Del Nelusko di Mattia Battistini ci è sembrato doveroso proporre sia l’aria del secondo atto (“Figlia di regi”, nella versione italiana), sia la cavatina del quarto (“Averla tanto amata”), entrambe incise per la Gramophone a Milano il 25 maggio del 1912 (il “re dei baritoni” aveva già compiuto i cinquantasei anni d’età). Ci è dato infatti, attraverso questi antichi documenti sonori, di ascoltare entrambi i numeri musicali pressoché integralmente, senza tagli di sorta, a differenza di quanto avvenuto nella ripresa veneziana di questi giorni, dove della grande parte di Nelusko, e dell’opera tutta, non abbiamo sentito che un moncone. Possiamo così comprendere appieno la complessa natura del personaggio, combattuto tra sentimenti di fedeltà, amore non corrisposto, furiosa gelosia, e doveri di servile obbedienza e abnegazione, come risulta dalla struttura articolata della prima aria, che passa dalla placida e sottomessa cantabilità dell’andante iniziale (“Figlia di regi a te l’omaggio”), al turbamento ansioso dell’allegro moderato “Io veggo sott’altro cielo” (con tanto di trilli atti ad esprimere l’agitazione interiore del personaggio, abbellimento di cui Battistini non era però padrone), sino alla collera ora non più trattenuta dell’allegro vivace (“Quando amor m’accende e m’infiamma l’ira ”, nell’incantabile traduzione italiana, la cui scomoda sillabazione purtroppo mal si sposa con la musica), in cui Nelusko giura di uccidere Vasco che gli contende l’amore di Sélika (sentire con quale terribile verità d’accento il grande cantante attore dice una frase come “Ma… per questo stranier, regina… per lui… tu dei temer!”). Infine con il ritorno ad un tempo moderato (“Oh Brama dio possente”), a significare la sconfitta e la gemente rassegnazione dello schiavo, il cantante commuove (s’intende, chi sappia ascoltare) dispiegando un legato da vero fuoriclasse, ampie e morbide arcate vocali, voce che si espande ampia, ricca e sonora sino alla vetta del sol acuto nella cadenza finale. Analoghe considerazioni per la seconda aria, dove Nelusko maledice se stesso per aver giurato il falso e consegnato Sélika “in braccio al suo rival” (con quale squillo e potenza il cinquantaseienne baritono, dopo averci fatto sentire un attacco iniziale a mezzavoce, si slancia sui mi naturali dell’allegro “O folgor su me piomba”). Inutile ribadire come l’esecuzione parziale di questi brani, ingrigita per di più dalla vociferazione villana, rude ed unidimensionale che oggi come da mezzo secolo domina l’universo baritonale, finisca solo con il falsare profondamente tutto il carattere del personaggio.