Un lungo, estenuante pomeriggio ha fatto da sfondo alla diretta radiofonica dal Festival di Bayreuth del “Siegfried”, seconda giornata del Ring del bicentenario wagneriano; un pomeriggio di chat, qui nel Foyer della Grisi, ma anche di interessantissimi spunti dati soprattutto dalle reazioni dei nostri lettori, del pubblico in sala, dei social network, e degli stessi conduttori radio che hanno la possibilità di interagire con gli ascoltatori tramite sms.
Ebbene, mai una recita è stata accolta in maniera così unanime e compatta da ogni parte; mai una recita è riuscita a mettere tutti d’accordo come questa volta; mai una recita è riuscita a scatenare reazioni così ferme e decise, tanto da mettere in crisi ed in imbarazzo gli stessi speaker radiofonici, che hanno dovuto capitolare e convenire con il gusto del pubblico, lasciando perdere zucchero, miele, censure e diplomazie.
Al termine del terzo atto del “Siegfried”, dopo due atti coronati da applausi di circostanza e qualche contestazione, la calata del sipario è stata accolta da una valanga plebiscitaria di sonorissimi Buuuh, gli applausi, fiacchi, poco convinti e solo di cortesia, sono arrivati in un secondo momento; tale impressionante reazione non era destinata però alla sola regia di Castorf, cretina quanto si vuole con le sue avvilenti trovatine scopiazzate (Nothung trasformata in Kalashnikov, personaggi dediti all’alcool, Fafner anziano preso a mitragliate, l’uccellino dei boschi rappresentato come una fanciulla del carnevale di Rio e sbranato da due coccodrilli, Erda ovvia puttana che pratica una fellatio a Wotan, muri di Berlino e Kebab) e caduta in disgrazia anche presso coloro che tentavano invano di difenderla dando la colpa al pubblico retrogrado e ignorante; perché la regia di Castorf è solo un capro espiatorio su cui riversare facili anatemi, onde mascherare quanto più possibile l’abisso di disgusto, vergogna e mancanza di rispetto raggiunto musicalmente e vocalmente da questo Ring e dal Festival da parte della critica ufficiale, pseudointellettuale e patinata.
Non è colpa di Castorf o delle scenografie se la lettura del direttore d’orchestra Kirill Petrenko ha optato per tempi tendenzialmente morti o superficiali, per colori grigiastri, per il caos strumentale e la spersonalizzazione interpretativa che ha relegato l’orchestra in secondo o terzo piano quasi come se fosse una sciatta colonna sonora, con ottoni lasciati a calare il suono e nessuna cura per la tinta o l’atmosfera generale in luogo di un gesto pesante e svogliato: richiami a Karajan, Boulez, Mussorgsky? Nel solo “Rheingold”, forse, dopo solo bassa routine; non è colpa del regista (o del caldo, come comicamente abbiamo letto) se il Siegfried di Lance Ryan, contestato dal pubblico, emette suoni sbiancati, aperti, stimbrati, falsettanti, fissi, parlanti e privi di intonazione con una voce timbricamente anziana e oscillante; non è colpa di Castorf se la Brunnhilde di Catherine Foster, contestata a sua volta dal pubblico, si esprime con una voce da soubrette in pensione, piccola, quasi inudibile, flebile, stonata e falsettante; oppure se il Fafner di Sorin Coliban balbetta e bofonchia poggiando una voce schiacciata sullo stomaco, o se il Mime di Burckhard Ulrich è solo una anemica macchietta gorgogliante, o se Wolfgang Koch di Wotan non ha nemmeno la lancia o la benda, figuriamoci la voce, tutto urlato e ringhiato com’è e idem per l’osceno Alberich di Martin Winkler, o se la Erda di Nadine Weissmann ha la voce smembrata, o se l’uccellino di Mirella Hagen sarebbe più appropriato per cantare sigle dei cartoni animati.
La colpa è del direttore d’orchestra, che ha dimenticato di essere un musicista al termine del primo atto di “Walkure” e non ha protestato i pessimi cantanti, cercando di rispettare e far rispettare Wagner; la colpa è delle sorelline che hanno scambiato il Festival per un parco-giochi di egocentrismo, scandalo da rivista balneare squallida impresa di demolizioni operistica; la colpa è dei “cantanti” scelti che non sono cantanti e non sono nemmeno artisti.
Il pubblico, tutto, se n’è accorto e ovunque questo “Siegfried” è stato giustamente rifiutato con disgusto, imbarazzo, vergogna, squallore esattamente come meritava.
La “Götterdämmerung” ha avuto il medesimo massacrante trattamento da parte di Petrenko. Suoni larghi, agogica letargica, tempi incongrui tra velocità improvvise da marcette e lentezze micidiali, suoni roboanti e anonimi silenzi, nessun rispetto per delle semplici pause; mancati totalmente di personalità o di epica o di drammaticità o di un’idea, tutti i momenti fondamentali dell’opera; lasciata letteralmente a se stessa o nel caos l’orchestra, tanto che le varie sezioni sembravano spaesate nel rincorrersi, cosa che si ripercuoteva tragicamente sulla tenuta dell’intonazione di legni, archi, ottoni alla ricerca spasmodica di un suono accettabile, ma svuotato nel fraseggio.
Il direttore Kirill Petrenko ha dimostrato di essere semplicemente impreparato ad affrontare un cimento così importante come il Ring; di essere stato vittima, fin dalla prima giornata, dell’accanimento mediatico che lo ha voluto presentare come messia wagneriano; di essere inadatto ad imporsi sui cantanti o a portare avanti un’idea unitaria che potesse offrire una lettura quanto meno accostabile a quelle, ormai iconiche, di Sinopoli o Thielemann. Le idee di Petrenko assieme al direttore, sono semplicemente spariti al termine del I atto di “Die Walkure”: il resto si pone facilmente ai primi posti del peggio fatto udire da Bayreuth.
Cast come sopra, se non peggiore, incapace nella sua totalità, di appoggiare un suono o semplicemente di respirare, che ha visto latrare: un Hagen, Attila Jun, emettitore di rumori gastrici e impastati; un Gunther, Alejandro Marco-Buhrmester, impossibilitato a legare anche solo due note, perchè troppo impegnato a far ballare la voce; una Gutrune, Allison Oakes, sgradevole e incolore; una Waltraute, Claudia Mahnke, costretta a forzare l’emissione ballerina in ogni registro; tre Norne e Figlie del Reno stridenti e in lotta con l’intonazione sulle quali spicca per dignità solo Okka von Damerau.
Gli speaker radiofonici continuano comicamente a non brillare per preparazione o semplice acume, perchè: ritenere per la quarta volta consecutiva che il pubblico tedesco sia ignorante e non abituato al teatro di regia, non è solo da ingenui, ma è proprio malafede reiterata; perché, non riuscire a raccontare decentemente la trama del Ring, anche leggendo, dopo averla ripetuta per dieci anni, va oltre la perseveranza diabolica e la pazienza degli ascoltatori.
Il pubblico di Bayreuth, strano, instabile elemento, ha stavolta salutato il primo atto con applausi di circostanza misti a contestazioni; applausi cordiali il secondo atto; applausi facilmente superati da contestazioni sanguinarie il terzo, che hanno investito non solo Castorf, com’era prevedibile, ma anche e meritatamente Lance Ryan, Attila Jun ed in minima parte Petrenko fatto segno comunque di ovazioni, giacché il vero trionfatore della serata è stato il coro.
C’è un problema: la contestazione nei confronti dell’insalvabile Castorf (che ha reagito con gesti provocatori, aumentando giustamente la ferocia del pubblico) era ovvia, giustissima, ma telefonata già dalla nomina; eppure il pubblico, avrebbe dovuto con la medesima forza affossare lo straziante cast schierato, ben più meritorio del suo rifiuto, perchè il Festival di Bayreuth è ormai un provincialissimo crogiuolo in crisi di identità e di autentiche eccellenze o quanto meno di dignità, pudore e rispetto per il suo fondatore, affamata di capziosi scandali facili da dare in pasto ai melomani, o ai giornali, che poco dopo se ne dimenticheranno con altrettanto cinismo.
Intanto la musica ed il canto languono, i festeggiamenti si spengono mesti, dopo una sequela di tragiche occasioni mancate e delusioni cocenti, le sorti del Festival wagneriano si oscurano e perdono interesse tra mani colpevoli e indegne di chi ne vuole fare, riuscendoci, un monumento della propria egoistica incapacità.
Rassegna Stampa
http://www.nytimes.com/2013/08/02/arts/music/at-bayreuth-boos-and-dropped-jaws.html?pagewanted=all&_r=1&
Splendida recensione. I commentatori di RadioTre dovrebbero essere obbligati per punizione a recitarla in diretta tre volte al giorno per un mese! GRAZIE!!!
Grazie cara.
Bello l’articolo anche se ovviamente triste.
D’accordissimo su tutto.
E grazie anche per la Helene.
Complimenti vivissimi, articolo perfetto. Chissà che le contestazioni ai cantanti (non tutti quelli che se le sarebbero meritate, ma vabbé), oltre che alla regia, segnalino come, almeno fra i melomani, qualcosa stia cambiando e finalmente si stia ricominciando ad ascoltare con le proprie orecchie e non con quelle di certa critica. Sui giornali in effetti, sempre affamatissimi di scandali di qualsivoglia origine (specie in questo periodo dell’anno) temo non ci siano da nutrire soverchie speranze.
Mah… Sono molto scettica. Sono reduce da una conversazione sotto l’ombrellone con una vecchia signora borghese e chic che mi ha fatto l’apologia di Kau Kau e del teatro di regia. “Non me ne frega niente se Bergonzi canta bene, è superato, è vecchio. Io a quello che vedo ci devo credere, Cavaradossi deve essere bello, come Jonas.” Ha inoltre detto che in Italia la Scala è l’unico posto in cui ancora si vede qualcosa di decente, e che in ogni caso l’arrivo di Pereira sarà una benedizione, “perché viene da quella parte d’Europa dove sanno fare teatro”… Non vi dico il mio umore in questo momento…
Cara Pauline goditi la spaggia e non crucciarti così! evidentemente la mucillagine ha effetti psicotropi
Cara Pauline, l’unico argomento con damazze del genere è che ormai tutto questo è passato di moda e che anche l’Archinto e la Buitoni Borletti la pensano diversamente. Le avresti rovinato l’estate.
“Un pensiero m’affligge:
non so giocare a Brigge.”
(Il bellissimo Cecè. Dal Signor Bonaventura di Sergio Tofano)
caro franz la presa di coscienza del pubblico è uno dei desideri e dei nostri sogni speriamo
Va beh, dopo aver letto il commento di Pauline mi sa che devo ritirare quanto ho detto poc’anzi…come si dice dalle mie parti “fede e speransa, che aea carità ghe semo zà'”.
…il peggior crepuscolo del bicentenario…una schifezza per le orecchie e per gli occhi…Oramai Wagner viene interpretato come qualcosa da rinnovare perchè noioso per il pubblico medio-mediocre-ignorante-filoMet-divismo…ma che lo stupro peggiore sia avvenuto in casa è un trauma…non mi lamenterò più davanti ai prossimi topoloni del Lohengrin…
Esattamente. È uno spettacolo che per il mondo culturale tedesco rappresenta una sconfitta durissima.
Poi vorrei spezzare una lancia “in testa” a Lance Ryan…una voce che sarebbe potuta andar bene (studiando) per Donizetti…L’ho ascoltato nel Crepuscolo di Janowski in forma di concerto a Berlino…inascoltabile nel senso che era proprio inudibile vicino a Petra Lang e anche vicino a tutto il resto del cast. Ovviamente le uniche note udibili erano i rari acuti seppur sfibrati dall’artificioso ingrossamento del centrale ormai consuetudine dei tempi moderni.
Ciao Kirsten.
Dubito fortissimamente, anche studiando, ma studiando e poi ancora studiando, del Donizetti alla Ryan. Forse iperstudiando poteva, ma mai potra’, portare a casa una quasi sufficenza nel “Fernem Land”, ma solo a pensarlo nel “Tu che a Dio” o nel “Vivi tu” mi partono delle scosse sotto i premolari.
effettivamente 😛
…comunque era per dire che la sua voce è assolutamente inadeguata a Wagner…anche solo come strumento…anche perchè di studio non se ne vede nemmeno lontanamente l’ombra…
io l ho sentito in carmen alla scala diretta da Dudamel come don jose’
fammi capire perche’? quali certezze potrebbero cadere? cosa potrebbe succedere?
Grazie x il sostegno, cari: le vostre osservazioni e battute mi hanno veramente rinfrancata. Io continuo però a tenere a portata di mano i miei sali: complici anche le temperature estive, mi sento mancare ogniqualvolta penso alla “vera rivoluzione del teatro lirico alla quale stiamo assistendo” e al fatto che i numerosi forfait di Kau Kau (di cui l’elegante signora di cui sopra è stata vittima) sono “perdonabili, perché canta tanto bene ed è tanto bravo che si può permettere di non esibirsi x un piccolo mal di gola…”
Non arrabbiarti, Paula. Tanto, visto il modo in cui parla della Regietheater, si capisce che lei sta semplicemente seguendo quello che le pare alla moda. Poi, se un altro tenore meno conosciuto “cantasse” come Kaufmann, lei non li cagherebbe neanche.
Condivido la diagnosi di Lily: Poveretta, non sa che quello che sostiene è già roba dell’altro ieri.
Di alla borghese che se kau fosse di sgradevole aspetto canterebbe giusto ai compleanni, che lei arriva tardi visto che il teatro d regia è rifiutato da coloro che nn più tardi d ieri lo esaltavano, che se vuole vedere dei manzi può provare cn riviste e siti appositi, e che è grazie a menti e orecchie come le sue se l opera è a questo livello
credo che il problema d come canta kaufma
nn e chr piaccia oppure no, con tutto il rispetto, sia l ultimo dei problemi della lirica e se proprio non e’ l ultimo e’ il terz ultimo
Aggiungerei una cosa. L’avanguardia spesso è anche incapace di “raccontare” la storia, ciò che dovrebbe essere il compito primario di qualsiasi regia, dall’ opera fino al teatro e al cinema. Ricordo una produzione di Aida qui a Stoccarda: alla fine di una recita, ho parlato con dei ragazzi delle scuole che mi hanno detto di aver amato la musica, di essersi commossi ma di non aver capito nulla della storia perché ciò che avveniva sulla scena era tutt’ altro rispetto a quello che loro avevano letto nel libretto durante i corsi di preparazione tenuti dai loro insegnanti di Musica. Ora, a che serve un regista che non racconta la storia ma solo la complica al punto da renderla incomprensibile? Crea solo fastidio, in tutti i sensi.
Dal Corriere della Sera di oggi 2 agosto, articolo di Paolo Isotta da Bayreuth: “Petrenko è il direttore wagneriano più grande che esista dai tempi di Herbert von Karajan” .
Presto, chiamate la neuro, un’ambulanza, subito, lo stiamo perdendooo…!
Ahahahahahaha oddio muoioooooooo!!!
Ma dai, poveretto….
Se le Damasse di Milano dicono che Kaufmann canta bene allora ci sono problemi per la sopravvivenza dell’opera. Alla Norma del duo Callas-Corelli andavano in prima fila per vedere le lunghe gambe del tenore. Poi però quella norma è ricordata per la Callas e non per i glutei del tenore. Quindi la storia si ripete: alle damasse piacciono
i riccioli del divo non le sue note. Bene mettete una gigantografia del figliolo e fatene migliaia di fotografie di ogni formato che possano appenderle in tutte le loro stanze regalate loro una copia delle recensioni dell’Elvio Giudici, magari con accluso CD della mitica gorgogliatrice, ma alla fine della sceneggiata non spacciate per favore tutto questo come vitalità dell’opera.
Buongiorno a tutti, Isotta delira, sicuramente. Sono reduce dai Meistersinger di Salisburgo, con un Daniele Gatti catatonico e insopportabile o, al contrario, frenetico e superficiale. Con allegato clamoroso mio litigio con fan gattesco che si spellava le mani. Lui incredulo che io potessi contestarlo, mi guardava come se mi fossero appena spuntate antenne verdi ovunque. La scena della Pegnitz interminabile, la baruffa un litigio tra ragazzini per la Nutella, il Preludio primo atto pasticciato e incoerente nei tempi, i Wiener che non sapevano se andarsene per i fatti loro, addormentarsi o attendere segnali di vita dal pacatissimo direttore. Diversamente da Bayreuth, alcuni cantavano, nel senso che non berciavano, ma Zeppenfeld, pur piuttosto musicale, naufraga nel Das schöne fest ed è abbastanza morbido ma quasi stimbrato nella magnifica scena del secondo atto con Eva. Volle buon attore e cantante accettabile, ma vogliamo parlare di Greindl, Ridderbusch, Hotter, Fischer Dieskau nel ruolo di Sachs? Peter Sonn come David non è nemmeno brioso come attore, oltre ad avere una voce bruttina e il fiato cortino, la Gabler si è difesa come Eva ma ha riproposto un po’ il modello soubrette, ma l’attacco del Quintetto mi è piaciuto. Saccà un po’ monotono, impetuoso, ma le buone intenzioni spesso non erano supportate dalla voce ed è parso uno dei più in difficoltà a seguire l’ineffabile Gatti in un’esperienza più di yoga che di teatro. Il Beckmesser di Werba non è gigione, canta e gli scontri divertenti con Sachs sono ben resi anche dalla regia di Herheim, piuttosto tradizionale, con ranocchi, asini con liuto, Sette Nani e animali vari a circondare Beckmesser durante la goffa serenata del secondo atto, una scena divertente utile per destare l’attenzione, data la direzione sempre impalpabile e di rara grevità. Cori bravi ma nulla più, Wiener “stregati” da Gatti, nel senso che erano irriconoscibili, soprattutto nel primo atto, gli Apprendisti erano formati dall’Akademie Meistersinger YSP, bravi e sufficientemente sfacciati. Ma solo io trovo Gatti pressoché intollerabile?
Ciao Vic, stasera ci sarà la mia recensione su questi Meistersinger. Però è quasi piuttosto una recensione della bellissima regia, visto che il lato musicale l’ho trovato insalvabile.
Mi sentirò confortato, sicuramente, sono uscito sconcertato. Guarda, lo confesso, tanto deluso dalla direzione (pur con forti sospetti in partenza) da lasciar passare gli aspetti vocali (quasi)
come ben descritto dalla foto sottotitolo…evidentemente per l’oroscopo nibelungico, questo è l’anno dello Stercorario.
Ho ascoltato il Rheingold e il primo atto della Walküre: il Rheingold mi è piaciuto a livello orchestrale, la prima scena e tutte le transizioni sono curatissime, l’impasto è prezioso e ci sono molte sfumature soprattutto nel Nibelheim. Ben curata la scena di Mime, bei colori fino al rospo, quarta scena più convenzionale con due bei momenti: la morte di Fasolt e l’esplosione del tema della spada. Primo atto Walküre: bello il cello solista, estenuato e levigatissimo, qualche ritardando emotivo di troppo sul canto di Siegmund ma in genere ottimo ritmo e begli equilibri sonori nel racconto della seconda scena. Molto elettrico anche il Winterstürme, il gioco agogico mi è parso validissimo.
Ho trovato questa bella poesia del musicologo e scrittore austriaco Marcel Prawy. Ve la trasmetto, con una sentita dedica ai Castorf, ai Michieletto, ai Kusej, ai Guth e a tutta la loro inutile e dannosa categoria.
“Ich bin ein Opernregisseur
und reise fleissig hin und her,
wo Opernhäuser mir erlauben,
die faden Opern zu entstauben.
Ich bin – bei Gott – nicht musikalisch,
Gesang erscheint mir bestialisch,
Musik ist mir ganz unerträglich,
sie stört ja die Regie unmöglich.
Auch kann ich keine Noten lesen,
das wäre mich hinderlich gewesen.
Damit Musik nie dominiert,
wird jedes Vorspiel inszeniert.
Mein Bühnenbild ist leer und kahl,
doch teuer dann, auf jeden Fall.
Nur um die Schräge zu montieren,
kann man drei Tage nicht probieren.
Ich spiele halt modern Theater,
in Tschernobyl spielt die Traviata.
Die Handlung kenne ich nur flüchtig,
soziale Aussage ist mir wichtig.
Nicht ist mehr aktuell genug,
mein Falstaff strotzt vor Zeit bezug.
Um mein Konzept voll auszuschöpfen
muss Jochanaan die Salome köpfen.
Und weil Arien danach schreien
sie von der Statik zu befreien,
verlange ich, bevor ich starte,
einen Schliesstag nur für Vissi d’ Arte.
Bei mir schläft die Brünhilde nackt,
Isolde stirbt im ersten Akt.
Wenn mir Ideen mal versagen
lass ich alle Hakenkreuze tragen.
Ein Dirigent, der protestiert,
der wird ganz einfach abserviert.
Bei Interwiews, da bin ich groß,
bin telegen in Fernsehenshows.
Drum bleib ich Opernregisseur,
ein anderer Job wär’ mir zu schwer!”
(Marcel Prawy)
Deliziosa! Potremmo interpolarla e inserirla nella discussione dialettica di “Capriccio”