Franco Lo Giudice (1893-1990).Un altro cantante che fece una grande carriera senza essere uno dei più grandi, anche lui proposto in una pagina di indiscusso richiamo e confronto del repertorio verista. Di quelle che oggi vengono cantante con suoni artificialmente gonfiati, per simulare erotismo e passione tanto che, poi, arrivati agli acuti si sentono suoni mal fermi e spinti di incerta intonazione nel triste mare di un fraseggio stentoreo, piatto e monotono. Allora Lo Giudice non ha il geniale fraseggio di Pertile, il timbro aureo ed unico di Gigli o lo slancio eroico di Lauri Volpi, ovvero non è un fuori classe. La carriera fu una cospicua carriera basti pensare che cantò in tutti maggiori teatri italiani, titoli onerosissimi del Verismo (Fanciulla, Cena delle beffe ed anche Giuseppe Hagenbach di Wally, che se proprio Verismo non è, comunque, parte di grande difficoltà come quella del protagonista del Nerone di Boito ) alternandoli a Lucia o Gioconda. Fu con Fleta il primo Calaf nelle rappresentazioni di Turandot alla Scala nel 1926, atteso che l’anno precedente era piaciuto moltissimo nella prima dei cavalieri di Ekebù sotto la guida di Toscanini. Per altro il ruolo del principe Ignoto fu sino al 1934 una sorta di monopolio nei teatri italiani di Lo Giudice, prima che lo diventasse di Francesco Merli. Come tutti i tenori di forza o drammatici del proprio tempo cantò il ruolo di Pollione della Norma. Devono essere segnalate due “eccezioni” nel repertorio di Lo Giudice ossia l’esecuzione del Tebaldo di Capuleti e Montecchi a Genova nel 1935 e di Arrigo dei Vespri Siciliani nel 1937 a Palermo ( che fu anche l’addio alle scene di Giannina Arangi Lombardi). Nel repertorio figuravano anche Andrea Chenier, Iris, Tosca. Rarissimo, invece, l’approdo al repertorio verdiano. Repertorio verdiano che richiedeva per soddisfare le esigenze del tempo il pubblico del tempo un legato ben maggiore di quello che nel verismo sfoggiava Lo Giudice. Questo non significa che ci si trovi dinnanzi ad un declamatore piatto perché nell’Improvviso dello Chenier il suono è sempre soffice e morbido grazie ad un’emissione corretta e facile, quand’anche gli acuti estremi suonino un poco tremuli e non saldissimi. Ritengo anche doveroso precisare che ho il fondato motivo di ritenere che sia un difetto della registrazione perché nella coeva esecuzione dell’arioso di Canio “no Pagliaccio non sono” gli acuti previsti e di tradizione sono squillanti e penetranti sino al si nat.
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Interessante ascolto. Esistono altre incisioni sue disponibili in rete? Grazie