Ernani all’Opera di Roma.

ernaniErnani ha inaugurato la stagione 13-14 dell’Opera di Roma con un grande successo di cui si è parlato diffusamente in televisione, ricordandoci che in Italia non tutta la lirica italiana è Scala di Milano. Per puro caso sono passata da Roma durante le recite di questi giorni ( martedì 10)  ed ho pensato di regalarmi una serata verdiana ancora diretta da Muti: dopo il letargico e greve Gatti sentivo il bisogno di un Verdi vibrante, magari anche esagerato come sa fare lui, ma comunque vivo e sanguigno. Il Verdi funebre e tetro, lo confesso, non fa per me. Il cast mi incuriosiva, soprattutto dopo le ridicole polemiche artate da un mediocre tenore (troppo incensato) caduto in Scala, a dir suo, a causa della sua nazionalità straniera e non perché aveva urlato troppo. Si imponeva il riascolto delle nostre glorie italiane per verificare il nostro supposto nazionalismo. Lo spazio del Costanzi è grande praticamente come quello di Milano perciò quella cui mi sono recata poteva essere benissimo una recita scaligera. Solo che l’Opera di Roma ha un’acustica migliore di quella della Scala, soprattutto più omogenea, e con un palco che sembra disperdere meno le voci. Ovunque si sente e si vede bene.
La produzione romana era firmata da Hugo De Ana, metteur en scene di stampo tradizionale e tradizionalista, come il Maestro da sempre vuole per i propri spettacoli. Credo sia molto piaciuto al pubblico, ma personalmente l’ho trovato abbastanza provinciale, perché troppo insistito, more solito, nei colori sgargianti dei costumi come nella ricostruzione delle architetture, bugnati alla Serlio variamente disposti sulla scena e pure parecchio “plasticoni” oltre che …poco logici. De Ana ha scelto una via più oleografica che storica, esageratamente colorata ( sulla scena c’è tutta la scala Munsell ) , esageratamente setificata, esageratamente accessoriata con frutta, spade, fiori e chi più ne ha più ne metta ( terribile quella sorta di fioriera con annesso divanetto bottonato rosso del finale degno di una sala d’aspetto non so se di aereoporto o di una camera ardente ); esageratamente ricoperta di mantelli; esageratamente festosa ( pare sempre di essere alla fesa del duca di Mantova); esageratamente…..infantile. Per contro, risaltava un’eccessiva latitanza di regia, con la signora Serjan in abiti coloratissimi, che continuamente si sbracciava, correva, si agitava oltre la misura ed il contegno di una nobile di rango quale è Elvira; il signor Salsi del tutto privo del regale aspetto che esige il personaggio di don Carlo e tragicamente simile al “bechè” di Silva; lo stupendo Abdrazakov, regolarmente più elegante e nobile del suo re; i coristi sempre al centro della scena ove restano anche dopo che il cantante che dovrebbero seguire è uscito, velocemente e…da solo. Spade sguainate, braccia tese, ballerini che si mescolano ai coristi senza una logica, insomma la dialettica scenica di chi riempie la scena solo con luoghi comuni: regia come piace a Muti ed esagerazioni tipiche di De Ana per uno spettacolo che ricalca il suo vecchio Don Carlo e che fa, più in generale, il verso della grande tradizione senza sapere come eguagliarla per eleganza e stile. Dunque la solita sfilata di sgargianti abiti parastorici tra colonne e bugnati, talora incongrui, decorati con sanpietrini e lapidi riciclati dal “Rienzi” romano della passata stagione, il tutto applicabile a qualsiasi opera: da “Rigoletto” a “Don Carlo”, da “Masnadieri” a “Elektra” etc. E’appariscente e talora pure pacchiano De Ana, perciò piace al grande pubblico. A mio avviso, il genere funziona ancora, ma potrebbe essere realizzato meglio, con un po’ più di gusto e buon senso, evitando di scadere nel gratuito.

Veniamo alla parte più importante, quella musicale.
Debuttante nel ruolo era Francesco Meli, ormai dedito prevalentemente a Verdi e prossimamente anche al canto verista. Sapete come la penso su questo giovane dalla voce dotata e sonora, limitato da tare tecniche con cui è da sempre alle prese . Il ruolo di Ernani gli consente da un lato di mascherare i problemi in acuto, ma dall’altro lo obbliga, per sostenere l’ampiezza delle frasi  eroiche ed epiche, a forzare il centro, per cercare una pienezza di suono che va oltre la sua natura di tenore da Bellini e Donizetti. Ho trovato l’emissione più gradevole che in altre prove, la voce tonica, ma il centro è sempre aperto ed il suono forzato nei passaggi più drammatici; le intenzioni di fraseggio erano pertinenti, senza gigionate o escamotage per compensare la mancanza di peso specifico. Le mende peggiori, sul piano del suono, sono stati forse i falsettini troppo smaccati al duetto con Elvira al primo atto e voglio anche dire che del trio maschile era la voce sonora e che correva meglio nella sala, seppur impossibilitata a svettare negli ensemble. Di Ernani gli mancano però l’ampiezza, la dizione scolpita delle grandi frasi eroiche tipo “Decreta dunque o re morte a me pure“ o “Oro quant’oro ogn’avido”, oppure l’intero duo con Silva.
La voce non è da Ernani e per questo Meli ha dovuto sacrificare la varietà del fraseggio, troppo  spesso costretto sul forte, come pure il canto in sourplesse  ( come il “cavalier” Bergonzi, dalla voce non eroica ma dal dire aristocratico e cesellato): Nemorino ed Ernesto facevano la voce grossa travestiti da Ernani, né un Riccardo Muti più vibrante e veloce ( nella scena finale soprattutto, staccata con una lentezza inadeguata a tutti e tre i protagonisti ), più soccorrevole laddove mancavano incisività e forza drammatica, avrebbe potuto compensare l’inadeguatezza naturale del tenore al ruolo.

mutiAl suo fianco il Silva di Ildar Abdrazakov, bellissimo da vedere e buono da sentire…anche lui quando si sente. Adbrazakov sta in scena e sa dire molto bene, la voce è bella, sempre composta, educata e mai stomacale come oggi va di moda: ed è per questo che lo preferisco di gran lunga a tutti suoi colleghi. Gli difettano l’ampiezza e “la punta”, requisito imprescindibile per un basso che non possiede una voce veramente importante da Verdi ( lo sapeva fare molto bene Ramey invece, che approcciò questo repertorio in forza della sua sonorità ). Anche a lui manca il mezzo per essere Silva come per essere vera voce da Verdi: quando fa il “pedale” o canta negli ensemble spesso non si sente, più in generale la sua voce non corre. Ha avuto momenti bellissimi, come l’aria d’ingresso cantata molto bene con malinconica lucidità, il duetto con Ernani nel quale ha brillato l’intelligenza dell’interprete, o tutto il quarto atto nel quale, la voce, anche se piccola, è riuscita a conferire l’ansia della vendetta richiesta da Silva, ma troppo spesso si affida alla mera presenza scenica. Direi il cantante migliore del gruppo, seppur…inadeguato alla parte.

Elvira era Tatiana Serjan, la sola voce importante del cast. Quando è in scena lei il cast maschile suona “mignon”: duetti , terzetti, concertati, tira sempre lei. Altro non vi sarebbe da dire, però, se non dolenti note. Note dolentissime. Registicamente inadeguata all’aristocrazia del personaggio ( il fuoco verdiano sta nel canto e non nella concitazione attoriale), la Serjan ha cantato con una voce assai brutta, l’emissione sgraziata ed affetta da un disturbante vibrato stretto, una prima ottava inesistente. Il suono è sempre ovattato, spesso ingolato, privo del giusto focus, gli acuti sfilacciati, ora sicuri ora meno; si rifugia in pianissimi per l’emissione degli acuti, spesso tuttavia solo toccati per evitare il grido, di comodo le variazioni nel da capo della cabaletta dove esegue legata la scrittura staccata. Insomma, una voce provata dalle Lady e dalle Abigaille, ma comunque sprovvista del tasso tecnico richiesto dalla voce drammatica di agilità di Verdi. Non le si possono negare una serie di intenzioni interpretative, a volte anche sopra le righe, ma il suo canto mi è parso drammaticamente rozzo ed inaccettabile in questo ruolo.

Don Carlo di Spagna non ha trovato un cantante né un interprete adeguato in Luca Salsi. Pessimo sul piano del gusto sin dal primo entrare in scena, un terribile “Da quel dì che t’ho veduta”, sino all’apoteosi della parte nel III atto, spazio espressivo delle leggende del canto baritonale, Salsi ha mostrato la corda sia sul piano della voce, troppo modesta per un ruolo verdiano tanto importante in una grande sala, sia sul piano dell’emissione e quindi dello stile. Al centro la voce, a volte ingrossata fino a farla apertamente oscillare, è emessa in modo grossolano, e suona “digrignata”, il legato assente o difficoltoso ( il canto amoroso ne ha risentito maggiormente) mentre le salite agli acuti, mai avanti, sono state gestite con la natura più che con la tecnica. Le tessiture scomode come quella di “Vieni meco in sol rose”, da eseguire a fior di labbro, o il ripiegamento della meditazione, come “O de’ verd’anni miei ” hanno denudato il cantante, velleitario ed inadeguato al ruolo e a Verdi: ogni tentativo di trovare nobiltà di emissione ha dato luogo a suoni soffocati ed indietro. Il canto amoroso e nobile poi  non ha potuto trovare un’emissione sufficientemente elegante, stilizzata ed aristocratica come spetta al personaggio di un re innamorato, né la figura scenica lo ha aiutato. Quando poi il canto di don Carlo diventa aulico o perentorio ed occorre che la voce si possa espandere nella sala ( troppo grande per lui ) a rendere l’aspetto regale ed autorevole del personaggio, come in “O sommo Carlo” ( attaccato tutto indietro ) o il recitativo dell’incoronazione, la voce era troppo piccola, le note tenute spinte e in paio di occasioni anche ballanti ( “Lo vedremo, veglia audace” oppure il medesimo recitativo dell’incoronazione) appunto. Ne è uscito un sovrano troppo rozzo per essere accettabile, ma siccome il canto baritonale è morto e defunto da decenni di cantori, anche famosi, bercianti e sguaiati ( l’ultimo nome degno di Carlo V fu Renato Bruson, che anche lui ebbe le sue belle gatte da pelare con la complessa vocalità di Carlo ) il pubblico lo ha apprezzato.

Del maestro che devo dirvi? Pretendere da Muti del vigore orchestrale ( che è altra cosa dal chiasso), del nerbo, il suo famoso respiro verdiano, mi pareva un’aspettativa doverosa. Al contrario ho ascoltato un Verdi stile “ultimo Votto”, con fragori di percussioni e rallentamenti bandistici in chiusa agli ensemble come al “Leon di Castiglia”, dove ha troppo concesso a gratuiti effetti popolar-retorici ( il fragore viene sempre premiato dal pubblico). D’altro canto l‘orchestra ha suonato in modo molto contenuto nel volume, soprattutto al primo atto, ove ha concesso anche qualche opportuno fiato ai cantanti, effetto benefico della saggezza che viene con gli anni e persino le variazioni nei da capo, cose che non concesse quando disponeva di cantanti come appunto Ramey ( ricordate la cabaletta di Attila ). Obbligato anche dalle voci sottodimensionate e limitate tecnicamente, ha diretto senza la sua nota forza, sbiadita l’antica capacità di tenere alta la tensione drammatica con gli archi, di accendersi con cambi di velocità, di restituire poeticamente la sua idea ottocentesca di Verdi. Le cose migliori sono stati taluni accenti lirici di cui i cantanti hanno saputo approfittare, Ernani e Silva in primis, ma nel complesso è parso un Ernani fiacco e bandistico, dove le punte meno riuscite sono stati il primo ed il quarto atto, molto meglio gli altri due, che ha rievocato la routine che un tempo si incontrava nelle provincie italiane, di mestiere ma priva di genio e personalità. Insomma, l’Ernani “alla romana” di Muti vive di una serena e distaccata mollezza, che oggi sembra incontrare di più le esigenze (e i limiti) dei cantanti, ma che è ben altra cosa dal Maestro scaligero cui ero abituata.

Morale della favola. Al successo di questo Ernani romano ha partecipato un Maestro sicuro di sé ma appannato ed un cast vocale composto da tre voci maschili che non dovrebbero dedicarsi a Verdi ed una quarta che pur avendone il volume, mancava di tutto il resto. A quale Verdi si poteva dar vita in queste condizioni? Non possiamo raccontarci la fola dell’Ernani Donizetti style, perché per farlo occorreva disporre di fini dicitori dalla voce educata alla Pavarotti o alla Gencer o alla Zanasi. A Roma nulla di tutto questo si è udito. Il cast romano, del resto, ben rappresenta lo stato dell’arte presente, in cui tutti, nessuno escluso, sono occupati in ruoli più grandi delle proprie possibilità vocali e /o tecniche e/o stilistiche. Tutti sovraimpiegati, tutti “rari nantes in gurgite vasto”, col risultato ultimo della dispersione delle qualità residue. A Roma il pubblico ha applaudito, ma a Milano ( tanto per tornare al nostro sfortunato tenore polacco), davanti al medesimo pubblico di Traviata ( e grisini assenti, nb), sarebbe andata allo stesso modo?

 

Gli ascolti

Verdi – Ernani

Atto II

Esci, a te, scegli…seguimi…Iddio n’ascolti, e vindice – Marcel Wittrisch e Wilhelm Strienz (1935)

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20 pensieri su “Ernani all’Opera di Roma.

  1. cara Giulia,
    sono d’accordo sulla tua dettagliata analisi in merito alla regia (innocua, per me) e alle voci, soprattutto per quanto riguarda la Serjan, che negli anni (passano per tutti) sta perdendo vigore e ha un vibrato fastidiosissimo, che in Otello, per esempio, non aveva.
    Su Muti non sono d’accordo con te. O meglio: sono d’accordo ma non trovo che, nello specifico considerando la “fase” compositiva di Ernani, sia una lettura sbagliata, quella di Muti: l’ho raffrontata a qualle scaligera del 1982 (diversissima, molto sonora e talora bandistica, e con voci non al meglio) e mi è piaciuta più questa: sto invecchiando anche io (avevo 14 anni, mannaggia) per cui il Verdi “riflessivo” e oratoriale lo trovo piu’ giusto, forse consono ai tempi attuali, soprattutto se penso a Ernani, alla storia ridicola (ce ne sono di peggiori, ma pure questa…) e al fatto che rappresenta ancora un’opera-ponte tra il pre-Verdi e il Verdi-galeotto.
    Siccome non sono fine musicologo ne’ tecnico della voce mi fermo qui.
    Su come sarebbe andata in Scala? Mi piacerebbe saperlo!!. Penso avrebbe avuto esito grandioso se fatta adesso e meno entusiasmante fatta 10 anni fa, dato l’andazzo cui siamo ormai abituati.
    La stampa di ieri riporta i primi annunci di Pereira, grande uomo-marketing come ho gia’ scritto, che invita ufficialmente Abbado e Muti e, soprattutto per invogliare il secondo, propone coproduzioni Roma-Milano. Conoscendo bene il soggetto, terrone fino al midollo (nel senso piu’ puro e sincero del termine… per essere chiari: e’ un complimento) ritengo l’evento molto improbabile.

    un caro saluto,
    otto

    • otto , mail primo atto era semplicemente…funereo. Non è il maestr questo…no. Il funebre e il chiasso ma pesanti no. Se fa rumore, muti lo fa bene. Almeno, lo faceva. Sul lirismo, sono d’accordo anche io. Secondo me l’aria sottile di roma…….a presto!

  2. Egregia Giulia,
    vista in TV la presentazione dell’evento, con un breve passaggio della Serjan che cantava “Ernani involami”, sono rimasto colpito dall’agitazione con la quale si muoveva, fatta su in un vestitone che a prima vista mi è sembrato enorme.
    Ho cercato sul tubo e ho finalmente trovato una registrazione col solo audio, non gran cosa, ma udibile.
    Concordo anch’io come Otto con l’analisi e, anche in funzione di quel che ho sentito, ho trovato soprattutto la Serjan affaticata, con i suoni bassi opachi, un centrale inficiato da un vibrato, come dite tu e Otto, veramente fastidioso, ma specialmente a me è parsa avere una gran difficoltà a raggiungere la terza ottava.
    La registrazione non mi ha permesso di capire molto di più soprattutto sull’orchestra, però ho notato anch’io una certa incostanza nei tempi di esecuzione e legni e ottoni coprenti.
    Della regia – vestitone in TV a parte – non posso dire nulla per carenza di video.
    Una notazione sull’edizione scaligera dell’ ’82 citata da Otto e che ho visto anch’io : ricordo soprattutto un Bruson piuttosto belante ( ma chiarisco, non ne sono mai stato un estimatore, non lo discuto tecnicamente ma il suo timbro non mi piace proprio), e una Mirellina Freni in un ruolo assolutamente non suo, il che vale anche per la Serjan di questa edizione.
    Saluti.

    • ricordi bene, akonkagua!
      aggiungerei un domingo strillone come non mai (ha cantato molto meglio l’Otello 20 anni dopo) e una regia di ronconi inguardabile (col solito teatro-nel-teatro). Un giorno la Freni mi ha raccontato che in una recita il catafalco affiorante dal sotto-palcoscenico in cui lei doveva cantare (penso “Ernani Ernani involami”) non voleva salire, scattava su e giu’, e muti continuava a riprendere le battute di ingresso; deve essere stata una scena divertente. Sai una cosa che mi impressiona della Serjan? la tenuta della nota “alta” quando invece ti aspetti, alla luce degli sforzi e del vibratone, che le si spezzi in gola. In Macbeth per esempio la scena della pazzia le e’ venuta benissimo (a Roma!), ma sono un po’ di anni ormai: niente vibrato e sovracuto a filo impressionante (per dire: la povera Dimitrova, da me spesso citata, fece un Macbeth in Scala che mi piacque molto, ma l’acuto finale le si spezzo’ a meta’ con una cosa che pareva un rutto)
      Appuntamento alla Manon pucciniana in Marzo con (?) la Netrebko, che mi si dice abbia garantito un adeguato numero di prove.
      Saludos!

  3. Ho assistito all’ultima recita di questo “Ernani” e per fortuna, grazie ad una provvidenziale indisposizione, mi è stato risparmiato il Silva di Ildebrando d’Arcangelo.
    La direzione di Muti mi è parsa totalmente deficitaria nel primo atto (che da solo dura quasi metà dell’opera), poichè ha optato per tempi tendenzialmente lenti, per un’agogica eccessivamente dilatata, e per una interpretazione plumbea e mortifera. Aggiungo anche degli archi che per secchezza e stridori sembravano strumenti d’epoca e fiati fissi e crescenti di supremo fastidio.
    Dal secondo atto in poi le cose sono andate decisamente meglio: non ho ascoltato effetti bandistici o barricaderi o risorgimentali, ma ho ascoltato un suono più raccolto (e meno danni) oltre che una tinta più gotica che esaltava il sinfonismo della partitura. Bella, ad esempio l’idea di ottenere un colore diverso per ognuno dei quattro protagonisti, e mi ha convinto l’accompagnamento alle arie, ai concertati ed hai finali d’atto in cui il suono si distendeva o si rafforzava accompagnando e sostenendo il canto, senza prevaricare.
    Il “Leone di Castiglia”, poi è stato bissato a furor di popolo.
    Un “Ernani” decisamente diverso da quello dell’ ’84 (con cast altrettanto poco convincente, soprattutto Domingo sotto sforzo, una spaesata Freni ed un Ghiaurov mugghiante e anziano) che possedeva toni più sanguigni, concitati, nervosi, rispetto al suono più pensato fatto udire a Roma. Peccato che Salsi e la Serjan durante i concertati facessero di tutto per andare fuori tempo, costringendo il Maestro a riacciuffarli per ogni dove.
    Meli, mi ha convinto; non avrebbe in natura una voce da Ernani, lirico e delicato com’è, ma la sua è stata una interpretazione che ha saggiamente evitato i toni eroici, per esaltare un fraseggio adatto ad un amoroso ed è riuscito a non emettere falsettini, ma dei buoni piani e smorzature: peccato il brutto vezzo di gonfiare i suoni nella salita agli acuti nei quali si percepisce lo sforzo ed un vibrato che non è foriero di note positive, soprattutto perchè bloccano e ingolfano la voce; meglio i centri nei quali l’emissione è più naturale.
    Bravo Abdrazakov: la voce è piccola e leggera per un ruolo come Silva, e per Verdi in generale, ma, a parte i concertati dove non si sentiva, le sue arie, i suoi duetti e terzetti, hanno fatto ascoltare un bel timbro ed una voce nobile, spontanea nel fraseggio e corretta (oltre ad una presenza scenica splendida).
    A tratti imbarazzante la Serjan: timbro brutto, emissione dura e ingolata, affetta da un vibrato stretto da venire il mal di mare, esagitata in scena e nel fraseggio, pasticciata negli abbellimenti, acuti presi e poi lasciati subito oppure tramutati in filiatini o pianissimi; suo degno compare Salsi, imitatore nei difetti di Warren o Bastianini, possiede una voce grossa e tendenzialmente spoggiata, perennemente emessa in fortissimo, tanto da far temere ogni volta per l’intonazione che di fatto è una mina vagante, quando prova a smorzare la voce si posiziona tra gola e bocca, nessuna nobiltà, ma gusto trucibaldo. Azzecca due note nell’aria al III atto e basta.
    Coro discreto, soprattutto gli uomini ed i bassi.
    L’allestimento di de Ana è praticamente una non regia: una sfilata di fin troppo sgargianti abiti d’epoca tra colonne e bugnati, tra luci fisse, formula che può applicarsi a Rigoletto, Don Carlo, Elektra, Masnadieri e tutto ciò che vi può venire in mente.
    10 minuti di applausi calorosi, più convinti verso Meli, Abdrazakov e Muti.

  4. Me lo ricordo il ba-bau baulone che spuntava in scena nell’82… Ronconi, il meccano-regista per eccellenza.
    Per la Serjan, la tenuta inaspettata sulla nota alta magari è dovuta al fatto che, come Giulia nota sopra, in questa occasione sugli acuti lei non spinge – non riesce – e quindi, paradossalmente, forse le resta una riservina di fiato che le permette di prolungare il suono.
    Comunque non mi pare le manchi la tecnica, è la parte che non è per lei : poca agilità, fraseggio greve e, da quel che ho sentito, una ormai evidente disuguaglianza nei registri, che le impedisce di essere efficace nell’aria distesa come nei recitativi e nelle variazioni.
    p.s. a me la Netrebko fa un po’ paura.

  5. Cara Grisi,
    io ero a Roma il 29 Novembre e devo dire che non sono del tutto d’accordo con te.
    Premessa: cerco di tener conto dei tempi in cui siamo e del fatto che Tommy Schippers (il più grande direttore di Ernani, probabilmente) ci guarda benevolo da lassù…
    Comunque… La regia di de Ana era inesistente, sì, poco logica, anche, non faceva recitare i cantanti, pure. Almeno però lasciava capire quello che succedeva in scena, diciamo… pessima ma tutto sommato innocua.
    La Serjan, anch’io ho temuto più volte che si spezzasse e invece niente! ha retto in modo degno. Oggi, con quel che passa il convento…
    Salsi: l’ho trovato anch’io un po’ rozzo, ma, almeno nella mia serata, la voce correva bene, diciamo un Carlo che rendeva bene l’epoca trucibalda in cui si svolge l’opera ma che non dava credito al suo improvviso perdono.
    Abdrazakov: non è un Ramey, no, ma è stato un Silva che faceva percepire la sorda cattiveria.
    Veniamo a Meli: premetto che a me piace e che ha una sicurezza nel canto che non si riesce a sentire da altri (la gola di Kauffmann, le sparacchiate di Beczala, la voce che fu di Villazon…) quindi forse non sono obiettivo. Certo Bergonzi era altra cosa (avercelo oggi!), ma poi? Mi sono ascoltato un po’ di Ernani vari e… beh, provare per credere (non ho ascoltato incunaboli o 78 giri acustici perché non li riesco proprio a decifrare).
    Da ultimo Muti: Di questo direttore ho sempre amato il piglio guascone e detestato la protervia e la superbia. Credo che la batosta Scala gli abbia fatto bene. Mi spiego: secondo me Muti ha avuto tre momenti.
    il primo, che culmina circa con il suo avvento alla Scala, è contraddistinto dall’istintiva capacità di fare musica. Il suo esito più alto è forse la Traviata discografica con la Scotto, Kraus (ohibò!) e Bruson.
    Stranamente in questo primo periodo ci sono due spettacoli scaligeri, Nozze di Figaro e proprio Ernani, in cui Muti sembra come piegato. E se le Nozze potevano contare su un cast stellare (non ne avrebbe più avuto uno simile negli anni successivi) con un giovane Ramey e una Strepitoa von Stade tra gli altri, proprio Ernani è forse il suo primo vero passo falso. Tralascio gli anni scaligeri, un lungo declino caratterizzato dalla progressiva esclusione del teatro dalla ricerca, dal ritorno dei vecchi ricchi con “nipotine” scosciate in platea (oggi sostituiti da mafiosi russi e simili).
    Arrivo ad oggi. Muti ha trasformato quella che sembrava una banda di paese in un’orchestra sopraffina che sa adattarsi anche agli altri direttori.
    Ha anche saputo accettare che nell’opera si canta, per cui ho notato un’attenzione al palcoscenico che credevo morta con il povero Gavazzeni. Ha studiato, si è accorto che i da capo si variano (ma è Verdi, non Handel, vero sig. Beczala?).
    Se poi raffrontiamo L’Ernani romana con quella scaligera di 30 anni prima, beh, quella romana vince anche per varietà nella scelta dei tempi e vivacità complessiva. Avercene…

    P.S.: una noterella sulla Traviata scaligera… riascoltata e rivista (mi sono voluto punire) devo dire che tutto sommato il meno peggio è stato il regista, che a mio parere è stato però sin troppo applaudito… chi ha orecchie per intendere…

    • adorato erich, ho avuto il piacere di fare 4 chiacchiere col tuo compianto figliolo a Salzburg una vita fa, e ne serbo un ricordo divertito e commovente (sembra strano ma lo è), davanti a una caraffa di spritzer in quella che poi divenne von karajan platz (ora un perenne parcheggione ahime’).
      sono ampiamente d’accordo con quanto scrivi e sull’ernani del 1982, anche se non sarei cosi’ negativo su quello che accadde dopo nel quasi-ventennio scaligero.
      In altri scambi di opinioni ho descritto il rapporto di amicizia che mi lega a Muti, e non lo trovo protervo o particolarmente superbo. Ti fara’ ridere ma di fondo e’ timido e sta sempre in difesa e ha bisogno di stare tra amici; poi ovviamente e’ un dominatore, ma nella categoria chi non lo e’? Gatti forse… appunto, che non gli ubbidisce nemmeno il chihuahua.
      In due cose sono totalmente d’accordo con te:
      1) quanto scrivi su Meli: canta senza pensarci troppo ma senza fare il guitto, e anche in privato e’ un (ex) ragazzone gentile, e a me piace: da’ l’imressione di “darsi” senza troppe pippe mentali, e a me piace.
      2) il parere sull’orchestra, e sul fatto che adesso sa suonare anche con altri direttori; secondo me e’ una caratteristica di impostazione di muti (e lo fu di abbado, perlomeno in Scala), ben poco di altri che mi vengono in mente, magari grandi direttori “per se'”.
      otto

      • Caro Otto, grazie per le belle parole e soprattutto per avermi ricordato Carlos (non ho osato usare il suo nome come nick). Di Carlos ho un ricordo incancellabile del suo attacco del Rosenkavalier alla Scala nel 1976: il suo scatto sul podio, il suo volgersi immediato all’orchestra e il suono che ne fece proruppere repentinamente!
        Quanto a Muti, avevo il sospetto che fosse un timido (oh quanto lo capisco!) e soprattutto sospetto che lo abbiano circondato un po’ di cattivi consiglieri che lo hanno isolato dal mondo negli anni scaligeri.
        Non si spiegherebbe sennò come mai quel teatro che aveva retto alla milano da bere, si sia trasformato da organismo vivo, in un museo, perpetrando la falsa convinzione che l’opera sia cosa morta. Non che le cose siano migliorate poi! Anzi! Con Lissner avevo sognato l’arrivo di Rameau magari con William Christie (ma c’è stato solo in concerto), di qualche regia innovativa (ok qualcosa di Carsen si è visto ma poi?). Quello che è avvenuto è stato in generale l’abbassamento del livello del canto (il birignao “eurosbobbico” per citare Celletti) e l’affidarsi a pochi direttori spesso fuori posto o poco preparati al compito.
        Mah… Pereyra – Chailly? speriamo! uno almeno è milanese!

        • erich caro,
          che bei ricordi!
          su analisi psicologica e situazione alla Scala concordo in pieno; e per esperienza personale so che Muti accetta risposte “forti” se motivate, magari ci mette un po’ ma le accetta (ne sono la prova vivente, in certe discussioni). Su Chailly… ho ricordi belli (Butterfly) e osceni (Barbiere: tre ore di dormita). il vero problema secondo me e’ che non e’ capace di insegnare, e purtroppo alla Scala ce n’e’ bisogno (non dovrebbe essere cosi’, ma invece…).
          PEreira: mah. almeno sa fare il capo del marketing per cui a tirare su soldi sara’ bravissimo. pensa una apertura di stagione con muti o abbado a 10k posto in platea, piena di russi e similia. in una sera fai l’incasso di due opere complete e sistemi tutto… poi puoi sbizzarrirti con primine per undertrentenni in gran parte acefali, e tutto quello che ti viene in mente. Ho fatto un discorso davver oteorico, perche’ il mio terrone preferito, checche’ ne dica la Rai, non torna (ma state attenti: se Cappelli sul Corriere fa capire che ci sono discussioni etc, potrebbe esserci del vero…)
          saluti!
          otto

          • Ahi, se non sa insegnare… vedo dei bei problemi! l’orchestra va ricostruita da cima a fondo: non suona più. Sarà che mi sono abituato a Santa Cecilia e a Sir Tony (non so che ne pensi tu ma il suo Ballo in maschera di questa primavera era spettacolare (anche se Hvorostovsky è stato un pessimo Renato) ho “visto” l’opera anche se era in forma di concerto. Poi non l’ho vista alla scala (nel senso che non ho capito nulla) in forma scenica ma senza cantanti, senza orchestra, senza coro e senza regia (il tutto a 252+252 eurini – eravamo in due). A Roma la poltrona di Platea costa 115 euro anche quando c’è Muti… sarà la crisi ma mi sa che prima di andare alla scala attenderò i Troiani o l’Elektra…

            Un’ultima polpettina avvelenata per il presidente degli amici del loggione: come mai alla scala non si riesce a comprare un posto in galleria mentre ce ne sono decine in vendita sui siti dei bagarini online? (viagogo.it ecc…) mah

        • Buongorno erich! riprendiamo da dove ci siamo lasciati ieri sera…
          Troyens e Elektra saranno gli unici spettacoli che andro’ a vedere quest’anno (mi sa che la pensiamo uguale). Pappano lo ho sentito per anni a Londra al covent garden (ho lavorato a londra per qualche anno), e lo trovavo acerbo ma in crescita, con idee ben chiare e mezzi da sviluppare. A santa cecilia ha fatto cose egregie, anche se pure lui ha problemi a scegliere (trovare?) le voci adeguate.
          Aggiungo il ricordo meraviglioso del Requiem Tedesco diretto in Scala uno a due anni fa, in tournée coi suoi (per fortuna…).
          infine, sui biglietti: sappi che 90 volte su 100 i biglietti in vendita sono finti, soprattutto su seatwave. prova a comprarli, soprattutto prima che vadano in vendita, e aspetta che ti arrivino… aspetta e spera: spesso sono vendite cosiddette “naked”, cioè allo scoperto senza nemmeno avere la certezza che in un tempo futuro si avra’ la disponibilita’ dei posti venduti. In pratica io vendo due platee a un prezzo assurdo (1,000 euro), e sono convinto che prima della recita li trovero’ sul mercato grigio ma “vero” a un prezzo inferiore (li comprero’ da chi ci sara’ riuscito il giorno delle vendite online), cosi’ li potro’ comperare, consegnare e lucrare la differenza; e se non li trovo, beh, affari del compratore! Gli mandero’ una ricevuta farlocca e auguri… Mi e’ capitato di vedere gente in biglietteria con la ricevuta seatwave che diceva “presentatevi a ritirare i ticket un’ora prima dello spettacolo presso il Teatro” pretendendo posti che non esistevano e insultando gli addetti che magari cercavano di sistemarli da qualche parte in Sala.
          Inoltre secondo me diversi abbonati vendono “carature” del pacchetto comprato a inizio stagione.
          Una nota di servizio: ieri sera forfait della Damrau, sostituita da irina lungu (che sta cantando don pasquale a verona: stesso tipo di opera, n’est-ce- pas?… ). Ce ne ha messo di tempo ad ammalarsi, la signora.

          • Caro Otto,
            Però! la Babau ha dato forfait! Non è che si è semplicemente dimenticata di dover “cantare”?
            Tra l’altro alla prima pensavo che la scelta della non entrata fosse stata del regista e avevo tirato una filippica contro scelte che andavano contro l’opera etc. Mai avrei pensato che una professionista potesse fare una “buca” di tale proporzione (a meno che la colpa non sia della disorganizzazione scaligera).
            Ma parliamo un po’ di Sir Tony. Lo sto seguendo assiduamente da quando sono a Roma in pianta quasi stabile e devo dire che con lui sono cresciute l’orchestra e la varietà del repertorio. Elgar (evviva!) Il cigno di Tuonela di Sibelius (una novità così straordinaria per il pubblico ceciliano che Tony ha dovuto premettere all’esecuzione una delle sue affascinanti spiegazioni) Britten! Non solo il suo Peter Grimes è stato di gran lunga il migliore tra quelli da me ascoltati dal vivo (Tate – Langridge e Ticciati – Graham-Hall) Ma, grazie anche all’interpretazione maiuscola di Gregory Kunde, ha tracciato un sentiero nuovo nell’interpretazione di quest’opera.
            Pappano ha una qualità che ho visto in pochi direttori: due su tutti – James Levine e Sir Colin Davis – di saper raccontare perfettamente una storia. Ecco perché il suo don Carlo funziona sempre (come quello di Levine d’altronde) Ecco perché ha diretto un grande Ring terreno e pure fiabesco e senza i noiosi filosofismi teutonici ed ecco perché mi aspetto dei grandi troiani (come furono quelli di Davis). Chi altri ha oggi questa qualità? forse proprio il “tuo terrone” che sembra aver ripreso con decisione un discorso che si era interrotto col Don Carlo scaligero. Ecco perché i romani devono tenersi stretti Sir Tony e Riccardo Muti.

            Le voci… Mah, mi sa che hai ragione tu, forse Tony ha solo il problema che non ci sono, d’altronde nel 2012 – 2013 su 5 opere di Verdi a Roma (Simon Boccanegra, I due Foscari, Nabucco, Ernani con Muti e Un ballo in Maschera con Pappano) abbiamo avuto i seguenti tenori: Meli, Meli, Meli, Meli e… Meli!

  6. Ho trovato accettabile il solo Abdrazakov . per Meli solito discorso : voce di bel colore ma gonfiata artificiosamente nel medium con la conseguenza di difficolta’ nel registro acuto ( peraltro mai stato il punto forte del tenore genovese). Salsi rozzo vociferatore e tecnicamente sprovveduto . La voce della Serjan e’ piuttosto brutta ed emessa peggio. Orchestra a momenti lenta e pesante .

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