Jonas Kaufmann alla Scala. Ascoltando si impara

kaufmannNon ho difficoltà e problema a dichiararlo: riporto quanto ha scritto Miguel Fleta dopo il concerto di Jonas Kaufmann nel post “Mentre canta Kaufmann”:

Ciao cari.
Ieri sera ho ascoltato un brutto concerto.
Cantava un famoso tenore che  mai
ha saputo ben cantare, e che oggi e’
semplicemete ridicolo. Ne ho sentiti molti
di concerti di famosi tenori che mai han
saputo ben cantare, e ad essere sinceri,  anche
molto piu’ festeggiati di quello di ieri sera.
Liszt non e’ piaciuto praticamente a nessuno
ed ha ricevuto applausi di cortesia, l’impresentabile
Schumann ha provocato l’abbassamento di centinaia
di palpebre, e nel foyer, alla fine della prima parte,
i commenti non erano affatto entusiasti.
Wagner sbadigliato in modo orrendo e’ stata la cosa
migliore della serata, ha ricevuto applausi ed anche due
“bravo”, Strauss….brrrrrr!!!!! Cosa non ne ha
combinate in Strauss questo famoso tenore!!!
Ne avesse azzeccata una di frase, niente!
Finito il concerto , il famoso tenore ha cantato
il mio Lied prediletto, il dolcissimo “Breit ueber mein
Haupt dein schwarzes Haar, ” Accarezza la mia pelle
con i tuoi capelli neri, e mostrami nel frattempo
il tuo volto, versami nella chiara e limpida anima
la luce dei tuoi occhi. Io non voglio su di me
lo splendore del sole, e neppure la corona luminosa
delle stelle…la notte della tua bruna chioma
e ed il dolce splendore del tuo sguardo son tutto
cio’ che desidero………
Insomma, praticamente un amplesso.
Il famoso tenore l’ha URLATO in modo indecente…
Non mi sembrava il caso di ascoltare altro.
Lo sgomento nel vedere gente che durante
la serata ha commiserato il famoso tenore
ed alla fine gridava “bis”, e’ stato grande, proprio grande.
Mi auguro che l’aria della “Forza” fosse meglio di
quel pattume vocale che il famoso tenore ha
recentemente inciso.
Aggiungo che le checchine isteriche, esattamente come
le checcone represse, sono parte , una nutrita parte, del
pubblico che si reca all’ opera, e, che tra il concerto
di ieri sera e quello citato di Montserrat Caballe’ non e’
proprio il caso di far paragoni.
Ringrazio Donzelli per aver sopportato il mio sfogo. Ciao.

Sono, quindi, io che ringrazio Miguel Fleta per avermi “portato via il lavoro”.

Ci sono doverose ulteriori precisazioni in merito a questo concerto, che prontamente stampa e TV hanno celebrato come un trionfo, e qui mi corre ricordare per iniziare a ridimensionare che l’ultimo concerto di canto trionfale in Scala è stato quello di Frau Gruberova e che i trionfi se li sono lucrati (a torto od a ragione non mi interessa) Bergonzi, Carreras, Ramey, per restare al sesso forte.

Come canti Jonas Kaufmann -nostro malgrado- lo sappiamo da tempo: suoni falsamente oscurati e gonfi al centro per trasformare il tenore lirico leggero in un tenore spinto con la conseguenza che gli acuti sono gridati e spinti oggi –aggiungo- fissi e stimbrati ( e tenuti anche meno della durata prevista dallo spartito) ed i tentativi di addolcire comportano falsetti afoni e indietro. Inoltre  è tecnicamente parlando un dilettante del canto ed in un programma di Lieder, che stanno nella ottava centrale della voce canta senza imposto e con voce naturale, come chiunque di noi sotto la doccia,  Morgen è stato parlato maldestramente, Caecile gridato, confermando i fasti dei primi due Lieder Vergiftet sind meine Lieder, S 289 e Im Rhein, im schönen Strome, S 271/2, che hanno dimostrato, almeno al pubblico udente, che Kaufmann non sa cantare dal mezzo forte in poi sopra un fa3 e non sa cantare piano qualunque nota.

Qualcuno potrebbe tradurre:non sa fare il proprio mestiere. Mi risulta che lo abbiamo scritto, esemplificato e motivato alcuni dei nostri lettori a corredo del post di lunedì scorso.

Se poi vogliamo una disamina più consona a chi scrive: “Ingemisco” con attacco ghermito e chiusa urlata e falsetti al “inter over locum praesta” o l’aria di don Alvaro dove “Siviglia”, “Leonora”, “o rimembranza” sono rochi falsetti, l’attacco del cantabile è stato servito con una presa di fiato ogni parola, monosillabi compresi, e le scomposte grida finali su “Leonora mia soccorrimi” sono state accompagnate da una recitazione, che pareva la caricatura della celebrata Margherita di Madga Olivero o della Lecouvreur della Kabaivanska. Tale orpello potrà anche far gridare al miracolo il pubblico che Miguel Fleta ha diviso in “ine” ed “one”, ma tradisce inesorabilmente il personaggio dolente e piagato di don Alvaro, cantore dell’ideale, quanto mai romantico, della donna angelicata e redentrice. Scorda il signor Kaufmann ed i suoi plauditores che lo scatto d’ira di don Alvaro nasce dall’insulto razziale di don Carlos.

A riprova che il corriere non ciancia offriamo l’ascolto di Morgen da parte di Fritz Wunderlich e la scena di don Alvaro di uno sfasciato Giuseppe di Stefano a Vienna nel 1960. Lascio a chi di buona volontà e buon orecchio fare gli opportuni confronti precisando che per parte mia non trovo un fenomeno né vocale né tecnico Wunderlich e che non so che farmene di un cantante come di Stefano, specie anno 1960.

Per onestà di confronto si possono anche utilizzare ascolti  non di levatura storica anche se vogliono farci credere che Jonas Kaufmann sia la storia. L’onestà si deve utilizzare come metodologia per il confronto.

Chi l’onestà, oltre che le orecchie, le ha perdute o peggio abiurate sono, a mio parere,  la critica, che spaccia per cantante il signor Kaufmann ed il pubblico che tale lo considera. E qui usciamo dallo stretto terreno del concerto per valutare altro e fare, spiccia e semplice, un po’ di sociologia. Scienza della cui inutilità sono convinto. La costruzione mediatica del prodotto è ovvia ed anche semplice da svelare: un bel ragazzotto (anche se la barba “cinque del mattino” fa malato quando ormai incanutita), che indossa bene il frac in concerto e che in scena non ricorda Falstaff anche nei panni di don Carlos o del semidio Lohengrin garantisce per qualche anno, pena la distruzione della voce,  di affrontare i ruoli spinti più rappresentati nei teatri di lingua e gusto tedeschi. Poi,  per terminare la confezione del prodotto, arriva la critica ufficiale e siccome l’offerta è deforme rispetto alla tradizione, principia parlare di diversità di criteri dei criteri di giudizio da adottare a beneficio di Kaufmann nel raffronto con tutti i tenori esistiti e che abbiamo lasciato testimonianza discografica e il pubblico, che non ascolta, che non ha cultura ed educazione all’ascolto e va all’opera come a vedere i varietà “tette e chiappe” della tv crede che quello sia il meglio e applaude. Una sorta di collettiva autoconvinzione,  che sortisce l’immediato risultato di garantire, ancora per qualche anno, risultati economici soddisfacenti e che contribuisce, se ancora l’opera non fosse compiuta, a distruggere l’opera. Non posso tacere alcune riflessioni, che ho fatte ieri sera quando, complici le mezze luci del teatro, mi guardavo in giro. Taccio del volto sconsolato e dei commenti gestuali di Miguel Fleta ad ogni suonaccio, ma l’aria compiaciuta davanti ai rochi falsetti, intesi per sontuose mezze voci di un signore o l’attento ascolto di corpulenti giovani studenti di canto coreani convinti di sentire il modello per le loro impossibili, future carriere mi hanno profondamente colpito. Ed in senso negativo.

La conclusione è sempre la stessa, come testimoniavano gli scelti ascolti di lunedì: che non sono possibili paragoni fra chi pratichi la tecnica di canto ed il canto impostato e chi, come Kaufmann canti da dilettante. Non praticano il medesimo mestiere. L’arte del canto è artigianato supremo e raffinato nel suo fondamento tecnico, che  con il concorso di cultura, intelligenza, curiosità, volontà di progredire può diventare Arte, più spesso fermarsi ad un prodotto di grande solidità e professionalità.  Ma Arte e professionalità  hanno comune fondamento nella tecnica “all’italiana”, le cui caratteristiche abbiamo più volte documentate. In difetto di questi presupposti non si è “altro o diverso”, come ci vogliono far credere per farci applaudire, si è solo impostura. Il vero ed il nuovo sarebbe ben altro ossia che dalle pagine della critica spiegare la differenza fra l’ingorgata emissione ed i suoni catramosi di Jonas in Traume e quelli liberi, leggeri e librati sul fiato, senza peso di McCormack. E’ vero che i dischi oggi li fa il primo non il secondo, anche se -beffa suprema- gli scarichi dai siti di ascolto e gli acquisti di dischi danno dati “in controtendenza”, ma sarebbe anche vero che qualche studente di canto si prenderebbe gusto e briga di cercare quei suoni e non già gli “affondi”, tanto di moda.

 

Gli ascolti

Verdi

La forza del destino

Atto III

La vita è inferno all’infelice…O tu che in seno agli angeliMax Lorenz, Alfred Piccaver

Requiem

IngemiscoAlfred Piccaver

Tosti

Ideale Alfred Piccaver

Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube

86 pensieri su “Jonas Kaufmann alla Scala. Ascoltando si impara

  1. quante parole inutili, Kaufmann vale anche lui come tutti per quello che e’. Nessun intenditore vuole metterlo su un piedistallo e dargli oggi un valore storico. Lui a differenza d tanti illustri cantanti del passato ha fatto una scommessa: quella della versatilita’ e del superamento delle categorie che vorrebbero limitare una voce a un solo repertorio oppure che consentono alla voce d progredire in maniera funzionale al non rovinarsela. Ovviamente questo percorso e’ molto concettuale e artificioso perche’ non puo’ non prescindere da doti tecniche e di duttilita’ non comuni. Risulta quindi persuasivo per taluni e per talaltri no.

    • così prima di “dare aria ai denti” hai dato una scorsa la repertorio di Beniamino Gigli, Franz Volker, Leo Slezak, Giovanni Martinelli, Francesco Merli. Così tanto per citare i primi che mi vengono in mente. Credo molto più piattamente che il recondito sogno suo e dei suoi mentori sia farne un altro Domingo, cantante per il quale versante commerciale e versante artistico della carriera sono molto divergenti

      • L’obiezione di Donzelli alla non priva di spunti di riflessione teoria di Albertoemme sulla ricezione del fenomeno Kaufmann è più che condivisibile. La versatilità non è scoperta dei giorni nostri e di certo non del buon Jonas. Restando nel repertorio vocale da camera, ho ascoltato il buon Jonas (mi perdoni chi lo trova bello se non scrivo bello; per me non lo è, carino semmai) nella Schoene Muellerin, in alcuni Lieder di Strauss, nei “Sonetti di Michelangelo” di Britten (ascolto per le mie orecchie e le mie predilezioni personali particolarmente doloroso), in alcune melodie di Duparc, nei “Sonetti del Petrarca” di Liszt e nei “Wesendonk-Lieder” di Wagner. Sempre ho riscontrato quei difetti evidenziati da Donzelli e che non sto a ripetere. Sempre anche un certo disordinato fraseggio gabellato per interpretazione. Del resto, come si fa e fraseggiare se non si sa respirare? (cito un solo esempio: “Pourquoi me réveiller?” nel famoso dvd del divo: ora, le oscillazioni di tutto il busto ben visibili a ogni salita al la diesis sono indice di cattiva respirazione e gestione del fiato; qualcuno ha mai visto Pavarotti anche declinante oscillare a quel modo su un acuto? Penso di no, e tanto basti).
        Più subdolo è il discorso sulla supposta novità dell’operazione interpretativa e culturale portata avanti dal bel Jonas. Ora, per mettere in discussione una tradizione è necessario conoscerne i fondamenti tecnici (o, come ben dice Donzelli, di mestiere, di artigianato) e interpretativi (so che Mancini detesta questa parola; porti pazienza). In mancanza di questi semplici presupposti, ancora più semplicemente si bara. Faccio un esempio extra canto: Glenn Gould. Quanto erano radicali le sue scelte interpretative, a partire dalla ricerca sul suono dello strumento!. Ma le sue incisioni e i suoi video nei quali suona Beethoven, Prokofiev, Scriabin e Ravel stanno lì a dimostrare che sì, Gould prendeva parecchio le distanze da un certo modo di intendere il pianista concertista; d’altra parte che sapeva dominare il suo strumento alla perfezione e che se solo avesse voluto, avrebbe potuto benissimo suonare anche Chopin e Liszt, forse lasciandoci testimonianze sbalorditive. Ma, tanto per ripeterimi, dove sta la differenza fra Gould e Jonas: sta nel fatto che Gould il suo strumento lo padroneggiava alla perfezione e poi, soltanto, poi lo utilizzava in modo eterodosso. Ora, quando si parla di canto il discorso si fa spinoso perché vige la vecchia leggenda “ognuno canta con la sua tecnica”. A scanso di equivoci, io penso che la voce sia uno strumento musicale come qualsiasi altro, con i suoi problemi peculiari che tuttavia non autorizzano a spacciarne la mancanza di padronanza per “nuova tecnica”. Certo, il canto ha avuto la sua evoluzione, dovuta all’estetica dei vari periodi nei quali si è manifestato, all’ampliarsi degli spazi nei quali è stato esercitato come professione. Ma ciò vale anche per il pianoforte o l’oboe o il flauto (l’evoluzione della meccanica in questi strumenti ha facilitato molte cose, ma non ha snaturato lo strumento). Affermare, come fanno molti sedicenti critici, che Jonas sia il vessillifero di un “canto dei nostri tempi” è una mistificazione bell’e buona, perché non è canto, ma una sua imbarazzante imitazione (anche Domingo, in tal senso, è paradigmatico – vogliamo parlare di questa pagliacciata di reinventarsi baritono? Meglio di no). Ora se Jonas padroneggiasse il suo strumento come faceva Gould e portasse, a partire da questo mestiere, da questa maestria, avanti un discorso interpretativo “nuovo” (tralasciando per un momento di considerare che sarebbe almeno necessario accordarsi su un concetto minimamente condiviso di “nuovo”) allora saremmo di fronte a una personalità forse anche irritante – come spesso Gould era – ma forte di un pensiero sulla musica che lascia qualcosa su cui riflettere. Così non è e chi sostiene il contrario mistifica. Già lo scrissi tempo addietro: io mi destreggio un poco col pianoforte ma la Sonata in si minore è fuori dalla mia portata tecnica. Se la eseguissi in pubblico e cercassi di gabellare l’inevitabile disatro per “un nuovo percorso interpretativo che può piacere o dispiacere” semplicemente sarei disonesta. Questo è ciò che fa il buon Jonas: bara. E barare è disonesto. Scusatemi la prolissità, ma credo che certe cose vadano dette e ripetute chiaramente. Saluti a tutti.

        • Cara lontanodalmondo, grazie del tuo intervento cristallino e bene argomentato; credo non sia necessario aggiungere altro sul “fenomeno” K. a quanto hai scritto. Meglio prenderlo per quello che è e valutare tal moneta per quel che vale.
          ciao

    • Alberoemme, vedi, quando nelle recensioni patinate, internettiane, nei fori, nei blog si legge “Kaufmann è un tenore oramai storico che non ha nulla da invidiare ai grandi del passato, ma può dialogare direttamente con loro”, lo si è posto già sul piedistallo, lo si è già storicizzato e gli si è anche dato valore assoluto.
      E’ chiarissimo!
      Prima di lui milioni di cantanti hanno avuto repertori sconfinati (Bumbry, Jurinac, Ermolenko, Studer, Domingo, Soderstrom, Caballé, Dessì, Matteuzzi, etc. etc. etc.), quindi non è una novità, un caso a se, un unicum.
      Ha la versatilità per cantare tutto?
      Manrico, Faust, Florestan, Bacchus, des Grieux (Massenet, mentre attendiamo quello pucciniano), Pinkerton testimoniano intanto l’esito negativo.

  2. Per chi ha qualche anno come me, vista la canea con la quale oggi
    ci si vuol dar da intendere che questo signor-figo è il tenore del futuro, ricordo quello che negli anni ’50 sembrava un tenore da sballo: Mario Lanza. Che fine ha fatto: E’ diventato un canzonettista neppure più citato ne in radio, ne in TV. Memento Kau-Kau sic transit gloria mundi.

  3. Il pubblico ha decretato un caloroso successo ed evidentemente la pensa molto diversamente – e con pieno diritto, legittimità e dignità – da Fleta, Donzelli e soci. L’errore di fondo sta nel ridicolizzare e anzi criminalizzare il pensiero difforme dall’ortodossia qui praticata. Chiunque nel campo dell’arte e dell’estetica si professi portatore di verità incontrovertibili o è un cretino o è un furbacchione ( qualche poveraccio che si faccia ingenuamente abbindolare dalle false certezze e omologare al preteso pensiero unico si raccatta pur sempre e ne abbiamo qui prova quotidiana ). Il concerto di Kaufmann è stato a mio avviso alterno ma nel complesso non privo di interesse. A un List fatto maluccio è seguito un Schumann molto interessante, dove Kaufmann ha cantato utilizzando quella che forse è la sua vera voce, aliena da forzature e artificiosi ispessimenti. Il momento migliore della serata. Verdi, specialmente l’aria dalla Forza del D., non è il suo pane. Eccessi di falsettini, qualche disomogeneità e suono ingolato. Meglio Strauss. Alti e bassi in una serata a saldo complessivamente positivo.

    • L’arte è un campo che si presta per definizione al giudizio, parlare di verità assolute e ortodossia e poi dare del cretino, furbacchione o poveraccio al prossimo è un atteggiamente quanto meno contraddittorio.
      Ritenere altresì che una sferzante critica ai fondamenti tecnici di chi pratica un’arte sia equivalente a criminalizzare qualcuno vuol dire attaccare il ragionatore invece del ragionamento. Mi domando che senso abbia: per favore me lo illustri.

      • E’ presto detto Veriano: quando il pubblico e la critica che esprimono tendenze difformi dalla praticata ortodossia vengono giudicati – con risentimento degno di miglior causa – rispettivamente incompetenti e in malafede c’è qualcosa ( o molto ) che non mi convince. A partire dalle moleste tracce di prosopopea . Altra cosa è l’analisi dei fondamenti tecnici ( pratica forse necessaria ma un poco secondaria e anche noiosetta: molto più divertente parlare degli autori che degli interpreti ) : da farsi comunque con la dovuta umiltà. In fin dei conti dietro ai nomi dei grandi cantanti del passato ci sono quelli di grandi carneadi del presente ( da ciò il buon gusto e la coscienza dei propri mezzi dovrebbe consigliare un tono un pochino più dimesso ).

        • non esiste piu critica nella lirica da almeno vent’anni. Basta vedere con quale e quanta frequenza li si vede in compagnia di agenti, musicisti e sovrintendenti mentre dovrebbero starswne, come un tempo, in disparte. Oggi sono i teatri per non dire i cantanti stessi che li invitano pagando loro biglietti, viaggi e soggiorni. ,a smettiamola di dire fesserie. Qui si parla di canto, di come si canta, della sia staoria e della sua pratica. Tema che interessa a circa lo 0,5 per cento del pubblico se va bene. A teatro la gente va nella piu totale disinformazione e con u n interesse marginale dimostrato dalle cifre delle vendite di dischi e dalla riduzione fortissima del mercato rispetto ad un tempo. Smettiamo di fare lezioni di umiltà parlando di un pubblico sovrano che non ha piu cultura in niente. Sia o una società che scambia l’informazione con la cultura perchè le statistiche di lettura dei libri sono desolanti. La verità è che con buona pace delle ideologie sulla cultura di massa, la cultura vera resta affare di pochi. E l’opera si misura intelletualmente per pochi e tra pochi, come per altri generi artistici. Se vuoi anche tu iniziare a parlare di canto lasciando da parte il qualunquismo e la retorica delle debolezze della democrazia ci fai un favore. Se ci riesci

          • La cosa più divertente è che quando si afferma che la cultura è faccenda per pochi sono poi sempre in tanti a pensare di appartenere al novero di quei pochi. Mai trovato qualcuno che si autoescluda: ovviamente tutti si sentono all’altezza. Ma se davvero è roba per pochi allora io saprei fare i nomi di quei pochi: penso di poter dire con serenità che non ci siamo dentro né io né voi.

          • comincia allora a dimostarci quello che senti parlando di canto e non facendo proclami. Comnicia. Vedi siti migliori di questo per autori ed utenti? Io non ne conosco. Vedo del gran qyalunquismo manifestato con il linguaggio della banalità quanto allo stato della cultura oggi, c’è fior di lwtteratura che puoi consultare. Credi che una mostra da 50000 o piu visitatori su mantegna o michelangelo annoveri una totalità di competenti? Vedi te

        • Genericamente questo tuo secondo intervento è sensato, ma appunto un po’ generico. Posto che i fondamenti tecnici del canto sono piuttosto diversi oggi da come erano ad esempio 30 anni fa (e questo è un dato di fatto facilmente riscontrabile non solo con le registrazioni d’epoca, ma anche ascoltando il recente duetto Nucci-Rancatore), mi sembra logico che vi sia chi critica le tendenze attuali. Per quanto noiosetti e da blog di nicchia, i discorsi tecnici sugli interpreti sono al momento gli unici praticabili, visto che prime di grandi compositori d’opera ce ne sono pochine.

          Altra osservazione inoppugnabile è che la maggior parte delle opinioni e dei giudizi artistici arrivano da chi è parte interessata nello spettacolo. Se intervisti i protagonisti, il direttore, il regista e il direttore artistico (o i loro agenti) che ti aspetti che ti dicano: “Questo spettacolo fa schifo”? Certo che no. E che un teatro rifiuti di dare l’accredito a chi prova (in maniera discutibile o meno) a esercitare il suo mestiere di critico non lo trovi un indizio che c’è qualcosa che non quadra?

          Non chiamiamola “malafede”, chiamiamolo “interesse”… come negarne l’esistenza? La grande macchina commerciale del canto si è mossa su scala planetaria già ai tempi dei tre tenori e lì almeno il materiale c’era, ma certo non tale da avere il diritto di oscurare tanti altri interpreti altrettanto validi; non trovi che l’interesse commerciale – che punta alla vendita di massa di un prodotto – sia in aperto conflitto con l’arte musicale? O davvero pensi che Allevi sia il nuovo Mozart?

          Mi chiedo quindi se quella che tu chiami “ortodossia praticata” sia questa o quella di chi cerca di usare la propria testa, anche a volte commettendo strafalcioni o usando toni un po’ sopra le righe: l’esasperazione è umana.

    • c’è anche un sacco di gente che ama “amici” della de filippi, oppure “uomini e donne”….purtroppo il cattivo gusto c’è ovunque….Kaufmann non tira fuori un bel suono (oggettivo).
      Come fa una persona che ha ascoltato gente come Gedda o altri, oppure giovani come Poli, ad ascoltare ed ammirare Kaufmann?

  4. Kaufmann, ovvero della gola, garganta, throat, gorge, kehle, keel (olandese, questo l’ho cercato sul vocabolario), gola
    (portugues, che è uguale all’italiano, a parte la pronuncia un po’ rilassata), insomma il NON CANTO, con buona pace di albertoemme stonato nell’orecchio e di altri estimatori (marise barbise comprese), e con il massimo rispetto dello sfiatato Di Stefano, che con la Forza era fuori luogo, ma il cui Riccardo del ’56, a dispetto di tutti i suoi difetti, rimane fra i migliori, per chi ama il Ballo…
    Mollo gli ormeggi, ma solo per una volta : il buon Kau potrebbe essere un lirico leggero – se avanzasse un po’ la voce, ma temo che mamma l’abbia fatto così – ma vuole strafare (sai la novità) e con quella cavernosità di suono forse conta di arrivare a livelli che non gli appartengono,.
    Note – asfittiche – a parte, non smorza, non rinforza, non fa un piano, figurarsi un pianissimo (povera Aida), il centrale è tutto quel che ha, e appena sale esce il catrame, perchè la terza ottava per lui è un tabu.
    Ieri sera non ero in teatro, ma l’attacco dell’ ingemisco, e soprattutto il finale, erano urla (sono abituato a Gigli e al primo Pavarotti, chiaro !?) , e non servono dettagli tecnici.
    Povero Jonas, se gli fosse utile per cantare, gli regalerei una quercia.
    …gratta oggi, gratta domani…, il guaio è che servirebbe solo alla schiena.

  5. ma perchè ? Uno non può ascoltare Fleta e ANCHE andare a Teatro a vedere Kauffman ? Non capisco perchè la prima cosa escluda per forza l’altra, fermo restando che trattandosi di arte (che per definizione sfugge ad ogni regola) giustamente ognuno apprezza chi meglio ritiene. In sintesi, più che legittimo che molti di voi dicano le ragioni per le quali non apprezzano K, l’unico argomento a mio parere inconferente è quello di dire non mi piace K perchè Tizio cantava così e Caia cantava colà…

    • ciao gianguido. Non è affatto perchè tizio cantava così e caio cosà. E’ solo perchè canta male.punto e i bravi cantanti sono tizio, caio etc. Questa è la logica del discorso. Quello di k è un prodotto commerciale di quart’ordine spacciato per arte. Guardati intorno, nei negozzi c’è di tutto, la roba bella e la fuffa. Si scrive di tutto, ci sono i dostoevsky e i fabio volo. Et c pper ogni cosa. Un mondo di diversità e di gerarchie di valori nei quali ci addentriamo in misura della nostra competenza. La lirica è arte del passato, non si può fruire con competenza senza essere preparati. K è robaccia per gente incompetente e passarla per arte è truffa. Come un tessuto sintetico venduto per cashemere triplo filo. Stai con un modaiolo di grande sartoria e ti accorgerai degli imperi commerciali di certi straccivendoli. Dico…imperi, dove i guadagni sono spropositati rispetto al reale valore. Chi giudica questo? I competenti. Idem nell’arte. Vuoi che la lirica sia diversa?

  6. Giustissimo donna Giulia: La lirica è arte del passato, e quindi kaufmann deve esser confrontato con i cantanti di allora. Kau vuol cantare ? chi glielo impedisce ? ci sono tante forme di canto ed espressioni canore. Quale è la sua colpa ? tentare di spacciare il suo canto per quello vero, che ha regole ben precise. O le rispetta oppure è giusto indicare che sta usurpando un mondo non suo. Coi suoi ricciolini, e la sua faccia lessa può benissimo interpretare film e serial adatti ad un pubblico femminiloide, o aspirante tale.
    Non si può spacciare per Lana il pile, solo perchè per alcuni (tra cui io) lo trova caldo. A te piace ? ci sono tanti stadi, tra cui l’arena di Verona in cui può esibirsi come, e quando vuole, ma per l’opera lasci perdere o si attenga alle regole. Se vuol avventurarsi nell’opera lirica DEVE accettare che taluni, con buon udito gli dicano quello che non va. Che poi taluno come Baremboim si offra per fargli
    eseguire il Requiem Verdi, siamo alla follia pura. In quel caso esistono anche le cliniche per curare il narcisismo e la megalomania.

    • Sottoscrivo, sia per Giulia sia per Rigoletto.
      Le regole del canto lirico sono quelle che, se rispettate, lo identificano e codificano come tale, e questo indipendentemente dalle caratteristiche di unicità di ogni voce.
      Chi non le studia, non le applica o non le rispetta, non canta liricamente, fa dell’altro, e il fastidio è lo spacciare questo altro per canto lirico.
      Non dovrebbe essere difficile da capire, anche per chi non canta, basta un po’ di orecchio,…se poi si vuol vendere ferro dipinto per oro, siamo alla mistificazione o al patologico, come dicono i due posts qui sopra.

  7. Caro Rigoletto, io credo che, con tutto il successo che ha, Kaufmann le critiche negative le accetti senza problemi. Come hanno fatto tutti, per altro. Tutti, anche grandissimi, anche incommensurabilmente superiori a Kaufmann. Del resto, chiunque faccia un lavoro creativo, chiunque debba sottoporre il proprio lavoro a un pubblico, che sia fatto di lettori o di ascoltatori o di appassionati di arti figurative, non può aspettarsi di piacere a tutti. Al contrario. Stando alla mia piccolissima esperienza, il lavoro di una persona, quanto più è originale e innovativo, tanto meno piace.
    Ciao
    Marco Ninci

    • Certo, caro Marconinci, è pur vero che gli innovatori a volte faticano a farsi comprendere, ma il cavernoso alemanno non rientra nel numero, è solo uno che ha studiato male e che tenta di far leva non su meriti vocali ma su aspetti collaterali di tipo fisico che dovrebbero essere solo un quid post vocem.
      Il suo problema è proprio la voce, mal educata e proposta con prosopopea.
      Se, come dici tu, accetta le critiche, o se ne frega e non prova a migliorare, o non può fare di meglio.
      Nel primo caso un po’ meno di pompa non guasterebbe, nel secondo vada a fare teleromanzi.
      Non sarà un assenza fatale, la lirica è sopravvissuta a perdite ben maggiori.

  8. Grande Tenore, uno dei voci più singolari della lirica, gran gusto ed ottime interpretazioni Anche perche ottimo attore . Certo il salto tra il repertorio latino e quello tedesco logorano la voce , ma finora ho scontratto una voce scura, piena ROTONDA .. a differenza di molti tenori italiani che cantano Verdi mentre dovessero cantare Mozart , Viva Kaufmann !!
    Boaz Senator

    • caro boaz, non siamo soliti pubblicare slogan pubblicitari o esternazioni fantiche di alcun genere. Qui potete inviare messaggi di ogni genere, che contengano opinioni libere ed opposte alle nostre ma che sia ARGOMENTATE. Ti pubblico per dimostrare a te la sincerità del nostro atteggiamento ma anche come prova del fatto che chi osanna questi fenomeni non sa andare oltre lo slogan per une generica difesa della categoria. Non vedo argomenti né tecnici né stilistici nel tuo post, solo inni da stadio. grave per un cantante.

  9. Dai per favore, ma di che stiamo parlando… “Kaufmann superlativo”? Kaufmann non è neppure un cantante; è un attore che sale sul palcoscenico e intona il testo sull’ accompagnamento orchestrale o pianistico, ma non ha nulla a che vedere con il canto. Non sto parlando di scuola antica o moderna, di scuola italiana, tedesca, francese o russa, semplicemente di canto. Non c’ è la benchè minima traccia di organizzazione vocale in quella gola. Kaufmann sta al canto come Fantozzi a una finale di Wimblendon. Esce vivo solo dalle serate in cui riesce a non stonare troppo. Poi è ovvio che un pubblico il quale applaude le urla dei dilettanti che oggi infestano i grandi teatri, agendo in modo direttamente proporzionale decreti un trionfo a un recital di Kaufmann, ma questo non vuol dire che nelle sue esibizioni lui arrivi anche solo a sfiorare la decenza.

  10. Ma no, Mancini, io non concludo a nessuna equivalenza fra “creativo” ed “arbitrario”, come invece fai tu. E’ un’equivalenza sorprendente; e, onestamente, è la prima volta che la sento formulare. Per “creativo” invece intendo un’attitudine soggettiva che non subisca la realtà ma la interpreti, la renda viva, da un certo punto di vista la ricrei. Per quanto riguarda la musica, questo vale per tutti, creatori ed esecutori, anche se in prospettive diverse. Senza questa attitudine non c’è vita ma solo un pallido rispecchiamento di ciò che è al di fuori di noi. Che è poi per il musicista la realtà che lo circonda e la tradizione da cui viene; per l’esecutore invece la scrittura che ha il compito di tradurre in suono. Questo però, ed è ovvio che sia così, non significa che non ci siano regole; nessuno al mondo può fare a meno di parametri di ogni genere. Soltanto che questi parametri si evolvono, mutano, divengono irriconoscibili; è la vita stessa ad essere così. Sono i grandi artisti quelli che forzano le regole e ci fanno vedere che non è vero che c’è una sola strada possibile. Le strade alternative ci sono sempre state, in ogni campo; gli illuminati ce le fanno scorgere. Basta vedere, per esempio, l’enorme differenza che c’è fra un sonetto di Baudelaire e uno di Mallarmé; sono quasi contemporanei, usano la stessa lingua e la stessa struttura. Ma quei pochi anni che li dividono hanno scavato fra loro un abisso incolmabile. Creano, usano alcune regole, le distorcono. Con questo non voglio dire che Kaufmann sia di questa razza; non mi sognerei mai di paragonare la sua svolta (la Carmen di Londra mi sembrava in effetti completamente diversa) con, che so, la svolta in senso drammatico di un tenore come Caruso, nato come tenore di grazia. E il Kaufmann odierno non piace molto neppure a me. Ma certi concetti generali vanno chiariti.
    Ciao
    Marco Ninci

  11. credo che questa riflessione sia conclusiva del dibattito ma e’ meglio che non lo sia altrimenti ci perdiamo il gusto di scannarci in attesa del prossimo concerto della Ebita Tamburini Stignetti (che come e’ noto mette d accordo tutti). Certo che cara Grisi quando chiosi il commento di boaz senator in quella maniera viene il dubbio che ai loro tempi avresti fatto morire di fame non solo Wagner ma anche Beehtoven

  12. Allora, non sono potuto andare al concerto, e non so dunque quale sarebbe stata la mia impressione sulla serata. A scopo informativo posso confermare un dato che è già stato accennato, e cioè che fra il pubblico non c’erano soltanto attempate/i groupies ma anche numerosi musicisti e cantanti, sia studenti che professionisti. Immagino come è naturale che anche fra loro le opinioni siano state difformi, ma a onor del vero devo dire che a me sono state riferite solo testimonianze positive, che vanno da un deciso entusiasmo a una più equilibrata soddisfazione (e aggiungo che in generale ammiro la competenza, lucidità e sensibilità di almeno alcuni dei miei referenti).

    Su Kaufmann la mia opinione generale l’ho già detta in passato. Non vi è dubbio che non consiglierei a nessun cantante di prendere come modello la sua emissione bassa e gutturale, e se mi chiedete se personalmente provo un’istintiva inclinazione verso le sonorità da lui prodotte devo rispondervi molto francamente di no. E però con Kaufmann mi succede una cosa che in generale non mi capita spesso, cioè di trovarmi a dover apprezzare e ammirare un cantante malgrado una sonorità di base che non mi convince (chiaramente per sonorità intendo il risultato della produzione sonora nel suo complesso, non semplicemente la bellezza o la qualità della voce). A mio avviso la sua abilità è quella di saper gestire, differenziare e piegare al meglio a fini espressivi i diversi elementi di un’organizzazione vocale di per sé tutt’altro che irreprensibile: i singoli ingredienti possono apparire indigesti, ma il piatto nel suo complesso a me spesso convince, e molto. Non sempre, è chiaro, anzi. Ho trovato il suo terzo atto del Lohengrin scaligero ottimo, e certa sua liederistica schubertiana e straussiana ricca di colori, idee e di sfumature: però nel repertorio italiano non mi ha quasi mai convinto e mi è anzi spesso parecchio dispiaciuto, lì anch’io sento il bisogno di un diverso e più ortodosso imposto vocale.

    Con queste premesse, è perfettamente ovvio come fra i grisini Kaufmann debba rappresentare più o meno l’Anticristo. Se infatti in questo sito non si è esitato a demolire icone della tradizione tedesca entrate nella storia come Fischer-Dieskau, Schwarzkopf, Schreier, Prey, a maggior ragione ci si accanirà contro Kaufmann che, diversamente dai suoi predecessori e pur essendo lontanissimo da un’emissione “all’italiana”, da un po’ di tempo in qua ha fatto il gran balzo e proprio sul repertorio italiano sta centrando ora gran parte della sua carriera. La polemica, va detto, ha fondate ragioni di esistere e può fornire indubbiamente spunti di riflessione: credo anch’io che anche solo 20 o 30 anni fa sarebbe stato inconcepibile che un Kaufmann potesse aquisire preminenza mondiale fra i tenori verdiani e “veristi”. Se questo accade è per svariate ragioni, che vanno al di là della semplice fotogenia: fra queste la necessità delle major di creare nuove superstar dopo la fine del ‘lungo regno’ di Domingo e Pavarotti e, ahimé, la scarsa presenza di personalità di scuola italiana in grado di contrastarlo. Ma si sa, ognuno è più o meno favorito o svantaggiato dalla fortuna e dalle circostanze: Kaufmann è qui, e va considerato per quello che si crede possa valere, o non valere.

    Mi sembra quindi naturale e comprensibile che gli amici grisini affondino il coltello, in nome della loro “mission” di tutori della tradizione italiana, ed esorterei gli eventuali fautori di Kaufmann a non entrare troppo in contrasto con loro anche perché sinceramente non vedo grandi possibilità di dialogo quando si parte da presupposti così radicalmente diversi. Tutto nasce da una domanda preliminare che dà adito a risposte opposte dopo le quali è davvero inutile proseguire: “è possibile fare buon canto e buona musica senza un compiuto imposto vocale all’italiana, e addirittura nel caso di Kaufmann con un’emissione decisamente sconsigliabile a priori?” Assolutamente no, rispondono i grisini: ci sono delle regole ben sperimentate nel passato, chi non ne riconosce la necessità è un incompetente, ecc. ecc. Talvolta sì, rispondo io, e con me credo molti altri: l’esperienza tecnico-artistica parte certamente da principi condivisi e comprovati, ma è sempre aperta a deviazioni e scarti che possono dare risultati inaspettatamente interessanti. Allora, può darsi che io ed altri siamo tutti incompetenti e che abbiano ragione i grisini: certo che allora si viene a creare una situazione un po’ inquietante e paradossale in cui i “congnoscentes” sostenitori della retta via sono perlopiù per loro stessa definizione hobbysti mentre fra gli incompetenti ignari dei fondamenti del mestiere ci sono parecchi seri professionisti. Ma potrebbe anche essere così, esistono al mondo paradossi ben peggiori. (A proposito, non mi scaglierei contro Boaz Senator, che nella brevità del suo intervento mi sembra abbia fornito diverse argomentazioni della sua stima per Kaufmann, condivisibili o meno: apprezzerei anzi lo sforzo di aver scritto in una lingua che chiaramente non padroneggia al meglio).

    Riconosco infine il tentativo di dialogare compiuto da Lontanodalmondo, ma devo dirgli che non mi sembra che giovi al suo discorso il paragone con Gould, artista per me geniale ma che ha subito stroncature anche più radicali di quelle avute da Kaufmann, e da stroncatori ben più illustri. Rimango inoltre perplesso riguardo alla sua autovalutazione delle proprie capacità pianistiche: se davvero ritiene che una sua esecuzione della sonata in si min. potrebbe dare risultati paragonabili anche a quelli del peggior Kaufmann, lo incoraggio senz’altro a buttarsi, visto che il brano è da sempre massacrato da giovani e incauti pianisti allo sbaraglio. Disastro più disastro meno… magari qualche groupie la trovi anche tu! :)

    • Caro Idamante, come sempre i tuoi interventi sono equilibrati e pacati e questo è bello di per sé.
      Vorrei dirti che ho scelto intezionalmente Gould proprio perché, e qui in qualche modo mi ricollego a quanto dice Marco a proposito degli artisti di rottura, fu un pianista fortemente e autorevolmente stroncato. Qui sta la differenza: Gould era un artista eterodosso ma dotato di una padronanza dello strumento indiscutibile, criticato spesso aspramente da una critica competente che non riconosceva dignità al suo personale percorso interpretativo. Kaufmann è un cantante che non sa padroneggiare affatto – e lo riconosci anche tu – il proprio strumento, esaltato da una critica che ha più volte dimostrato, nero su bianco, di non saper distinguere un suono da un urlo. Converrai con me che ci troviamo di fronte a due fenomeni completamente diversi. Da un lato pianista inattaccabile sul piano tecnico e molto discutibile su quello interpretativo stroncato da critica competente; dall’altro cantante deficitario sul piano tecnico e di poco interesse su quello interpretativo (tu citi Fischer-Dieskau, sulla cui emissione ho già avuto modo tempo fa di esprimere le mie riserve; ma la statura intellettuale di FD è cosa completamente ignota al buon Jonas) esaltato da critica priva di veri mezzi di giudizio.

      Caro Marco, leggerti è sempre un piacere, ché i tuoi interventi, anche quando non mi trovano d’accordo, sono sempre uno stimolo. Però permettimi un appunto: tu paragoni Baudelaire e Mallarmé, che furono entrambi poeti fortemente di rottura e l’uno di rottura rispetto all’altro. Tuttavia io penso che ci siano arti per le quali non vale il concetto delle avanguardie storiche figurative, Dada sopra tutte: “Il paradigma se lo fa l’artista e non esiste un canone”. Questa è stata una grandissima rivoluzione, ma, ripeto, vale per le arti figurative. Per la musica non si può tracciare uno stesso tipo di percoro né compositivo né interpretativo. La musica, soprattutto per quanto riguarda lo studio degli strumenti – voce compresa – ha subito un’evoluzione senza dubbio, ma non nel senso di una rottura radicale, di una produzione di un “altro dal canto tradizionalmente inteso”. Ripeto, se Kaufmann cantasse come Pavarotti e portasse avanti un discorso interpretativo radicale, io lo sosterrei anche se non condividessi le sue scelte (come sostengo un pianista spesso ai limiti dell’assurdo come Pogorelich). Ma il problema è a monte; sarebbe come dire che Mallarmé è stato un grande poeta perché non conosceva la sintassi e la grammatica: no, le conosceva e le forzava; ma le conosceva. Qui sta il problema.
      Ultima precisazione: a scanso di equivoci, io non mi diverto per nulla a scriver male di qualcuno – e penso che sia un atteggimento condiviso da molti qui. Ossia, mi fa una grande tristezza non poter andare a teatro senza arrabbiarmi per lo stato delle cose. Vorrei una sera poter uscire da teatro come mi è capitato alla Sapienza di Roma dopo un concerto di Andrea Lucchesini: programma interessantissimo, molto studiato nella relazione fra i brani proposti ed eseguito da un pianista eccellente. Ecco, mi piacerebbe uscire da un concerto di canto o da una rappresentazione con la stessa soddisfazione. Tutto qui. Buona giornata a tutti.

  13. La faccio piana e spiccia davanti a tanta accurata disamina, che mi mette in soggezione. Il canto professionale per quelli del corriere è uno solo fondato su poche elementari regole che partono dalla respirazione, arrivano al sostegno del suono e approdano alla corretta esecuzione del passaggio di registro ,che nella corretta respirazione ha il suo fondamento. Tutto qui lo imparavano anche persone poco o per nulla scolarizzate.
    Con criteri cosi semplici non possono esistere modi diversi e geograficamente connotati di canto.
    Banalmente e credo non sia artistico il motivo questa tradizione si è persa prima in germania che non in altri paesi.
    Vi propongo tratti dal tubo due o tre esempi e confronti che chiariscono il pensiero grisino (che non è un pensiero, ma una semplice osservazione )

    http://www.youtube.com/watch?v=aOWt73caZsg&list=PL9B01796645896F5D
    http://www.youtube.com/watch?v=f95O-tlQoQQ
    http://www.youtube.com/watch?v=sE7dyL-wqXk
    tutto molto semplice a mio avviso e grazia veramente per questa opportunità di dialogo e di confronto
    questo per stare in mozart
    e per arrivare a Donizetti e confermare che nel 1920 si cantava a vienna come al carrobbio
    http://www.youtube.com/watch?v=uDJi8T0q2Zc
    http://www.youtube.com/watch?v=Bm1YIxrhMKE

    • era l’inizio caro assai più facile imitare le affettazioni di frau legge che il canto di maria reining. dimentichi forse che la signora per motivi matrimoniali fu molto molto sostenuta nella propria carriera e preferita ad altre.

  14. No, Donzelli, non volevo dire un modello per le altre, ma proprio un modello in sé. Un esempio ammirevole, insomma. Come mi sembra di poter dedurre dalle tue parole. Ma forse mi sbaglio e il tuo voleva essere un esempio in negativo. Se così è, ho frainteso e me ne scuso.
    Ciao
    marco Ninci

  15. “E però con Kaufmann mi succede una cosa che in generale non mi capita spesso, cioè di trovarmi a dover apprezzare e ammirare un cantante malgrado una sonorità di base che non mi convince”

    è esattamente la stessa cosa che accade a me Idamante, intendevo proprio questo. Anche io ovviamente sono più attratto dal canto di un Pavarotti o di un Kraus o di un Bergonzi (per dire i primi tenori che mi vengono in mente di getto) incomparabile la loro voce (pavarotti), tecnica (Kraus) e stile e fraseggio (Bergonzi) rispetto alla voce brutta, non troppo sonora e spesso emessa in modo poco ortodosso di K eppure piano piano che penetra nel personaggio di turno mi sento trascinato da lui e finisco con alla fine trovarlo a suo modo unico fino a faticare a riprendere le “vecchie usanze” di ascolto. Mi capita così prima volta in assoluto. Un pò mi accadeva anche quando vedevo in scena la Dessay altro mostro di immedesimazione e di arte scenica e di pathos (ed assai meno adamantina di altri celebri soprani leggeri del passato). vale per loro due eh sia chiaro altrimenti sto tutta la vita con quelli che giustamente reclamano il canto doc (ma di Kauffman e Dessay ce ne sono appunto due e non a caso hano mietuto successi planetari non solo di pubblico ma anche di critica)

    • per chi è interessato a una disamina dell’arte scenica della signora Dessay mi permetto di segnalare
      Daniel Mendelsohn, How Beatiful it is and How Easily can be Broken: Looking for Lucia, pp. 79-92. (New York, 2008.)

  16. Caro Corena, quello che dici è scomodo ma condivisibile. E’ una pratica molto italiana. Tutto in questo paese fa orrore, la salvezza sta in pochi, in qualche “giusto delle nazioni”. Ma il guaio è che tutti si sentono parte di questi pochi, dal momento che senza gratificazione , senza il senso della propria importanza, non è possibile vivere. E allora? Si produce ora un curioso giochetto: in Italia spunta l’importanza dell'”altrove”. nel campo sociale ci sono i buoni e i cattivi, i lavoratori e i pigri, i produttivi e gli improduttivi, i padani e i terroni, gli onesti e i ladruncoli, gli utili e coloro che devono invece essere fatti oggetto di “spending review”. Nel campo culturale, i colti e gli incolti. Ma tutti, ognuno senza eccezione, pensano di meritare l’inserimento nella categoria dei buoni; si trasformano in tante piccole oasi di positività. Nell'”altrove” sta il marcio. Ma, se tutti sono buoni, dov’è in Italia questo “altrove” maligno? Se ne deduce una conclusione stupefacente. Gli italiani si sentono molto inferiori nel loro rapporto con l’estero; ma, a guardar bene, quando considerano se stessi si assolvono con sorprendente facilità.
    Ciao
    Marco Ninci

    • Rispondo qui anche a Corena.
      Parlare di fondamenti tecnici nell’arte canora non vuol mica dire che “la cultura si fa così o colà e noi siamo tra quei pochi che la fanno”. Cultura non è un termine che ha un valore assoluto in relazione all’umanità, tutti possiamo “fare” cultura, “riceverla”, “goderne”, acculturarci. Per chi non ha mai sentito un’opera in vita sua, sarebbe un momento culturale anche venire al teatro di parrocchia a sentire Verdi cantato da Ninci e da me.

      Detto questo, l’arte canora ha una tecnica, così come qualsiasi artigianato. E prima di raggiungere livelli artistici in una forma di artigianato è scontato apprendere e padroneggiarne le tecniche coinvolte. Perché per il canto no? Era interessante l’esempio di altromondo sulla grammatica, ma non serve neppure andare così lontano; rimaniamo alla musica. Per diventare un violinista di rispetto, esibirsi in un teatro, avere credito, un ragazzo deve spendere anni di studio. Qualcuno prenderà mai una sua nota non perfettamente intonata come “momento espressivo di grande valenza”? Non credo. Questo vuole forse dire che un grande violinista non potrebbe mai e poi mai stonare una nota per motivi espressivi? Certo che potrebbe, ma qual’è la differenza con lo studente di cui sopra?

      Il canto, purtroppo e per fortuna è una forma d’arte molto particolare, anche rispetto alle altre forme musicali. Ci possiamo commuovere davanti a un grande artista su un palcoscenico, ma anche sulle note di vecchio contadino mentre lavora la terra… Ma questo non è un buon motivo per mandare il contadino alla scala e fargli incidere un disco su Verdi.

  17. Ritenevo inutile intervenire dopo la sfilza di post pro/contro Kaufmann, ma mi è venuta voglia di aggiungere la mia spassionata opinione (che ovviamente può essere più o meno condivisibile), che è semplicemente quella di una persona di scarsa esperienza e molto lontana dall’autorevolezza di chi qui pubblica tante recensioni utili e ben fatte che seguo e condivido quasi sempre in silenzio.
    Partendo appunto dalla mia passione (non di lunghissima data, lo ammetto) ma dalla mia scarsa cultura (cui cerco comunque di rimediare documentandomi e ascoltando il più possibile), quando vado alle varie rappresentazioni utilizzo un mezzo di cui almeno tutti siamo indiscutibilmente dotati e che non abbisogna di particolari caratteristiche se non la necessità di allenamento: L’ORECCHIO (ed il mio funziona ancora benissimo, grazie a Dio).
    Premetto anche che avevo a suo tempo acquistato il biglietto per Kaufmann solo perché non l’avevo mai sentito dal vivo in un recital liederistico e mi sono decisa a correre il rischio. Dopo il primo pacco avevo quasi pensato di farmi rimborsare il biglietto e anche lunedì (complice il tempo uggioso), non ci sono andata molto convinta e, alla fine, ne sono uscita con due sensazioni principali: pena e imbarazzo.
    Pena perché quella voce mi sembrava anche più disastrata del solito, stanca e sfibrata oltre ogni dire, slegata e malferma. I “toni scuri” e le “rotondità” che qualcuno apprezza, il mio modesto orecchio li sente come squallidi mugolii da cagnolino malato alternati a latrati da lupo mannaro, che il solo accompagnamento del pianoforte non fa altro che amplificare e peggiorare (nelle opere, almeno, l’orchestra ogni tanto copre un po’…). Una pronuncia (nella sua lingua!) a dir poco disastrosa, frutto diretto della sua impostazione vocale tutta gola e sfibracorde, zero pathos, strilli agghiaccianti soprattutto nei lieder di Strauss: Salvo (di poco) i Wesendonck Lieder, solo perché piuttosto soporiferi.
    E il peggio è arrivato con i bis, quando, ulteriormente provato da quasi due ore di recital al limite del crack, il signore ha pensato di fare il suo coup de théatre scodellando un paio di brani verdiani a beneficio del pubblico italiano: agghiacciante l’Ingemisco, che altro non ha prodotto che l’esaltazione delle penose caratteristiche di cui sopra e anche peggiorato rispetto al Requiem dello scorso ann Sulla stessa falsariga l’aria della Forza, anche se meno dannosa per le orecchie. Concordo perfettamente con chi dice che è un attore che intona i testi in musica, infatti le opere gli servono come specchietto per le allodole, perché almeno sulle qualità di attore ammetto di stare dalla sua parte (però, a questo punto, potrei andarmene a teatro, o anche al cinema dove, peraltro, posso vedere personaggi anche più belli e sexy del ricciolone tedesco)
    Veniamo all’imbarazzo: io lo ero sinceramente per lui, per questo modo sciagurato di usare la voce (che, mi sbaglierò, avanti così non durerà moltissimo), per avermi perforato l’orecchio con questo “canto” straziante. Mi sentivo come quando si guarda un pattinatore che volteggia sul ghiaccio ma di cui si percepisce chiaramente la mancanza di sicurezza e di padronanza del mezzo e della situazione: lo segui con angoscia e ti ripeti “mamma mia, questo cade da un momento all’altro”, sempre sull’orlo del baratro. Mi chiedo come faccia LUI a non sentirsi imbarazzato a cantare in quel modo! Io mi vergognerei come una ladra (pensando anche ai suoi cachet astronomici).
    A corollario dell’imbarazzo canoro, quello del pubblico: deliri secondi solo ai mitici svenimenti del’era Beatles (ma qualche “buu” il mio orecchio lo ha ben udito), i fiori buttati dai palchi e gli omaggi dalla platea, lui genuflesso al centro del palcoscenico ad abbracciare in estasi il pubblico delirante….no, grazie, non sono spettacoli per me, sopratutto dopo una performance del genere.
    E non per girare il coltello nella piaga, ma anche il suo pianista Helmut Deutsch ci ha messo del suo: una su tutte, una clamorosa “topaia” dell’attacco di “Ich grolle nicht”.

    No, non ce l’ho con Kaufmann, ma ad un altro suo recital non mi ci vede più, grazie.

    • Scusa cara Carmen ma trovo tutto quello che hai scritto terribilmente esagerato e distruttivo. Posto che, come ho già detto nell’altro post, Pertile e Gigli gli sono incommensurabilmente superiori nella “Forza” ( e non solo), non ho trovato la sua esecuzione di Alvaro così scandalosa. Mi è parso che Kau tentasse di alleggerire e schiarire il timbro, ad esempio, gli accenti e il fraseggio mi sono parsi decisamente buoni, L’interprete era certamente coinvolto in quanto stava cantado. L’attaco dell’aria in “pianissimo” non era poi così male. Non so giudicare il suo tedesco, ma il suo italiano mi pare accettabilissimo (molto meglio di quello di tanti mostri sacri del passato, i nomi non li faccio ma li conoscete tutti). Rispetto a unTucker (tenore che amo, soprattutto nel Ballo, LO DICO PRIMA CHE INIZITATE A STRILLARE TUTTI!!!) era certamente un Alvaro più partecipe e meno frigido e rigido. Durerà tanto? durerà poco? chi lo sa, ho abbastanza anni di ascolto sulle spalle, però, per ricordarmi perfettamente che a Domingo furono preconizzati pochissimi anni di carriera “se continuerà a cantare senza rispettare le buone regole tecniche”……

      • Forse le mie saranno esagerazioni, però quanto sopra è quel che ho sentito e non ci tengo a smentirlo. Quanto alle “sonorità”, se così le vogliamo chiamare, a me arrivava su tutte una gran fatica e quegli “acuti” sgolati cui forse dovremmo giocoforza fare l’abitudine (e perché mai?). Non contesto affatto il suo italiano, ma il fatto di non riuscire nemmeno nella sua lingua ad articolare bene le parole (le vocali come la “a” giusto per fare un esempio, ohibò)
        Quanto a Domingo, sono del parere che non fossero sbagliate le previsioni sul suo fine carriera, ma che sia lui ad averla forzatamene prolungata, riciclandosi come baritono, che a me suona semplicemente come un vecchio tenore (quale in effetti è). Il tutto sempre come opinione personale, s’intende.

        • Carmencita cara,
          Ho vissuto in Italia, in Germania ed
          in Argentina, ma acuto sgolato
          ti giuro e’ un termine che ancora non avevo sentito. Mi sorge un dubbio.
          Non me ne ha mai parlato neppure la mia prozia Concha. Erudiscimi! Sgolato, cioe’ senza gola,
          che sembra uscire dall’orecchio, tipo “zu selig Hoehn” in Caecilie?

      • Caro Billy,
        Durante una breve conversazione avuta poche ore or sono con amici frequentatori di quaesto sito , mi sono reso conto che quanto scritto da me a proposito del pubblico che frequenta il Teatro d’Opera e’ stato da molti frainteso. Da molti. E se da molti e’ stato frainteso non puo’ che significare che il sottoscritto non si e’ espresso in modo chiaro. Ok.
        Ho pensato che, “Mentre canta Kaufmann” FOSSE la risicata recensione del concerto che il celeberrimo divo ha tenuto la
        scorsa settimana alla Scala. Ho quindi scritto cio’ che pensavo del concerto, ma, non sono proprio riuscito a decifrare cosa intendesse Donna Giulia che in risposta scrisse “Signori,
        avrei voluto pregarvi di attendere il post relativo al concerto etc etc etc”. L’ho capito quando, un paio di giorni dopo e’ apparsa quella che era la vera recensione.
        2° . Da qualche tempo, secondo me da troppo tempo, leggo e sento commenti sul tipo di pubblico che frequenta il Teatro d’Opera, commenti e scritti che, a volte, ed esplicitamente, fanno riferimento a presunte o meno che siano, scelte politiche ed orientamenti sessuali dei cosidetti melomani,
        e la cosa devo dirlo, mi infastidisce tanto, ma proprio tanto. Mi spiego : Ho sempre frequentato chi s’interessa di teatro e di canto, ovviamente perche’ costoro coltivano i miei stessi interessi, chiaro? Bene.
        Caro Billy, e’ proprio per questo che, travisando(non ho proprio nessun problema ad ammetterlo) la tua frase sulle “checchine isteriche”, e dopo aver a mala pena sopportato troppo a lungo ironici, inopportuni, stupidi e fetentissimi riferimenti alla sessualita’ altrui, ho deciso di rispondere.
        Sei capitato tu, poteva ed in verita’ doveva essere qualchedunaltro. Ti chiedo scusa.
        Il senso di cio’ che ti ho scritto, credimi, era :
        “Le checchine e le checcone, i giovani e gli attempati, le canute vecchine e le canottiere muscolate, gli alto borghesi che a trent’anni non hanno ancora imparato a farsi un uovo e i poveracci che a dodici gia’ lavorano in nero, i nervosi ed i pacati, coloro che san solo parlare di regia e gli altri che vanno all’Opera solo per le scene ed i costumi, ed ancora quei matti fuori dal tempo che parlano innanzitutto di canto come me, esattamente come gli eruditi conoscitori di spartiti, o le persone che subordinano tutto alla direzione orchestrale , FORMANO BUONA PARTE DEL PUBBLICO CHE FREQUENTA IL TEATRO. Ciascheduno frequenta ed ama il teatro d’Opera, ed a suo modo. Chiaro o no?
        Quindi per favore, che si smetta di far riferimento all’orientamento sessuale in senso dispregiativo di questo o quella. Si pensi alla sessualita’ propria e non a quella degli altri, sia che la propria ancora esista o che appartenga ai ricordi ed al passato. “A tutelar l’antica arte del canto” . Punto.
        Ho sentito e visto ultimamente piu’ persone che frequentano il Corriere, che spesso intervengono, che apportano le loro opinioni musicali, persone per bene,… anche loro come me, mal sopportano tali riferimenti.
        Il tuo intento Billy, son sicuro non era quello di fare discriminazioni, ti richiedo scusa, ti dedico una bellissima canzone di De Falla, ovviamente accompagnata dalla mia, fantasiosa, personale traduzione, e ti perdono persino il fatto che non ti piaccia il grande Thill, ahahahahahahaha.
        Con affetto. Miguel.

        http://www.youtube.com/watch?v=EM-vgORjEoo

        Dicono che non andiamo d’accordo
        perche’ non ci vedon parlare insieme….
        Poveretti!
        L’han mai domandato ai nostri cuori?

  18. Il livello di preparazione musicale medio tra i cantanti professionisti è sensibilmente più basso rispetto a quello degli strumentisti. E’ così da molto. Al punto che se incontriamo un cantane con le carte tecnicamente in regola ci sembra di aver trovato il Sacro Graal. Il mondo è pieno, per fare un esempio, di pianisti dotati di tecnica eccellente ma totalmente privi di creatività interpretativa: dunque fanno altro, non i conerti. Bastasse la tecnica istruiremmo un computer e la questione sarebbe risolta. Dunque quello che è la norma altrove ( suonare con appropriata tecnica ) e talmente raro nel canto da ingenerare un equivoco: che basti la buona tecnica a fare un buon cantante. Non è così. Si aggiunga poi che ha ragione Veriano quando dice che il canto è una forma d’arte molto particolare: per cui non è nemmeno vero il contrario. Nel canto ( ma forse in tutto l’ambito artistico ) 2 + 2 raramente fa 4. E dunque può capitare che cantanti meno ferrati tecnicamente possano dare emozioni più profonde di altri che lo siano di più. Personalmente, pur rendendomi conto delle sue singolarità e/o lacune tecniche, trovo Di Stefano uno dei tenori più emozionanti mai comparsi sulle scene liriche. Talvolta lo preferisco a tenori che svolgono il compitino più diligentemente ma che alla fine riescono a centrare il personaggio con minore efficacia. Non esiste un legge matematica che può contestarmi questa preferenza e sarebbe da evitare la solita scorciatoia: ti piace perché non te ne intendi. Non credo si tratti di questo. Certo l’ammettere un’ortodossia ( un cantante è grande quando canta solo in quel determinato modo ) garantisce status ai suoi cultori, anche in piccoli orticelli o blog. Ma, per fortuna, la realtà è più ricca e varia. Bene dunque la critica, che spesso è anche sacrosanta Kulturkritik, al fenomeno Kaufmann e simili. Ma pensare che lo stuolo dei suoi estimatori sia composti esclusivamente da imbecilli è davvero fuorviante. Oltreché completamente falso.

    • nessuno ha detto questo con cui concludi il tuo post. Sull’incipit hai ragionissima. Io però ti chiedo a quale musicalità ti riferisci quando unp ti canta loschimann cui accenna fleta snaturnado il testo e il branp musicale. Quel finale abbaiato dell’ingemisco, contrario al clima e al senso del passo, è la prova che lui non sceglie per personità o altro ma fa, come tanti come lui, ciò che può. Lui fa ciò che può coi mezzi che ha. Interpretativamente è criticabile spessissimo, ti potrei postare mille passi del tubo. È urla o sbadiglia, la tosca ha dimostrato che non può cantare legato al centro, le arie erano orrende. Detto ciò , e potremmo articolare il discorso ulteriormente, non vedo la personalità artistica perchè i limiti sono soverchianti. Io parlerei di una estetica dell’urlo che ha radici anteriori a ll’arrivo di k che è iniziata a circolare tempo fa e che sa di delmonachismo deteriore, di canto stentoreo e retorico da arenem passando per vere aspirazioni estetiche di tenori come alagna, che hannoa gito sulla voce per trasformarsi in senso machista e stentoreo. E di tecniche finalizzate ad avere la voce grossa scapito della duttità. K non è qui per caso, incarna un processo di dterioramento del gusto e delle conoscenze tecniche. Per far carriera ha trasformato la sua voce in una caricatura.

    • Condivido, ma poi fai un esempio strano quando citi Di Stefano ed è un esempio che a mio modo di vedere smentisce il tuo ragionamento. Non mi sembra che Di Stefano non padroneggiasse il suo mezzo, semmai è vero che negli anni le scelte di repertorio e la sua “incuria” lo hanno rovinato. Un pianoforte va curato, manutenuto, accordato e tenuto in un ambiente protetto; lo stesso vale per la voce. Il buttarsi poi su repertori fuori luogo per una voce dotata di proiezione e volume notevole, ma dall’indubbio accento lirico, ha disintegrato quanto di buono Di Stefano sapeva fare con il suo strumento. Non riesco a definire lacunoso tecnicamente un cantante che riusciva a fraseggiare come lui, a filare anche note acutissime, a comporre mezze voci su ogni tessitura. Il problema è che è durato… fino al ’52, sì e no… Poi addio, con qualche notevole eccezione. Non scordiamoci che il repertorio e la tecnica sono due ambiti distinguibili ma non totalmente a sé stanti: crescono insieme e vanno entrambi gestiti con oculatezza. Una volta le grandi voci cantavano un po’ tutto, ma saggiamente sapevano da cosa partire, con cosa farsi le ossa e quindi come affrontare anche repertori meno consoni alle proprie doti naturali. Di Stefano non è certo stato un buon esempio in questo senso…

  19. Posso dire poco perché non ho sentito Kaufmann nel concerto alla Scala e mai dal vivo, solamente su youtube e nei sui patinati CD.

    Ritengo che abbia avuto inizi molto interessanti, con respirazione da migliorare e qualche problema in acuto ma con lo studio si sarebbe potuto risolvere facilmente (vedere il “Così fan tutte” del 1998 che a me sembra una prova decorosa http://www.youtube.com/watch?v=QXEjZqYhgQQ ).
    Sempre in questa prima fase, la presenza scenica era data dal suo “volume nello spazio” e non di certo dalla sua mimica che era comunque parca e moderata.
    Poi come dice nonna Giulia, complice la frequentazione dei giri giusti in Tedeschia, complice l’amicizia con la Netrebko, Hvorostovsky, Villazon, Schrott (e di parallelo, il solito prezzemolo Domingo) e la montatura mediatica della figura del DIVO insieme a quegli altri 4 pescivendoli, con giri di concerti microfonati, ricerca di pathos nella recitazione che è diventata vocalmente l’uso dell’urlo e scenicamente un semplice dimenarsi o muoversi a pendolo sulle gambe.
    Non ho niente contro Kaufmann personalmente, che penso sia un “ragazzone” di provincia, cresciuto bene e anche simpatico, ma non posso di certo tacere il raccapriccio e la schifiltudine (non so se esiste il termine, in ogni caso “il fatto che mi faccia schifo”) verso la sua figura mediatica finta e costruita, ennesimo cattivo esempio di come uno possa fare carriera senza nessuna dote tecnica e sopratutto senza essere esempio di canta corretto e di scuola, ennesimo esempio per il futuro alla Di Stefano che rovinerà tante voci.
    Rispondendo a Corena sul piacere o meno, a me piacciono tanto cantanti come la Obratzova e Wixell ma sono pienamente cosciente del fatto che tecnicamente siano non corretti e non mi sognerei mai di difendere questi spacciando la loro tecnica eterodossa come una via da seguire perché emozionante (a me possono emozionare, a te no).
    Una cosa che mai capirò è come la storia del canto e della vocalità, sopratutto per la voce di tenore, sia stata così lineare e rispettosa della tradizione fino a Rossini con esiti straordinari e culminanti, per poi prendere le vie della cattiva prassi e delle singolarità introdotte da persone come Duprez, Boucardé, Caruso, Schiavazzi, Di Stefano, Domingo e ora Kaufmann, pur rimanendo la vecchia guardia di voci tecnicamente solidissime e di espressione esemplare (per i tenori, Schipa, Lauri Volpi, Kraus, Blake, e Kunde se si vuole e nel giusto repertorio). Aspettiamo che questa retroguardia si faccia nutrita!

  20. Comunque su una nota rivista c’è Mattioli che ha detto che Kaufmann è “un genio” e Giudici che ci ricorda che è il miglior tenore che ci sia in giro. Non possiamo che esalare un solenne MEA CULPA, anzi rispolverare l’atto di contrizione di “Un pesce di nome Wanda”, a fronte di ipse dixit tanto rimarchevoli.

  21. Caro Lontanodalmondo, avevo capito perfettamente il tipo di discorso che intendevi fare chiamando in causa Gould, e proprio in quel senso mi sembrava imprudente citare la sua “indiscutibile padronanza dello strumento” che è stata in realtà alquanto discussa. È indiscutibile se la si intende come mera perfezione e precisione digitale, nel qual caso si potrebbero però ricordare pianisti altrettanto storici ma non altrettanto impeccabili come ad esempio Cortot e Schnabel. Le cose cambiano se si considerano come parte essenziale della padronanza tecnica la cantabilità e il legato, ambito nel quale anche in tempi recenti gli sono state mosse autorevoli contestazioni. Il discorso è un OT nel quale non volevo entrare e che ora non desidero approfondire, anche perché non lo faccio in alcun modo mio. Ricordo solo che anni fa uno dei più grandi successori di Gould nel repertorio bachiano, Andràs Schiff, ha dichiarato testualmente che suonando Bach Gould cantava (cioè canticchiava con la voce) ma il suo pianoforte no. La (presunta) deficienza è stata da alcuni ricollegata alla postura di Gould, bassissima rispetto allo strumento, la quale in effetti è sempre stata ed è tuttora ritenuta un modello da non imitare.

    (Parlando di pianisti, un piccolo appunto a Carmencita: considero Deutsch un grandissimo accompagnatore, io non c’ero l’altra sera ma spero che tu non giudichi la sua prestazione in base a un singolo eventuale pasticcio).

    Preciso inoltre di non aver mai detto che Kaufmann non ha la padronanza del suo strumento: anzi secondo me la sua maggior qualità è proprio quella di conoscere e di padroneggiare molto bene uno strumento, il suo, così particolare, artificioso e apparentemente ingestibile. I risultati potranno non piacere, ma secondo me lui cerca e ottiene esattamente i colori che vuole da quella strana voce che si è costruito (all’opposto di un Villazòn che va allegramente allo sbaraglio). Poi per quanto sarà in grado di andare avanti cantando così, non so dire: per me è già miracoloso che abbia retto finora, e dunque potrebbe anche riuscire a continuare a lungo senza sostanziali cedimenti.

    Non so bene cosa rispondere a Donzelli, che mi ricorda quali sono i fondamenti del canto nonché i principi del pensiero grisino. Credevo di averli già capiti da solo, comunque grazie del ripasso… Non vorrei entrare in un discorso sui massimi sistemi, quindi dico solo che i fondamenti del canto all’italiana sono ovviamente condivisi da tutti, il punto è che altrove sono affiancati e dunque contemperati da altri principi che per la tradizione italiana non sono così importanti. Un piccolo aneddoto: alcuni allievi di Bergonzi avevano imparato dal Maestro a esercitare l’attacco “morbido”con un lieve portamento ascendente. Trasferitisi a Vienna si sentirono gentilmente rimproverare dagli insegnanti: “Grazie, ma io ti ho chiesto di attaccare su una nota, non su due o tre…” Dunque le differenze di scuola potranno essere considerate illegittime, ma di fatto esistono, come ben sa qualsiasi cantante o studente di canto che sia stato all’estero.

    Riguardo poi alla “nuova tradizione tedesca del secondo dopoguerra” (rispetto alla quale, preciso, Kaufmann è eterogeneo non meno che verso la tradizione italiana) è da un po’ che avrei in mente di scrivere un commento un po’ articolato al vecchio articolo della Pasta su Lotte Lehmann liederista, ma non ho mai trovato il tempo. Prima o poi lo farò, è una promessa, anzi una minaccia… :)

      • Diciamo che nell’articolo si ironizza sullo studente coreano che apprezza Kaufmann ossia apprezza un modo di cantare non conforme alle regole, giuste, della tradizione.
        Eppure attenzione a denigrare questi ragazzi perchè, come dicevo, ormai sono sempre più spesso i coreani a distinguersi in concorsi ed audizioni e sempre più spesso vengono loro affidati ruoli, soprattutto verdiani, nelle produzioni “di provincia” che sono poi quelle che una volta formavano le ossa ai cantanti. La realtà è che della “antica arte del canto” oggi se ne fregano tutti alla grande, a partire dai maestri di canto che l’unica antica arte che perseguono è quella di far soldi in maniera fraudolenta. E’ molto più comodo oggi “insegnare” ad un ragazzo coreano che ad un italiano. Il primo arriva già imparato (e sovente pure piuttosto bene!) mentre il secondo andrebbe fatto crescere da zero. Troppo difficile. Soprattutto considerando che una buonissima percentuale di maestri è composta da veri e propri falliti. Oggi d’altronde si apprezza nella voce una cosa sopra tutte: la grandezza. Se una voce è grande va bene se no “arrivederci, si dedichi alla musica vocale da camera”. Che poi la voce grande sia più o meno supportata dalla tecnica questo è un dettaglio…nella peggiore delle ipotesi morto un papa se ne fa un altro.
        Se la situazione nei “vivai” è questa non sorprende che all’apice del carrozzone operistico ci stia Kaufmann e con lui un sacco di altra gente (a mio parere ben più indegna).

        • il riferimento agli studenti orientali è veritiera, ci sono spesso studenti di canto in loggione, moltissimi orientali. Ed è certo che le star diventino poi dei modelli, perchè la didattica del canto passa da sempre per l’ascolto di altre voci dal vivo. E li senti anche dopo, copiare vistosamente qualcuno. Kaufmann è certo modello, la critica te lo indica come tenore grandioso e credo che imitarlo portia percorrere vie paurose per chi vuole iniziare. Ciò detto, tutto ciò che tu ha scritto è condivisibile al %ento per cento. Verità provata.solo mantenedo viva un cultura di questa arte si può pensare di sopravvivere. Noi mettiamo in gioco quello che abbiamo.

          • Si, preciso solamente che non volevo contestare la veridicità della presenza di studenti coreani in sala.

          • Era chiaro, nessun fraintendimento. ci tenevo solo che tu specificassi che intendevi sugli allievi a teatro..mi pare una questione rilevante

  22. Er Gratta dice che su una rivista….(ce n’è una sola) un certo Mattioli…dice.che …… e che: Elvio Giudici sostiene.che ….. Embeh??? chi sono costoro? Sono il vangelo? No sono solo due opinionisti, come anche Stinchelli, Suozzo e la Carla Moreni..Una compagnia girovaga di opinioni tutte incentrate allo” yes men”
    Riporto un breve commento su Mirella Freni interprete della Figlia del Reggimento (pag 211 della prima edizione dell’opera in cd e video di E.Giudici anno 1995)…Con Maria, la Freni trovava un altro dei suoi personaggi più riusciti: un miracolo di freschezza e di spigliata estroversione (indimenticabile il suo correre sui cannoni, al prim’atto)…..che dire: questo è amore non cronaca. Quindi caro Er Gratta se devo leggere lettere d’amore mi leggo Liala……ma per favore!

  23. ho appena letto una recensione di Pietro Bagnoli sulla recita di Kaufmann alla Scala,a parte il suo sguardo nei posti in alto, alla ricerca della gente abituata a sputare controcorrente,ma il sudetto ha visto nel tenore la “LUCE ” pazzesco, cosa vede in un ventriloquo ??

Lascia un commento