolo dedicato a tenori “di stile antico” a cavallo tra ‘800 e ‘900) Rodolfo Celletti non usa mai.

          • Sul timbro generico, opinione sua condivisibile o meno, ma tant’è.
            Sul paragone con Bonci e De Lucia, non mi interessano le classifiche e non capisco nemmeno che senso abbia il paragone se non per alludere alla tâche originelle di Garbin rispetto agli altri due: il repertorio, abbastanza diverso, che appunto è laragione per la quale non mi spiego altrimenti il confronto.

            P.S. googlando, però, salta fuori che la Treccani online imputa a Celletti l’attributo “tenore versita” con riferimento a Garbin citando da “Le grandi voci”. Chi può, verifichi.

  2. Alfons Fügel era nato e cresciuto a Bonlanden, una frazione del comune di Filderstadt, situato tra Stuttgart ed Esslingen, luogo di nascita anche del poeta Eduard Morike. A Bonlanden esiste ancora oggi la Gaststätte da lui aperta nel 1950 e oggi gestita dai suoi discendenti. Aveva studiato a Stuttgart con Fritz Windgassen, il padre di Wolfgang. Purtroppo lo scoppio della guerra, iniziata poco dopo il suo ingaggio a München, gli impedí di fatto una carriera internazionale.

    Ecco quello che scriveva Oscar von Pander sul “Münchner Nachrichten” in occasione del suo debutto alla Münchner Staatsoper:

    “Eine wundervolle Biegsamkeit der Stimme verbindet sich bei dem neuen Tenor mit dem strahlenden Glanz, wie wir ihn sonst fast nur bei der Elite der italienischen Stars zu hören gewohnt sind. Die fünf bis sechs allerhöchsten Töne, die ja überhaupt das Kapital jedes Tenors bedeuten, sind bei Fügel eitles Gold.”

  3. Ma voglio dire – con i mezzi tecnici di un Massimo Giordano tutto e difficile cantare. Ma che Parmi veder non sia piu impegnativo di La donna e mobile o Casta diva di Vissi d’ arte o A te o cara di Donna non vidi mai? Se cantato come scritto!

  4. Per carità di Dio costui …tenta, ma solo tenta di cantare l’aria, che risulta subito incerta e di intonazione perigliosa, l’acuto appena accennato perchè la voce e poggiata sul nulla e quindi fraseggio, accelerazione, intonazione, colore, espressione sono da principiante.
    Se poi ci si vuole accontentare beh allora è meglio chiamare a cantarla un Martinucci, che era considerato un routinier, ma che di fronte a costui mi pare un gigante della interpretazione.

  5. Pur sentendomi in dovere di patteggiare per i cantanti “vittime” delle parti non certo semplici di Verdi, Puccini, Mascagni e quant’altri, stavolta patteggerò per i compositori e contro i cantanti, rei di non aver fatto e7o voluto fare un percorso “di vecchia scuola” e di essersi voluti subito gettare nel cantare codeste cose difficili, stradaccordissimamante con Tamberlick.
    Giorgio Ronconi, Erminia Frezzolini, Marianna Barbieri-Nini, Luigi Lablache, Fanny Salvini-Donatelli, Édouard de Reszke, Teresa Stoltz cantavano Rossini, Bellini e Donizetti prima e con le opere di Verdi.

    • Ma veramente state considerando i cantanti vittime? È un’assurdità bella e buona: i cantanti sono meri esecutori. Punto. Ma siccome son pessimi musicisti (viziati pigri ignoranti spesso analfabeti) credono che i loro limiti siano virtù e considerano “errori” o affronti ogni casa che non sanno fare.. Non mi è mai capitato di sentire lamentele da violinisti o flautisti, circa presunte decadenze compositive

      • Duprez, con tutto il rispetto, la tua generalizzazione mi sembra non poco offensiva nonché la classica osservazione di un musicista che non ha mai provato a cantare una sola volta nella sua vita. Abbiamo avuto cantanti che avevano studiato anche due o tre strumenti oppure direzione e composizione.
        Sono interpreti. Ma non li penso come musicisti come tutti gli altri. Innanzitutto perché suonare uno strumento è ben diverso dall’utilizzare uno “strumento” impropriamente detto perché è un organo del tuo corpo, cosa che ha non poche consegeunze, te lo assicuro.

      • se credi che il cantante sia un mero esecutore non hai capito niente e aggiungo non solo dell’opera, ma anche del teatro in prosa. Purtroppo per te le arti che richiedono per essere fruite della rappresentazione si devono affidare all’esecutore. e fra esecutore ed interprete ne corre di differenza. Non basta fare quello che è scritto l’esecuzione meccanica che è il tuo sogno stando a quello che scrivi ed al disprezzo che hai per chi ne metta del proprio è la negazione non dell’arte, ma del corretto professionismo. Che poi oggi sulle riviste si scrivano siffatte fesserie è strumentale a tenere a galla persone che non sono neppure esecutori.

        • Indicami di grazia dove avrei scritto che il mio sogno sarebbe l’esecuzione meccanica. Evidentemente ti è sfuggita la discussione avuta con Marianne relativa, proprio, alla libertà esecutiva. Non ho MAI scritto – almeno io – che esiste un solo modo per interpretare un certo brano, così come non ho mai ritenuto “obbligatoria” una scelta interpretativa, e, infine, MAI ho parlato di modo “giusto” o “sbagliato” di eseguire un certo autore. La differenza tra esecutore e interprete mi è nota, grazie. Ricordo, poi, che anche il direttore d’orchestra è un interprete. Ma probabilmente sono io che “non capisco niente”…

          • nel momento in cui scrivi (e te lo cerchi sa solo dove!) che il cantante è un esecutore e siccome sai meglio di me cosa voglia dire in italiano eseguire sogni un0esecuzione meccanica, se a questo aggiungiamo che ogni intervento della tradizione che non sia codificato e benedetto dall’autore crea orrore e tradimento ribadisci il tuo sogno di esecuzione meccanica. Poi ti domando come puoi pensare su spartiti come Bellini e Donizetti dove sono pochissime le indicazioni di dinamica che l’interprete non debba intervenire. ove intervenire non significhi (che per altro è perfettamente lecito) cambiare le note, ma metterci qualche cosa di proprio. Esecuzione ed interpretazione sono fra loro agli antipodi, l’una (l’esecuzione) è ancillare rispetto all’altra per l’esecuzione ed è un altro dei topoi del vociomane occorre, però l’uso dei ferri del mestiere è strumentale all’interpretazione. E non capisco perché (o meglio lo capisco benissimo) riconosci la qualità di interprete al direttore e la neghi al cantante.

  6. io credo fermamente che la fine dell’opera lirica sia stata decretata dall’avvento del mito indiscusso del direttore d’orchestra e di una serie di direttori famosi, capaci ma di grande potere, indifferenti e/o del tutto sordi al canto; dalla moderna forma di vassallaggio del canto e dei cantanti al potere vergognoso dei registi, e da una modalità falsamente intellettuale ma in realtà profondamente ignorante che ritiene il canto un ‘arte vassalla e di secondo piano, “minore” rispetto al sinfonismo e alla musica da camera. Una serie di preconcetti alla moda che ci hanno portato ove siamo ora. Se non si ama il canto, non si vada all’opera e ci si astenga dal dirigerla !

    • Ma quando sarebbe “morta” l’opera lirica? Tutti continuate a parlare di decadenza, del fatto che dopo Rossini nessuno ha scritto “bene”, che la figura del direttore d’orchestra ha rovinato il canto e altre opinioni personali passate per verità.

      • Per me è decaduto solo il canto.
        Vabbé poi posso dire che metà del Novecento musicale mi fa schifo, rumore di ferraglia. Ma quella è solo una mia opinione.
        Poi in merito ai direttori d’orchestra penso che Giulia si riferisse all’ipertrofismo dell’ego artistico di alcuni che ingonrano la divisione del lavoro considerando i cantanti come meri strumenti.
        È una sensazione che ho provato spesso. Soprattutto quando sul podio c’era un certo direttore. Bravissimo eh, ma che di voci secondo me non ci ha mica mai capito più di tanto….
        Poi il divismo dei cantanti, come degli strumentisti perlatro, beh… È sempre un lusso e bisogna poterselo permettere.

        • Per me l opera senza canto non esiste. E’deceduto il canto, non decaduto, a furia di snobbarlo in ogni modo.circa i direttori, pensavo da karajan in poi, in tutte le varianti possibili di disinteresse piu o meno aperto ed elegante, incluso quello che domani commemoreremo pure noi. Il vanto e’ arte secondaria anche nella lirica e l opera un genere inferiore alla musica sinfonica grazie ad un consolidato preconcetto di matrice tedesca tardoidealista. Ci fosse oggi una diva come la callas in scala a fare traviata con tcerniakov e gatti…..avremmo visto ben altro spettacolo…!

        • Lasciamo stare, perché quello di cui mi accusi mi pare atteggiamento piuttosto diffuso. Certamente non ho mai letto analoghe prese di posizione verso affermazioni per cui dopo Rossini nessuno avrebbe scritto decentemente per le voci, i direttori d’orchestra non capiscono nulla di opera (o di musica tout court), Verdi rovinerebbe la voce etc… Dato che tutti hanno i loro gusti, questi dovrebbero valere allo stesso modo. Ad esempio: sei liberissimo di ritenere che Donizetti scrivesse molto meglio per le voci rispetto a Bellini, ma resta una legittima opinione personale.

          • non è una legittima opinione personale è un dato di fatto basta sapere che ci sono zone scomode della voce o note che se emesse in un certo modo possono compromettere l’organizzazione vocale (i do5 scoperti di norma ad esempio perché poi norma deve vocalizzare, declamare per il resto della serata) e che la scelta di scrivere in quel modo può creare dei problemi al cantante. Quando si dice che Verdi ed il verismo hanno rovinato il canto si dice una cosa molto semplice ovvero che il cantante che canta quel repertorio difficilmente può tornare indietro all’altro. Poi è una scelta legittima e condivisibile, ma scontata, viceversa il bel cantista applicato a Veri o al Verismo potrà essere insipido, mediocre fraseggiatore, lezioso, ma non scivolerà mai sulle difficoltà della scrittura. L’allenamento belcantistico garantisce una flessibilità di utilizzo dello strumento vocale che altri repertori non garantiscono. questo è un dimostrabile dato di fatto. e per non citare i soliti cantanti basta andare a sentire Salomea Krusceniwsky che usciva come la Darclee dal belcanto e che cantava persino Tristano, ma il cui imposto era da Semiramide o Roberto il Diavolo. L’arte del canto non è l’arte della cabala è un mestiere come il medico, l’avvocato e l’ingegnere e ci sono regole ben precise. Si possono violare o dimenticare, sapendo però le conseguenze.

  7. Non sono in grado di entrare in merito sulla fine dell’opera lirica ma qualcosa sulle responsabilita’ di alcuni compositori va detta. Uno a caso ( mica tanto), Mascagni, nell’ Isabeau, primo atto, il soprano deve fare un salto di decima discendente -e l’intonazione?-ancora col medesimo,i Rantzau, come dice Lilly, e’ una sassaiuola per le orecchie dell’ascoltatore, e quasi un intervento chirurgico per i lembi vocali dei cantanti. Attendo con curiosita’ l’analisi ed eventuale ri-valorizzazione di quel periodo storico come e’ gia’ avvenuto nei paesi di lingua tedesca (Krenek, Korngold etc…)

    • Non che con la parte di Folco abbia scherzato. Eppure abbiamo avuto i Bernardo de Muro che quel repertorio lo battevano.
      Massimo, forse tu hai ragione perché parti dalla scienza medica che io purtroppo non padroneggio, ma propendo nel non rinunciare alla musica, che trovo magnifica, di Mascagni e chiedermi se non sia che magari è il modo in cui è stato affrontato che non è congruo con il rispetto verso sè stessi.
      Certo: come ho già detto, non tutto è per tutti e ognuno può dire no, come mettersi in gioco. Certo, se io canto Isabeau tante volte quante del Monaco ha cantato Otello forse tutto sano non ci arrivo.
      Perché nemmeno io nego che esista un repertorio pesante, anzi pesantisismo. Ma se lo si affronta amministrando bene anche la frequenza del ruolo…
      Poi vorrei che uscissimo un po’ dall’Italia… scusatemi ma Pikovaja dama di Tchaikovsky? Forse l’ultimo tenore che ha cantanto un German senza gridare è stato Nelepp…

  8. Non sto dicendo, Enrico, che per salvaguardare le voci dall’usura fisica certo repertorio pesante debba essere addirittura eliminato… Osservo solo qual è stato il prezzo da pagare, nel lungo periodo. Già il fatto che la voce abbia dovuto fare a gara in sonorità con organici sempre più fitti e numerosi è stato assai deleterio (ah che bei tempi quando nel Medioevo e nel Rinascimento si cantava a cappella, sono certo che l’emancipazione degli strumenti sia stata la prima vera rovina). Ci si è dimenticati che l’educazione vocale sana ed esemplare deve partire da suoni piccoli, tranquilli, leggeri, non ci si accontenta più della propria voce, si vuole gonfiare, spingere, forzare, si ha la smania di possedere subito il “vocione” lirico, passando attraverso una porta larga e facile ma illusoria (vedi le varie tecniche di affondo). Così si affronta subito il repertorio lirico più popolare, quando invece le prime generazioni di cantanti che affrontarono quel nuovo stile, come ben dici, venivano dal belcanto.
    Per quanto riguarda lo stereotipo – in alcuni casi corrispondente al vero – del cantante mero portatore di una “voce” e musicalmente rozzo e analfabeta, in realtà questo non fa che confermare le mie teorie sulla decadenza e le responsabilità dei compositori. Se il canto lirico è diventato in certa misura appannaggio di energumeni analfabeti, è perché i cantanti sono passati dall’essere musicisti a tutto tondo che cooperavano con il compositore nella creazione dell’opera (e penso all’età rossiniana – per fare un esempio noto a tutti, Garçia era anche un compositore -, o al profondo addestramento tecnico e musicale dei castrati), all’essere solo mere scimmie ammaestrate sottomesse ciecamente al compositore, incapaci di scriversi da sé una cadenza e buoni solo ad eseguire meccanicamente, ma che dico, sbraitare arie musicalmente semplici e orecchiabili ma fisicamente spossanti (qualsiasi bifolco semi ubriaco minimamente intonato potrebbe canticchiare al tavolo di una osteria Recondita armonia o Celeste Aida, non so invece come se la caverebbe con le quartine di Almaviva…). Insomma le nefaste conseguenze dell’idealizzazione tutta romantica del compositore… E ora via allo stracciamento di vesti.

    • Certo che Si! io cresciuto a pane e Rossini negli anni ’80, ritengo Franco Donatoni un genio, Boulez mi piace più come compositore che come direttore, adoro Britten e altrettanto Luigi Nono, anzi ti dirò di più, già da diversi anni lascio l’5/per mille della mia Irpef alla “Fondazione Luigi Nono” di Venezia!
      Premesso questo ritengo che l’affermazione di Mancini “Non vedo dove stia l’assurdità nel riconoscere che l’evoluzione del modo di scrivere per la voce nel secondo Ottocento ha prodotto nel tempo un canto sempre più fisico, pesante, grossolano, stentoreo, a detrimento della morbidezza e dell’elasticità di gola. “ sia assolutamente logica e condivisibile oltre che oggettivamente vera.
      Non vedo cosa ci sia di strano nell’affermare che un compositore possa scrivere per lo strumento voce meglio di un altro; che la scrittura di un compositore possa esser più adeguata alle esigenze fisiologiche dello strumento più della scrittura di un altro.
      Secondo me per la voce Donizetti scriveva meglio di Bellini, come Schubert scriveva meglio si Schumann. Ma lo stesso discorso si può fare per il violino o il pianoforte o per qualsiasi altro strumento, il che non vuol dire che Bellini e Schumann, fossero degli incompetenti ma semplicemente che per ragioni estetiche hanno spinto la loro scrittura a limiti tecnici, nel caso delle voci fisiologici.
      Che poi il maestro Puccini Giacomo, compositore di alcune delle più belle musiche degli ultimi 150 anni, disponesse di fior di cantanti molti dei quali allenati con ottimi risultati alla scuola antica e tali da rendere perfettamente le sue intenzioni espressive, FÜGEL lo dimostra.

      • che Donizetti scrivesse per le voci molto meglio di Bellini basta guardare le parti che entrambi predisposero per Giuditta Pasta. Fra Bolena e Norma è evidente che i rischi di compromettere la voce li corri con la seconda. Esattamente come il raffronto Percy/Elvino

        • meglio ma non molto meglio, anche Donizetti sa creare delle belle gatte da pelare. Ai tenori per esempio. Con Bellini devi avere ovviamente i sopracuti, ma nei passaggi centrali anche se non hai una capacità di cantare perfettamente sul fiato e in maschera puoi bleffare magari con doti naturali e la freschezza della voce. In Donizetti le riprese in zona centrale sono riservate solo a cantanti scaltri tecnicamente. Pensiamo al finale di “quanto é bella quanto é cara”, la ripresa di “spirto gentil” prima del do, il concertato della Lucia “trucidatemi o pronubo…” il finale di “cercherò lontana terra” (non ti potranno dolce amico) la stessa centralissima “furtiva lacrima” comportano rischi di afonia, ingolamento terribili. Bellini spesso ti obbliga a eseguire note scoperte assai difficili ma nei centri ti lascia più respirare (pensate ai Capuleti “E’ serbato a questo acciaro”). Insomma é una bella lotta fra titani.-

          • la scrittura di bellini non si giudica da Tebaldo che è nell’assoluta tradizione del tenore centrale in ruolo di antagonista, ma dalle parti scritte per Rubini. Allora Rubini era eccezionale e questo non si discute, però lo stesso bellini dovette avvedersi che certe cose erano esagerate. Percy è scomodo sul passaggio, ti fa trillare sul sol acuto ( se non sbaglio), ma lo porti a casa come è scritto Elvino della prima stesura no. E tralasciamo la lunghezza di certe parti come Arturo.

  9. Vale a dire, cara Lily, un’anima da visionario, forse addirittura in preda alle allucinazioni. Forse per amore, come quello che, secondo alcune interpretazioni, prova l’istitutrice per il suo datore di lavoro? Non mi dispiace, tutto sommato. Me ne hanno dette tante; e questa non è una delle meno gratificanti. Ciao. per quanto riguarda il discorso di Mancini, in se stesso può essere anche accettabile. Che ci sia un tipo di scrittura in cui la voce umana educata abbia maggiore possibilità di mostrare il suo splendore e la sua perizia, è senz’altro vero. Ma il sottofondo del discorso è sempre lo stesso. Per Mancini l’evoluzione storica è decadenza, degrado rispetto a un ideale. Non contempla l’ipotesi che, per esempio, le violenze ai contenuti, alla forma, alla grammatica, alla sintassi costituiscano parte integrante della più grande arte moderna. Per me è un’assurdità e una bestemmia, ma ognuno ha diritto alle sue opinioni.
    Marco Ninci

  10. Ciao, Lily, come stai? Hai notato che da un po’ di tempo questa domanda non la si fa più? Te la faccio volentieri; spero bene. Se una delle mie tante anime ha preso a modello l’istitutrice del “Giro di vite”, allora sono un visionario, forse addirittura soffro di allucinazioni. Può darsi per amore, come secondo alcune interpretazioni fa l’istitutrice, innamorata del suo datore di lavoro, lontano ma ben presente allla sua mente. In ogni modo, è una caratterizzazione che non mi dispiace affatto, come credo tu comprenda bene.
    Un ciao affettuoso
    Marco Ninci

    • Marco carissimo, comprendo, comprendo e apprezzo.

      Come sto? Come il protagonista dell’Occhio di Nabokov – romanzetto cui sono particolarmente legata – adoro osservare: quindi bene, fino a quando i sensi me lo permettono.
      Abbi cura di te.
      Con affetto e allegria.
      Lily

  11. Il confronto è davvero impietoso e conferma che al giorno d’oggi sembra che il canto lirico sia una gara a chi più ingrossa e scurisce la voce… è davvero triste, ma i più purtroppo sembrano apprezzare…

    Senza entrare nella questione (vastissima e che richiede conoscenze a tutto tondo che non credo di avere) io mi trovo a pensarla come la Grisi. A nessuno importa più del canto e anche i più grandi direttori della seconda metà del ‘900 (tra cui Abbado) hanno affrontato mirabilmente certe opere, ma con cantanti spesso più che discutibili. Mi sono sempre chiesto se fosse per evitare grane, per disinteresse ( io dirigo bene poi il resto non dipende da me) o perché incompetenti nel giudicare la voci ( essere grandi direttori non implica necessariamente questa dote). E questo secondo me ha reso l’opera davvero poco appetibile ai più: sembra che il canto lirico sia un qualcosa di inumano, di artificiale, invece, seppur frutto di anni di studio (dunque artificiale) dovrebbe apparire come naturale e piacevole.

    Penso sia giusto rimpiangere direttori come Serafin, spesso criticato, che però teneva in grandissimo conto la voce, perché senza di essa l’opera non sussiste. Proprio oggi sto ascoltando il suo Ballo in Maschera con Gigli, Caniglia, Bechi, Barbieri, mio nuovo acquisto, ed è portentoso proprio in virtù degli interpreti sostenuti da una direzione che li rispetta e li sostiene sempre.

    • caro ninia quando censuri il ragionamento corrente dei direttori ed il conseguente loro comportamento sfondi una porta spalancata. Quello che è il vero dibattito ed il vero punto dolente dell’opera ed uno degli ingredienti (insieme alle panzane del teatro da regia che è il metadone della situazione) dello stato attuale in cui il melodramma e la rappresentazione versa. C’è un episodio interessantissimo raccontato da Bergonzi che compara Walter a Muti. ossia l’attacco dell’ingemisco dove in partitura c’è scritto con il canto. Allora Walter disse a Bergonzi lei attacca ed io la seguo. Ovvero Bruno Walter seguiva le indicazioni di Verdi. Muti censurò Bergonzi dicendo che era lui direttore e demiurgo a dove dare l’attacco. Eppure Walter è stato uno dei più grandi direttori d’orchestra SINFONICA della storia, non il solito accompagnatore di cantanti, che si ritiene con superficialità piacere ai vociomani ignoranti come Donzelli. Sin che non si capirà e dopo la generale di Lucia ier sera temo che il treno sia definitivamente perso (non sanno neppure fare i battisolfa alla Santi) l’opera andrà sempre giù per il cesso.

  12. a proposito di Serafin, ritenuto con Toscanini e de Sabata il grande direttore del Falstaff l’altro giorno ho ascoltato quello del 1956 poi utilizzato per un film. Sarà Serafin, sarà stata la serata, ma persino la Barbieri che nel Falstaff ci ha sempre “dato dentro” di petto senza pietà per ugola sua e buon gusto è rifinita. Basta sentire il “botton di rosa” con cui saluta Nannetta e confrontarlo ai suoni da digestione difficile della Terrani o della Barcellona per capire la differenza!

    • Non conosco quel Falstaff (purtroppo è un’opera che non mi piace moltissimo… ma credo ci sia un età per tutto: fino all’anno scorso non tolleravo Wagner, da qualche tempo invece comincio ad apprezzarlo seppur a piccole dosi! Ci vuole tempo per maturare anche come ascoltatori suppongo), ma pure io trovo la Barbieri nel Ballo in Maschera in questione molto apprezzabile :)

      • ho più del doppio dei tuoi anni e l’amore per l’opera del primo ottocento rende difficile a qualsiasi età il rapporto con Falstaff ed anche Otello. Non è questione di maturità è questione di gusto e di interessi. Poi qualche volta ascolto il Falstaff in genere per sentire i direttori. Cosa che non mi capita molto spesso perché non dimentichiamolo le opere o meglio molta parte di essere sono nate senza direttore e l’opera si fa coi cantanti. Magari Falstaff meno di altri, ma quando hai la Barbieri, la Elmo e magari la Stignani (monomaniacale si dirà!) come Quickly il divo della bacchetta ha una marcia in più. Se la sa usare

          • banalmente è sul tubo. Amo talmente Falstaff che credo di averne in tutto tre o quattro registrazioni.

          • @Domenico: ti ringrazio. L’ho salvata ieri sera. Fino a qualche tempo fa c’era solo “Quand’ero paggio”. Io di registrazioni di Falstaff ne ho sette (Toscanini live e in studio; De Sabata; Rossi; Karajan 1; Bernstein; Davis 1). Però, a differenza tua, non l’ho mai sentito dal vivo…

        • Non sono d’accordo. Non sul gusto personale (ci mancherebbe), ma sul fatto che l’opera si sia fatta sempre o quasi senza direttori: forse in Italia, ma in Germania Austria e Francia già era considerato indispensabile nella prima metà dell’800. Gli stessi Donizetti Bellini e Rossini in presenza di orchestre e direttori di gran livello, hanno dato il meglio del loro repertorio: penso al Rossini napoletano e a quello francese, ai Puritani, al Don Pasquale, Favorite o Dom Sebastien. Sul Falstaff poi, ci sono lettere illuminanti di Verdi circa il ruolo subordinato dei cantanti, sul tipo di voci che cercava e sulle qualità che riteneva indispensabili. Ricordo infine che Verdi stesso – da Traviata in poi – non accetterà più commissioni da teatri che non gli garantissero orchestre valide e ottimi direttori.

          • diciamo che dal 1680 al 1830 la parola direttore manco esiste in ogni luogo dove si fa dell’opera
            diciamo che nello stesso periodo (ed anche dopo) i cantanti e non solo i castrati avevano preparazioni musicali che non richiedevano direttori d’orchestra. Oltre ai castrati cito a titolo di esempio Elisabetta Manfredini e Rosmunda Pisaroni, compagne di conservatorio di Rossini il che significa con la stessa preparazione musicale.
            Quanto a Giuseppe Festa, “direttore” secondo la tua terminologia delle opere napoletane è passato alla storia non per gli stessi motivi di un Toscanini con Turandot o Krauss con Strauss, ma per essere il marito di un famoso soprano. come pure von Schilling con Barbara Kemp e lo scrivono fra di loro Strauss e von Hoffmstal, mica quel vociomane di Donzelli.
            Quanto a Verdi ad onta dei proclami di Rimini, dettati da un ego di cospicue dimensioni, circa il rapporto con i cantanti basta vedere le vicende compositive di Forza del destino con riferimento a don Alvaro o a Fra’ Melitone per rendersi conto dell’interesse che avesse per i cantanti . E non cito l’episodio – abusato- di Verdi che parla di una gelida virtuosa come Adelina Patti.
            e potrei andare avanti molto a lungo e provare a spiegare perché a Verdi non poteva piacere Battistini, ma precisando che fra la tecnica di Battistini e quella di Maurel o Kashmann poca differenza corre e che può giusto essere differenza di gusto e che quanto a quelli che con ribrezzo definisci arbitri anche lì la differenza non era molta. E così per kilometri nell’inutile tentativo di ricordare che l’opera è prima di tutto canto. Elemento del quale la dimenticanza ha portato a creare direttori d’orchestra, direttori artistici, critici e pubblico deleteri.

          • Non è proprio così, ma adesso non ho tempo di rispondere in modo esaustivo. Rimando la tenzone a domani

      • Caro Ninia, Falstaf è un opera che ad un primo ascolto più che amarla, la si ammira…
        non so se sei un musicista un cantante o un appassionato ma in ogni caso ti consiglio di prenderti la partitura, basta la riduzione per pf e canto e di seguirla con quella, anzi cantala!, non potrai non innamorartene, c’è tanta di quella musica in Falstaf…! a me è bastato cantare il duettino prima del “quand’ero paggio” per rimanere travolto dalla bellezza di quella musica.

        • si é un buon consiglio quello di Aureliano. Io mi comprai a diciotto anni spartito e edizione Toscanini per prepararmi alla gloriosa prima diretta da Maazel e con la regia di Strehler. Due direzioni agli antipodi che tuttavia mi sono più care di tutte le altre che ci stanno in mezzo e anche dopo. E si che ci sono fior di direttori che l’hanno affrontata. Qualche giorno fa ho recuperato anche l’edizione di Kleiber che diresse nel 1965 a Zurigo in cui a tratti mi pare si possa già percepire la classe del compianto Maestro.-

        • Grazie del consiglio Aureliano :) sono un aspirante cantante anche se dubito diventerò mai un professionista XD

          In effetti quelle tre volte che ho ascoltato le mie due registrazioni, ho percepito una sensazione strana, quella di una costruzione musicale probabilmente perfetta, ma, pur essendo un’opera buffa, non risulta per nulla buffa, anzi è spesso seria, addirittura greve a tratti. A partire dal più che grottesco protagonista, esageratissimo… è sì ironico, ma è eccessivo per mio gusto, una sorta di Don Pasquale (personaggio perfetto a mio avviso) elevato al cubo. Mi ha fatto pensare che Verdi non fosse proprio portato alle trame giocose e che ha fatto bene a tenersene distante.

          Detto ciò e consapevole che è un mio limite più che altro, sono prontissimo a ricredermi :) Cercherò lo spartito e lo riascolterò con maggiore attenzione:)

  13. Caro Mancini, non si tratta di stracciarsi le vesti. Uno può anche dire che la filosofia finisce con Eraclito o la letteratura con Petrarca. E’ difficile però che, con queste premesse, Eraclito o Petrarca li capisca davvero.
    Ciao
    Marco Ninci

  14. Per Ninia.

    Caro Ninia, quando avevo un quarto della tua eta’
    mi facevano sentire spesso il Falstaff, ed io da
    bravo bambino l’ascoltavo, pur non apprezzandolo.
    Arrivato a meta’ della tua eta’, quando SENZA
    accompagnatori od accompagnatrici cominciai ad
    andare a Teatro da solo, per forza di cose essendo
    Falstaff capolavoro da sempre rappresentatissimo,
    vidi parecchie produzioni del sopradetto titolo, ma
    ahime’ continuando a non apprrezzarlo, finalmente
    giunto alla tua eta’ decisi di non voler piu’ vedere, se
    non in rarissimi casi, la grande opera.
    Oggi , che ho dodici anni in piu’ del doppio della
    tua eta’ continuo a non apprezzare l’estremo
    capolavoro verdiano, cosi’ come continuo a non
    apprezzare il Giro di vite , gli inni sacri
    del Manzoni, la Kelly di Hermes, la deposizione
    del Pontormo, e le sarde a beccaficu. Pazienza!
    Non per questo mi son mai buttato giu’ dal
    quarto piano, vivo ugualmente. Ci son talmente
    tante cose belle da sentire, vedere, amare….
    Se in futuro il tuo amore per il Falstaff non
    aumentera’, (augurandoti comunque che cio’
    non accada), camperai comunque sereno.

    Per Franz.

    http://www.youtube.com/watch?v=4ILlyhOOVQc

    Grazie ancora per l’informazione sul Signor
    Seth Carico, l’ho gia’ scritto sul quadernino a pois.

    • Per Miguel:

      Ho apprezzato moltissimo il tuo commento e anche i riferimenti numerici dal sapore quasi cabalistico che mi fanno pensare a un Pico della Mirandola o a un Ficino :)
      In realtà so che il gusto personale è un fattore determinante, ma, essendo per natura assai curioso, mi sento quasi in colpa quando non capisco o non apprezzo qualcosa di universalmente applaudito. Lo percepisco come un limite da superare, almeno parzialmente, cercando di “creare” una sorta di apprezzamento oggettivo e non soggettivo. Mi dico sempre che con l’età verrà la saggezza, so che probabilmente non sarà così, ma forse pensarlo funge da consolazione preventiva :)

      PS:Ah, concordo con i tuoi non apprezzamenti, ma salverei la Kelly di HermesXD

      PS: certo che far ascoltare Falstaff reiteratamente a un bambino mi pare crudeltàXD Io farei sentire a dei pargoletti Cenerentola come prima opera, perché credo sia una musica che non si possa non trovare assolutamente deliziosa:)

      • Ahahahahah!
        Ma Caro Ninia….erano altri tempi
        ed altra storia, sai?
        Comunque, i tuoi scritti mi fanno sempre
        piacere, sei un vero educato bene.
        Anch’io ho provato a volte, persin
        vergogna nel non poter apprezzare cio’
        che universalmente e’ apprezzato, ma
        devo dirti che adesso, la cosa mi scoccia
        molto meno. Ma sei un tenace gentiluomo
        tu, e quindi arriverai a sentirti tre
        Rheingold di fila ed a conoscere a menadito
        ogni nota del Falstaf….io non ci son riuscito,
        pero’ ho imparato ad ascoltare cio’ che mi
        piace. Con affetto, Miguel.

        • Miguel ti ringrazio moltissimo :) troppo buono e spero non troppo ironico :)
          In somma delle somme quand’anche arrivassi ad apprezzare certe opere, non credo diventeranno abituali ascolti nella mia discoteca casalingaXD

          Ho ascoltato oggi (oltre alla Norma romana con Callas, Stignani, Del Monaco mentre procedevo con la tesi) il Falstaff fino al duetto tra Falstaff e Ford. Ho capito che ciò che più mi lascia perplesso è che non sembra per nulla un’opera di Verdi! Ammetto che me lo ricordavo meno piacevole, la parte sull’onore, il duetto con Quickly e il monologo delle corna sono stati i miei momenti preferiti. I concertanti li ho trovati esagerati… Io possiedo l’edizione di Karajan con Gobbi. Gobbi che di solito non mi piace, qui non mi dispiace, e la Schwarzkopf, che non amo per nulla, pare almeno viva. La Barbieri è simpatissima! Alva, sempre corretto, qui più sopportabile, la Moffo insomma, Zaccaria non riesco a tollerarlo.
          Se qualcuno avesse delle edizioni da suggerire accetto volentieri :)

          In ogni caso io AMO il libretto di Boito, per cui ho sempre avuto un debole. La lingua è turgida, iperbolica e barocca, la musicalità eccezionale :)

          • Ninia, non ero affatto troppo
            ironico, ho scritto quello che
            penso. Ciao caro.

            P.S.
            Di tutto quello che hai detto
            riguardo al Falstaff di Karajan
            non condivido nulla tranne che
            il giudizio espresso sul basso
            Zaccaria. Alla prossima. Ciao.

          • x Ninia

            Solti per Ligabue: una Alice insuperabile, con una figlia (Freni) che sembra proprio sua figlia.

            Buon lavoro!

        • Tra Mahler e Nono ci corre un mondo…peraltro la Scala era forse l’unico teatro al mondo che negli anni ’70 di Mahler aveva in archivio solo tre sinfonie, quasi mai riproposte. Poi non è obbligatorio andarlo a sentire. Come io mai è poi mai perderei tempo con roba tipo Crociato in Egitto

          • nessuno ha espresso giudizi leggi con attenzione. e poi la scala è come il Met il CG, il Costanzi un teatro d’opera e non è tenuto a divulgare la musica sinfonica per la quale esistono ed esistevano anche a Milano altre e differenti istituzioni a meno che non si voglia tirar fuori teorie sulla superiorità della musica sifonica rispetto all’opera. quanto al repertorio sinfonico praticato alla scala negli anni ’50 e ’60 prima di criticarlo studierei bene le cronologie, perché l’assenza di un autore può essere grave, ma non rappresenta il metro di paragone della qualità di quel teatro o di quella istituzione.

          • Se un teatro pretende di avere una stagione sinfonica, allora non può permettersi di ignorare Mahler per 70 anni… Le cronologie erano molto più ricche di oggi – e questo è ancora più grave, perché con tanta disponibilità di direttori e occasioni, l’assenza di Mahler era molto grave. Questo non per esprimere giudizi su un teatro o su una gestione dello stesso (che aveva, in quegli anni, altri meriti), ma solo per dire quel che ho detto: ossia che l’assenza di un autore FONDAMENTALE è, come confermi tu stesso, grave.

          • Se un teatro d’opera pretende di avere una stagione d’opera seria non può ignorare Ugonotti e Semiramide per cinquant’anni. Stesso ragionamento. o sbaglio per via dei gusti personali

          • Dici bene, così come non possono mancare altri titoli (maestri cantori, puritani, boris, pelleas…e posso andare avanti). Da qui però a fare solo Rossini o ritenere una stagione ben fatta solo se fanno Rossini o Donizetti ce ne corre

          • esattamente lo stesso criterio che mi imputi nel valutare le stagioni operistiche lo utilizzi per le sinfoniche stando a quello che scrivi e che io leggo. Ovvero la stagione vale se c’è Mahler. Allora delle due o entrambi siamo un po’ limitati e maniacali oppure sospetto che dietro il tuo assunto ci sia il ragionamento che Mahler sia un musicista e Rossini no. E questo è quanto meno antistorico, contrario ad un corretto esercizio della critica e il tuo fondamento metodologico mi ricorda il sommare le patate con le carote, censurato e con ragione dalle maestre dei miei tempi.

          • In che senso anti-storico? Rossini ha scritto ottima musica (e se si afferma il contrario pretendo una dimostrazione analitica, con la partitura, sulla base di criteri oggettivi, voglio capire tecnicamente cos’è che non funziona, dei gusti personali e delle chiacchiere non me ne faccio niente, non mi interessano), e non perché storicamente ha avuto una grande importanza, che pure è vero, ma perché quelle note hanno un pregio musicale intrinseco, ieri oggi e domani. La storia non c’entra niente. Vogliamo capirla o no che la musica come il canto è a-storica?

          • Ti sbagli: non ho fatto alcun confronto né ho scritto che Rossini sarebbe inferiore a Mahler (non sono io che faccio classifiche sulla superiorità di certi compositori/operisti, dopo i quali vi sarebbe il diluvio della decadenza…), dico solo – per l’ennesima volta – che un teatro che intenda dotarsi di una stagione sinfonica degna di tal nome, deve comportarsi in modo conseguente e non può permettersi alle soglie degli anni ’70 di avere in archivio solo due sinfonie di Mahler (risalenti a decenni prima). Ti piaccia o meno Mahler (con Bruckner e Shostakovich) è un autore fondamentale del repertorio sinfonico. Presentare l’integrale delle sue sinfonie in tre cicli stagionali è meno di quello che succede ovunque per altri compositori (con numero di sinfonie sotto la decina). Pure la Scala ha più volte presentato le 9 sinfonie di Beethoven in una stessa stagione. E’ una scelta logica e di buon gusto. Senza contare che gli appuntamenti della filarmonica sono/erano assai più frequenti, quindi l’impatto sulla programmazione complessiva – per chi proprio era allergico a Mahler – è da considerarsi limitato, o comunque circoscritto ad una stagione: niente di grave mi pare. Il paragone che fai con l’assenza di Semiramide non tiene conto di tanti fattori: a) la stagione operistica computa una dozzina di titoli (pochini per accontentare tutti i gusti); 2) il Rossini serio è comunque stato onorato con altri lavori (Maometto II, Moise, Tell, Tancredi, Donna del Lago etc…); 3) Semiramide – come mi insegni – è titolo particolarmente oneroso e richiede 4 cantanti eccezionali, un direttore d’orchestra valido, un pubblico disposto ad ascoltare quasi 5 ore di un Rossini non facile e non privo di lungaggini. Certo che un teatro d’opera – specie italiano – dovrebbe proporre la Semiramide (anche se di Rossini preferisco di gran lunga altro), ma anche Puritani, Maestri Cantori, Pelleas et Melisande, Clemenza di Tito, Medea, Vestale, Boris, Moses und Aron, Dom Sebastien, Favorite, Incoronazione di Poppea, Billy Budd, Benvenuto Cellini, e poi Rameau, Lully, Haendel…e potremmo andare avanti per pagine. L’assenza TOTALE di Mahler, però, è qualcosa di più grave rispetto alle cattive scelte di repertorio, perchè nasconde un’ideologia o un pregiudizio. Quindi la presunta “cura” Abbado a mio giudizio è stata salutare: ha svecchiato un repertorio che riproponeva sempre gli stessi titoli e ha aiutato l’orchestra a migliorare (perché un conto è suonare la sinfonia di Nabucco o del Barbiere, altro è suonare la Nona di Mahler…). Lo svecchiamento è sempre salutare, lo sarebbe anche ora. Lo è ogni volta che si ancora sugli stessi titoli e li reitera per anni e anni: direi la stessa cosa se per 7 anni si fosse programmato solo Strauss e Bruckner e Mahler…

          • allora leggi quello che scrivi per tutto quello che hai detto sino ad ora ha come sottofondo quest’idea e più generalmente che l’opera per quel difetto capitale del canto dei cantanti e degli appassionati del canto sia genere inferiore e siccome rossini del canto è l’esaltazione … non per nulla poche righe sopra hai disprezzato pubblicamente il canto d’agilità che, volere o volare, è la modalità espressiva di rossini.

          • I cantanti sono il difetto capitale dell’opera quando rinunciano ad essere musicisti per diventare “divi” legati ai loro capricci invece del servizio per la musica: è questo l’aspetto che più mi infastidisce dei cantanti (non certo del canto). Se si deve per forza parlare di decadenza questa andrebbe individuata maggiormente nella preparazione di questi cantanti, non certo nella scrittura dei compositori. Mai detto nulla sugli appassionati di canto (tra cui mi annovero), ma non per questo ritengo i vizi dei cantanti come virtù (e poi scusami, dopo una continua serie di interventi circa l’inutilità dei direttori d’orchestra e sulla loro presunta sordità, o peggio, l’accusa di essere loro la rovina della musica, ci sta – anche per par condicio la critica ai vezzi dei divi dell’ugola). Quanto al presunto disprezzo per il canto di agilità, ti prego di rileggermi: rispondevo a Mancini che ancora sosteneva la decadenza dell’opera dopo Rossini e l’abbandono del canto d’agilità come sintomo di tale sciagura: ho scritto che l’abbandono di quelle modalità fa parte della normale evoluzione e che Rossini, emancipandosi, dal virtuosismo (penso al periodo francese) ha, di fatto, contribuito a far progredire l’opera. Il resto è gusto personale: l’agilità meccanica spesso mi annoia, la preferisco inserita in altro tessuto musicale (come in Mozart) rispetto alle mere acrobazie e virtuosismi. Certo ognuno può gradire ciò che preferisce, ma non mi pare logico sostenere che il canto è d’agilità o non è canto, o che nel 1890 (ad esempio) avrebbero dovuto scrivere ancora come Rossini per non essere “decadenti”

  15. giusto salvare la Kelly é così geniale…ma mai demordere sul Falstaff… basta salvarne uno bello (Maazel/Streher) e uno cazzuto (Toscanini) come farebbe una mia amica in altri ambiti per distrarsi e dimenticare che la vita non é un lungo fiume tranquillo.-

  16. Celletti parlò di “gnagnera del Verdi boitizzato”. Opinione che mi è sempre sembrata ingenerosa. Tuttavia trovo che il libretto di Falstaff, più ancora che quello di Otello, sia davvero poco riuscito e costituisca il limite principale dell’opera, un tempo mitizzata ora un po’ meno.

    • il librettista d’opera è un mestiere il poeta o il letterato altro. Come il melomane e l’appassionato di sinfonica due mondi fra loro all’opposto. e guai a mescolare le due cose. I libretti di Otello e Falstaff sono belli da leggere se si ama quel periodo, quella letteratura e magari anche quella pittura e quella architettura, cui le trombonate boitiane somigliano non poco. Lo stesso vale per Francesca da Rimini, che farei leggere nelle scuole assai più di certi testi teatrali di D’Annunzio. Restano però opere letterarie e il libretto d’opera è altro da considerare nel rapporto con la musica non autonomamente, dove può avere il suo significato. E non è il caso di citare a paragone i grandi librettisti dell’800 come Romani, Rossi, Solera, Piave e Cammarano, ma anche e soprattutto i coevi come Illica e Giacosa (vanno sempre in coppia!) e pure Forzano del trittico. Falstaff va preso per quello che è e sorbito a dosi molto ridotte. Almeno per me!

    • Celletti, poveretto, aveva un pregiudizio ineliminabile per tutto ciò che fosse in odore di verismo. Quasi fosse un peccato da far scontare a chiunque.
      È quello che ho sempre pensato dalla lettura dei frammenti reeriti qua e là. Attendo di poter rileggere i libri semmai ciò accadrà per essere – non credo – smentito.
      Certo che ne ha avuto di peso quest’uomo eh?

      Una volta la mia insengante di letteratura del liceo disse spiegando forse proprio qualcosa di Boito e rivolgendosi a me, le cui passioni erano già note, “Però ammetterai anche tu che i libretti d’opera qualitativametne sono ciarpame”.
      Boh, non so. Sinceramente il valore poetico dei lbretti è la cosa che mi ha interessato di meno quando si parla di opera. Mi interessa molto di più il fraseggio.
      Però “mondo rubaldo” piuttosto che “i titanici oricalchi [che] squillano nel ciel” non è che siano l’apice della bellezza! 😀

      • credo che l’odio di celletti per il verismo nascesse dalla maxi dose di verismo che in gioventù subì ( e il reale dell’opera era peggio della scala) però aveva la venerazione per l’olivero che fu diva del verismo per eccellenza. foto sul pianoforte insieme alla gencer e alla coppia cuberli/dupuy, se non ricordo male. l’antipatia per boito in un uomo che amava molto e conosceva benissimo la letteratura di fine ottocento, nasceva dall’inadeguatezza che secondo lui avevano per le esigenze dell’opera i libretti di boito. tutto qua. non l’ho mai sentito censurare i libretti della coppia illica-giacosa.

  17. Il libretto è una cosa, un testo letterario autonomo e compiuto è altra: è senz’altro importante tenerlo sempre a mente, specie quando si giudicano i libretti. Boito è stato per decenni esaltato come librettista, in tempi più recenti molto ridimensionato. Librettisticamente parlando Falstaff è una commedia bolsa e pretenziosa. A mio modo di vedere il sovente criticato Forzano fece assai meglio in Gianni Schicchi, fulminante acida e modernissima commedia. Vi sono poi testi letterari diventati libretti ( dopo le inevitabili sfrondature ) che reggono assai bene. Francesca da Rimini è anche, a mio modo di vedere, uno splendido libretto. Come Salome. Come, davvero meraviglioso, il Campiello di Goldoni musicato da Wolf-Ferrari. Molto più complicato il discorso per Parisina: Mascagni vola molto alto e riesce a musicare un testo difficilissimo da musicare. Francesca, Parisina, Il Campiello. Un invito ad approfondire queste splendide ma neglette opere nella vostra benemerita rubrica sulla musica proibita.

  18. I libretti di Otello e Falstaff sono a mio avviso straordinari e nel genere libretto credo risultino molto meno datati di quelli di Wagner (almeno così mi riferiva un mio amico svizzero che sosteneva che all’ascoltatore di madre lingua tedesca suonano un po’ obsoleti -che é aggettivo peggiore di “vintage”…quale tuttalpiù possono essere definiti i libretti italiani dai loro detrattori privi di spirito-). Duprez su col morale!!! mi ricordi il conte Vronsky col mal di denti…

      • respiro Duprez ! Sulla questione Mahler volevo ricordare a me stesso (ma potrei sbagliarmi) che il predetto diventò di moda dopo “Morte a Venezia” di Visconti (1971) io ero piccolino ma tutti ne parlavano (dalla piccola borghesia in su). Forse nemmeno all’estero si era così in anticipo nel valorizzarlo se si tiene conto che la rivista Discoteca Hi Fi nel 1977 usci con uno speciale dedicato alle pochissime integrali allora disponibili e alle altre incisioni ufficiali, che si completò in non più di tre puntate.-

        • strano, ma vero una volta tanto mi trovo d’accordo con alberto emme. Infatti non stiamo parlando di opera e di canto. Quando Duprez afferma che la Scala arrivò con settant’anni id ritardo nel proporre Mahler sbaglia. Sbaglia perché la vicenda esecutiva di Mahler è alquanto limitata nel primo cinquantennio del XX secolo. Lo eseguiva interamente il solo Bruno Walter, che era stato assistente del compositore, in parte Klemperer e Mengelberg. A prescindere da Toscanini, che lo evitò credo per tutta la vita (e per motivi personali) non interessò molto a nessuno dei direttori della scuola storica tedesca e pure a quelli di scuola francese (preciso entrambi i gruppi come Toscanini, de Sabata e Guarnieri praticavano i contemporanei), aggiungiamo nella Germania ( e poi Austria) nazista il divieto di eseguire certe musiche e la limitata diffusione di Mahler non solo alla Scala è presto spiegata. La fama e la diffusione inizia negli Stati Uniti intorno agli anni 50. Ovvio era il paese dove si esibiva Walter cui deve aggiungersi Mitropoulos, che guidava la Minneapolis Orchestra. Appena quest’ultimo approda in Italia esegue in Scala proprio Mahler e lo esegue in un’epoca in cui era l’inizio dell’inserimento di Mahler nel repertorio sinfonico. Stesso discorso si può fare con Boulez, che se non sbaglio inizia a dirigere Mahler a metà degli anni ’60. Insomma sono sempre critico verso la Scala ma nel caso Mahler, a differenza di altri, non posso proprio ritenere in ritardo ed intorto il teatro milanese, che oltre tutto non è un’istituzione concertistica in primis. Poi se riteniamo che eseguire un autore sia dedicargli una stagione sinfonica intera come, in pratica cavalcando la moda, fece Abbado liberi di ritenerlo. Non credo che questa ed altre campagne di diffusione alla sovietica o alla Minculp costituiscano diffusione di cultura, ma che al contrario evidenzino i limiti di chi le abbia organizzate ed inflitte al pubblico

          • Parli di “campagna di diffusione alla sovietica”, ma forse non son chiari i termini della questione: andiamo a vedere le cronologie e, poi, lasciamo giudicare a terzi se davvero si tratta di un presunto Minculpop. L’integrale delle sinfonie di Mahler è stata programmata in 3 (tre) stagioni, non in una, e previsamente ’69, ’70 e ’71. Quindi 9 sinfonie in 3 anni: credo che 3 sinfonie di Mahler all’anno non siano chissà quale presenza ossessiva. Comunque di queste, Abbado diresse solo la Sesta, la Terza e la Seconda (una all’anno), mentre le altre furono affidate ad altri direttori. Ma tanto per restare ad Abbado e alle tre stagioni “incriminate”, scorrendo gli altri concerti da lui diretti in quegli anni si scopre che:
            1) nel 1969 oltre alla Sesta di Mahler (eseguita con il Quarto concerto per pianoforte di Beethoven, col grande Dino Ciani) ha diretto la Seconda di Brahms con il Carnevale Romano di Berlioz; concerto in Sol Minore di Vivaldi con Stabata Mater di Pergolesi, Sinfonia dei Salmi di Stravisckij e Te Deum di Verdi; Te Deum di Berlioz con Concerto n. 3 di Prokof’ev (con Pollini) e Tre pezzi per orchestra di Berg.
            2) nel 1970 oltre alla Terza di Mahler con la voce di lusso della Horne peraltro, ha diretto “Quadri da un’esposizione” (orch. Ravel) e Terza di Prokof’ev; Terza di Beethoven e “Imperatore” (con Pollini); ouverture “Le creature di Prometeo” di Beethoven con Lulu-suite di Berg, Quarto concerto per pianoforte di Prokof’ev e “Poema dell’estasi” di Scriabin.
            3) nel 1971 oltre alla Seconda di Mahler con Laudate Dominum di Mozart e “Ah perfido” di Beethoven, dirige l’adagio della Decima con Uccello di Fuoco di Stravinskij, Quinto per pianoforte di Prokof’ev e “Vorresi spiegarvi oh Dio” di Mozart (con Margaret Price); quattro pezzi di Musorgskij per coro e orchestra con Concerto n. 1 per pianoforte di Beethoven e di prokof’ev )Argerich), Leonora III; Requiem di Verdi, Concerto per Violino di Beethoven con Dafni e Cloe di Ravel e Intolleranza di Nono…
            E questi sono solo i concerti diretti da Abbado. Mi sembra che non si possa certo parlare di mahlerizzazione… Comunque mi piacerebbe sentire il parere di altri: davvero è eccessivo eseguire tre sinfonie all’anno di Mahler per tre stagioni?

  19. A proposito di libretti d’opera che assurgono a testo letterario autonomo penso di andar vicino al vero sostenendo che tutti quelli che avete citato vengono surclassati (forse tranne Salome) dal libretto del “Der Rosenkavalier” di Hugo von Hofmannsthal.

  20. Per Miguel:

    Lusingato:) Posso chiederti , per amor di confronto di opinioni, che ne pensi di quel Falstaff? O meglio, del cast assemblato dato che è su quello che ho espresso un parere a caldo (senza peraltro aver terminato l’ascolto. Domani spero di rimediare.) . Grazie in anticipo per la pazienza:)

    Per Donzelli:
    Non è che non siano belli ma sono troppo brevi e veloci nello sciorinare il chiassoso (in senso positivo) testo boitiano che forse meriterebbe di essere più comprensibile e non perdersi nell’insieme. Grazie del consiglio:) proverò a cercarla… magari si trova sul tubo!

    • Per Ninia.

      Certo che puoi chiedere, siam ben qui’ per
      scambiarci opinioni, no?

      Tu scrivi “Gobbi che di solito non mi piace,
      qui’ non mi dispiace”. Bene, a me Gobbi di
      solito non piace, e men che meno mi piace
      in questo Falstaff, nel quale canta come il solito
      Gobbi della meta’ degli anni cinquanta :
      Ne azzeccasse uno di acuto…niente!
      Poi scrivi “La Schwarzkof, che non amo
      per nulla, pare almeno viva”. A me invece
      la Schwarzkopf piace in alcune altre cose,
      ma in questo Falstaff la trovo un freddo
      Capodimonte, (e non dei migliori), non viva.
      Prosegui dicendo “la Barbieri e’
      simpaticissima!”. Io la trovo troppo
      caricata. La frase “Alva sempre corretto,
      qui’ piu’ sopportabile” non la capisco mica
      tanto Ninia, e comunque non trovo per
      niente Alva sempre corretto, non qui’ nel
      Falstaff e neppure da altre parti. Anche
      “la Moffo insomma” e’ un filino sibillina
      come frase, io trovo la Nannetta
      della Moffo, quando si escludano le
      disastrose prove da lei lasciate in “Thais”
      ed in “Juive”, la piu’ insipida
      realizzazione di un ruolo d’opera da lei
      inciso. Anche Anna Moffo in ogni caso,
      e’ cantante che in altri ruoli ho apprezzato.
      Su Zaccaria siamo d’accordo.
      Ciao caro, e tanti begli ascolti.

      • io penso che Tito Gobbi vada apprezzato come si può apprezzare un re dei dilettanti: come Bocca di Rosa la sua passione, lo condusse a soddisfare le proprie voglie e a monetizzare una cultura e un talento non comune.

      • Per Miguel:

        Mi sarò spiegato male forse, ma, leggendoti, in realtà non abbiamo posizioni tanto distanti, se non su Gobbi, vocalmente censurabile, ma rende bene questo personaggio esagerato e la Barbieri. La Schwarzkpof è sempre gelida, anche qui lo è, dicevo solo che è più briosa del solito; in ogni caso non mi piace perché la trovo così fissa… La Moffo non mi piace per nulla in questo ruolo e negli acuti presi piano pare strozzarsi. Di Alva non sono un fan, ma è aggraziato e genereicamente corretto (nel senso che, di solito, non fa danni e non danneggia i timpani); il personaggio di Fenton, che mi pare piuttosto insulso, non glielo vedo male.
        Grazie a te:) Ora che sono tornato dall’uni, finisco il Falstaff.

        Per Kristen: Grazie del consiglio, me lo segno tra le tante cose da procurarmi e ascoltare:)

          • Nel senso che si deve cantare sulla parola… e Gobbi quando voleva sapeva farlo. Imperdonabili certi difetti, perché il cantante era intelligente e all’inizio non cantava neanche male, uno spreco.

      • gobbi ha sempre parlato ingolato corto e par conseguenza becero. Dopo taddei sino al 1970 non oltre tutti hanno parlato è non cantato. Solo che critica e pubblico davanti ai parlatori gridano alla grande interpretazione

        • Ma lo conosci il Gobbi degli HMV del ’42 – ’48? No perché, se conosci queste incisioni del primo Gobbi e dall’ascolto ti viene da pensare sempre a un becero
          parlatore, allora è inutile anche discuterne. Non so quali orecchie tu abbia, ma Il Gobbi degli anni ’40 è un grande baritono per espressività e grande eloquenza d’accento,nonostante i problemi degli acuti tendenti al fisso, ma né duri né troppo forzati, e comunque ai primi degli anni ’40 ancora sufficientemente timbrati e penetranti. I pregi di queste incisioni compensano i difetti. Ascoltare “per me giunto il dì supremo”, le arie dalla Zazà, la cavatina di Figaro, occhi di fata, musica proibita.. Per il Gobbi successivo posso essere d’accordo, ma non so come si possa liquidare un cantante cosi come becero parlatore, almeno, rispetto alle sue prime incisioni.

          • Ciao Cortecci,
            quest’ultimo tuo inervento e’
            rivolto a Donzelli, vero?
            Sai, gli inerventi cominciano
            a diventare molti, ogni tanto
            vado in confusione.

          • io non vedo nessun intervento di cortecci. Sarà l’orario e l’appetito?

          • le cose giravano bene a condizione che non si passasse un mi acuto “vedi per me è giunto” perché il resto dell’aria o verdi in generale….. lasciamo stare e con scarpia arrivava pure il cattivo gusto. Zazà se non sbaglio fu un cavallo di battaglia di un dicitore come de luca. Solo che de luca era un gran cantante e non divenne mai un parlatore. Destino capitato a don antonio scotti, che pure nella sua breve gioventù vocale sapeva anche cantare

  21. Beh, Mancini, dire che la musica è astorica è una tale assurdità che è ovviamente incommentabile. Nessuno ha poi detto che la musica di Rossini non funziona tecnicamente. Non avrei mai pensato che esistessero persone così; sei un fenomeno curioso, carissimo Mancini, da studiare.
    Marco Ninci

    • E’ un’assurdità per chi non sa nulla di musica (che non significa sapere vita morte e miracoli dei compositori e delle loro epoche storiche). L’effetto che, putacaso, un certo percorso armonico, una modulazione, un intervallo, una cadenza producono sulla coscienza di chi ascolta sono gli stessi in qualsiasi epoca storica, sono fuori dalla storia. Ciò che è soggetto alla storia è solo formale, accessorio, la sostanza non cambia mai. La musica è una come il canto è uno, e non può che essere una ecc… Se si abbracciano criteri storicistici allora bisogna dare ragione a chi sostiene che la vociferazione di un Kaufmann o i fruscii di una Bartoli siano non manifestazioni di decadenza ma normale evoluzione dell’arte. La negazione di ogni criterio universale… aria fritta per poveri di spirito, che in campo musicale ci ha condotti alle aberrazioni della non-musica contemporanea.

      • Guarda che storia non vuol dire progresso positivo sempre e comunque. E che oltre che di evoluzione si può parlare di involuzione.
        Ergo i criteri storicistici in generale che t’han fatto di male?
        Parlo in generale e non solo con riferimento alla musica.

        • Parli con me? Progresso positivo?! Ma se negli ultimi cinquecento anni non vedo altro che decadenza, in ogni campo! Lo storicismo non è compatibile con ciò che ormai da tempo vado ripetendo ossia che il canto è uno e non può che essere uno, che l’emissione giusta non è una invenzione, non è convenzionale, ma è una necessità inevitabile, è solo in un modo e non può che essere così, da sempre e per sempre.

          • Fossimo vissuti cinquecento anni fa noi tutti ( o quasi ) non saremmo stati qui a discutere di musica ma, abbrutiti da giornate di lavoro interminabili, completamente analfabeti, col fisico spezzato a 40 anni, abitanti in miseri tuguri di paglia, privi di ogni diritto se non quello di servire, ci saremmo goduti in pieno un’epoca ancora immune dalla decadenza. Un vero peccato non aver vissuto quei tempi gloriosi.

          • In ogni campo? o_O ma…ma…ma… Mancini, tu sai che la “Prima Rivoluzione Scientifica” avviene proprio a cavallo del 1600 e che è probabile che nel 1500 tutti i cantanti cantassero più o meno come la Kirkby? Come anche, sempre nel 1600, ancor si cercavano modelli ottimali di temperamente degli strumenti musicali per far in modo che un clavicembale ed una viola da gamba suonassero gli stessi intervalli e le stesse note? XD

            A parte le battute umoristiche che fanno sorridere, non calcare la mano altrimenti sembra proprio che non sappia dare il giusto e rilevante peso alla Storia in qualsiasi fatto tu racconti! 😉

          • Sì Giambattista, parlavo con te.
            E aggiungo che leggere gli utlimi 5 secoli all’insegna di una inarrestabille decadenza è solo una tua valutazione del corso degli eventi, non un dato di fatto.
            Perché uno degli insegnamenti che, vivaddio, il tanto vituperato “progresso” ha portato è stato quello di distinguere i fatti dal giudizio di valore che se ne dà.
            E si sa che tot capita tot sententiae.
            Tornando in tema, un criterio “storico” – che è un po’ più congruo di “storicistico” – potrebbe tornare utile nel capire perché il gusto estetico sia cambiato così tanto negli ultimi trent’anni tal che oggi si considerino K. e la B. come giganti della vocalità.

            E, lo voglio ripetere perché la cosa mi ha scioccato, che la Scotto, che non è certo l’ultima delle cretine tra i cantanti, rilasci interviste dove parli di Kaufmann con parole che manco riserverebbe a Schipa o a Gigli, beh… è cosa che a me dà da pensare.

          • Beh, quanto alla scotto si sa che i cantanti di piu’ grande della loro vanita hanno solo l’opportunismo! Direbbero qualunque cosa tornasse loro utile. I complimenti della sills sulla trebko non li dimentichero’ mai.

          • Sì ma il discorso storico deve stare fuori dal giudizio artistico. Il canto è uno e non può che essere uno. Io giudico i cantanti di oggi con gli stessi criteri eterni, assoluti, oggettivi ed universali con cui giudico un cantante di cento anni fa, non accetto evoluzionismi di sorta… Oggi non si canta in modo diverso, non esiste un altro canto, si canta solo molto molto peggio. O si accetta la mia teoria della decadenza oppure si scade nell’evoluzionismo che legittima ogni tipo di schifezza.

          • Giulia raccontando questo aneddoto, che non conoscevo, sulla Sills mi dai un duro colpo!

            Giambattista limitatamente al canto posso condividere i tuoi sentimenti. Limitatamente al canto. Per tutto il resto mi sembri troppo incupito da una nera intransigenza.
            Sembri il sagrestano della Tosca 😉

          • E sul giudizio storico: può servire a capire il mutamento di quello artistico, non ne deve stare fuori, e non va inteso a mio avviso come lo intendi tu.
            Quelo che intendo suggerirti è: atteniamoci a dire che non si rispettano più le regole dell’arte e che ciò, purtroppo, piace. Su questo ragioniamo e interroghiamoci. Senza tirare in causa categorie universalizzanti uno scenario apocalittico…

        • Quindi secondo te il valore di una composizione si misura sul rispetto delle regole stabilite nei conservatori? Se fosse così Clementi sarebbe certamente superiore a Beethoven e Rossini verrebbe bocciato direttamente…essendo entrambi ben poco accademici

          • Quel che vorrei capire è secondo TE su cosa si misura il valore di una composizione… se mi dici sul gusto personale non capisco cosa stiamo a discutere. Ognuno ha i propri e se li tenga.

  22. Caro Mancini, io molto semplicemente credo che tu non sappia di cosa parli. Che la coscienza dell’uomo sia sempre la stessa nel fluire della storia lo sento dire per la prima volta in 67 anni. La ricezione di un qualsiasi effetto non può essere la stessa, in quanto condizionata da elementi culturali, storici. Questo blog è interessante perché ogni tanto vi si incontrano cose stranissime e divertenti. Ciao

  23. Gentile Ninia92, per avvicinarsi al Falstaff sarebbe utilissima una lezione, ma sarebbe meglio chiamarla chiacchierata che Roman Vlad fece alla RAI diverso tempo or sono, con numerosi esempi suonati da Vlad stesso al pianoforte,dimostrando il profondo influsso che la musica verdiana del Falstaff ha avuto sui compositori successivi, Stravinky compreso. Purtoppo queste trasmissioni giacciono nelle teche RAI e temo non siano di facile reperimento ( sul tubo, ad ex, non ci sono). Inoltre, uno dei tanti modi per avvicinarsi al Falstaff e’ di ascoltare l’interpretazione di Toscanini con Valdengo e di Giulini con Bruson ( piu’ seriosa). Ma poi in realta’ ognuno crea il proprio percorso. Saluti e buon ascolto

  24. veramente Falstaff e’ un ruolo tutto cantato…anzi se segui tutte le indicazioni c’ e’ poco da inventare. A parte questo spero che Massimo Giordano non legga questa conversazione perche’ si e’ discusso d tutto meno che di lui e non vorrei c restasse male.

  25. Perché mai Fenton sarebbe insulso, Ninia? Canta cose così belle…E poi è commovente il vecchio Verdi che vede come da lontano, con infinita tenerezza, l’amore dei ragazzi. Questo modo di cantare l’amore, ovviamente nuovo in Verdi, mi sembra una delle cose più straordinarie e toccanti di tutta la letteratura operistica.
    Ciao
    Marco Ninci

    • Per Marco:

      Intendevo semplicemente che è mi pare un personaggio un poco sciocco, privo di iniziativa, se non quella dettata dallo sconquasso ormonale. Poi, (ma so che suonerà come un’assurdità) canta ad una tessitura e con languore tali da farmi pensare che come ruolo en-travesti sarebbe stato più azzeccato. Non lo immagino troppo differente da Cherubino :) La musica che deve cantare è però bellissima, forse la più bella dell’opera.

      Per Massimo:
      Grazie dei consigli:) Purtroppo la Rai da due decenni a questo parte è in una fase di totale decadenza…

    • Marco carissimo, considero il Falstaff opera musicalmente bellissima ma non simpatica. Trovo ‘l’infinita tenerezza’ con cui Verdi – anziano come noi, e tra anziani ci si intende – guarda l’amore dei ragazzi leggermente intrisa di retorica sentimentalista (retorica su cui Boito, per altro, ha già calato un carico da undici).

      Da canara, sobbalzo quanto sento dire che Hitler si commuoveva davanti a cani e bambini, e mi chiedo se il sentimentalismo non sia solo l’altra faccia del cinismo. Nel che gran parte ha il mio appartenere a una generazione che i figli se li è letteralmente mangiati.

      Certo, quando a cantare Fenton e Nannetta sono una giovane Freni (per altro già sposata e con prole) e Alfredo Kraus ti lasci quasi convincere. Ma, appunto, quasi….

      Un abbraccio affettuoso.
      Lily

  26. Carissimo Franz, sono contento che tu la pensi così su Fenton e Nannetta; sarà che sono anziano e che quindi anch’io guardo all’amore dei ragazzi un po’ nello stesso modo. Però, ti prego, qui ci diamo tutti del tu; e non esistono né professori né maestri. Anche perché, usando dei titoli, sarebbe più difficile mandarci reciprocamente a quel paese, cosa che facciamo spesso e volentieri. Con grande gusto, credo.
    Ciao
    Marco Ninci

  27. Cara Lily, è davvero retorica sentimentale e cinica quella di Verdi? Non lo so. Identificare un atteggiamento psicologico dietro l’espressione artistica è sempre difficile, penso impossibile. Cinismo mi sembra eccessivo, caso mai un certo distacco, non incompatibile con la tenerezza. Che i peggiori personaggi poi si commuovano per le piccole cose, è noto. Lo fanno i mafiosi, i finanzieri, i malversatori, i semplici assassini. E allora? Cosa dobbiamo concluderne? Che ogni commozione è falsità, rappresentazione, commedia? Ancora una volta non lo so. Tuttavia mi sorge il sospetto che non sia così importante saperlo; è importante invece la funzione di controcanto che la vicenda dei due innamorati svolge nei confronti della beffarda e malinconica trama che li avvolge. A me sembra che la suprema bellezza di quella musica basti ed avanzi a certificarne la verità. La nostra generazione…Può darsi che ci siamo comportati come Crono. E’ quello che ripetono tutti, assordandoci le orecchie da mattina a sera. Certo, però, vorrei anche che si riflettesse al fatto che a partire dagli anni Ottanta si sono fatte politiche di distruzioine dello stato sociale, si è cominciato a dire che non ce lo potevamo più permettere etc. Non è che lo stato non abbia più risorse per il lavoro e le pensioni; il fatto è che queste risorse vengono usate altrimenti, per una ridistrubuzione verso l’alto impressionante. Noi avremo le nostre colpe, senz’altro. Ma è giusto riflettere anche a tutto il resto. Di quello che penso ho già parlato altre volte, in un contesto assolutamente fuori tema, che non vorrei trattare ora.
    Ciao, Lily, sempre in gamba.
    Marco Ninci

  28. Cara Lily,forse, come dici, Falstaff e’ un’opera non simpatica perche’ il protagonista,che all’nizio non si e’ accorto di essere invecchiato, a forza di smacchi prende progressivamente coscienza che il tempo e’ irrimediabilmente passato. E l’accettazione dell’invecchiamento e’ ben piu’ impegnativa che fare un piantarello per la morta di Mimi’.
    Tuo, Max

    • Ciao Max,
      non credo che Falstaff non sappia di essere vecchio, grasso, un po’ laido e agli occhi di alcuni borghesucci ridicolo (i suoi monologhi sono lì a provarlo), piuttosto non se ne preoccupa e si diverte lo stesso a dare la caccia a quelle galline delle comari.
      La chiamerei coscienza di classe (“Son io che vi fa scaltri: l’arguzia mia crea l’arguzia degli altri.”), proprio la cosa che rende grandioso il personaggio, non tanto diverso in questo dal Marchese del Grillo (“Io so’ io e voi nun siete ‘n c…o!)

      Quanto alla morte di Mimì e di tutte le sue sorelline pucciniane – con la dovuta eccezione di Manon Lescaut (che adoro, l’unica, come dice Fedele D’Amico, ad andare dritta all’inferno) – vale ancor più il discorso che facevo con Marco sul sentimentalismo visto come l’altra faccia del cinismo.

      Un abbraccio.
      Lily

  29. da ragazzo trovavo boheme e soprattutto il quarto atto noioso e melenso. Poi mi sono trovato nell’angosciosa situazione di attendere il trapasso di una persona impotente e spaventato come accade sempre nell’impatto con la morte e allora ho capito la grandezza e l’ universalità di quel quarto atto.

      • questo è un commento assolutamente fuori luogo sembri uno che crede di essere un critico e che sproloquia superlativi e che mi disse che con gli anni avrei capito strauss (quello di monaco) perché rossini è facile. Deduco dalle frasche con cui da anni ammorba il modo e non capisce rossini, che cerebralmente sia intorno ai due lustri di età!

        • dici a me Donzelli ???? perché i due lustri di età cerebrale effettivamente ci potrebbero stare, ma la “querelle” Strauss/Rossini mi risulta proprio estranea, io “a gratis” non cerco di convincere mai nessuno…

  30. E poi scusami, Lily, per tornare al discorso dei padri che si sono mangiati i figli. Non so tu, ma io non ho avuto nessun privilegio, ho avuto semplicemente quello che tutti debbono avere, un posto di lavoro e una pensione decorosa. Non è che con quanto ho avuto io ho tolto qualcosa a chi è venuto dopo di me. Il fatto che queste cose minime non vengano più erogate non dipende da scarsità di risorse, ma da politiche precise, che mirano all’impoverimento delle classi subalterne, dopo i trenta anni d’oro che sono seguiti alla seconda guerra mondiale. Anni nei quali la sfida rappresentata dai paesi socialisti ha costretto il capitalismo a dare il meglio di sé in termini di salari e prestazioni sociali. Quando oggi invece ottantacinque (non ottomilacinquecento, non ottocentocinquanta, proprio ottantacinque) persone detengono la maggioranza della ricchezza mondiale. Che l’ideologia dominante, nell’epoca più ideologica che sia mai esistita (altro che fine delle ideologie!), imponga un’altra versione dei fatti è un altro discorso. Non vorrei che a questo discorso, uno dei più vergognosi, falsi e aberranti che siano mai stati pronunciati, tu, Lily, sacrificassi qualcosa.
    Con grande affetto
    Marco Ninci

    • Carissimo Marco, condivido al cento per cento, e condivido anche la tua situazione attuale (a differenza, ahinoi, delle mie figlie); ma, avendo per una vita sostenuto quella parte che avrebbe dovuto lottare per impedire lo scempio di cui parli, non mi sento di chiamarmi fuori, o almeno non del tutto.

      Dettaglio divertente e significativo: la mia vita di campus a Berkeley è stata altrettanto felice del mio periodo di lavoro alla Staatsoper di Berlino Est.

      Un abbraccio.
      Lily

  31. Scusami, Lily, se ho usato un tono un po’ perentorio. Ma sono cose che non sopporto. Ti presentano l’inevitabilità di queste politiche, come se equivalessero a un fenomeno naturale, a un terremoto. Sono cose invece che rappresentano la conseguenza di scelte, che si possono fare o non fare. Si può scegliere di ribellarsi o di subire. Per quanto riguarda Manon che va all’inferno, il discorso di Fedele D’Amico, come tu sai benissimo (non so se lo sa Donzelli), non c’entra niente con la sua disponibilità a rendere felici questo e quello, ça va sans dire. Senza considerare poi il fatto che l’incontro con lei rende felici ben poche persone.
    Ciao
    Marco Ninci

  32. Post ricco di commenti interessanti, a cui mi piacerebbe aggiungere un paio di considerazioni personali.
    La prima e più immediata sorge sull’apparente dualismo cantante-direttore. Apparente non perché non vi sia, ma perché lo ritengo basato su elementi non musicali, in quanto non trovo una ragione valida per dare a uno dei due soggetti un primato interpretativo nell’ambito di un brano d’opera. La musica si fa insieme, non c’è (non ci dovrebbe essere) uno che comanda e decide e l’altro che esegue, a meno che non si parli di masse artistiche. Poi questo principio viene (lo è sempre stato) inquinato da ragioni che nulla hanno a che fare con la musica, come il divismo, l’aurea di infallibilità data dalla celebrità e altre simili amenità. Fare musica insieme vuole anche dire valorizzare i lati migliori propri ed altrui. Visto che ne parlavate sottotraccia, nessuno toglie al Muti degli anni migliori i suoi meriti in ambito interpretativo, ne sono personalmente un grande estimatore; tuttavia, mi sarebbe piaciuto anche poter gustare maggiormente l’interpretazione di altri interpreti in seno alle opere da lui dirette, soprattutto nelle parti in cui i protagonisti sono chiamati a esprimere la cifra del personaggio che interpretano. Questo anche senza voler arrivare ai molti direttori del passato che sono stati quasi “maieutici” e hanno aiutato diversi cantanti a focalizzare il loro percorso artistico, forse proprio perché più esperti in ambito vocale.

    Il secondo punto molto interessante riguarda la decadenza della composizione operistica in rapporto alle voci. Secondo me c’è un equivoco di base che confonde le acque del vostro dialogo: la questione non mi pare verta su quanto un determinato tipo di scrittura sia più “sano” o, meglio, “formativo” per affinare la tecnica vocale. Che Mozart insegni a cantare più di Mascagni è una scoperta da acqua calda. Tuttavia non è scritto da nessuna parte che Mascagni vada sbraitato, si può anche cantarlo senza compromettere le proprie corde, ma questo richiede molto giudizio nella scelta dei ruoli e una tecnica di base che oggi purtroppo appare quasi aliena e che un tempo era invece un dato acquisito e perfezionato non solo a causa degli studi musicali di certo più impegnativi e rigorosi, ma anche (soprattutto) grazie a un percorso di repertorio misurato ai progressi di ogni singolo allievo. Mascagni si sbraita perché oggi ti buttano a cantare Turiddu a 25 anni senza prima esserti fatto i tuoi anni di sano belcanto in cui impari a cantare sul fiato come Dio comanda. Ma oggi se hai un colore brunito e una voce potenzialmente ampia non ti fanno cantare Mozart e Donizetti (giusto per citarne due) neanche sotto la doccia: “troppa voce”, lì ci vuole la zanzara (poi non si sa in base a quale stupido dogma). Ovvio che poi a teatro si senta gente che gonfia, ingrossa, soffre (e noi con lui/lei), per di più non passa l’orchestra e alla fine si spacca pure.

    Non butterei quindi le colpe della decadenza sui compositori, anche perché incolpare le lapidi serve a poco; inoltre è normale che vi siano compositori più o meno esperti di voci oppure che vogliano o sappiano agevolare di più il cantante e questa non è una questione di epoca. Beethoven non è un compositore verista eppure scrive tessiture per voce piuttosto faticose e a volte quasi innaturali. E non parliamo certo di un cretino qualunque.

    Sul tema della storicità o a-storicità della musica, per quanto interessante, preferisco sorvolare: mi pare questione troppo ampio per essere discusso su un blog, ma certo l’esempio – credo del Ninci – sui diversi effetti che produce lo stesso suono a distanza di epoche, o anche di chilometri, sarebbe un buon punto sul quale incardinare la questione.

    I miei saluti.

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