Tristan und Isolde viene composto da Wagner dall’autunno del 1857 all’estate del 1859, ma dovrà attendere il 10 giugno del 1865 per la prima rappresentazione, avvenuta a Monaco con la direzione di Hans von Bulow, il tenore Ludwig Schnorr von Carosfeld nel ruolo di Tristano, sua moglie Malvina nel ruolo di Isotta e il mezzosoprano Anna Deinet in quello di Brangane. L’opera ottenne un successo di stima, lasciando freddo e perplesso un pubblico (tra cui un diffidente Bruckner – mentre Liszt, pure invitato, se ne resterà a Roma) non abituato a quella che la critica contemporanea salutava (o denigrava, a seconda delle posizioni ideali e degli intenti polemici) come “musica dell’avvenire”. Durante questa lunga e faticosa gestazione, Wagner venne influenzato da svariati elementi, che concorreranno tutti a definire l’aspetto finale del Tristan e che vanno considerati e approfonditi per comprenderne la portata rivoluzionaria ed individuarne il carattere e la corretta cifra ideale e interpretativa. Da una parte la lettura di Schopenauer, dall’altra l’amore passionale e clandestino per Mathilde Wesendonck (per la quale scriverà negli stessi anni il famoso ciclo di lieder che tanto ha in comune con il Tristan e che è essenziale per la piena comprensione dell’opera). Dove si colloca il Tristan nell’opera di Wagner? Esso è allo stesso tempo un punto di svolta ed un unicum. Infatti, da una parte, con esso, Wagner abbandona definitivamente la distinzione aria/recitativo e la struttura essenzialmente strofica che ancora sopravviveva – seppure in modo sempre meno evidente – nei sui titoli precedenti (Lohengrin, Tannhauser, Der fliegende Hollander, e naturalmente Die Feen e Rienzi), ancora riconducibili all’opera romantica post weberiana: la musica fluisce ora senza soluzione di continuità, una sorta di melodia infinita che scorre libera e senza argine nelle continue modulazioni musicali e ritmiche. Dall’altra però, questa continuità, questo discorso ininterrotto si pone con caratteristiche uniche ed autonome rispetto a tutto il resto della musica di Wagner, precedente e successiva: vi è infatti, una prevalenza assoluta dell’aspetto melodico-vocale sugli altri elementi musicali. Nel Tristan appare il Wagner ammiratore di Bellini (“Di tutte le creazioni belliniane – scrive Wagner – Norma è quella che, accanto alla più ricca pienezza delle melodie, unisce l’ardore più intimo con la verità più profonda” – opera, la Norma, per la quale lui stesso compose un’aria alternativa per Oroveso) e dell’astrattezza del belcanto. E proprio questa astrattezza, pur trasfigurata in un orizzonte pienamente romantico, si ritrova nel Tristan: l’atmosfera notturna, il mistero, la malinconia di certe pagine, gli aspetti “lunari”, oltre a discendere dal Novalis degli Inni alla notte e dei Discepoli di Sais, sembrano trovare un certo richiamo proprio in Norma. Se poi si analizza il tessuto armonico orchestrale e strumentale, si noterà come anch’esso viene ricondotto al canto vocale: al contrario della Tetralogia (dove emerge il predominio dell’orchestra e dove le stesse voci vengono trattate alla stregua di strumenti musicali nell’intento di ricondurre il tutto ad un’unica grande costruzione sinfonica), nel Tristan, i temi musicali sono essenzialmente vocali (anche nel sistema dei leitmotive) e pure quando vengono affidati all’orchestra essi appaiono nati per la voce e solo successivamente trasferiti agli strumenti. Si può dire che mentre altrove in Wagner le voci “suonano”, qui l’orchestra “canta”. In questa ambiguità tra voce e suono risiede il fascino e la natura intima dell’opera. Questa natura inafferrabile e ambigua è realizzata anche attraverso un trattamento orchestrale assolutamente rivoluzionario, fatto di cromatismo semitonale, armonico e melodico, di modulazioni tonali, di strumentazione complessa e ostica (si pensi al ruolo inusitatamente ampio delle viole, che all’epoca erano suonate da violinisti di terza scelta e che mai avevano avuto un ruolo di così ampio rilievo). Wagner anche nell’orchestrazione opera in maniera opposta rispetto alle successive composizioni (appaiono molto lontane le compagini mastodontiche del Gotterdammerung, con le sue 6 arpe, 8 corni, 4 tube etc..), attraverso cioè un progressivo “svuotamento”, un alleggerimento del contorno per evidenziare l’essenzialità delle linee melodiche. Alleggerimento funzionale all’emergere della dimensione intima e individuale, sino ad ora assente dalle ampie costruzioni wagneriane: non ci sono imperscrutabili eroi, e il mito – seppur presente, anche se più come spunto narrativo che simbolico – lascia spazio al dramma tutto interiore dell’anima umana, contesa tra luce e buio, vita e morte, ragione e passione. Probabilmente influenzato, come anticipato, da certe suggestioni di Novalis (si pensi agli Inni alla Notte: “fedele il mio cuore segreto rimane alla notte, e a suo figlio, l’amore che crea…”), Wagner contrappone la notte che diviene mistero e magia, luogo dell’anima ove la passione non ha freni e diviene lussuria (Tristan non parla di amore, ma di passione e di carnalità), ove la morale è sommersa dal piacere, alla prosaicità del giorno (che è razionalità, convenzioni, ruoli). Tutto scompare nella notte, tutto si mescola, tutto è lecito, i confini spariscono, la vista si annebbia, i sensi si risvegliano. E la morte alla fine altro non è che un’eterna notte, ove finalmente sfogare i desideri: un buio perpetuo in cui la passione, liberata dalla schiavitù della luce vive questi suoi desideri. La morte di Isolde non è che un atto sessuale in cui essa si perde nei propri sensi. Opera quindi del desiderio irrazionale e nascosto, opera dell’incomunicabilità, più vicina a Debussy che alla Tetralogia, e priva di ogni cedimento a certa retorica e manierismo esteriore. Attraverso questo complesso disegno di passioni non appagate si sviluppa il canto di morte che incombe sin dalle prime note e dal dolore lancinante del caratteristico Tristan-akkord: in questo senso vero centro della partitura, vero snodo, è la morte di Isolde, “Mild und Leise”: momento in cui tutto viene ricondotto all’unico esito possibile, ove tutto si scioglie e si libera. Ove la visione e l’interpretazione del direttore è chiamata al banco di prova. Luogo in cui si evidenziano i differenti atteggiamenti ideali: morte o nuova vita? Fine o inizio? La morte di Isotta è un lungo abbraccio che porta al trionfo del buio sulla luce: attraverso la morte, la passione si libera da ogni costrizione. E diviene splendente: la notte che risplende infuocata dai sensi. Ma solo lei vede questo fuoco, solo lei lo sente. Ancora l’individualità che emerge su tutto il resto, come in un sogno vicino all’ebbrezza. Scrive Nietzsche nelle poesie postume: “Aperto è il mare. […] Ben lontano splende spazio e tempo e il mostro più bello mi guarda ridendo: eternità”
Gli ascolti
Richard Wagner
Tristan und Isolde
Preludio – Orchestra del Teatro alla Scala, dir. Herbert von Karajan (1959), Orchestra del Festival di Bayreuth, dir. Karl Böhm (1966), Orchestra del Teatro alla Scala, dir. Carlos Kleiber (1978)
Atto I
Westwärts schweift der Blick…Wie lachend sie mir Lieder singen – Gustav Podin, Nanny Larsen-Todsen, Anny Helm, Rudolf Bockelmann, Gunnar Graarud, dir. Karl Elmendorff (1928), Gino del Signore, Getrude Grob-Prandl, Elsa Cavelti, Sigurd Björling, Max Lorenz, dir. Victor de Sabata (1951)
Herr Tristan trete nah! – Gertrude Grob-Prandl, Max Lorenz, Sigurd Björling, Sven Nilsson, dir. Victor de Sabata (1951), Birgit Nilsson, Wolfgang Windgassen, Gustav Neidlinger, Hilde Rössl-Majdan, dir. Herbert von Karajan (1959)
Atto II
Hörst du sie noch? – Gertrude Grob-Prandl, Elsa Cavelti, dir. Victor de Sabata(1951)
Isolde!…Tristan! – Lauritz Melchior, Kirsten Flagstad, Herbert Janssen, Frank Sale, Emmanuel List, dir. Fritz Reiner (1936), Wolfgang Windgassen, Birgit Nilsson, Gustav Neidlinger, Hans Hotter, Claude Heater, dir. Herbert von Karajan (1959)
Atto III
Kurwenal! He!…O diese Sonne! – Luciano Della Pergola, Sigurd Björling, Max Lorenz, Gertrud Grob-Prandl, dir. Victor de Sabata (1951), Murray Dickie, Gustav Neidlinger, Wolfgang Windgassen, Birgit Nilsson, dir. Herbert von Karajan (1959)
Mild und leise – Kirsten Flagstad, dir. Fritz Reiner (1936), Birgit Nilsson, dir. Herbert von Karajan (1959)
Complimenti per il bellissimo articolo. Avrei solo attinto a qualche decennio precedente negli ascolti suggeriti per il preludio…
Trovo che quelli scelti rappresentino davvero il meglio: al massimo avrei aggiunto Bernstein
Avrei inserito anche Furtwängler…de gustibus
Trovo quasi ridicolo, o meglio preoccupante, che non sia stato fatto, ma ci sarà qualche ragione spero…..Nessuno come lui sa rendere lo sconvolgimento cosmico dell’attimo in cui Isotta spegne la torcia per chiamare Tristano , per me momento capitale dell’intera partitura
1) Furtwaengler l’abbiamo già offerto in passato, qui abbiamo voluto suggerire ascolti diversi dai soliti;
2) a mio gusto Carlos Kleiber, Bernstein e anche Boehm colgono meglio la natura di Tristan;
3) Boulez è uno dei miei direttori preferiti;
4) non vedo cosa vi sia di ridicolo o di preoccupante: se avessimo voluto proporre solo e sempre Furtwaengler non l’avremmo chiamata Wagner edition…
Vorrei aggiungere qualcosa sul tema.
Ho avuto la opportunità di vedere e sentire un “Tristan und Isolde” in forma di balletto.
http://www.teatrocomunaleferrara.it/navigations/view/1/2/2528/Tristano-Isotta.html
La musica utilizzata è stata la edizione del 1982 diretta da Kleiber con Margaret Price e D.F. Diskau – all’interno della quale (in esecuzione parziale) è stato inserito prima dell’azione del secondo tempo uno dei Lieder Wesendonk (in una registrazione analogica con qualche fruscio, mi spiace di non sapere dire quale e da chi eseguita)
Credo che questa produzione non solo possa essere gradita da chi ama il “Tristan und Isolde” ma che permetta di avvicinarsi alla radice della composizione nella ricerca di una sua piena comprensione.
Questo attingendo alla evoluzione di forme in una scenografia rispettosa della composizione (secondo me) scarna e profonda – solo una scala a chiocciola che porta in un alto “altro” e colori caldi e notturni in movimento.
Questa produzione, che ha avuto la prima rappresentazione nel 2015 ha richiesto tre anni di lavoro alla eccellente Joelle Bouvier – coreografa.
Alla “prima” erano presenti un gruppo nutrito di appassionati di Wagner (con qualche Ayatollah) pronti probabilmente a mettere su tutto un definitivo sigillo negativo, ma invece…
Al contrario, su Radio France un musicologo “qualificato” (mi scuso, non ho appuntato il nome) ha suggerito a chiunque interessato a “Tristan und Isolde” di assistere ad una rappresentazione di questo balletto per percepire la completezza della creazione di Wagner.
Questo sta sicuramente bene assieme alla concezione di “opera d’arte totale” e mi ha permesso, con una grande emozione credo condivisa dalla gran parte dei presenti, di “praticare” l’idea, superando il livello di sole analisi fisiologiche di voci (detto senza intenti polemici, ovviamente) ma dilatando lo spettro di attenzione e di percezione profonda.
Pare che questa produzione sarà di scena a Parigi nel prossimo marzo 2016 per due settimane. Nell’ esprimere sentiti complimenti alla direzione del Teatro Comunale di Ferrara, che ha saputo portare in Italia questa produzione, chissà se si può sperare di un suo ritorno in Italia ?