Ascoltiamo due frequentatrici del repertorio di soprano lirico-spinto, la prima essendo una diva italiana degli anni 1940-50, l’altra impiegata nel mondo contemporaneo della lirica, in un’aria che non dovrebbe porre nessun problema a qualsiasi cantante che abbia una base elementare per l’emissione professionale della voce.
Carla Gavazzi sfoggia tutti i pregi della vecchia scuola italiana – un’emissione priva di qualsiasi appesantimento, un suono franco, limpido, tagliente, ed un passaggio esemplare tra voce di petto e voce di testa nell’ottava inferiore. Già le prime note emesse sul fa e fa diesis centro-gravi dimostrano un’ottima voce mista. Nel resto dell’aria sentiamo un fraseggio assolutamente libero e trasparente proprio nella parte centrale e centro-grave della voce su cui insiste parecchio la scrittura di Leoncavallo, con suoni sempre a fuoco sia nella voce di petto che nella parte mista o negli acuti. Di una vocalità cosi equilibrata risulta un’interpretazione piena di slancio, sia per la potenza materiale della voce che per il fraseggio sempre scandito ed esatto. Ci troviamo davanti ad un’interpretazione verista dal gusto più rifinito, proprio perché qualsiasi frase affettata della passionale Gavazzi trova un adeguato appoggio nel materiale vocale saldato da una preparazione straordinaria. L’unico difetto rincontrato nel ascolto della Gavazzi è l’omissione delle poche battutte della cadenza che segue il recitativo.
Oksana Dyka, imposta oggi, o per la dote e l’assenza di una propria concorrenza o per altre ragioni, nei massimi teatri del mondo come interprete di ruoli lirico-spinti del repertorio verdiano e verista, è l’esatto contrario di ciò che sentiamo nell’esecuzione di Carla Gavazzi ed in questo il soprano ucraino è piuttosto un sintomo di tutt’una epoca musicale che un caso che sarebbe interessante di per se. Se al centro la Gavazzi sfoggiava una voce “aperta” nel senso di una nobile limpidezza equilibrata e vibrante del suono, la Dyka emette suoni “aperti” nel senso di suoni collati nella gola o nella bocca a causa di una respirazione difettosa ed un’incapacità di collocare correttamente il suono nello spazio della cavità buccale. La dizione è spesso distorta ed a tratti la voce è del tutto soffocata ed inudibile nei gravi e nel centro, mentre gli acuti sono sempre tirati e metallici. Quel poco di interpretazione che ci viene proposto non è assimilato al lavoro sul suono bensì è basata su affettazioni volgari ed aggressive le quali letteralmente trascinano dietro di sé una vocalità impotente.
E’ sintomatica la vocalità di una Dyka perché proprio il suo modo di gestire la parte inferiore della voce dimostra quanto sia inconcepibile per la mentalità di oggi una voce lirico-spinta che canti con suono trasparente e priva di pesantezza, come lo si ascolta in una Gavazzi o in una Clara Petrella. In questo senso si sarebbe da chiedere se è questa ricerca di robustezza e di spessore che distorce l’ulteriore lavoro su una vocalità equilibrata o se è l’incapacità primordiale a gestire il fiato che determina l’assenza del suono fino e penetrante che è cosi ammirevole nelle dive italiane del passato e che è l’unico modo possibile per arrivare ad una vocalità libera e sovrana.
Come diceva la Callas “alla Scala si arriva già “fatti”” e la Dyka deve essere smontata e rimontata dall’inizio. W la Gavazzi! 😀
Una volta La Scala era segno di qualità ma ora fa solo ridere!
ridere per non piangere!
i mezzi vocali l’ucraina li ha,solo che ha avuto un cattivo insegnamento,poi solito discorso,vengono mandati nei grandi teatri ancora principianti,questo confronto lo dimostra,ma è la scuola che fa la differenza