Musica proibita: Cavalleria rusticana. I primi dieci anni

carelli

Il 1890 non fu solo l’anno della prima di Loreley, ma e soprattutto di quella di Cavalleria Rusticana.

E’ chiaro che un titolo come l’atto unico di Mascagni, tratto dalla novella di Verga, adattata per il teatro musicale e divenuta in brevissimo tempo paradigma del melodramma verista non fa parte della musica proibita. Altri titoli del compositore livornese sono entrati nel novero della musica proibita e per le difficoltà vocali e per la attuale incapacità di cogliere il messaggio di quella che si ritiene la superata e vetusta cultura del periodo e tacciamo dell’ultimo titolo in odore di apologia del fascismo. Cavalleria in accoppiata, dal 1900 circa, con Pagliacci, continua ad essere rappresentata (meno di un tempo per assenza di cantanti idonei e di direttori, che dimostrino di apprezzare il titolo) e soprattutto resta l’indiscusso modello di opera verista dove la brevità dell’azione, che si consuma -paradosso per il dramma Verista- nel rispetto delle tre unità aristoteliche e dura poco più di un’ora, costituisce nella maniera più esaustiva e pregnante la realizzazione della “fotografica” o del “bozzetto di vita” che era l’intento artistico di Verga. E forse, consentitemi la digressione, più felice dei romanzi dello scrittore catanese.

Siccome intorno a cavalleria rusticana sono corsi fiumi di inchiostro, inversamente proporzionali alla felice concisione del melodramma, non è questa la sede per esaminarlo, ma c’è un profilo di storia vocale o interpretativa, molto caro al corriere, che rende necessario l’inserimento del capolavoro mascagnano in questo excursus sul melodramma post verdiano. Il proibito, forse, è parlare di vocalità verista.

Capolavoro che ebbe una tal immediata risonanza e fama che il famoso intermezzo venne utilizzato per una “ave Maria”, che proponiamo nell’esecuzione di Eugenia Mantelli. Una chicca.

Nell’ultimo intervento circa Africana è emerso come il protagonista dell’ultimo titolo di Meyerbeer fu, almeno sino al 1910 circa, appannaggio esclusivo del tenori del Palais Garnier in Francia e dei cosiddetti tenori di forza in Italia ed anche nei territori di lingua tedesca. Oggi, per comune opinione il ruolo di Turiddu spetta a cosiddetti tenori di forza o drammatici e lo stesso vale anche per Santuzza spesso affidata a mezzo soprani dal registro acuto facile ed esteso. Insomma oggi chi canta Turiddu canta Radames, Alvaro, e se regge nella stessa sera Canio. Mai penseremmo che un Elvino, un Nemorino, un Des Grieus di Manon, un Wilhlem Meister di Mignon, un Nadir ed anche un Faust (vuoi di Gounod che di Boito) potrebbe indossare i panni dell’aitante e fedifrago giovinotto siciliano. Nulla di tutto ciò almeno sino al 1915 circa. Ci siamo dati come limite temprale per esaminare le esecuzioni di Cavalleria Rusticana il 1910 circa perché sino alle registrazioni di quegli anni è evidente che i tenori, protagonisti di Cavalleria, provenissero dalle fila degli interpreti delle opere nuove ossia di Massenet come Manon (cui si sarebbe aggiunto il Werther poco dopo) Mignon e soprattutto Carmen. Il tenore drammatico come Tamagno, Scampini, Escalais, Affre e de Reszke evitava le opere nuove (o il rapporto era toccata e fuga come Chenier per Tamagno e Pagliacci per de Rezske), che erano estranee al suo canto e soprattutto al suo accento ed al loro fraseggio. La vicenda del primo protagonista ossia Roberto Stagno è esemplificativa perché tenore da grand-opéra (si chiamava Vincenzo, ma mutò il proprio nome in Roberto quale omaggio al personaggio meyerbeeriano, che lo aveva reso celebre) si trasformò, ufficialmente per amore di Gemma Bellincioni sua seconda moglie in un tenore di mezzo carattere da opere “nuove” e Traviata, che i tenori seri disdegnavano. Più che l’amore, forse la virata di repertorio derivò dalle condizioni vocali del tenore siciliano arrivato al capolinea della carriera. Sta di fatto che dopo di lui Edoardo Garbin, Fernando de Lucia (primo Turiddu a Napoli) e Fernando Valero (primo Turiddu alla Scala nel 1890 ed Metropolitan nel 1891), tutti tenori di grazia furono i primi interpreti del ruolo, quelli che ne permisero diffusione e popolarità. Sono esemplificati tutti nel disco nella due pagine più famose dell’opera brindisi e siciliana, dove potevano esibire dolcezza e morbidezza di emissione sofficità di suon e legato. De Lucia, poi, soprattutto nella siciliana è de Lucia con preziose filature e rallentamenti, che saranno per i suoi detrattori difetti, ma ben colgono l’atmosfera trasognata della serenata o del canto popolare, forse post notte d’amore extraconiugale, all’amata. I preziosismi non solo di de Lucia, ma di Valero (famoso il trillo che, poi è un a doppia acciaccatura) o il rallentando a perdifiato di Garbin su “ebbrezza generale” nel brindisi e la bravata di Smirnov, che, in chiusa del brindisi interpreta un do acutissimo facile squillante sigla della tragica spacconeria del ragazzotto siculo sono tutte manifestazione della appartenenza di Turiddu a personaggi di mezzo carattere del personaggio. Erano queste finezze o queste interpolazioni le più connotanti quella categoria di tenori contrapposte all’accento aulico, ampio ed oratorio dei tenori di forza. Per altro che non si trattasse di arbitrarie scelte riservate alle registrazioni in studio, ma il diffuso costume è confermato anche da quel che si traode dal brindisi di de Marchi sotto la guida di Mancinelli in occasione delle esecuzioni del 1903 ovvero dopo poco più di un decennio dalla prima.

Qualcuno potrebbe dire, poi arrivò Caruso. Ma il Caruso che incise la Siciliana nel 1902 ed anche l’addio alla madre (brano di fatto sino al 1915 di rarissima registrazione esiste e confesso di non averlo reperito quello di Florencio Constantino) è ancora nel solco del tenore di grazia. E al genere appartiene in parte anche Karl Jorn partner di una solenne Melanie Kurt, tenuto inoltre conto che il tenore lettone affrontò le parti liriche di Wagner, anch’esse ritenute da tenore di grazia almeno sino al 1915 (il solito de Lucia). Dagli ascolti anche quello di Johannes Sembach, che successivamente (precisamente dal 1914 al 1921) fu uno dei tenori wagneriani del Met conferma che alle prime esecuzioni del personaggio fossero estranei pesantezze e solennità da opera seria. Certo non sappiamo come nessuno di questi interpreti affrontasse le batture della sfida con compare Alfio, che sono di scrittura molto centrale e siccome il termine tenore di grazia non indicava affatto, come al giorno d’oggi, tenore da opera di mezzo carattere da operine del settecento, dovremmo concludere che mai alcuno ritenne necessario che un Raoul de Nangis o un Otello cantasse Turiddu, bastando accento, ampiezza e timbro dei Faust o dei Nadir. Quando questo accadde dal 1920 in poi avvenne è chiaro che snaturati erano stati Raoul ed Otello prima che compare Turiddu.

Eugenia_BurzioSe il percorso interpretativo di Turiddu appare tortuoso passando da una fase iniziale molto differente da quella codificata dal 1920 -’30 in poi il percorso di Santuzza è assai più lineare.

In questo caso documentata la prima esecutrice. E’ una Bellincioni con oltre vent’anni di carriera, un’Isabella del Roberto il diavolo, trasformatasi in soprano centrale ed è difficile dire qualche cosa che vada oltre la necessità di ascoltare la prima interprete. Come cantasse nel 1890 la Bellincioni non lo sappiamo, ma nei suoi primissimi anni spesso soprani lirici o lirico spinti come la Pantaleoni (che era stata la prima Desdemona) Adalgisa Gabbi e la Darclée (che cantava Maria di Rohan e Linda di Chamounix, prima di essere Tosca) vestirono i panni della disonorata contadina siciliana.

La scrittura vocale centrale, però, attirò subito una categoria ossia quella del soprano drammatico, quelle che cantavano il tardo Verdi, Ponchielli ed anche le parti cosiddette Falcon, che ancora si eseguivano. Esemplare sotto questo profilo l’esecuzione di Ester Mazzoleni. Aggiungo che Gadski, Kurt e Pinto erano anche famosi soprani wagneriani. Anche questo è un dato su cui riflettere perché oggi un soprano dedito alle parti di soprano drammatico wagneriano non avrebbe la capacità tecnica e di legato (poi immagino che taluni lettori parleranno anche di fissità di suono) che sfoggiano queste tre Isotte di levatura storica alle prese con Santuzza. Qualche dettaglio devo rilevarlo ovvero come il racconto della Gadsky inizi con tono dimesso per poi accendersi nella sezione conclusiva del passo, come la Pinto scelga di chiudere all’ottava superiore evitando così la discesa al mi basso e la Mazzoleni alla fine del duetto con compare Alfio, per rendere furore e sdegno della donna disonorata e derisa interpoli un sonoro do acuto. Erano epoche, mi sia consentito dirlo, gli interpreti erano spesso coautori e che con le loro scelte.

Attirò anche il ruolo cantanti dall’incerta definizione e repertorio ( e forse anche dall’incerta tecnica) come Emma Eames, prima Santuzza nel 1891 al Met che praticava alcuni titoli del nuovo repertorio come Juliette di Gounod. Qualcuno ha scritto che questa Santuzza non è una siciliana brutta e baffuta, ma una dama inglese. Un modo elegante e molto british vista la fonte per dire che non è Santuzza, a mio avviso ad onta del fatto che la scrittura centrale occulti i limiti della Eames in zona acuta. L’ampiezza vocale di certi soprani drammatici o lo slancio alternato a ripiegamenti intimisti delle più significative Santuzze danno all’ascoltatore ciò che alla bellissima Emma è impossibile: interpretare. Ma l’esecuzione di Emma Eames è documentazione storica da sentire e considerare.

Il Verismo ebbe, oltre, alla Bellincioni in Italia un’altra mentore e patronessa Emma Carelli. Per lei venne coniato il termine “disperata verista” e l’epiteto con riferimento alla registrazione dello scontro Scarpia-Tosca è azzeccatissimo. Potrebbe anche esserlo per Cavalleria se avessimo l’intera registrazione perché nel racconto di Santuzza la Carelli è contenuta, canta con dizione scolpitissima, indulge a vero a qualche suono aperto in zona bassa (meno della Burzio), ma esegue anche piani e pianissimi e suona sonora e squillante in alto. Non è indenne da difetti (molto meno rispetto all’ortodossia canora di Emma Calvè l’altra patrona del Verismo come Carmen e Santuzza), dimostra come spesso i soprani, dediti al Verismo avessero mezzi limitati rispetto alle colleghe verdiane e soprattutto come quella differenza, che venne ritenuta sconvolgente, fra la cantante di stampo ottocentesco e quella moderna applicata al Verismo.

 

Gli ascolti

Mascagni – Cavalleria rusticana

 

O LolaFernando de Lucia (1902)

Voi lo sapete, o mammaAmelia Pinto (1902), Emma Carelli (1903), Johanna Gadski (1904), Marie Delna (1907), Emmy Destinn (1908)

Tu qui, Santuzza?Emilio de Marchi e Emma Calvé (Mapleson – 1902), Karl Jörn e Melanie Kurt (1911)

Fior di giaggiolo – Elise Elizza (1907), Frieda Hempel (1909)

Turiddu mi tolse l’onoreEster Mazzoleni e Pasquale Amato (1909)

Viva il vino spumeggiante – Emilio de Marchi (Mapleson – 1902), Johannes Sembach (1907)

 

Ave Maria – Eugenia Mantelli (1907)

 

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2 pensieri su “Musica proibita: Cavalleria rusticana. I primi dieci anni

  1. Impressionante questa galleria: un Florencio Costantino Che esegue con facilità e scioltezza, Un Garbin che oggi sogneremmo, e uno strano Smirnov che accelera, rallenta a suo piacimento, ma ragazzi che sicurezza, che squilli di tromba… E sopratutto nessuno da segni di forzature oramai impensabili ai notri dì.. Mi pare di ritrovare in tutti un comune denominatore: la capacità di cantare con il legato che oramai è una chimera…Grazie.

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