Fratello streaming: Sonnambula al Petruzzelli

195841241-8a3ee27f-9b47-421a-a788-a6a27f449be0Il teatro Petruzzelli ha mandato in onda via streaming la produzione attualmente in corso di Sonnambula, protagonisti Jessica Pratt, John Osborn, Paolo Pecchioli, diretti da Daniele Callegari.

Edizione al di sopra della media oggi corrente, che perciò possiamo dire felice e ben riuscita, con buon successo di pubblico. La nostra opinione? In sintesi, direi che si tratta di una serata positiva a cui però è mancata palesemente ( e non so nemmeno dove la si possa sentire al giorno d’oggi) l’elegia di Bellini che caratterizza ed anima il clima bucolico di questo capolavoro assoluto dell’opera di mezzo carattere. Bellini senza la sua nenia, quella malinconia tutta mediterranea che è forse il tratto più importante di questo compositore, perde la propria magia e non riesce a toccare il cuore, a commuovere. I dettagli.

Archiviamo subito l’allestimento di Barberio Corsetti, che non si abbassa in questa produzione, nata altrove, alle nefandezze del Macbeth scaligero ma che non convince affatto. Il primo a non centrare il clima bucolico e le atmosfere belliniane è proprio il regista, con il solito trovarobato di idee altrui già sperimentate, ( a cominciare dalla Sonnambula fiorentina di Vick) con la grande poltrona, il lettone; le pigotte con cui costringe stupidamente Amina a giocare nel finale ( la donna che sta per sbocciare abbandonando l’età del gioco!! ); le architetture liofilizzate; le proiezioni dei fondali troppo uguali alla sigla della “Fandango produzioni”; il gesticolare da avanspettacolo del coro ( straordinaria come tasso di ridicolo la scena iniziale ); l’abbigliamento inadeguato della Pratt, con tanto di orribile parruccona nera che indurisce il viso di una ragazza bionda, dall’espressione dolce e quindi già di suo adeguata al personaggio ( anche le commesse della Upim sanno che il bianco ingrossa, e siccome la sposa di inizio ottocento di modesti natali non vestiva il bianco ci si domanda la ragione di siffatto abbigliamento..).  Non c’è nessuna psicologia da scoprire, nessun Freud è in gioco nel libretto di Romani, soltanto il tema del sonnambulismo che dalla fine del settecento trova attenzione nella scienza medica. Le letture da psicologi dilettanti, calate su soggetti del tutto estranei a queste tematiche, è ora di cestinarle, in modo da risparmiare al pubblico ridicolaggini viste e straviste. Se non si hanno idee o non si conosce l’opera lirica, ci si dedichi ad altri generi espressivi, quali quelli in origine ben praticati da signor Barberio Corsetti.

Detto questo, uno spettacolo abbastanza godibile nonostante certe ingenuità e dal basso tasso di disturbo visivo, ma poco coinvolgente ed altrettanto poco convincente.

Il maestro Callegari ha diretto senza infamia e senza lode, o meglio, ha lasciato cantare il palcoscenico, astenendosi da stacchi di tempi assurdi o da clangori eccessivi, consentendo al palco di esprimere le proprie possibilità, fatto che, a mio avviso, è un gran merito di questi tempi. Gli è mancato forse il pathos in certi momenti, dirigendo in modo meccanico ( il finale primo in particolare, o certi passi del coro, la prima scena in particolare ). L’audio streaming non ci ha consegnato un‘orchestra di speciale qualità sonora, ma non si sono udite nemmeno imprecisioni e scollamenti tra coro, buca e solisti. Una direzione sicura ma non certo brillante o specialmente affascinante, di atmosfera poco e nulla. E forse qualcosa in più avrebbe potuto fare per tratteggiare il clima agreste e per conferire un tratto maggiormente poetico ai momenti corali che in quest’opera sono tanto importanti.

Protagonista era Jessica Pratt, che ha saputo buttarsi alle spalle la recente brutta prova in Giovanna d’arco. La voce è suonata nitida, cristallina, mai forzata e sempre liberissima, cantando con una grande ricchezza di sfumature, piani e pianissimi sempre ben emessi e mai falsettati. Del suo registro acuto non c’è nulla da dire. Peccato veniale forse la non cadenza in chiusa al “Come per me sereno” e l’”Ah non giunge”finale non ancora fluido come sarebbe nelle possibilità vocali della Pratt, complice il tempo lento ed un ossequio al tradizionale inserimento di picchettati in seconda strofa, che potrebbero benissimo essere cassati a favore di altre figure ornamentali più in stile con Bellini ed a lei più consone. Detto questo, il soprano australiano trovo canti benissimo, con un suond ed una facilità di emissione ( fiato ) che oggi non trova eguali in nessuna cantante in attività, ed, anzi, mi è sembrata migliorata rispetto alla prova veneziana, dove si sentivano certe durezze o asperità, nella cavatina di ingresso in particolare. Resta invece una carenza di pathos, di patetismo nell’espressione, quasi che la sua più pura corda comunicativa sia quella dello slancio ( ed in questo l’Elvira di Puritani le si attaglia perfettamente ) e del mordente. Mi domando quanto tempo ancora dovremo attendere per sentire questa cantante, dai tratti così fortemente strumentali in questa sua fase vocale, alle prese con il grande Mozart da camera o certo canto barocco, oggi abbandonato tra gli artigli delle vociacce baroccare più sgangherate.

 

John Osborn è stato un Elvino al di sopra delle mie aspettative, attese alcune prove poco felici degli ultimi tempi per via dell’abitudine a cimentarsi in ruoli fuori dalla sua naturale portata di contraltino. Veniva da varie recite di Pollione e dalla “follia estiva” dell’Arrigo dei Vespri Siciliani, ma ha dimostrato a noi, oltre che a se stesso, che può ancora ritornare a praticare i suoi terreni d’elezione e recuperare il filo perduto di una carriera che non è sbocciata come avrebbe dovuto a causa di ritmi di lavoro troppo alti e scelte assurde di repertorio. A parte il riacconcio piuttosto casereccio ed anche un po’ ingenuo della sua grande scena, è riuscito a reggere la tessitura tremenda ( ed è già un grande risultato ), riuscendo a tratti ad essere anche elegante. Impegnato a domare la parte che lo ha costretto a qualche falsetto e soprattutto a tante, troppe, prese di fiato abusive, ha fraseggiato a momenti alterni. Forse nel duetto con Amina sarebbe stato più saggio ricorrere alla vecchia e tradizionale inversione di linea, al fine di gridare un po’ meno, ma il buon Osborn, mi sembra di capire, ama non farsi  sconti e tuffarsi a viso aperto nelle difficoltà, anche a costo di mostrare apertamente la corda. Certo, rispetto alle prime Sonnambule ( penso a quella con la Dessay di una decina d’anni fa ) ha perduto un po’ di smalto nella voce ed appare un po’ provato da questa sua eccessiva versatilità, meno sicuro e baldanzoso. Anche lui, complice la dizione, è parso carente in fatto di malinconia e pathos bellini ani. E’ comunque uscito da questo ruolo molto meglio da come è uscito dal Pollione o dal Rodrigo di Donna, e questo dovrebbe fare seriamente meditare lui ed i suoi managers. Una riconversione verso i ruoli naturalmente congeniali appare necessaria e soprattutto possibile per ritornare ai livelli originari.  Paolo Pecchioli esibisce di forbito solo l’eloquio nel corso dell’intervista fra il primo ed il secondo atto, ma quel canto rotondo, magniloquente ed al tempo stesso delle “ricordanze” che sono la sigla del conte Rodolfo e che un Pol Plancon ha esemplificato più di ogni altro sono a lui come a tutti i bassi oggi in carriera estranei. Poi è inutile filosofeggiare di Belcanto, di canto di stile quando difetta il fondamento.

Alla fine, una buona serata, con momenti anche di grande canto ma senza quella malinconia e quella nostalgia con cui Bellini ti tocca il cuore. Di questi tempi l’emozione pare vietata.

20 pensieri su “Fratello streaming: Sonnambula al Petruzzelli

  1. Concordo in pieno per quanto riguarda la regia e la direzione… La Pratt è migliorata molto nelle tessiture centrali (salvo qualche occasionale perdita di volume come al finale “del mio diletto” prima della cabaletta), qualche nota accusa ancora lievi asperità ma nel complesso è stata davvero molto brava, più espressiva anche se perfettibile. Ho trovato Osborn un po’ ingolato e dall’intonazione periclitante, anche se non è stato disastroso… Pecchioli ha voce importante ma rozzo. Complessivamente spettacolo apprezzabile, specie rispetto agli standard moderni

  2. d’accordo sull’articolo,anche in chat più o meno la stessa impressione,un po più indulgente sulla scenografia,insomma non è stata cosi malvagia,la Pratt deve rimanere nel suo repertorio,non si lasci convicere a cantare roba non adatta,oltre a fare brutte figure,mette a rischio la sua preparazione tecnica.
    La Pratt,e l’Agresta sono i due soprani più preparati e migliori del momento,hanno dalla loro parte l’età relativamente giovane.

  3. Ho assistito alla recita domenicale e confermo quanto scritto in recensione e nei commenti. La Pratt su tutti e anche su se stessa della prova veneziana. Vero che il suo personaggio pecca di un pathos travolgente, perché la sua Amina è più che altro una ragazzina fresca, ingenua e vezzosa, e poi delusa e disorientata. Anch’io preferisco un’interpretazione più malinconica e patica, ma devo dire che comunque il personaggio ne esce benissimo, ovvero sviluppato in maniera convincente e coerente e soprattutto delineato a tutto tondo, e non è poco. Lontana anni luce da una Heidi pienotta e puerile, rimane comunque sempre vicina a una visione più idealistica di Amina lontana da ogni verismo, che in Bellini a me piace sempre e comunque. Poi, quando la voce sale è uno spettacolo, saldissima e pienamente sfogata. Anche il registro centrale è andato meglio e, pur rimanendo assolutamente meno pregevole di quello acuto, è diminuita la disomogeneità, che in ogni caso quando c’è non è mai disomogeneità di tecnica, ma di bellezza. Nel senso che nella zona acuta la voce è strepitosa, in quella centrale-grave più anonima, ma mai messa male!
    Per il resto, peccato per il sublime concertato della fine del I atto che è stato meno bello che nello streaming, soprattutto per Osborn che ha accentuato accenti veristi, secondo me, fuori luogo. Lui non è stato niente di che, al contrario dello streaming è andato meglio nel secondo atto che nel primo. Si impegna e il timbro è anche giusto per Elvino, però, non rimane molto, per non dire che non rimane proprio niente della sua prova (in ogni caso i problemi di intonazione, seppur presenti, sono stati inferiori rispetto allo streaming, e molto spesso la voce veniva surclassata da soprano e coro).
    Per l’allestimento avete detto tutto voi: il look da Morticia Addams della Pratt era per fortuna dal vivo più temperato, ma assolutamente inopportuno come il vestito da megaconfetto che non le donava; fa sempre piacere non assistere a schifezze registiche, però anche in questo caso niente di che nella sua alternanza tra banale e copiato. Gli pseudo pupi siciliani non si potevano guardare per la loro insignificanza, anzi, servivano solo a distrarre nei momenti più belli… per non parlare dei balletti imbarazzanti del coro… che se non sbaglio abbondavano anche nello streaming del Rigoletto, che però presentava regia e scene secondo me infinitamente peggio.

  4. insomma fra la amina astratta di Joan Sutherland e quella di Rosina Storchio preferisci quella della Storchio. Confesso che più passa il tempo più penso che i frammenti della Storchio e di Claudia Muzio abbiano fatto centro. Poi a parte, confesso Amelita Galli Curci
    grazie per il tuo intervento e approfitto per aggiungere che sono contento di leggerTi
    dd

    • Caro Donzelli, è sempre un piacere! Le Amine che citi sono tutte un incanto, ma in realtà sono molto banale e alla fin fine la mia preferita è quella della Callas… che infatti è un meraviglioso mix di “idealismo” e “verismo”, mix che è una delle ragioni del suo epocale magnetismo… Un caro saluto e a presto, S.

      • credo che lo sappiano in molti perchè lo ripeto (demenza senile) da anni. La Callas in Lucia e Sonnambula bamboleggia anzi totidalmonteggia ( forse dehidalgheggia, più semplicemente). Poi posso dire che ah non credea è bellissimo anche se canta “patria novel vigaore”.
        Adesso i callassiani mi mangiano. Lauto banchetto!!!!

        • In passato abbiamo già polemizzato su questo argomento. Trovo bellissimo anche Come per me sereno, con tutto il recitativo che lo precede. I recitativi, fondamentali nei ruoli Pasta, sono ciò che rendono la versione della Sutherland incompleta. Mi piace solo nei passi d’agilità delle cabalette, un po’ poco per considerarla una interprete esauriente in tutto il potenziale della parte.

        • E Lucia con Amina non c’entra granché, a parte il fatto che per tradizione entrambi i ruoli furono appannaggio di soprani leggeri. Ma in Lucia, sì, trovo attendibilissima la Sutherland. Non in Sonnambula.

        • Sono d’accordo con Mancini (come già all’epoca dell’affaire Sutherland). Al contrario trovo per nulla “bamboleggiante” la Callas…tutt’altro. Invece la Sutherland è largamente insufficiente come Amina, soprattutto nei recitativi: importantissimi in Sonnambula come in Norma, e resi dalla Joan come una poltiglia incomprensibile.

  5. …costretto a qualche falsetto…
    Ehmm….non per criticare….ma é cosi grave? Non mi sembra…si ricorreva cosi spesso l falsetto in passato, ed in certi momenti può essere anche molto toccante, nonché piú adatto, preferisco di gran lunga una nota in flaetto che gridata.

    Armida

      • Forse non ho spiegato bene: intendevo dire che il falsetto puó benissimo essere una forma interpretativa valida come lo puó essere un qualsiasi abbellimento. Per esempio il finale dell’aria della rosa della Carmen, a volte viene eseguita in falsetto o misto falsetto e lo trovo molto azzeccato. Se poi erano specificamente i falsetti di Osborn ad essere brutti é un altra cosa. Facevo piú un discorso generale.
        Grazie
        A.

Lascia un commento