La peggior esecuzione di Forza del destino, mai sentita in quarant’anni. Registrazioni fortunose e di teatri provinciali italiani degli anni ’70 grazie agli ultimi cantanti verdiani (Labò, Orlandi-Malaspina, Ligabue, Nave, Giaiotti) sono ARTE al paragone dell’indecorosa produzione, trasmessa ieri sera.
Pessima, pesante direzione d’orchestra di Asher Fisch. Basta sentire il tema della sfida nella sinfonia, la carenza di slancio all’ingresso di Alvaro, pronto al combinato ratto di Leonora, la meccanicità in tutte le scene di colore a partire da quella dell’osteria all’inizio del secondo atto, all’accompagnamento della ballata di Pereda da organetto paesano, alla scena della minestra al quarto atto ad onta della qualità del suono e delle capacità dei solisti come il clarinetto all’introduzione del terzo, lo stacco letargico al duetto Melitone padre Guardiano, che deve delineare i due personaggi -il comico soprattutto- per preparare l’ingresso del vindice Calatrava, coprotagonista di uno dei peggiori duetti della sfida. L’orchestra suona, in termini di puro suono, bene come accade all’intera scena della vestizione, ma è virtù degli strumentisti, neppur lontanamente sfruttata dalla bacchetta. Tacciamo, poi, del taglio della scena di mastro Trabuco (“A buon mercato”) e di quello della ronda. Del taglio i cronisti RAI hanno taciuto, sproloquiato, invece, sulla disposizione del duetto don Alvaro/don Carlos alla fine dell’atto in luogo del Rataplan. Il taglio della scena di Mastro Trabuco priva la Forza di quella che è una delle sue peculiarità: le scene di colore. Per altro le sopravvissute erano indegne e per l’accompagnamento meccanico e per il pessimo Renato Girolami, che gridava Fra’ Melitone. Parte che sarà stata anche pensata per un baritono da opera seria arrivato al capolinea, ma che sapeva cantare e che non aveva difficoltà ad emettere note acute come mi e fa. Qui abbiamo avuto la predica al terzo atto urlata e la scena della minestra berciata malamente con i sospetto che dal vivo la voce non sia di alcun volume.
Quanto a volume ed ampiezza dal vivo nutro dubbi (anche per precedenti ascolti scaligeri) per il padre Guardiano di Vitalij Kowaljow, che manca di ieraticità e solennità. Basta il conclusivo “salita a Dio”, sussurrato, come ordine impartito al chierichetto durante la celebrazione della Messa, e non affermato quale Verità della Chiesa misericordiosa ed orante davanti al mistero della Morte. Inoltre al “non imprecare umiliati” compaiono un paio di mi acuti e la scrittura non certo centrale mette in seria difficoltà il basso. Difficoltà nel secondo atto nel differenziare la prima sezione della scena della vestizione “un’alma a piangere” e la seconda con il commiato vero e proprio alla penitente.
Gonfia, artatamente scurita, incapace di colorire e smorzare per un’emissione muscolare e bitumata l’esecuzione di Ludovic Tezier applaudito don Carlo, privo della nobiltà di canto e di accento del don Carlo verdiano e di autentica impronta ottocentesca (insomma alla Tagliabue), ma anche del vigore dei censurabili don Carlo alla Compare Alfio derivati da Bastianini e Cappuccilli. Censurabili, per mille motivi, in grado, però, di realizzare lo slancio di “ah egli vive” o della stratta della seconda sfida.
Sembrerà un paradosso, ma quanto sopra è la porzione migliore dello spettacolo di Monaco.
Basta sentire la voce rotta in quattro tronconi di Nadia Krasteva da sfasciata comprimaria ospite delle amiche mura di Casa Verdi, che rende Fedora Barbieri un’affettata e compita virtuosa per apprendere la dolorosa verità ovvero che l’arte ( ed il mestiere del canto) sono definitivamente tramontati. Frasi come l’attacco di “al suon del tamburo” o peggio ancora la parca ornamentazione del Rataplan devono essere ascoltate per capire lo scempio perpetrato ai danni di Verdi e di una tradizione antica di tre secoli.
Quanto ai due protagonisti dire che dovrebbero dedicarsi ad altro è il minimo. L’attacco parlato di “Alvaro io t’amo” al duetto dell’atto primo, i fiati corti ed abusivi, i suoni fissi all’arrivo di Leonora sul piazzale antistante il convento della Madonna degli Angeli, la prima ottava inesistente, parlata od emessa alla maniera scomposta della caricature dei soprani veristi, gli acuti ora fissi ora ballanti sono quello che Anja Harteros ha offerto al pubblico. La perla della serata il “cruda sventura” e il seguente “invan la pace” all’aria del quarto atto devono essere documentati perché la registrazione a questo serve e fatti oggetto di riflessione da parte di chi al di qua della Alpi bavaresi rappresenti di tanto in tanto un baluardo al dilagare di un fenomeno, che non è più melodramma, ma altro: pagliacciate. Quell’altro genere di cui l’indiscusso maestro e ministro è Jonas Kaufmann. Ogni frase è un disprezzo alla corretta emissione tanto questa è gonfia, bitumata, affondata oppure risolta in squallidi falsetti da soprano di coloratura. Siccome proponiamo del bell’Jonas aria del terzo atto e il duetto della sfida al convento non ci sembra il caso di utilizzare il bisturi e lo spartito. Sarebbe troppo, basta ascoltare. Inorriditi.
BUON NATALE. Non è una battuta anche se lo potrebbe sembrare dopo gli ascolti!
Gli ascolti
Verdi – La forza del destino
Atto II
Viva la guerra!…Al suon del tamburo – Nadia Krasteva (con Ludovic Tézier, Christian Rieger – 2013)
Son giunta!…Madre, pietosa Vergine…Chi siete?…Infelice, delusa, reietta…Se voi scacciate questa pentita…Sull’alba il piede all’eremo…Il santo nome di Dio signore…La Vergine degli Angeli – Anja Harteros, Vitalij Kowaljow (con Renato Girolami – 2013)
Chi può legger nel futuro – Ivar Andresen e Meta Seinemeyer (1927)
Atto III
Attenti, gioco…La vita è inferno all’infelice…O tu che in seno agli angeli – Carlo Bergonzi (1987), Jonas Kaufmann (2013)
Solenne in quest’ora – Carl Burrian e Friedrich Plaschke (1908)
Lasciatelo ch’ei vada…Rataplan – Nadia Krasteva (2013)
Atto IV
Invano Alvaro…Le minacce, i fieri accenti – Ludovic Tézier e Jonas Kaufmann (2013)
Pace, pace, mio Dio!…Io muoio!… Confession!… l’alma salvate…Non imprecare, umiliati – Anja Harteros, Ludovic Tézier, Jonas Kaufmann e Vitalij Kowaljow (2013)
Grazie per gli auguri. Ricambio di cuore. Quanto al resto, dopo “Trovatore” e “Don Carlo” di qualche tempo fa, non è che ci si potesse aspettare molto di meglio. Ieri sera io e mio fratello ci siamo spartiti i compiti: io sono uscito con amici a vedere il derby, lui è rimasto con la moglie a godersi ‘sta meraviglia. Non so chi ne sia uscito meno peggio…
deduco caro franz che tu sia tifoso del milan! ci saranno altri e migliori auguri . Intanto ricambio ciao
Caro Domenico, deduci giusto. Mai una gioia, quest’anno…
Non occorre esser melomani per capire che con questo cast non si poteva mettere in scena neppure l’inno al sole di mascagnana memoria. Purtroppo ai dirigenti teatrali piace farsi del male da soli, io mi rifiuto di ascoltare sopratutto il Kau-kau per non guastarmi la giornata. Ci sono troppe cavolate anche in regia (tra queste le due tonnellate di croci che avete postato) per poter continuare la visione.
Il gusto dell’orrido stravince, solo perchè nessuno ha il coraggio di schiaffare una torta si sola anilina in faccia ad un regista simile.
Auguri per il Natale e tenetevi lontani da simili carnevalate.
Nel finale, un bel po di confusione, credo:
Alvaro: “Lungi, lungi da me: queste mie mani grondano sangue. Indietro”
Leonora: “che mai parli ?”
Alvaro: “Tutto tentai per evitar la pugna”
Dov’e’ finito, dopo “che mai parli ?”:
Alvaro: “La’ giace spento un uom”
Leonora: “tu l’uccidesti ?”
E poi, dopo “tutto tentai per evitar la pugna”, Alvaro ripete “tutto tentai per evitar la pugna” invece che “chiusi i miei di’ nel chiostro”, che sparisce invece completamente.
Poi, al posto di “ei mi raggiunse”, qualcosa che non riesco a capire.
Infine, “vive Leonora e rivederla deggio”; ma non e’ “rivederla”, e’ “ritrovarla”.