Recentemente, ma non per la prima volta, il sito è stato fatto oggetto di una pesante censura da parte di altro blog, di quelli per i quali l’osannante salmodia dei tempi attuali è la regola irrinunciabile ed imprescindibile. Non è la prima volta né sarà l’ultima. A tale patetica difesa risponderemo presto e con dovizia di dettagli, ma l’osanna in favore di Anja Harteros ci ha indotti a dedicare al soprano oggi in auge qualche riflessione anche nella rubrica degli ascolti comparati. Riporto il peana di cui dedicataria la Harteros:
Reste Anja Harteros. Qui chante ainsi aujourd’hui ? Avec des moyens qui ne sont pas tout à fait ceux du rôle, mais un art du chant, de la respiration, un contrôle sur le souffle de tous les instants, elle est une stupéfiante Leonora, diffusant l’émotion et le don de soi et ce sans maniérisme aucun, dans une simplicité étonnante. On en tremblait derrière l’écran, que devait-on vivre en salle ? Elle m’avait complètement tourneboulé dans Don Carlo, Elisabetta unique aujourd’hui avec un Jonas Kaufmann plus à l’aise dans Don Carlo que dans Alvaro, elle stupéfie dans Forza, Elle a fait un second acte anthologique. Prodigieuse dans Rosenkavalier, dans Meistersinger, dans Lohengrin, dans Forza et Don Carlo (sans oublier sa Traviata…) Quo non ascendat ?
Con tale incenso io credo la signora Harteros dovrebbe essere comparata con Maria Reining, Sena Jurinac, Montserrat Caballé o per scendere un po’ con Maria Chiara o Gabriella Tucci, invece, il Corriere della Grisi sceglie Maria Luisa Fanelli. Cantante quasi sconosciuta se non avesse inciso il duetto del Trovatore con Benvenuto Franci, quello della stanza del Lohengrin con Aureliano Pertile e più ancora nel 1934 il Requiem sotto la solida bacchetta di Carlo Sabajno, con un pugno di orchestrali e coristi scaligeri e partner tutti dalla carriera più lunga della sua (Irene Minghini Cattaneo, Franco Lo Giudice) ed uno Ezio Pinza di levatura addirittura storica. La Fanelli, nata a Chicago nel 1900 figlia di immigrati italiani, cantò circa sino al 1935 anche in teatri famosi come la Scala dove cantò alla prima dei Cavalieri di Ekebu, ma fu una delle tante buone professioniste in carriera in teatri di media importanza per soddisfare le esigenze di un’arte ancora molto popolare ed amata. Dall’ascolto e dal repertorio praticato si trattava di una ricca e dotata voce di soprano lirico spinto (tipo Pampanini, Carena o Caniglia) emessa con tecnica solida, anche se il dubbio che gli acuti estremi fossero un poco spinti sussiste all’ascolto ed il gusto era sobrio, assai più ad esempio delle prime registrazioni di pagine spinte della Caniglia.
L’arioso di Wally al secondo atto non presenta difficoltà insormontabili né in zona bassa (di fatto mai chiamata veramente in causa) e non prevede acuti salvo il si alla chiusa. Insomma un passo di riposo dove l’esecutrice può mettere in rilievo due doti o la qualità del timbro (Tebaldi) o la dialettica (Olivero, Muzio, Krusceniwsky) in ciò istigata dalle indicazioni copiose dell’autore. Una cosa però deve essere salda per chi esegua questa pagina il primo passaggio della voce e l’ottava centrale.
Alla resa pratica, ovvero all’ascolto:
Anja Harteros non rispetta che pochissime delle forcelle che Catalani distribuisce a piene mani precisamente quelle dal forte al piano di “ve la speranZA” e “rimpianto E DOLOR”, altrove “più mai” due fa diesis4, suona fissa nel tentativo di eseguire la forcella, omesse tutte le altre, ma quel che è peggio la voce fra il si3 ed il fa4 ovvero nella zona del passaggio suona tubata e fissa (do centrale di “O della madre”, la ripetizione di “mai più” che è un fa diesis) e ne risente l’articolazione (le due duine di “rivedrai”) o il rispetto delle indicazioni espressive come il “con anima” di “mai più ritorno”. Più sotto, quel poco che della zona grave è chiamato in causa compaiono suoni aperti “fra la neve bianca” della ripetizione e si tratta di fa e sol3. Sotto il profilo vocale le cose vanno un filo meglio quando la voce sta nella zona un po’ più acuta ( quella naturale della cantante) anche se l’accento è assolutamente inerte e fiacco, perché con buona pace dell’ultimo venuto ad insultarci il problema del cantare non è la nazionalità del cantante, ma l’accento all’italiana che qui latita. Invito a sentire, anche prima del matrimonio con Bruscantini come Sena Jurinac, o sempre Eleanor Steber (ad onta della dizione yankee) accentino.
Chi invece accenta e canta all’italiana è la sconosciuta Maria Luisa Fanelli. Tanto per fare la cronaca del rapporto fra indicazioni di spartito e realizzazione la Fanelli rispetta tutte le indicazioni. Non solo, ne aggiunge delle proprie soprattutto nella sezione conclusiva dove dopo il poco stentando de “la pia campana” su “MPANA” inserisce una forcella, come pure inserisce un’altra forcella alla chiusa dell’aria sul mi –re4 d “nubi d’or”. Preciso che come sempre nelle edizioni discografiche è omessa la vera chiusa dell’aria “Ma fermo è il pie”. Solo che l’esecuzione della Fanelli non consiste solo nell’eseguire ed implementare i segni di espressione, ma nell’articolare e scandire ogni parola, nel cambiare anche se non richiesta intensità come accade con l’inserimento di un più dolce fra” la neve bianca” e “le nubi d’or” del primo enunciato o nell’esibire un suono bello, perché messo al posto giusto nel “ o della madre”, che realizza l’indicazione “dolcissimo con espressione”, analogo accorgimento vocale ed espressivo allo splendente “animando” di “e FORSE A TE”. Se non si articola la parola, se non si dà alla voce il colore per esprimere i concetti musicali e drammaturgici, si inaugureranno i grandi teatri del mondo, ma non si è né una cantante né un’esecutrice. Solo un prodotto seriale con scadenza nel triennio. Scadenza prossima? Lascio ad altri dirlo, non mi interessa tanto alla scadenza del disco il discount del canto ne immetterà altro sul mercato.
La Harteros prodigiosa? Ammazza oh, ma che si fuma questo?
mica l’ho scritto io. Relata refero!
Questo disco della Fanelli non mi fa impazzire, non canta male, lega tentando fraseggiare, apre un po’ in basso al modo dei soprani veristi anni 20, ma soprattutto è carente di personalità. Certo, c’è una certa civiltà vocale nella sua esecuzione. Se si ascolta un HMV del 1919 della Poli Randagio della stessa aria si rimane folgorati dallo squillo e dalla capacità di modulare ad alta quota.
Trovo questa aria di wally della harteros una delle sue cose migliori da me ascoltate. Fin tantonche canta queste cose..ok. sono i suoi must il problema….
anche a me non mi sembra cosi malvagia,ma la Fanelli mi piace di piu,bella la dizione,poi piu preparata tecnicamente,su you tube,c’è una registrazione di “la mamma morta” cantato bene”naturalmente si parla degli anni 20 30
Ma andiamo, è indecente e improponibile qui come in Mozart, Verdi e Wagner. A dimostrazione che, quando non si sa cantare, non esiste il repertorio giusto, perché è il mestiere a essere sbagliato.
Viva M. Luisa Fanelli e tante altre che, mai soccorse dalla retorica della critica cioccolataia, hanno sempre fatto onore alla musica, a se stesse, al pubblico con il loro professionismo.
Mi spiace esser in disaccordo con la diva Giulia, La Harteros canta ma come molte straniere le parole son sempre “Ombreggiate” cioè sembrano cantate da una persona che teme di sbagliare la dizione, il che significa che non ne capisce il contenuto. Uno degli aspetti impressionanti di Magda Olivero è infatti quello di farti capire sillaba per sillaba in un italiano limpidissimo, che denota grande studio sulla parte.
La Harteros è lì tra un mi pare e forse sto sbagliando….ciò denota scarso studio e pressapochismo interpretativo.Andando coi miei ricordi personali fino agli anni ottanta i cantanti anche stranieri questi errori non si percepivano…ora questo “birignao” è diffuso anche a casa nostra.
Condivido. Aggiungo che l’intonazione – anzi la stoanzione – della Harteros nei centri è talmente dilenttantesca da sembrar di sentire una cantante appena migliore di quei saggi delle collegiali americane che si trovano sul Tubo. Solo che loro stano imparando… Infatti lei come loro ogni tanto si dimentica che esiste l’appoggio.
Ed è un vero peccato: sono imperdonabili sputacchi su una gran bella voce (che sarebbe più bella se la alleggerisse un pochino di più…)